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    Tempo libero

    Il problema e il nostro quaderno

    Armido Rizzi

    Il tema del nostro quaderno esorbita dall'ambito usuale di una rivista di spiritualità o, più generalmente, di teologia. A trattare, infatti, del tempo libero, sono abitualmente i sociologi, per evidenziarne la portata su scala maggiore, nel quadro dei fenomeni sociali di rilievo. Ma oggi la mutazione che indichiamo con la formula del tempo libero tocca l'uomo in una pluralità di aspetti che vanno ben oltre la sua appartenenza sociale e i ruoli a essa collegati, e lo coinvolgono sul piano antropologico complessivo, fino alle forme più intime della sua autocomprensione e del suo sentimento della realtà. E qui che il tema del tempo libero diventa anche tema teologico e spirituale. Vorremmo delineare allora il quadro di un possibile approccio antropologico, che serva come sistema di' riferimento per la comprensione della sua più specifica valenza spirituale.

    Da bene élitario a bene di tutti

    Nella concezione classica la struttura sociale riflette e oggettiva una gerarchia sostanziale di valori: i liberi esercitano attività libere, promuovono e fruiscono cioè quei valori che sono fini-in-sé; ma questo è possibile perché gli schiavi svolgono le attività funzionali, di sussistenza, il cui fine è di permettere le prime. L'uomo pieno e vero è il libero, perché può dedicarsi a quelle attività - dalla contemplazione filosofica al governo della polis alle imprese eroiche - che ne fanno l'essere "bello e buono". Anche il Medio Evo riproduce nei tre ordini - laboratores, bellatores, oratores -quella gerarchia sociale che è specchio della gerarchia dei valori: il lavoro agricolo come base di sussistenza, le armi come strumento di difesa, la vita di preghiera come espressione suprema dell'identità e vocazione umana.
    Gli umanisti torneranno poi all'antichità classica per ritrovare Io splendore di quella humanitas che è la ragion d'essere dell'esistenza dell'uomo. E pur mutando radicalmente il sistema ideologico e sociale con l'irrompere dell'illuminismo e dello Stato democratico (con la dichiarazione dei diritti dell'uomo), il carattere élitario dei beni superiori continuerà a mantenersi (il liceo classico ne era - ne è? - l'immagine fedele).
    La novità forse più rilevante della rivoluzione industriale nella rapidissima accelerazione degli ultimi decenni è di avere creato le condizioni oggettive per l'accesso di tutti (delle masse) a quei beni che erano stati da sempre l'appannaggio di pochi. Questo è il significato del tempo libero come nuova condizione antropologica: la definizione metafisica dell'uomo sta diventando - almeno per l'Occidente - definizione reale, storicamente effettiva.

    Libero "da" e "per" cosa?

    L'aggettivo "libero" va letto secondo le due componenti - ormai ampiamente riconosciute - di ogni definizione della libertà: libero da: dalle costrizioni del lavoro totalizzante, dalla sua durata e fatica che non lasciavano spazio se non al riposo necessario per ricreare le forze, anzi, secondo la perspicace lettura di Marx, per ricreare l'uomo come forza-lavoro. Tempo libero è dunque anzitutto quello che risulta dalla riduzione delle ore lavorative e della fatica sul lavoro, è il tempo che resta, al di là anche del restauro delle forze col cibo e col lavoro; come un vuoto da colmare, un contenitore di altre possibili attività. Ma quali? libero per che cosa?
    La presenza di un tempo non occupato dal lavoro, se è una novità nella storia del capitalismo, non lo è in assoluto nella storia delle culture umane; sappiamo che, per esempio nelle culture agricole, alle stagioni di forte occupazione ne succedono altre di maggior respiro, quasi ad assecondare tempi e ritmi della madre terra. Ma per che cosa è libero il tempo non lavorativo? Per che cosa può esserlo in società dove la sussistenza è il problema centrale e assillante, e occupa veglia e sogno, lavoro e festa, discorso e silenzio? La seconda e più qualificata faccia del tempo libero è oggi la possibilità di riempirlo di valori non funzionali, di beni gratuiti, di attività autofinalizzate. La ragione è che la raggiunta soglia della sufficienza e di un relativo benessere, da una parte placa l'ansia per la sussistenza, dall'altra offre una gamma sempre più ricca di possibilità fruitive.

