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    Una via d'uscita: il modello sistemico (undicesima parte di: «Agire innovativo nella pastorale»)


     

    XI. UNA VIA D'USCITA: IL MODELLO SISTEMICO

    Il cambiamento pone la questione di prefigurare un modello che possa renderlo possibile. Non è un problema di ricette, ma di intravvedere i percorsi più adeguati da seguire Perché le realtà organizzative siano una risposta vitale alle esigenze dell'uomo. E' facile contrapporre critiche ai modelli presentati dell'efficienza e dell'autorealizzazione. Si tratta però di proporre alternative che suonino garanzia Perché un progetto di educazione integrale sia realizzabile.
    Rifarci alla teoria dei sistemi può essere una soluzione: cerchiamo di individuarla, affrontando in prima istanza la problematica, indicando una possibilità aperta e segnalando indicazioni organizzative.

    1. Logica della razionalità e del sentimento

    Parlare di logica della razionalità nel modello dell'efficienza e di logica del sentimento nel modello dell'autorealizzazione può essere rivelativo, ma forse improprio. Al di là dell'enfasi interpretativa, potrebbe significare una radicalizzazione dell'inconciliabilità dei due momenti. Ma non si può separare l'uomo interiore dalla sua azione, come se fossero due realtà dicotomiche. Ci è possibile distinguere nell'analisi, ma non disgiungere nella realtà. In verità queste due logiche appaiono in definitiva un falso problema, poiché la questione reale sta nel rendere praticabile nell'organizzazione il cambiamento. Occorre cioè mettere in atto un continuo processo istituente che codifichi le esigenze e garantisca l'esito. O il cambiamento avviene in
    persistenza nell'organizzazione, oppure si è condannati ad una logica perdente: togliere la parola alle persone e ai lori vissuti.
    In genere oggi appaiono più avvertite le istanze del nuovo nelle organizzazioni, come esigenza di ricambio o di alternanze. Ma sono il complesso e il significativo a fare problema. Non è la novità Perché inedita che serve a un'organizzazione per rispondere a sè stessa. E' invece il saper riconoscere l'emergente problematica dell'organizzazione che permette di portare a soluzione le attese. Il cambiamento richiesto per ragioni volontaristiche è fragile. Nella consapevolezza della situazione risiede invece la possibilità reale di incidere con efficacia nei meccanismi organizzativi. Insomma il cambiamento non avviene per decreto, di efficienza o di spontaneità che sia, ma per l'interpretazione ragionevole delle dinamiche organizzative. L'esigenza di umanizzare l'organizzazione non trova la sua giusta risposta indicando come normativa una generica possibilità di autorealizzazione spontanea. E neppure la necessità di organizzare le forze incontra una soluzione rimandando ad una rigida strutturazione dei ruoli, sia pur efficiente.
    Se analizziamo a fondo una comunità, riscontriamo anzitutto una esigenza di conservazione che garantisca l'identità dei membri di una organizzazione, altrimenti non sarebbe tale. E d'altro canto rileviamo anche una ineludibile istanza di sviluppo verso forme ideali che ne indicano il cammino di crescita e maturazione. Non per nulla, appunto sulla base di queste due esigenze, ogni organizzazione può essere vissuta come luogo di rassicurazione o al contrario come opportunità di mistificazione. Nel primo caso l'istanza di conservazione si trasforma in distruttivi meccanismi di protezione o di difesa con evidenti resistenze al cambiamento. Nell'altro caso l'istanza di innovazione si tramuta in forme di ossessione da utopia o anche in assillanti conflitti con l'ideale di se stessi.
    Intraprendere la strada della dualità, porta alla perdizione: la questione infatti non sta nel perseguire la conservazione o la rivoluzione. Sarebbe in ogni caso una tipica difesa contro l'ansia del mutamento. Si tratta al contrario di gestire il cambiamento nel suo insieme di intenzionale e di intenzionato, rivelando paure e conflitti, problemi e ansie, e di resistere al reiterato tentativo di ridurre l'uomo ad oggetto del mutamento, anziché a sua sorgente e origine.
    La contraddizione si riassume tra impotenza e speranza: ossia è impossibile essere differenti senza pagare lo scotto di essere come gli altri, ed è impossibile essere uguali agli altri senza tentare di essere diversi.
    Ed allora l'organizzazione a misura d'uomo si ottiene proprio là dove essa viene riconosciuta come luogo della contraddizione tra il poter riuscire ad essere una realtà che cresce e al contempo il poter restare sempre se stessa. Le realtà organizzate si mettono in gioco proprio quando affrontano le loro contraddizioni e ambivalenze, analizzando le situazioni concrete. E' un lavoro di revisione continua che tenta di far emergere la parola bloccata e di favorire la comprensione sociale della permanente ambiguità. La comunità organizzata conquista dunque la sua anima quando coinvolge le persone e mette in forse il suo stato d'essere. In questo modo
    si diventa attori della propria storia nell'organizzazione, poiché la parola di tutti è accolta. L'intento formativo consiste allora nel liberare la parola piena, al di fuori di ogni mistificazione o occultamento, come anche di ogni strumentalizzazione. Solo così il significato degli eventi sono resi trasparenti e passibili di cambiamento.
    La rilevanza educativa è chiara. Se non vuole fossilizzarsi, la comunità organizzata si mette in continuo stato di revisione, di conversione. Non sono le semplici parole il punto di riferimento qualificante, bensì la parola piena, coraggiosa, profetica, quale criterio di discernimento e di giudizio.

