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    III. VERSO IL MONDO DEI VALORI

    "La libertà spirituale dell'uomo - scrive Victor Frankl -: quel bene che nessuno può sottrargli, finché non esala l'ultimo respiro" è il motore della vita e della storia. Benché sottoposta a infiniti condizionamenti e manipolazioni innumerevoli, non cessa di muovere singoli e popoli a difenderne o custodirne gelosamente l'eccellenza. Ad essa manca tuttavia l'altra faccia della medaglia: "dopo aver costruito la statua della libertà sulla costa orientale, è bene che si pensi a costruire una statua della responsabilità sulla costa occidentale" (Frankl).
    L'uomo è un essere che decide. Non ha senso parlare di dignità dell'uomo, se si misconosce tale sua prerogativa. Certo, l'uomo storico è sottoposto ovunque e sempre a necessarie condizioni d'esistenza: sono i vincoli biologici, psicologici e sociali senza di cui non potrebbe sussistere. E tuttavia, nonostante queste condizioni, anzi in forza di tali vincoli, egli resta sempre potenzialmente capace di andare al di là di se stesso, di trascendere la sua stessa realtà per prendere posizione di fronte alla sua storia, di fronte all'esistenza. E se da un lato l'individuo è libero dall'essere spinto verso qualcosa, dall'altro lo è per viverne la responsabilità. La "volontà di significato" può essere inibita, venire frustrata, subire castrazioni, ma nei momenti più impensati riemerge sommessamente o con forza, reclamando la sua esistenza: essa
    dice responsabilità.
    Il vuoto esistenziale, flagello della società moderna, potrà dominare, ma non vincere. La voglia di senso è insita nell'uomo, e orienta in definitiva la sua esistenza e la sua storia. La nostra vita è un intreccio di vicende che hanno senso: senso banale di vita trascinata, se non travolta, da una coscienza sonnolenta, oppure al contrario senso intenso, pregnante di qualcosa che ha dignità e sa vincere il tempo. Questo ci porta a pieno appagamento: rendere i molteplici episodi della vita quotidiana un'autentica storia riuscita. Nell'ambivalenza del bene e del male di ogni cosa terrena è affidata a ciascuno di noi l'orbita attorno a cui lasciarci gravitare.
    Possiamo far parte di un corpo arido e senza vita, in cui la mediocrità, l'effimero, lo scorrere insensato del tempo ci immiseriscono come "un qualsiasi essere senza nome". Oppure intendiamo entrare in una costellazione in cui regna l'armonia e la vitalità delle cose sensate che sanno generare vita e costruiscono la "maestà" dell'uomo. La responsabilità è dunque il fondamento più profondo dell'essere umano: ossia la libertà di realizzare un compito, "la nostra felicità", poiché al di fuori di questo non ci sarebbe che il non senso.
    Del resto l'essere liberi senza un "per che cosa", sarebbe come un veicolo che gira su se stesso senza portare a destinazione. La responsabilità pone ciascuno di fronte alla vita come a un compito assegnato; ci mette di fronte a Dio, di fronte a Colui che ce l'ha assegnato.

    Chiedersi quale senso abbia la propria vita non è un interrogativo patologico. Anzi - come afferma sempre Frankl -, la volontà di significato rivela ancor più che l'uomo cresce in tensione tra l'essere e il dover essere, ossia si rivolge intenzionalmente alla ricerca di significati e di valori. Il propellente umano non è il principio del piacere (Freud) o la volontà di potenza (Adler), bensì la volontà di significato. In realtà l'essere umano non cerca in primo luogo il piacere o l'equilibrio omeostatico. Ricerca piuttosto ragioni per vivere felice, valori che meritino un impegno, pur essendo immerso in un contesto di dinamismi sociali e meccanismi psicologici. Ora la ricerca di significato non è primariamente scelta, ma una consegna, è qualcosa che mi aspetta, che attende di essere realizzato. E nel momento in cui questo può essere attuato soltanto da me "io non sono soltanto libero, ma più che libero: io sono responsabile" (V. Frankl).
    Spesso si fa appello alla propria coscienza di fronte all'ambiguità delle situazioni. Nei confronti di questioni inedite si invoca la responsabilità umana come istanza che proviene dalla coscienza. Ma la coscienza richiama una realtà che trascende l'uomo, la pura identificazione con il suo essere. Solo la coscienza, intesa come voce della trascendenza, rende possibile un autentico dialogo sul significato della vita e praticabile la ricerca dei valori.
    Superata la concezione dell'uomo come necessitato e determinato da forze interiori o esteriori, approfondita una visione d'uomo quale semplice potenzialità di autorealizzazione, si scopre che nell'andare oltre scaturisce un "io dovrei", anzi imperativi sensati che si impongono. In ogni situazione della mia vita sono sfidato da un significato che richiede una mia risposta personale. L'atto di responsabilità diventa allora un gesto di piena libertà. A ciascuno sono date queste opportunità e nessuno può sfuggire al suo compito. La vita di ogni uomo ha un proprio fine, un suo singolare significato. In questa prospettiva la ricerca è opera di discernimento. A tutti si impongono spesso gli stessi interrogativi. Lungo la storia sono state tentate risposte comuni. Ma ogni tempo e ogni epoca richiedono uno sforzo originale: i significati di sempre si devono incarnare nei valori per l'oggi.

    1. La ricerca dei valori come itinerario educativo

    Di fronte alla questione dei valori si possono assumere, come avviene spesso di fatto, atteggiamenti contrapposti, che rischiano però di essere solo ideologici. Da un lato si pensa che i valori di oggi non siano che i valori di sempre: questi però risultano essere in definitiva delle dichiarazioni di principio, che, se vere su piano teoretico, non interpretano il vissuto a livello di prassi.
    Sul lato opposto si asserisce invece che non ha nessun senso identificare i valori universali e duraturi, poiché i singoli sono attratti da quanto è desiderabile in una determinata epoca e in un certo contesto; e a questo bisogna fare riferimento.