    Ricerca della qualità

    Possibilità: questa parola va presa nel senso forte di una evenienza che può avverarsi ma anche fallire (momento oggettivo della possibilità) e il cui esito non è frutto esclusivo né principale di un gioco incontrollabile di circostanze, ma dipende dalle scelte, dalla libera decisione dell'uomo (momento soggettivo della possibilità).
    Nella sua faccia positiva e qualificante il tempo libero non è una felice realtà compiuta ma un compito; d'altra parte, un compito per la cui attuazione esistono le condizioni oggettive, che vanno assunte e orientate dalla soggettività. Compito arduo; non solo per l'impegno creativo che l'intervento sulle condizioni oggettive (di per sé inerti) richiede, ma soprattutto perché deve affrontare tendenze contrarie, deve resistere a controfinalità potenti e ribaltarle. Infatti, è noto che quella stessa società industriale avanzata che crea le condizioni per un tempo autenticamente liberato, produce (soprattutto nella sua gestione capitalistica) una massa ingente di forze e di orientamenti che vanno in direzione contraria a questa liberazione: forze produttive e ideologiche, orientamenti di gusto e di comportamento, che tendono a ri-occupare il tempo libero sottraendone la gestione al soggetto e alla sua capacità di scelta; meglio, sottraendo al soggetto la sua capacità di scelta.
    Basti accennare all'introiezione di modelli produttivistici, per cui il tempo libero invece che luogo di possibilità versatili appare come spazio deserto che suscita P horror vacui; al culto diffuso del denaro (per ricerca di sicurezza o per ragioni di prestigio o altro) che risucchia energia e tempi in una spirale intrinsecamente inarrestabile; al consumismo, anche culturale, che propone/impone oggetti di scarsa consistenza che ingolfano il tempo libero come un nutrimento indigesto.
    Ognuno può allungare la lista. Noi ci limitiamo a indicare nella logica della quantità il denominatore comune di questo atteggiamento; e a ravvisare dunque nella ricerca della qualità il compito della autenticazione del tempo libero (per cui il nostro quaderno si collega idealmente al numero sulla Qualità della vita, Servitium 1979). Siamo di fronte alla prospettiva di una vera e propria rivoluzione, di cui la qualità (= il bene gratuito) [1] è l'oggetto e la modalità culturale il metodo. Diciamo una parola sull'uno e sull'altro.

    ... la splendida inutilità del fiore

    Beni gratuiti o di qualità sono dunque tutti quelli che, per la loro intrinseca fruibilità, sollecitano nell'uomo non una mobilitazione strumentale, che li impugna come mezzi in ordine al perseguimento di uno scopo, ma un'adesione riposata e gratificante (che non vuol certo dire deresponsabilizzante). Senza alcuna pretesa di classificazione scientifica, ma con una linea di semplicità e di una certa eleganza, proponiamo questa tipologia: rapporto con la natura, beniamicizia/convivialità.
    Col primo si intende una relazione con la natura che ne ricuperi, contro la disattenzione e la violenza tecnologica, lo scambio rispettoso e misurato; liberato, al tempo stesso, da quella dipendenza elementare che metteva l'uomo allo sbaraglio degli imprevisti naturali. Una natura né matrigna né schiava, ma sorella.
    Beni culturali sono, al di là della loro configurazione pubblica, tutti quei documenti del passato dove l'uomo ha consegnato se stesso: dall'abitazione alla poesia, dagli strumenti di culto o di lavoro o di guerra alla filosofia, dai modelli sociali di comportamento al diario autobiografico. Il dialogo con il passato, con le tracce dell'umano che il tempo ha velato ma non cancellato, è certamente uno dei punti alti del nostro esistere: una lezione di vita e una meditatio mortis.
    Come il bene culturale tiene aperto il dialogo con i morti, la convivialità tesse e deliba l'incontro con i vivi: un incontro libero da interessi progettuali, pieno della splendida "inutilità" del fiore.