    2. Logica dell'approccio sistemico

    Ma come tradurre in proposte organizzative queste istanze di fondo? come impostare l'organizzazione Perché ne sia salvata l'ispirazione?
    Anzitutto non può mancare l'attenzione alla centralità della persona come tale. Pur nell'organizzazione, al soggetto deve essere garantita la sua dignità, la maestà d'uomo. L'individuo non è una funzione del sistema sociale, ma un essere capace di rapportarsi consapevolmente e responsabilmente agli altri. E' la questione delle relazioni all'interno dell'organizzazione.
    I traguardi dell'organizzazione devono scaturire dall'integrazione dinamica tra gli obiettivi dei singoli e della collettività. Di qui scaturiscono la necessità di distribuire impegni significativi ai singoli e la flessibilità adeguata del momento organizzativo, che si traduce in partecipazione da una parte e dall'altra in comunicazione. E' la questione del rapporto tra struttura organizzativa e singoli. L'inserimento nel contesto sociale inoltre è tanto rilevante da non poter neppure supporre un totale isolamento, che del resto sarebbe unicamente apparente. L'organizzazione deve rimanere impegnata in un'opera incessante di verifica della sua incidenza sul sistema globale. E' la questione di valutare l'efficacia sul proprio ambiente.
    Alla soluzione di simili questioni può servire l'approccio sistemico (Von Bertalanffy). Esso consiste nel concepire le organizzazioni come un sistema, ossia un insieme di componenti connesse le une alle altre da relazioni prevedibili e interagenti. L'idea di azione e retroazione (feedback) gioca un ruolo decisivo in questa visione: l'effetto di ritorno di un intervento deve poter subito essere considerato per ricalibrare l'azione. E la estensione del sistema deve trovare i suoi confini mediante criteri che sanno discriminare le differenti realtà, per cui un sistema non è l'altro.
    L'organizzazione appare così come un sistema vitale, anche se artificiale, che possiede i suoi meccanismi di sviluppo o di degenerazione. Ma tali dinamismi sono solo simili a quelli degli organismi biologici: non è assolutamente possibile porli sullo stesso piano. Infatti per gli uni, quelli naturali, una qualsiasi forma di aggressione viene rivolta alle funzioni essenziali, e quindi ha sbocchi inesorabilmente distruttivi. Per gli organismi sociali invece, si può intravvedere una via d'uscita, nella regolazione dell'incerto mediante meccanismi di reazione (es. l'istituzione di organi collegiali), o con barriere istituzionali di difesa (come il mondo economico che sopporta una scuola-parcheggio), o nel confronto con altri
    organismi (politici, culturali...).
    Nel campo delle finalità educative, l'organizzazione deve essere immaginata quale sistema aperto, che sa trasmettere messaggi nell'ambiente in cui si trova ed è disposta a ricevere immissioni dal contesto circostante. Deve essere un sistema dinamico, capace di regolare i propri rapporti interni al mutamento dell'ambiente e alle esigenze dei soggetti: non però come un puro problema omeostatico, bensì di processo di sviluppo.
    La funzionalità dell'organizzazione come sistema diviene di necessità strettamente connessa al flusso e alla gamma di informazioni che provengono sia dall'esterno che dall'interno. La sua capacità di regolarsi in maniera duttile e dinamica rimane l'istanza essenziale. E non si tratta semplicemente di essere in grado di reagire, bensì occorre sapere incidere attivamente sui comportamenti per autodirigersi, e non solo autoregolarsi. Per usare un'immagine, l'organizzazione si mette "in cammino verso". Per questo la nostra visione di organizzazione non è un sistema che si consuma in sè, ma si orienta alle finalità generali di una società che elabora le vie da percorrere insieme. Ogni sistema quindi deve essere in grado di dare il proprio contrario. Nello scambio tra sistema e società, l'organizzazione non si lascia esporre a pressioni e condizionamenti che provengono da sistemi diversi (politici, economici, sociali...), ma conservare la sua identità, senza lasciarsi manipolare. Altrimenti la introiezione dei problemi altrui può provocare facili contrasti e quindi far giungere anche a scissioni. Ma d'altro canto una scarsa attenzione ai problemi della società può causare una pseudoassimilazione, poiché non essendosi verificata una vera mediazione culturale. Sempre sulla base della teoria dei sistemi, occorre richiamare un'altra importante considerazione. Ogni sistema è composto da subsistemi, che attraversano le strutture organizzative. I subsistemi si influenzano a vicenda: l'elemento comunicativo non è isolabile in un'organizzazione, così come il fatto tecnico-strumentale non risulta asettico. Ogni subsistema è parte integrante dell'organizzazione e per questo non può essere neutralizzata o ancor meno relegata nel banale o nell'ininfluente. L'organizzazione si rivela come un tutto articolato e composito.