    Una transazione è allora d'obbligo. Ma più che di un compromesso, come spesso si auspica, si tratta di una nuova interpretazione, di vera mediazione. In prospettiva culturale, ad ogni persona viene riconosciuto un valore singolare: le sue potenzialità sono all'origine della ricerca. Ma la precarietà dei valori deve trovare un superamento nell'interpretare in modo rinnovato sia quanto la storia consegna in ogni epoca sia nel leggere in prospettiva ciò che il proprio tempo offre come attuale.
    Di estremo rilievo permane in qualsiasi caso l'opera di elaborazione culturale dei valori fondamentali. Sotto il profilo educativo la ricerca dei valori è irrinunciabile: i valori vanno infatti cercati, scoperti, conquistati. Nessuno può mettere mano al valore, senza sentirsene coinvolto. La pace, la giustizia, la solidarietà, la mondialità, la differenza, il rispetto della natura non sono semplici constatazioni di fatto. Rivestono piuttosto un carattere di esigenze desiderate che muovono la vita, per cui necessitano di venire educate.
    La ricerca è insieme scoperta e rivelazione di quanto è insito nell'uomo, proposta e pista di lancio dei valori, itinerario di realizzazione valoriale della persona nell'autenticità. Ricercare valori è fare opera di decondizionamento, liberazione e di promozione.
    La ricerca educativa non si conclude perciò nella raccolta e riconoscimento dei dati e dei fatti: essa è significativa solo quando il processo di "liberazione da" si integra in un processo di "liberazione per" e di "liberazione con". La persona cresce quando si impegna, in compagnia di sé e nel confronto con gli altri, nella ricerca del senso delle cose e degli eventi del mondo in cui vive. E se è possibile dar corpo a verità inafferrabili di problemi inesistenti, si può tuttavia correre anche il rischio di uccidere la verità nel cuore dell'uomo e di vanificare l'impegno di ricerca. Di frequente si afferma che la nevrosi è la malattia dell'uomo di oggi: ma forse più che una crisi di nervi, si tratta invece di fallimento della coscienza. La ricerca dei valori penetra nel cuore dell'uomo e della sua esistenza.

    2. Il valore come espressione impegnata dell'uomo

    L'uomo è compreso a fondo nel suo insieme attraverso la ricerca dei valori. Nel momento in cui noi percepiamo e conosciamo la nostra esperienza, guardiamo anche al di là del mondo dei fenomeni, trascendiamo l'esperienza (Husserl). Così siamo in grado di leggere in profondo il mondo dell'esperienza per cogliere l'evidenza del significato delle cose. Oggi, infatti, si fanno più frequenti le critiche verso una certa impostazione delle scienze, che avrebbero trascurato lo specifico dell'uomo. Si parla addirittura di "decerebralizzazione funzionale", ossia di esclusione dalla vita delle facoltà mentali più elevate (Von Bertalannfy), di "menticidio" (Merlo).

    Nella realtà biologica dell'uomo si riscontra una scarsezza di meccanismi innati e mancanza di istinti specializzati a favore del predominio dell'apprendimento culturale e dell'elaborazione simbolica del vissuto. E ciò sta alla base della formazione dei valori. Ciascuno di noi avverte la necessità di soddisfare i propri bisogni, e tuttavia vive immerso in un universo fatto di simboli più che di cose. L'Umwelt dell'uomo si riferisce con priorità al pensiero e al linguaggio, alla scienza e alle religioni, alla convivenza sociale organizzata... L'uomo vive in un mondo simbolico, che dematerializza il mondo fattuale circostante. Prendiamo in considerazione un qualsiasi oggetto costruito dall'uomo: esso è certamente un prodotto materiale, ma è contemporaneamente espressione di intenzioni, di un progetto per cui è stato forgiato. A questo livello si pone il mondo dei simboli che va oltre l'utilità biologica o materiale per entrare nella gratuità di un suo autonomo significato.
    Il "valore" appartiene alla sfera dei simboli. E' solitamente concepito come un criterio interpretativo che dice la "valenza" di quanto impregna le cose in progettualità. Non è definibile né soltanto attraverso ciò che si conosce della realtà (la sola cognizione), e neppure mediante ciò che è desiderabile per l'uomo (la sola emozione). E' intelligibile con la comprensione simbolica di quanto è desiderabile per l'uomo. Il valore dunque non è una semplice conoscenza o una bella emozione; è, invece, una "intenzione" compresa nella penetrazione razionale di ciò a cui aspira il cuore dell'uomo.
    Questo permette di anticipare e progettare il futuro, elaborando valori e strutturando sistemi valoriali che possano durare, poiché ciò che vale sa vincere il tempo. Il valore non è ancorato, o tanto meno un derivato del bisogno, anche se ad esso si riferisce. L'uomo è un sistema aperto, creato "istintualmente a metà", che aspira al compimento di quanto è per lui significativo e vale. Il valore è superfluo per la semplice sopravvivenza umana, non però per una progettuale realizzazione dell'uomo.
    La struttura istintiva e la macchina del cervello sono la base indispensabile, senza di cui i processi di coscientizzazione e di simbolizzazione non sarebbero possibili. Sono la condizione
    necessaria per permettere all'uomo di esprimere il meglio di sé, progettando una vita e una storia che lo riconoscano soggetto d’esistenza e non spettatore di un destino. Riconoscere questa opportunità al singolo individuo significa però accettare che sia attivata insieme. Da soli non si risolve il problema, poiché l'uomo come sistema aperto deve trovare la sua integrazione con l'altro nella comunità sociale.
    La regola d'oro sta nel favorire il massimo scambio di energia tra i singoli nel tentativo costante di formare un sistema integrato in cui si condividono comuni finalità. Sarebbe un danno se il sistema sociale si sviluppasse in contraddizione con le esigenze dei suoi membri.
    Si tratta allora di predisporre le condizioni perché ciascun individuo o soggetto sociale esprima quanto è socialmente ed esistenzialmente desiderabile per lui. Occorre anzitutto riconoscere a tutti il diritto alla informazione e formazione necessarie per organizzare le proprie conoscenze. Ciascuno si trova immerso in un vissuto storico che passa dalla disorganizzazione alla organizzazione delle proprie percezioni. La capacità cognitiva ci permette una strutturazione organica delle conoscenze. Ciò non è tuttavia sufficiente: è necessario andare oltre, garantendo a ciascuno la forza propositiva delle sue convinzioni e dei propri valori. La soluzione dei problemi sociali e culturali richiede l'apporto di tutti sia nel momento della progettazione che nella fase di esecuzione: ognuno deve però possedere strumenti per intervenire adeguatamente nel processo di azione sociale.
    E' necessario però considerare attentamente la fenomenologia nella formazione del valore. Il bisogno nell'uomo tende per sua natura a ricercare una sua legittima soddisfazione, stimola l'individuo ad attivare comportamenti adeguati e finalizzati. E ciò porta a reagire e vivere nel proprio contesto. Ma l'uomo non si ferma qui. Gode di una singolare coscienza di quanto gli accade: è consapevole di vivere e agire nel mondo.
    Tale fatto gli rende possibile il "distacco", ossia fermare il flusso dell'esperienza per rendersi conto che la realtà sussiste e può essere osservata e interpretata. Al contempo gli permette di rivivere un avvenimento, di ripetere un'esperienza, di cogliere al di là di sé l'esistenza degli altri e dei loro bisogni. Ora la consapevolezza di problemi comuni come la necessità di affrontarli e trovare soluzioni, consentono all'uomo di ricercare progetti condivisi e strategie comuni che presuppongono l'elaborazione di un insieme di valori.
    Bisogna infine prendere coscienza che il valore scaturisce da due istanze: la condizione associata dell'uomo, per cui il comunicare con altri è questione di vita; e la situazione problematica in cui vive, per cui non gli è concessa l'inerzia. Tale è la logica della condizione umana. Nel confronto con gli altri l'individuo tende alla identificazione di sé e alla diversificazione: è il valore della differenza, che è ricchezza di significati riconosciuti individualmente. Rimane però il problema di poter conseguire finalità comuni: ne rappresenta la soluzione il valore, che interpreta le intenzionalità e i convincimenti condivisi. E quando non si verifica il riconoscimento dei bisogni altrui, nasce il disvalore, che consiste nel tentativo reiterato di ricercare
    soluzioni a un problema di tutti, radicato in una profonda esigenza.
    Si impone dunque un continuo sforzo nel rendere consapevoli e responsabili gli individui nel loro compito di verificare sia la validità dei singoli valori che l'autenticità della loro origine.
    Del resto la prevaricazione dell'universo dei bisogni individuali porterebbe conflittualità e egocentrismo, e la coartazione dell'individuo nei condizionamenti sociali inibirebbe il pensiero creativo ed euristico.
    In sostanza devono emergere le esigenze dei soggetti e al tempo stesso le loro responsabilità sociali: i valori ne sono una mediazione.
    La ricerca educativa dei valori tende perciò alla convergenza dei sistemi valoriali. Ciò garantisce il riconoscimento della uguaglianza fondamentale degli individui, e contemporaneamente rispetta la libertà e la responsabilità di ognuno.