    Una "rivoluzione culturale"

    Dolce è il rapporto con il bene gratuito, ma non facile. Esige, si diceva, una capacità di resistenza attiva e di riconversione, che indichiamo con la formula di rivoluzione culturale. L'essenza della rivoluzione culturale è di avere sia come protagonista che come fine il soggetto in quanto tale. Come protagonista: non dunque un collettivo che opera come collettivo, in forza dell'organizzazione, dove l'individuo è assorbito nello svolgimento della sua funzione (pensiamo a un'azione militare o a una direttiva di partito); ma l'individuo che, nella solidarietà o nella solitudine, pone atti responsabili in prima persona (come nello spegnere il televisore di fronte a un programma insulso o nel rifiutare un prodotto propagandato o nell'esprimere un consenso o una critica in un'assemblea). Il soggetto come fine: l'obiettivo della rivoluzione culturale non è, direttamente, cambiare uno stato di cose, (così come non è cambiare la "coscienza" nel senso della tradizione spirituale), ma cambiare la prospettiva del rapporto tra persone e cose, rinnovare l'alleanza tra uomo e mondo. Rivoluzione culturale è processo educativo: poiché il tempo è l'uomo, l'appropriazione del tempo libero è momento forte dell'autogestazione dell'uomo.
    Ed ecco delinarsi allora la portata del nostro discorso in ordine a un rinnovamento della spiritualità. La quale è, da sempre, il momento dell'appropriazione soggettiva della ricchezza di senso che inabita la creazione e la storia, è il processo educativo in cui l'intimità e lo stile di vita dell'individuo si mettono in sintonia, dentro la comunità di fede, con la musica del mistero, che è il cuore del mondo. Ora, l'emergenza del tempo libero come dimensione costitutiva delle popolazioni a economia forte cambia qualcosa -questa è la convinzione da cui il quaderno decolla - anche nella musica del mondo. Potremmo dire che eleva l'indice di abitabilità della terra, di godibilità del mondo; ponendone però la realizzazione effettiva sotto il segno della responsabilità umana. Si tratta allora semplicemente (!) di riprendere il discorso sulla responsabilità per il mondo e sulla terrestrità della fede ma liberandolo dalle astrattezze metafisiche in cui spesso plana e dandogli una configurazione storicamente e concettualmente più determinata. Fede e spiritualità incarnate (mondane, terrestri, ecc.) vogliono dire, oggi, capacità di rapportarsi al mondo come fonte di godimento. Capacità, indubbiamente, non innata ma da acquisire.
    E qui si chiude il preambolo e si apre il discorso [2]. Vorremmo dire: si apre il quaderno. Ma su questo punto occorre un'onesta precisazione.

    Il nostro quaderno

    Gli articoli di questo numero di Servitium non sviluppano, se non molto limitatamente, una spiritualità del tempo libero o dei beni gratuiti. Sviluppano, per così dire, l'introduzione. Riprendono sotto angolature diverse il problema generale del tempo libero, mostrandone da un lato la complessità non scevra da contraddizioni, dall'altro la fecondità di aperture, di possibilità di riflessione e di intervento. Perciò la disposizione complessiva del quaderno si differenzia da quella abituale a Servitium, dando la parola a rappresentanti di diversi approcci al tempo libero: il filosofo, il sociologo, l'educatore, il teologo.
    Chi cerca l'articolo di spiritualità nel senso stretto del termine dovrà correre subito all'ultima parte; chi ha interessi più generali per le dimensioni spirituali dell'uomo - e per le novità che l'irruzione del tempo libero vi apporta - troverà spunti di meditazione in tutti i contributi del quaderno; in alcuni, anche suggerimenti operativi in questo o quel campo. Non ci si attenda comunque un quadro organico di trattazione: i contributi intendono essere soltanto materiali di lavoro.

