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    Politiche giovanili

    e impegno pastorale

    Riccardo Tonelli


    1. PER IDENTIFICARE L'OGGETTO MISTERIOSO

    La formula "politiche giovanili" indica tante cose e molto diverse tra loro. L'altro termine messo a titolo, "pastorale", non aiuta di certo a fare chiarezza. Se un termine è vago, anche la sua relazione con una espressione più nota, non aiuta ad uscire dall'incertezza.
    Per cogliere il senso e il limite della mia proposta, è necessario metterci d'accordo sui termini e sulla prospettiva da cui è condotta la ricerca.

    1.1. Cosa intendo per "politiche giovanili"
    Incomincio con il riferimento centrale: le "politiche giovanili". In questo dossier si parla di "politiche giovanili" da punti di vista diversi e complementari. Tocca al lettore la fatica di ricostruire l'immagine complessiva, organizzando le molte tessere del mosaico.
    Dal mio punto di prospettiva, con la formula "politiche giovanili" non intendo solo l'insieme, spesso un po' disorganico, di attività proposte da soggetti diversi a favore dei giovani. Ma indico quelle attività in cui è presente, come dimensione qualificante, una precisa connotazione "politica". Rientrano quindi nell'accezione di "politiche giovanili" quelle attività a favore dei giovani che procedono da coloro che, a titoli diversi, sono responsabili della cosa pubblica, coinvolgono la gestione ordinaria per potere, la distribuzione delle risorse, la riorganizzazione delle attività istituzionali.
    Nel centro delle "politiche giovanili" colloco perciò la progettazione di attività educative con un preciso riferimento al territorio e con conseguente assunzione di procedure e verifiche istituzionali (investimenti e rendicontazione finanziaria, controllo di amministratori pubblici, condivisione con altri gestori...).

    1.2. La prospettiva
    Questo tipo particolare di intervento a favore dei giovani può essere studiato da molti punti di vista.
    La mia è una riflessione di tipo pastorale. Ha quindi come soggetto la comunità ecclesiale e riguarda la qualità dei suoi interventi, ordinati alla realizzazione della sua missione. L'azione politica sul territorio, anche in chiave educativa, non è compito né diretto né esclusivo della comunità ecclesiale, ma compete ai soggetti politici. La comunità ecclesiale può condividere la stessa preoccupazione ed eventualmente offrire i suoi contributi specifici per il raggiungimento dell'obiettivo comune. L'ha fatto spesso e lo continua a fare.
    Parlando di "politiche giovanili" e impegno pastorale non intendo occuparmi, prima di tutto, di questo tema. Non considero infatti l'insieme delle attività collegate alle "politiche giovanili" uno dei differenti ambiti in cui la comunità esprime il suo servizio di educazione cristiana dei giovani. Mi chiedo invece se l'attenzione alle "politiche giovanili" non riguardi direttamente anche la qualità della missione pastorale della comunità ecclesiale.
    L'orientamento per la realizzazione della salvezza cristiana nella evangelizzazione, costitutivo della missione ecclesiale, è coinvolto in questo settore di attività, a confine tra l'educativo e il politico? O, al contrario, si richiede una cura speciale per restarne estranei? Un eventuale coinvolgimento può rientrare solo in quelle "opere di supplenza" che la comunità ecclesiale non hai mai disdegnato di assumere o organizzare? O, invece, è parte costitutiva della missione ecclesiale?
    Non riuscirò a dare risposta a tutti questi interrogativi. Li ho ricordati per sottolineare dove intende situarsi la mia ricerca.

    1.3. Una questione difficile
    La questione è difficile e complessa. Molti elementi rendono complicata la sua soluzione. Alcuni sono di tipo teorico; altri derivano da quel vissuto recente che non aiuta di sicuro a fare chiarezza.