    3. Chances per il Vangelo nella enucleazione dei valori

    Sotto il profilo sociologico i valori hanno acquistato in questo nostro tempo una loro autonomia in rapporto alla religione: molti vivono i loro valori senza riferirsi necessariamente a Dio. Importanti settori di attività si sono progressivamente distaccati dal loro ancoraggio religioso: la scienza, la tecnica, la politica, l'economia, l'arte, l'etica, la comunicazione... godono di una loro autonomia. Per le giovani generazioni tutto ciò non ha nulla di provocatorio o di rivendicativo. Quando Dio è chiamato in causa, è solo per chiedersi che cosa Egli c'entri in tutto ciò.
    La questione della modernità richiede criteri di lettura per evocare il senso. Secondo Habermas si possono distinguere nel nostro mondo tre sfere di attività umane cui corrispondono tre stili di linguaggio differenti che a loro volta fanno riferimento a rispettivi universi. Esistono:
    - la sfera dell'attività scientifica e tecnica usa il linguaggio dei fatti e si rifa al mondo "obiettivo";
    - la sfera dell'attività etica o normativa usa il linguaggio normativo e si rifa al mondo sociale;
    - la sfera dell'attività espressiva usa il linguaggio espressivo-simbolico e si rifa al mondo soggettivo.
    A queste tre sfere corrispondono un certo agire e determinati criteri normativi.
    A livello dell'attività scientifica e tecnica l'azione è di tipo teleologico, per cui l'altro viene considerato a partire dalla sua utilità in vista di un fine da perseguire. Il criterio dominante è quello della verità verificabile che diviene efficacia quando si tratta di mettere in atto strategie operative.
    A livello dell'attività etica l'azione viene regolata da norme, per cui si tratta di vivere insieme e di considerare l'altro come soggetto di diritti e di doveri in uno spazio di intersoggettività. Il criterio è quello della giustizia universale che riconosce la responsabilità di tutti.
    A livello di attività espressiva l'azione è di tipo vitale per cui l'altro viene accolto come soggetto di mutuo riconoscimento. Il criterio direttivo è quello dell'autenticità nelle relazioni reciproche.
    L'articolazione organica di queste tre sfere costituiscono
    l'"ordine simbolico" che è tipico per ciascuna cultura.