    3. Quale processo di comunità

    Una qualsiasi comunità parrocchiale o giovanile, scolastica o associata, si trova immersa nella problematica descritta. E' un'organizzazione che può essere immaginata come sistema aperto e dinamico, che si confronta con la società, ma che non si lascia subordinare. Mantiene la sua fisionomia, ma non si arrocca nella fissità delle sue componenti, sottoponendole alle esigenze della gente e alla reinterpretazione delle sue idealità. Spesso è costretta a rivisitarsi: lo fa certamente su piano interiore e spirituale, ma non deve mancare il visibile. L'azione educativa e pastorale si incarna in contesti culturali, da cui può essere accolta o rifiutata Perché accessibile o incompresa. E' una grossa responsabilità quella dell'immagine collettiva della comunità. Non si tratta di preoccuparsi dell'apparenza, ma assai più della proposta comunitaria, così come può essere avvertita dall'uomo comune. Non per nulla anche la comunità pastorale deve essere attenta
    ai suoi vari sottosistemi: alla sua struttura comunicativa, agli strumenti che mette in uso, al sistema di relazioni che permette di instaurare, a quali valori mettere in circolazione, a come rispondere alle esigenze attuali di religiosità. Sicuramente la comunità ecclesiale conosce il cammino verso dove si dirige: appunto per questo non manca di orientamenti ideali. Ma spesso però fanno difetto proposte attraenti e modelli attuali che interpretino nell'oggi l'evangelo di sempre. Una comunità che si chiude nel culto, una scuola che si trastulla con la semplice istruzione, un oratorio che risponde al semplice tempo libero, sono organizzazioni concepite in modo assai riduttivo, anche semplicemente sotto il profilo sociale. Esse hanno bisogno di progettarsi in maniera integrale e complessa, se intendono corrispondere ai loro compiti. Ciò non significa che l'istituzione come tale debba mutare i suoi compiti specifici, ma senz'altro dovrà verificare la sua rete di relazione con le altre agenzie educative, ripensare i suoi messaggi alla luce delle nuove situazioni che si vanno creando. Anche nelle realtà ecclesiali funzionano i dinamismi umani, che meritano la dovuta attenzione, altrimenti ne può scapitare la missione evangelica, al di là delle nostre intenzioni.


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