    La parola al filosofo

    Aprono la serie gli interventi filosofici. Chi cercasse una fondazione di ampio respiro della rivoluzione culturale non può che ricorrere a Herbert Marcuse. La densa presentazione che ne fa Romano Màdera (La civiltà dell'eros. Note su Herbert Marcuse) evidenzia come l'"uomo a una dimensione" (l'uomo della forza e dei fatti, della prestazione e dell'accumulo) sia a un tempo il risultato di un lungo cammino dell'Occidente come volontà di dominio e la negazione di quanto è più propriamente umano, dunque la sconfitta sostanziale dell'Occidente. Rivoluzione culturale è allora liberazione di quella "seconda dimensione" dell'uomo, che invece del dominio è recettività, invece del produrre fine a se stesso diventa il produrre in bellezza, rivelazione dell'eros, che è legame e alleanza originaria tra uomo e natura.
    In termini concisi e nitidi Giannino Piana (Liberare il lavoro o liberarsi dal lavoro?) delinea il passaggio dall'etica (e quasi "mistica") del lavoro, che domina per alcuni secoli la società occidentale, alla crisi di quest'etica a partire dagli anni '70. La celebrazione del lavoro ha radici laiche, nell'idea del dominio. dell'uomo sulla natura, e radici religiose, nella concezione protestante del lavoro come comandamento di Dio (e, in Calvino, del successo economico come segno di predestinazione). Radici così profonde da accomunare, sul piano dell'elaborazione teorica, Hegel e Marx, e, nell'esecuzione pratica, borghesia e classe operaia: per tutti il lavoro è sinonimo di autorealizzazione dell'uomo. La crisi di questa convinzione non è soltanto disaffezione psicologica nei confronti del lavoro, ma complessivo inaridirsi del suo significato, accompagnato dal profilarsi del tempo libero e del gioco come spazio di più vera affermazione dell'umano. Lo sbocco auspicabile è di non cedere alla perentorietà dell'alternativa lavoro/tempo libero, e di sviluppare "una costante e feconda dialettica" tra di loro.
    Tre sono le ragioni che giustificano la presenza del breve saggio di Giulio Girardi (L'immaginazione nella rivoluzione popolare nicaraguense). Anzitutto, con la testimonianza del valore che l'immaginazione - e specificamente l'immaginazione poetica - ha nella rivoluzione sandinista, esso ci ricorda che il problema del tempo libero non è che la versione, per i paesi ricchi, del fondamentale problema antropologico dell'attività libera, creatrice, umanizzante. In secondo luogo, sulla base di un'esperienza che è ormai ben oltre l'effimero, esso ci insegna che «il popolo come soggetto storico non si costituisce per semplice decreto né solo per una vittoria politico-militare, ma per una lunga e dolorosa gestazione, per un profondo movimento di autoeducazione». Infine, l'intreccio con la fede cristiana mostra quel fecondo incontro tra spirituale e storico, tra religioso e laico, che noi dobbiamo riapprendere, dopo aver appreso la loro giusta distinzione.

    La parola al sociologo

    A questo punto la parola passa al sociologo, che sul tema del tempo libero fa abitualmente la parte del leone. La nota di Gianni Gasperini (Una nota sul lavoro e tempo libero) sottolinea la plurivalenza semantica di cui la formula "tempo libero" è suscettibile. Ma nella distinzione - qui ripresa da Mounier ma già presente, quanto alla sostanza, in Marx - tra lavoro e attività viene proposta quell'accezione di tempo libero che risponde all'intendimento del nostro quaderno: nel tempo libero l'assenza dell'occupazione obbligata (lavoro) è soltanto il presupposto per la presenza dell'occupazione "sensata": il problema di fondo va dunque ben al di là di un bisogno di diversione e di divertimento; è né più né meno, il problema della "ricerca e richiesta di senso".
    La festa è stata sempre una sintesi eccezionale di gratuito e di funzionale. Gratuità nella sospensione del lavoro, delle regole sociali, insomma dell'intelaiatura del quotidiano; funzionalità, perché tale sospensione non è eversione definitiva ma interruzione per rinsaldare, arresto per rinnovare: la festa è rifondazione del quotidiano. La festa tradizionale, s'intende. Difficile è invece ritrovare questa struttura e intenzionalità unitaria nelle feste moderne (e post-moderne): divise, queste, tra nostalgia e consumismo, tra ricerca di identità ed effimero, tra evasione e sovraeccitazione. È sull'itinerario alquanto intricato della festa, ieri e oggi, che ci guida Arnaldo Nesti (Il festivo contemporaneo, ovvero intorno al tempo del desiderio) in un saggio di non facile lettura, ma ricco di riferimenti suggestivi e di istruttive chiavi di interpretazione.
    La vacanza è l'espressione più vistosa del tempo libero. Un'indagine sulle vacanze in Italia (Franco Lumachi, Gli italiani in vacanza) ha in qualche modo valore esemplare da più di un punto di vista. Primo: vi è confermato, dal fenomeno del turismo di massa, il passaggio dalla società di sussistenza a una società che cerca nuove possibilità di realizzazione. Secondo: un altro passaggio, dalle vacanze-riposo al "turista tutto interessi e curiosità" indica una linea di tendenza positiva nell'individuare queste possibilità (e le carenze politiche nell'assecondarle). Terzo: al contrario, alcuni fenomeni di consumismo (ancora!) e di individualismo che l'articolo segnala sono espressioni di quella controfinalità che minaccia una gestione autentica del tempo libero, e confermano la centralità dell'esigenza educativa generale e permanente.