    Nella nostra le tre sfere, oltre che essersi sganciate dalla religione hanno istituito una loro propria norma regolativa, che configura la vita sociale. Per cui ciascuno tende a rapportarsi al mondo circostante con un'azione scientifico-tecnica "vera ed efficace", a impegnarsi nella ricerca di "giustizia universale" e a cercare il riconoscimento dell'altro nell'"autenticità".
    Così ciò che permette di considerare il nostro mondo come autonomo, non è che la sua stessa attività di auto-costruzione cosciente. E' la consapevolezza che rende possibile la responsabililtà.
    Ma il processo che porta all'autonomia non può che partire dall'accoglienza dell'universo e della sua storia.
    Il culto di un individualismo autosufficiente o di misconoscimento delle nostre radici non si pone in questa linea. E' piuttosto la ricerca di una garanzia che offre un riferimento eteronomo ultimo: ossia la questione del senso. La sua scoperta tocca all'uomo che non è un assoluto, ma capace di senso relativo o contingente. Peraltro, società autonoma significa appunto che leggi e istituzioni sono opera sua e suo prodotto; e di conseguenza le può mettere in discussione e mutarle. Al contempo si riconosce che non è possibile vivere senza legge. La norma è essenziale e promozionale.
    Ma ci possiamo chiedere se l'autonomia la vogliamo per se stessa o per altri fini. E' l'interrogativo più impellente nella situazione contemporanea. Si tratta di sfida circa il senso, i valori. Due tipi di approccio si intravvedono, per tentare una risposta. La nostra cultura - dicono alcuni - valorizza unicamente e unilateralmente le attività scientifiche e tecniche. Privilegia quasi esclusivamente l'agire strategico e sopravvaluta la verità verificabile e quindi il criterio di valutazione dell'efficacia. Le altre sfere di attività sono praticamente marginalizzate. Non per nulla numerosi sono oggi gli interventi per rivalutare i valori etici ed espressivi e per trovare una loro integrazione organica nell'attività umana. Qui dentro la ricerca di senso è percepita come un impegno di rivalutazione e di integrazione. E' una ricerca che chiama a raccolta tutte le risorse umane e spirituali.
    La proposta cristiana si presenterebbe qui come un contributo originale da mettere in consonanza con altri apporti per la crescita comune. Si tratta di procedere in compagnia e non soli, con il contributo di ognuno.
    Per altri invece - si afferma - la nostra cultura sta inesorabilmente degenerando a causa della ricerca di autonomia da Dio: la crisi di valori è causata da un preteso distacco dal fondamento eteronomo. Solo l'eteronomia religiosa ha il compito di garantire l'umano: dunque è indispensabile il riconoscimento previo della trascendenza di Dio.
    In simile ipotesi la ricerca di senso e dei valori si ferma per la via, sia per gli individui che per la società, poiché esige una dichiarazione preventiva su Dio. La proposta evangelica richiede un assenso che viene esigito da tutti. Ma una nuova prospettiva avanza tra le due: è la riconsiderazione radicale della questione che non intende separare i due aspetti, ma li mantiene distinti. La si pone pertanto in termini di reciprocità e sul piano dell'autenticità. E' la via del linguaggio espressivo e simbolico che si fonda sul riconoscimento dell'altro. E ciò mette in atto un duplice movimento: riconoscere l'altro in sé ed essere riconosciuto dall'altro, ossia la reciprocità. Senza dubbio simile dinamica può risultare alienante o liberante per il soggetto: è alienante quando uno dei due poli della relazione è costituito come unica sorgente di senso e l'altro è deprivato di qualsiasi creatività autonoma; è liberante invece allorché i due poli, in uno cambio simbolico, si riconoscono sorgente di senso, si fondano nella disponibilità dell'accoglienza reciproca.
    Se l'azione creatrice di Dio e dell'uomo non è considerata come un fatto storico semplicemente, bensì come un evento di reciprocità, di alleanza che fa appello alla responsabilità, l'azione di mutuo riconoscimento è liberante per l'uomo. Egli viene interpellato nella sua libertà, e quindi nella sua responsabilità. Sul piano simbolico, i due tipi di approccio che si escludono l'un l'altro trovano la loro composizione poiché la religione e la fede non si pongono in termini di costrizione, bensì di libertà di incontro. La ricerca di autonomia del mondo non sta nel perseguire l'indipendenza senza riferimenti trascendenti, anzi al contrario. E' proprio la ricerca di senso che si spinge oltre a garantirne la sua piena libertà e dignità.

    4. Il percorso educativo della responsabilità

    Nel linguaggio corrente l'espressione "senso di responsabilità" sta sostituendo quella di "senso del dovere". In un contesto civile come l'attuale, dove si assiste a una palese caduta delle evidenze etiche, la figura del dovere presenta contorni sbiaditi. Il termine responsabilità invece evoca oggi risonanze consone con l'idea di autonomia soggettiva coltivata dall'uomo contemporaneo.
    Anche nel campo educativo si preferisce parlare di senso di responsabilità, anziché di senso del dovere. Per i più il problema centrale dell'educazione consiste nel provocare la consapevolezza della responsabilità del soggetto. L'enfasi odierna sul "senso di responsabilità" trova un rinforzo considerevole nella esaltazione dell'autonomia personale. Il modello educativo oggi più accolto configura un tipo d'uomo con spiccato senso della propria indipendenza.
    Senza cedere a interpretazioni pessimistiche, non si può tuttavia negare il diffuso stato di "precarietà" che contraddistingue la coscienza contemporanea. R. Musil parla suggestivamente di uomo: "senza qualità", ossia privo di convincimenti profondi; "senza casa", vale a dire sganciato da precise appartenenze culturali, ideologiche, religiose. Dal canto suo, E. Lasch caratterizza la coscienza odierna con la fortunata espressione dell'"io minimo": l'uomo d'oggi tende a "vivere alla giornata", si ferma "sulla soglia" delle scelte, è propenso a procrastinare le responsabilità impegnative, mostra grande spirito di tolleranza e si rivela tutto centrato sulla fruizione delle opportunità.

    A completamento giova pure richiamare l'attenzione sulla società odierna che richiede semplicemente il rispetto dei patti, delle "regole del gioco" della convivenza civile. Difficilmente essa contempla logiche di relazione "calde",
    come sono quelle fondate sui criteri di "vicinanza" e "prossimità". Spesso il senso di responsabilità di cui parla l'uomo "autonomo" del nostro tempo si riferisce semplicemente al partner del grande gioco sociale, non certo al prossimo nei confronti del quale attivare dinamiche di disponibilità gratuita.
    Se ci riferiamo all'esperienza della Genesi, Dio comanda all'uomo di coltivare e custodire il giardino di Eden, cioè di vivere un rapporto responsabile verso la realtà, che diviene più incisivo allorché Dio affida all'uomo l'incarico di dare nome a tutte le cose.
    Nell'economia del nuovo testamento il paradigma della responsabilità sta a quello dell'alleanza. Gesù Cristo insegna il senso e la modalità secondo cui essere responsabili davanti a Dio: la condivisione di vita con il fratello sino al dono totale di sé.
    Nell'ottica cristiana la responsabilità del discepolo risulta interna al dinamismo stesso della carità. Sta di fatto che oggi la responsabilità non risulta essere una dimensione della nostra struttura antropologica come l'intellettiva, l'affettiva, la relazionale. E' considerata invece qualità o virtù etica, la cui promozione avviene nel contesto di formazione della coscienza. Ma oggi più di ieri, è accresciuto il rischio di scadere in forme di coscienza assopita o svagata o deviata.
    L'impegno educativo per costruire una coscienza "desta", capace di vera responsabilità, deve procedere sia sul piano della bonifica culturale che del rinvigorimento della coscienza.
    Chi più chi meno, oggi siamo un po' tutti suggestionati dalle idee dei cosiddetti "maestri del sospetto" (Nietzsche, Marx, Freud). Essi giungono a demistificare la presunta "trasparenza" dell'io, mostrando come le risorse di libertà, autonomia e quindi responsabilità personale siano ben più ristrette di quanto non induca a credere l'opinione ingenua.
    Un'opera di bonifica culturale al riguardo diviene indispensabile: occorre aiutare il soggetto a comprendere come l'uomo, pur condizionato da fattori endogeni ed esogeni, può giocare in uno spazio libero la responsabilità personale.
    Congiuntamente a questo va promosso il rinvigorimento della coscienza. In primo luogo la capacità critica: bisogna condurre il soggetto alla riflessione pacata, all'interiorizzazione valoriale, al discernimento culturale. Ciò si rende indispensabile per far crescere una coscienza capace di operare scelte di vita umanizzanti. In secondo luogo libertà: il profilo d'uomo secondo la figura dell'"io minimo" invoca la liberazione del potenziale di libertà umana. Un intervento educativo deve muoversi lungo due senntieri: la "libertà da" e la "libertà per". La prima allude allo sforzo chhe il soggetto deve compiere per affrancarsi; la seconda esprime la volontà di assecondare la scelta di un bene.

