Attesi dal suo amore
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     Solidarietà e impegno

    per il prossimo

    nella dottrina sociale

    della Chiesa

    José Fidel Antón

     

     manipovere

    La finalità immediata della dottrina sociale della Chiesa è quella di proporre i principi e i valori che possono sorreggere una società degna dell’uomo. Tra questi principi, quello della solidarietà in qualche misura comprende tutti gli altri: esso costituisce “uno dei principi basilari della concezione cristiana dell’organizzazione sociale e politica” (CA 10: AAS 83(1991 905-806).

    Tale principio viene illuminato dal primato della carità “che è il segno distintivo dei discepoli di Cristo” (cfr. Gv 13,35). Gesù “ci insegna che la legge fondamentale della perfezione umana, e quindi della trasformazione del mondo, è il nuovo comandamento della carità (GS 38). Il comportamento della persona è pienamente umano quando nasce dall’amore, manifesta l’amore ed è ordinato all’amore. Questa verità vale anche in ambito sociale: occorre che i cristiani ne siano testimoni profondamente convinti e sappiano mostrare, con la loro vita, come l’amore sia l’unica forza che può guidare alla perfezione personale e sociale e muovere la storia verso il bene.

    L’amore deve essere presente e penetrare tutti i rapporti sociali: specialmente coloro che hanno il dovere di provvedere al bene dei popoli “alimentino in sé e accendano negli altri, nei grandi e nei piccoli, la carità, signore e regina di tutte le virtù. La salvezza desiderata dev’essere principalmente frutto di una effusione di carità: intendiamo dire quella carità cristiana che compendia in sé tutto il Vangelo e che, pronta sempre a sacrificarsi per il prossimo, è il più sicuro antidoto contro l’orgoglio e a sacrificarsi per il prossimo, è il più sicuro antidoto contro l’orgoglio e l’egoismo del secolo” (RN 11).

    Questo amore può essere chiamato “carità sociale” o “carità politica” (MM: AAS 52 (1961) 410) e deve essere esteso all’intero genere umano (AA 8). L’amore sociale si trova agli antipoli dell’egoismo e dell’individualismo: senza assolutizzare la vita sociale, come avviene nelle visioni appiattite sulle letture esclusivamente sociologiche, non si può dimenticare che lo sviluppo integrale della persona e la crescita sociale si condizionano vicendevolmente. 

    Per rendere la società più umana, più degna della persona, occorre rivalutare l’amore nella vita sociale – a livello politico, economico, culturale – facendone la norma costante e suprema dell’agire. Se la giustizia “è di per sé idonea ad “arbitrare” tra gli uomini nella reciproca ripartizione dei beni oggettivi secondo l’equa misura, l’amore invece, e soltanto l’amore (anche quell’amore benigno, che chiamiamo “misericordia”) è capace di restituire l’uomo a se stesso” (Dives in misericordia, 14: AAS 72 (1980) 1223). Non si possono regolare i rapporti umani unicamente con la misura della giustizia: “Il cristiano sa che l’amore è il motivo per cui Dio entra in rapporto con l’uomo. Ed è ancora l’amore che Egli s’attende come risposta dall’uomo. L’amore è perciò la forma più alta e più nobile di rapporto degli esseri umani tra loro. L’amore dovrà dunque animare ogni settore della vita umana, estendendosi all’ordine internazionale. Solo un’umanità nella quale regni la “civiltà dell’amore” potrà godere di una pace autentica e duratura” (CCC 2212). In questa prospettiva, il Magistero raccomanda vivamente la solidarietà perché è in grado di garantire il bene comune, aiutando lo sviluppo integrale delle persone: la carità “fa vedere nel prossimo un altro te stesso” (Giovanni Crisostomo, Homilia De perfecta caritate, 1,2).

    Solo la carità può cambiare completamente l’uomo (NMI 49-51). Un simile cambiamento non significa annullamento della dimensione terrena in una spiritualità disincarnata (CA 5). Chi pensa di conformarsi alla virtù soprannaturale dell’amore senza tener conto del suo corrispondente fondamento naturale, che include i doveri di giustizia, inganna se stesso: “La carità rappresenta il più grande comandamento sociale. Essa rispetta gli altri e i loro diritti. Esige la pratica della giustizia e soltanto essa ce ne rende capaci. Essa ispira una vita che si fa dono di sé: “Chi cercherà di salvare la propria vita la perderà, chi invece la perde la salverà” (Lc 17,33) (CCC 1889). Né la carità può esaurirsi nella sola dimensione terrena delle relazioni umane e dei rapporti sociali, perché deriva tuta la sua efficacia dal riferimento a Dio: “Alla sera di questa vita comparirò davanti a Te con le mani vuote; infatti non ti chiedo, o Signore, di tener conto delle mie opere. Tutte le nostre giustizie non sono senza macchie ai tuoi occhi. Voglio perciò rivestirmi della tua giustizia e ricevere dal tuo amore l’eterno possesso di te stesso…” (Santa Teresa di Gesù Bambino).


    T e r z a
    p a g i n A


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