    La parola all'educatore

    Le pagine di Mario Valeri, docente di pedagogia all'Università di Firenze (Pedagogia del tempo libero), sono caratterizzate dalla coscienza dell'ambiguità del tempo libero, tale da minacciare ogni soluzione (critica o propositiva) che si presenti con tratti drastici e decisi. Attenti al consumismo, ma senza demonizzarlo; non diventare succubi dei mass-media, ma neppure ignorarli; non chiudersi nel privato, ma non rimuoverlo... Educare al tempo libero è un problema così ampio e complesso che sembra identificarsi con il problema educativo tout-court. Una cosa è chiara (e sarebbe molto se il nostro quaderno riuscisse a convincerne i lettori): ciò che qui è in gioco non riguarda l'ordine del superfluo ma le modulazioni sostanziali dell'umano.
    La stessa idea è ribadita nell'articolo seguente: «Se il mondo è un insieme di segni, chiunque lavora per aiutare a crearne di nuovi e per capire come spiegarli, lavora anche per un uomo migliore».
    E la conclusione dell'articolo di Mario Volpato (La poesia a scuola); ed è il migliore inquadramento di questo scritto nella logica del nostro quaderno. Scritto che alla ricchezza sperimentale unisce una grande chiarezza di discorso. Attenzione: chiarezza non è sinonimo di facilità! La lettura dell'articolo, oltre a richiedere una concentrazione notevole, suppone nozioni elementari di linguistica (o almeno, a portata di mano, un dizionarietto dei termini linguistici fondamentali). Eppure, qui si parla di esperienze: come in molte scuole medie inferiori si impari a leggere e scrivere poesie. E non per ragazzi superdotati: l'estensore dell'articolo insegna nello hinterland milanese, che non è terra né di principi né di vati.

    La parola al teologo

    E buon ultimo, il teologo. Qual è la dimensione spirituale di una riflessione sul tempo libero? I due interventi conclusivi individuano questa dimensione nel piacere (o nella gioia) di vivere. Tempo liberato dalla necessità significa tempo consegnato alla fruizione, a un modo di accostare la vita che tende a esaltarne il volto amico, cordiale, conviviale. Ecco allora Antonio Bonora (Il piacere di vivere in Qohelet) con una singolare rilettura del Qohelet: un "carpe diem" che, abituati a considerare storditezza o falsa saggezza pagana, ci viene restituito come misurata sapienza biblica, come senso della finitezza che supera la disperazione (centro della lettura abituale di questo testo della bibbia) in accettazione gioiosa e riconoscente della breve densità del vivere umano.
    Ma non siamo agli antipodi di quel "perdere la vita" che sembra sostanza e cuore della spiritualità cristiana? E poi: un mondo ancora per tre quarti solcato dai segni della miseria non chiede una spiritualità della solidarietà invece che del godimento? Rispondere a queste due difficoltà è per Armido Rizzi (È possibile una spiritualità della gioia di vivere?) l'occasione per mettere a punto due nodi della spiritualità. Anzitutto: c'è un "perdere la vita" essenziale, ed è la rinuncia a farsene signori e l'accoglienza del suo dono da colui che davvero della vita è Signore. Questa rinuncia avviene alla radice dell'uomo: non direttamente sul piano dei comportamenti ma su quello dell'opzione fondamentale. In secondo luogo: spiritualità della gioia di vivere non è ricerca del mio godimento ma del godimento di tutti a partire dall'altro. E questo punto che dà concretezza al primo: perdere la mia vita per guadagnarla insieme con tutti.
    Buona lettura!

    NOTE

    1 Si potrebbe obiettare che l'identificazione tra qualità e beni gratuiti è impropria, poiché la qualità investe anche i beni necessari, come l'alimentazione o l'abitazione; e, d'altra parte, la cattiva qualità può infettare anche i beni gratuiti. Precisiamo allora che la vera opposizione non è tra necessario e gratuito ma tra funzionale e gratuito. Il bene necessario ha una sua qualità perché ha una sua dimensione di gratuità (il gusto del cibo o il decoro della casa...) che va oltre il suo carattere funzionale.
    2 Diverse sono le obiezioni che possono essere rivolte al discorso abbozzato (soltanto abbozzato) in queste pagine. Due, di principio, vengono affrontate nell'ultimo articolo; per altre, il lettore è invitato a cercare una risposta che, pensiamo, il più delle volte riuscirà lui stesso a trovare.

    (Servitium)


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