    E infine la dimensione relazionale: l'apertura dialogica del nostro io. Da ciò si evince che il "volto" del'altro è, per così dire, inscritto nel codice genetico di ciascun essere umano.
    Nell'odierna coscienza la sensibilità relazionale è più viva e sciolta d'un tempo. Ma è da vagliare con cura: c'è il rischio di considerare l'altro "funzionale" al proprio processo di autoespansione o "strumentaleeee" rispetto ai bisogni dei singoli. Così emerge evidente chhe la capacità di decisioni responsabili è la meta propria ed ultima dell'educazione: condurre a pienezza di responsabilità significa far sì che venga assunta un'abituale capacità di rendere conto a sé e agli altri delle proprie scelte in un quadro di fondamenti valoriali.

    5. Piste esemplificative nella ricerca dei valori

    La ricerca dei valori perciò può essere compiuta nelle più diverse direzioni. Sempre però sarà ispirata ad una antropologia sottesa o dichiarata. Da esigenze di umanità profonda si sprigiona la domanda di senso. Ma la convergenza delle risposte si raggiunge in una faticosa e costante disponibilità al confronto, manifestando con chiarezza le proprie ispirazioni e dichiarando i criteri di giudizio che ci guidano. Passiamo in rassegna taluni valori attuali.

    La questione ecologica sta oggi in prima pagina. Dissolta la grave minaccia della guerra nucleare si fa avanti al primo posto i problema dell'inquinamento o, secondo la visione biblica, della salvaguardia del creato.
    L'appello insistente sta nella richiesta di un cambiamento radicale di orientamenti, di mentalità e costume, di politica da parte di tutti gli Stati. La catastrofe pare essere per tutti incombente. Uno dei grandi segni dei tempi della nostra epoca è di certo il movimento ambientalista, al di là delle sue possibili ambiguità.
    Trent'anni fa, Papa Giovanni XXIII asseriva che i grandi segni dei tempi erano la rinascita di paesi decolonizzati, lo sviluppo del movimento delle donne e la crescita del mondo operaio. Ora senza dubbio va inserito il progredire del movimento "verde".
    Un tempo, nelle problematiche religiose, si ricorreva spesso alla natura: ad esempio per dimostrare l'esistenza di Dio. Oggi invece la questione è decisamente capovolta: solo chi crede che la natura è creata da Dio può davvero impegnarsi sino in fondo per evitarne la distruzione da parte dell'uomo. E' un vero sovvertimento della questione. Se ieri la creazione era la vera prova dell'esistenza di Dio, oggi l'esistenza di Dio risulta essere una delle prove che danno forza nel preservare il creato e senso nella sua salvaguardia.
    I valori cristiani colorati di verde sono oggi: l'attenzione alla natura, il rifiuto di un suo sfruttamento irrazionale, la ricerca della qualità della vita sulla quantità dei beni, la condanna inesorabile del consumo come dilapidazione insensata di risorse, uno stile di vita che si ispira alla sobrietà e all'essenziale, la destinazione universale dei beni sia in senso sincronico che diacronico, la sollecitudine per le generazioni del futuro. Essi evidenziano uno stile di vita, persino una tipica spiritualità.
    Come ogni altra, l'esperienza ecologista presenta indubbiamente contraddizioni e limiti: occorre fare decisamente una scelta di educazione che consenta da un lato l'entusiasmo vero per la natura e dall'altro eviti le degenerazioni.
    Nella considerazione della natura si constata oggi un grosso limite: la sua divinizzazione. Se ne fa un idolo a cui consacrare irrazionalmente qualsiasi sforzo umano. Il carattere di messianismo dell'esperienza ecologica la fa apparire come una religione secolare. Nel ridurre l'uomo da immagine di Dio a uno dei numerosi elementi del creato ci si avvia ad una una sorta di biocentrismo, che misconosce la singolarità della creatura umana. Un simile squilibrio porta alla demonizzazione del progresso e al rifiuto dello sviluppo: è come se lo sforzo umano non dovesse perseguire migliori condizioni di vita, per una assurda intoccabilità della natura.
    La radice di tutto questo è ravvisabile in una certa concezione che pone l'uomo al centro della natura come dominatore. Ma c'è da chiedersi se sia la volontà di dominio il vero "destino" dell'uomo o non piuttosto la gioia della gratuità del settimo giorno, ossia il sabato di Dio. L'uomo che, nel senso biblico, nomina le cose lo rende signore ma non despota, lo fa concreatore e non onnipotente. La sua ricerca intelligente guida a penetrare le cose per salvaguardarle: il creato, la natura è a servizio ragionevole dell'uomo per la sua autentica crescita umana e spirituale.

    Un secondo valore che si impone oggi è la pace. Spesso ne vediamo il dramma per non dire la tragedia.
    Nella storia anche recente si interpreta di solito la pace come sicurezza, e sicurezza militare. Si tratta di conservare la propria tranquillità difendendosi di fronte alla eventuale aggressione altrui. Ma ciò provoca spesso nella prassi dominio e aggressione, magari anche con il sostegno della dottrina della guerra giusta. La cultura della nonviolenza è una nuova prospettiva che fa breccia nell'odierna convivenza: si dissente dall'uso minaccioso del potere, si contesta ogni forma di sicurezza oppressiva, si rivendica la uguale dignità di tutte le razze e tutti i popoli per cui la convivenza pacifica è d'obbligo, si invoca la libertà di coscienza nei confronti di norme ritenute retaggio di altri tempi. Sempre più si comprende che la vera sicurezza che la gente ricerca non consiste nella difesa di un territorio e dei suoi confini, bensì nel salvaguardare i diritti della persona e le culture dei popoli.
    Le armi non difendono più da un ipotetico nemico, se le minacce che aggrediscono la società sono oggi più la disoccupazione, lo sperpero delle risorse, la disuguale distribuzione dei beni, la corruzione politica e la disgregazione sociale.

    Pace allora non può significare situazione di non-guerra, custodia della tranquillità, conservazione delle disuguaglianze. Vuol dire invece ricerca personale e politica della pienezza di vita: è lo "shalom" biblico, che dice fecondità e benedizione per tutto il popolo. L'impegno sta allora nel costruire pace nel mondo, di essere operatori di pace perché tutti possono trovare pienezza di vita. Per questo la sola base possibile per una pace durevole è la giustizia: solo dimorando in relazioni sicure con se stessi, con gli altri, con la natura c'è la vera pace. La sicurezza di tutti si fonda sulla giustizia. La pace reclama giustizia. Ma la giustizia, soprattutto oggi, non si gioca solo tra singoli individui, coinvolge popoli interi, anzi il mondo nel suo insieme.
    Si ha ormai sempre più la sensazione che esiste una giustizia che va oltre le aule dei tribunali o i litigi sui diritti dei singoli: c'è una giustizia più grande, una giustizia-sviluppo.
    Lo sviluppo è il nuovo nome della pace e della giustizia. La questione sociale ha acquistato oggi dimensione mondiale perché la nuova esigenza di giustizia e di pace non può essere soddisfatta se non su questo piano. Venir meno a tale esigenza favorisce il sorgere di tentazioni di risposte violente da parte di chi subisce l'ingiustizia. I popoli esclusi dalla equa distribuzione dei beni, che sono destinati in origine a tutti, possono ribellarsi alle imposizioni degli uni sugli altri.
    La miseria immeritata (Leone XIII) dice ingiustizia. La povertà dei popoli sta nel sopruso di altri. Non per nulla le nazioni industrializzate tendono a diventare ognor più ricche, e le nazioni in via di sviluppo faticano sempre più a stare al passo, a progredire adeguatamente. Giustizia e sviluppo si richiamano: lo sviluppo è un diritto per le popolazioni più povere e la giustizia mondiale è un dovere delle nazioni più ricche.
    Di fronte a questa questione vengono assunti però atteggiamenti i più diversi: si va da un atteggiamento di rimozione (si conosce il problema, ma si opera come se non ci toccasse personalmente) ad un atteggiamento ideologico (si riconosce che il problema merita una soluzione, ma lo si affronta in prospettiva astratta, predeterminata, ideologica); si passa dalla curiosità (c'è interesse per i paesi in via di sviluppo, ma ci si ferma solo in superficie e non si va oltre la soglia della curiosità di culture sconosciute) all'impegno (si prende coscienza del problema e lo si fa sfociare nell'impegno concreto: lo sviluppo viene pensato in termini culturali, sociali e politici). Un luogo di impegno è il volontariato internazionale, un altro sta nel laicato missionario, un altro ancora è l'impegno della denuncia e l'azione politica.

    Il valore della mondialità suscita oggi spontanea attenzione: si parla di uomo planetario, di transazionalità e interdipendenza, di convivenza multirazziale e pluriculturale.
    "Nessun uomo è un'isola compiuta in se stessa, ogni uomo è un frammento del continente, una parte del tutto" (T. Donne). Tutti gli uomini sono interdipendenti e perciò coinvolti in un unico processo. Noi siamo inevitabilmente, soprattutto nell'era del villaggio globale, "i custodi dei nostri fratelli". Il riconoscimento dell'unità del genere umano e dell'esigenza di un vero interesse per il benessere di tutti è "la larghezza della vita dell'uomo" (L. King). L'interdipendenza segna tutta la nostra vita. Ogni uomo è preso in un'inestricabile rete di reciprocità, legato in un unico tessuto di destino: qualsiasi cosa tocchi direttamente uno, coinvolge necessariamente tutti. Un uomo, una donna non possono mai essere totalmente se stessi, finché ciascuno non può essere ciò che dovrebbe essere. L'individualista è uno stolto che pensa di costruire sulle rovine altrui, e non si accorge che il terreno non lo ha creato lui.
    Mondialità dice allora "autocomprensione" di essere parte di un tutto: ciascuno di noi non è la totalità o il centro dell'esistenza. Noi siamo chiamati alla sinergia e alla comunione. Per questo non dobbiamo concepire la realtà mondiale come una società di stati e nazioni, bensì come una comunità di popoli con le loro differenti culture.
    Una comunità non può vivere veramente il presente se non ha la coscienza di essere responsabile del futuro dell'umanità: le generazioni future hanno diritto a trovarsi una terra vivibile, abitabile.
    Ma la più profonda prospettiva della mondialità è quella del "farsi prossimo". L'altro è per ciascuno domanda, appello. Stare alla finestra non è possibile in nessun caso. La sfida dell'altro esiste, provoca una risposta. Si risponde a chi chiede una presa di posizione o una scelta, si assume la propria responsabilità nel cammino della vita. Rinunciare significa provocare degenerazione sociale e svilimento delle potenzialità umane.
    Mondialità è ricerca di compagnia nel camminare con gli altri, rischiando la sicurezza della propria identità per un confronto con le identità altrui. Ciò che non sono, ciò che non ho, mi è offerto a complemento da altri nella reciprocità. La ricerca della propria identità infatti può trasformarsi in nevrosi, se si pongono gli interrogativi su di sé all'infinito e in modo parossistico. L'esodo da sé è produttivo per la stessa crescita personale, anzi senza di esso il nostro vissuto si sclerotizza.
    Mondialità significa camminare insieme verso una comune identità che ci fa diventare tutti più simili nella essenzialità dei nostri diritti, che ci fa condividere la nostra umanità. E tuttavia mondialità non dice superamento delle differenze, delle tipicità, anzi al contrario va nella direzione di accogliere e valorizzare le differenze nella reciprocità.
    Quella che nasce è la "convivialità" delle differenze, che le feconda reciprocamente in modo da far scaturire una identità arricchita. Mondialità chiama a solidarietà: ci si riconosce in profondità solo quando ci si colloca in tensione solidale.
    Non per nulla la solidarietà pone le sue radici sui diritti dell'uomo: "Tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità e diritti, essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri con spirito di fratellanza" (ONU 1948).

    Nel confronto con le altre culture e civiltà scopriamo le contraddizioni della società in cui viviamo: da un lato vi sono segni sin troppo evidenti di una cultura dell'io che consacra il narcisismo e il soggettivismo, dall'altra lo Stato moderno intende tutelare diritti sociali e riconosce organizzazioni solidali.
    E tuttavia diviene sempre più chiaro agli occhi dei più che il nostro benessere si erge assai spesso sul malessere altrui, quando non addirittura non lo rende necessario. Troppo spesso le nostre realizzazioni si fondano sulle ceneri delle potenzialità altrui. Un progresso frutto di ingiustizia non può essere che iniquo.
    Le categorie che segnano il cammino del progresso umano sono il tempo e lo spazio. Non esiste solo il presente: la storia dell'uomo esige solidarietà, nei confronti del passato come verso il futuro. Altrimenti si trasforma in dramma se non in tragedia, per le generazioni. Così la solidarietà si apre a tutti nello spazio. Il terreno di gioco è il mondo intero, l'universo. Ogni gruppo sociale è compresente: può essere
    considerato un concorrente o un cooperante.
    Solidarietà dice un nuovo stile di essere cittadini, consapevoli delle proprie responsabilità. E cittadino solidale lo si è in tutti i momenti e luoghi della propria esistenza. Non può essere autentica una solidarietà a parentesi e neppure è vera una solidarietà a senso unico.
    L'essere solidali occupa tutta l'esistenza, la pone su un livello di scambio in cui ciascuno dà e riceve. Chi non è consapevole che la propria vita produce ingiustizia, non si apre alla solidarietà. E chi non coglie che gli altri sono soggetti con noi dell'esistenza e portatori di progetti, non potrà essere solidale sino in fondo. La solidarietà non è il gesto di qualche ora o solo verso qualcuno, ma è un modo nuovo di concepire la propria vita nell'esistenza altrui.

    6. Per un progetto di crescita liberante

    E' stato detto che l'uomo moderno soffre irrimediabilmente di nevrosi. In verità ci sovrasta una crisi dell'etica, ormai generalmente riconosciuta. L'anomia diffusa, una radicale soggettivizzazione, il primato dell'apparente, la caduta dei valori sono sintomi manifesti di tale disagio. All'orizzonte appare una certa stanchezza e soprattutto voglia di riscossa. Si avverte ovunque la necessità di cambiamento.
    Ma perseguire la qualità della vita e recuperare la valenza del "personale" sono segni che denunciano l'insufficienza di una certa concezione di progresso e di politica, e soprattutto invocano uno spazio previo in cui definire la direzione di marcia. Quali sono dunque i valori da collocare alla base di ogni trasformazione o cambiamento? Pur nell'ambivalenza di qualunque processo sociale e culturale, non si può non prendere atto della provocazione attuale.
    La risposta a tale provocazione comporta la necessità di ridefinire i contenuti di valore, in definitiva di prefigurare un progetto etico per la crescita umana alla luce del messaggio dell'evangelo.
    In vista di una prassi rinnovata occorre polarizzare la ricerca dei valori attorno ad alcune aree, tentando di rilevarne la loro significazione storica. Così tali aree vengono configurate come movimenti da una posizione ad un'altra per sottolineare che il processo dell'esistenza morale è dinamico, si delinea come itinerario.

    - Dall'isolamento alla solitudine (area della personalizzazione)

    Il primo dei cammini da intraprendere è quello del passaggio dall'isolamento alla solitudine. La riconquista della propria soggettività si rivela oggi come una delle esigenze fondamentali: c'è bisogno di recupero dello spazio interiore per riconoscersi. Il ritmo frenetico della vita odierna e l'impostazione sostanzialmente funzionale dei rapporti spingono l'uomo verso forme di evasione o di compensazione. L'alienazione porta all'isolamento, ossia alla fatica a prendere coscienza della propria situazione.
    Si tratta allora di ricostruire la propria interiorità (vita interiore) con la capacità di guardarsi dentro e di padroneggiare gli eventi (capacità di solitudine). E' necessario questo cammino per uscire dalla condizione di impoverimento esistenziale e saper discernere i bisogni veri e
    i valori emergenti.
    Ma per poter giungere alla riconquista degli spazi più profondi di sé è necessario accettare la propria realtà (alterità) senza confusioni o coinvolgimenti simbiotici. Il rapporto con l'altro deve essere vissuto nel riconoscimento delle differenze e al tempo stesso nel segno della vicinanza e della reciprocità (relazione di scambio).
    Tutto ciò presuppone l'assunzione realistica della totalità del proprio essere con consapevolezza delle potenzialità e dei limiti. In altri termini è riconoscimento della corporeità umana, della specifica sessualità, del trascendimento spirituale, dell'integrità armonica della persona, senza idolatrare o svilire in alcun modo. Ciascuno ha così una propria fisionomia irrepetibile, con potenzialità peculiari. Con tale patrimonio si pone nel contesto sociale chiamato a dar frutto per il bene comune (vocazione). Del resto la vocazione è responsabilità personale che impegna di fronte a sé e agli altri, di fronte a Dio. Il discernimento porta a scoprire il senso della propria chiamata per disporsi a viverla nel servizio agli altri.

    - Dall'ostilità all'ospitalità (area della socializzazione)

    Il secondo cammino propone di passare dall'ostilità all'ospitalità. La convivenza umana è spesso segnata da conflitti sia a livello dei rapporti interpersonali come delle relazioni sociali e persino nei contatti con la natura: fa parte costitutiva dell'esperienza umana. Peraltro la conflittualità porta con sé una valenza positiva perché è stimolo al confronto e allo sviluppo. Stare nella situazione di conflitto è la premessa per vivere la ricerca della riconciliazione: così è dato passare da una situazione alienante ad una condizione di liberazione. Alla contrapposizione si preferisce la produzione di convivenza (riconciliazione).
    Questo presuppone che l'atteggiamento ostile venga superato nell'accoglienza della diversità, evitando soluzioni ideologiche o precomprensive. Il confronto (dialogo) diventa la regola d'oro: esso crea spazi di reale ospitalità, sino al perdono reciproco che non dice complicità o misconoscimenti di sorta. Asserisce anzi una sempre rinnovata opportunità di rilanciare rapporti nella prospettiva della condivisione e cooperazione (comunione). Il salto è qualitativo, poiché riconosce il valore strumentale delle cose e considera soggetti le persone. Il suo nuovo nome è solidarietà.
    Il modello di tale nuova socialità è la carità evangelica che ha la sua fonte e il suo culmine in Dio-Amore.
    L'ospitalità appare dunque come una conquista che vede nell'altro non un avversario o competitore, bensì un compagno di viaggio con cui essere ospitali e solidali.

    - Dall'illusione all'attesa impegnata (area di impegno politico)

    L'ultimo cammino proposto fa passare dalla illusione all'impegno. Il crollo dei miti e delle ideologie non può essere motivo di disimpegno. Dall'idolatria del sogno occorre transitare alla progettualità storica. La ricerca illusoria di una patria della "perfezione", che si può trasformare in reale tirannia, scade nella regola inumana del "tutto e subito". Ma il cambiamento si colloca in un processo storico che esige
    fatica, e il rinnovamento richiede all'individuo e alla
    comunità lo sforzo di promozione. Mutare le strutture di convivenza, creare condizioni a misura d'uomo, suscitare partecipazione esigono impegno non indifferente. L'atteggiamento maturo è quello di usare la ragione tanto nell'analisi della situazione quanto nella ricerca di strumenti risolutivi adeguati (criticità). L'autosufficienza è solo frutto di insensatezza e la tentazione dell'onnipotenza è il più ricorrente rischio dell'uomo.
    La prassi dell'impegno personale e sociale è il miglior correttivo, poiché dà spazio ampio alla gratuità, alla condivisione concreta, ai valori (creatività).
    L'assenza del gratuito e della gioia di vivere nel proprio cammino di impegno conduce inesorabilmente ad una cultura del piacere e del possesso.
    In tale situazione si possono intraprendere piste feconde per un reale cambiamento del sistema di vita, alla ricerca di una sua nuova qualità.
    Questo è il senso della progettualità cristiana (speranza), che non proclama facili ottimismi del presente e neppure si lascia andare al pessimismo dello sfascio. "La speranza cristiana è attesa impegnata". La presenza del Regno nel mondo sollecita il credente a impegnarsi per la trasformazione della società e al tempo stesso gli dà consapevolezza che qualsiasi progetto storico rimane sempre datato. Il Regno è già presente, ma anche sempre oltre. In questo nostro tempo il ricercare valori emergenti è un segno di novità che fa crescere. Agli educatori spetta il compito di vigilare per cogliere i segni dei tempi e per offrire ai giovani un progetto di vita carico di significatività nella apertura alla ricchezza inesauribile del messaggio di Gesù.

    7. Comunicazione dei valori: la comunità educativa.

    La meta dell'educazione è in definitiva indurre disposizioni verso la vita nella sua pienezza, perché si configuri con qualità irrinunciabili che chiamiamo valori.
    I valori sono il fondamento di ogni cultura educativa, come di ogni cultura in genere, e costituiscono le ragioni ideali di ogni progettazione sociale ed educativa, culturale e politica. Educare è promuovere valori, è dare ragione delle esigenze e delle speranze che sono in noi per cui vale la pena di vivere.
    I profondi cambiamenti in atto ci provocano a riorientare i nostri punti di riferimento. Le evidenze etiche che emergono ci sfidano nel cammino della storia a ripensare e a ridire i valori che ci guidano.
    Allora solo in un contesto vitale possono circolare valori. Essi sono i codici che regolano la vita, costituiscono gli ideali per cui dei soggetti sociali sintonizzano.
    Tale contesto vitale è la comunità, e la comunità educativa.
    Ma perché ciò avvenga sono indispensabili alcune garanzie. La comunità deve essere pensata come un luogo in cui si comunica a livello di esperienza e ci si scambiano contenuti vitali. Rapporti formali, funzioni di potere, neutralità di prospettive non concedono in nessun modo ai valori di emergere nella loro evidenza. I valori non si riconoscono in astratto, ma nel vissuto della comunità: ad essi si ispira, li sperimenta e li incarna, li propone e li induce.
    Luogo vitale di circolazione dei valori, la comunità rimane
    tale se è aperta allo scambio con l'ambiente e il territorio.
    Il tessuto sociale ed ecclesiale è il naturale terreno su cui crescono urgenze culturali e convincimenti etici. Le sfide che la società pone sono il migliore propulsore a rendere attivi e creativi i vari gruppi sociali.
    Immersa nella vita di tutti, la comunità educativa può giocare il suo ruolo di fermento e di fantasia nel dare risposte adeguate alle attese culturali e alle esigenze esistenziali dei suoi membri.
    E tuttavia i valori oltre che essere vissuti hanno bisogno di essere "raccontati". L'indistinto e l'emozionale non durano che una pausa del nostro tempo: occorre afferrare anche razionalmente, nell'intelligenza degli eventi, le ragioni del nostro agire. I valori, come regolatori della nostra vita, meritano di essere compresi in profondità con tutti gli strumenti culturali a nostra disposizione.
    Chiamare i valori per nome significa infondere loro la possibilità di essere riconosciuti e riproposti. Mentre li sogniamo nell'attesa e li incarniamo nel vissuto, ci è dato di individuarli e accertarli, di tradurli in progetti di vita, di inverarli nell'impegno storico.
    Un tale processo ci permette di considerare i valori nella loro prospettiva utopica e al tempo stesso nella loro dimensione storica.
    Essi sono sempre al di là delle nostre produzioni culturali, ne costituiscono l'orizzonte. Eppure operano come seme fecondo nell'esistenza, sono in germe nelle nostre esperienze più positive.
    Il testimone diventa allora in tutto questo una figura irrinunciabile: è colui che apre gli occhi e che fa toccare con mano, ma anche colui che provoca al sogno e afferra all'impegno.
    L'educatore deve riconoscere che la sua autorevolezza non gli proviene dalla funzione come neppure dalla competenza. A lui spetta raccontare con la sua vita i valori in cui crede, perché li possa indicare all'accoglienza. E' una narrazione povera, come tutte le cose umane, ma è nutrita di fiducia e di speranza, perché sa che la sorgente sta nella vita e nella VITA.


    T e r z a
    p a g i n A


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