    1.3.1. Collaborazione o distinzione?
    Il punto di partenza è chiaro e preciso: il servizio alla vita. Se non fosse così, non ci sarebbero di certo dubbi e incertezze. Non si tratta infatti di spartirsi un bottino né di scaricare responsabilità, ma di servire meglio e più largamente la promozione della vita di tutti. Il cristiano è uno che collabora con tutti, prima e al di sopra delle differenze? O, invece, ci tiene alla sua specificità e sta attento a non mescolarsi con chi ha altre visioni della vita?
    Una volta i cristiani erano abbastanza gelosi. Pensavano di essere gli unici veramente bravi ed erano poco disposti a collaborare con gli altri, per paura di confondersi eccessivamente. Oggi, al contrario, questa preoccupazione di isolamento sta cedendo spazio a quella opposta della collaborazione a tutti i costi. Ma questa scelta fa nascere un nuovo problema: il cristiano che cerca la compagnia e la collaborazione prima della differenza, non ha proprio nulla di specifico da offrire nel comune impegno per la causa della vita?
    In un tempo di pluralismo come è il nostro, molte delle persone impegnate seriamente per la causa della vita non hanno nessun interesse religioso nei confronti di Gesù. Lo considerano un uomo grande, che ha lasciato un segno nella storia confusa dei suoi tempi. Arrivano al massimo a riconoscere che i suoi insegnamenti sono anche abbastanza attuali. Ma tutto finisce lì. Il loro impegno per la vita non ha quindi nessuna risonanza cristiana. E non sarebbe di sicuro corretto e onesto andargliela a cercare a tutti i costi.
    Allora... collaborare o differenziarsi?

    1.3.2. Pastorale e politica
    Se il problema fosse solo teorico, le soluzioni si troverebbero abbastanza facilmente, anche perché la ricerca è orientata da documenti autorevoli del Magistero ecclesiastico. Ma il problema è pratico e contingente. Per questo, sul piano concreto, la prassi ecclesiale è segnata da un certo pluralismo di posizioni.
    Inoltre, il tutto è complicato dal peso di una questione spinosa e sofferta: la storia del rapporto tra pastorale e politica. Per molto tempo la pastorale ha fatto di tutto per non contaminarsi con la politica. La distinzione tra pastorale e politica era netta e la fiducia correva sui riferimenti trascendenti, evitando accuratamente ogni contaminazione con i processi politici, lenti, poco affidabili, che richiedevano compromessi pesanti. Non tutto era così limpido e radicale. Capitava spesso di rifiutare la politica nei proclami e di realizzarne una di basso profilo, all'interno dei dinamismi gestionali della comunità ecclesiale e, soprattutto, nei riferimenti verso l'esterno, con persone, cose e istituzioni
    E' subentrato poi il tempo dell'enfasi della politica. Non solo la politica si pretendeva onnicomprensiva e, persino, capace di assicurare soluzioni a tutti i problemi. E' stata, qualche volta, politicizzata anche la pastorale, attraverso letture riduttive del vangelo e della prassi ecclesiale.
    Ora ci troviamo in una situazione di stallo, segnata da stanchezza, tentativi involutivi, forme di prudenza esasperata. Le cicatrici del passato, non ancora rimarginate, ci invitano a non ripercorrere sentieri di cui conosciamo troppo bene lo sbocco.
    Ci sono atteggiamenti di paura: paura di essere controllati socialmente, di essere manipolati, di essere omologati alle logiche correnti, rischiando malamente sul fronte dell'identità. Dalla costatazione di difficoltà reali e verificabili derivano atteggiamenti di resistenza e di sospetto: la paura di restare prigionieri di pastoie burocratiche, il coinvolgimento faticoso di collaboratori laici e le conseguenze pratiche che questa scelta comporta, la riduzione della forza dell'evangelizzazione e dell'esperienza liturgica e sacramentale.
    Infine, molti operatori pastorali si sono presto resi conto che la strada delle "politiche giovanili" (così come è spesso praticata), poteva spostare l'attenzione verso i problemi della "devianza" a scapito di quella attenzione alle situazioni quotidiane e normali, tipica degli ambienti ecclesiali.

    2. UNA SFIDA ALLA PASTORALE GIOVANILE

    La mia proposta è molto precisa: l'attenzione verso le "politiche giovanili" è dimensione costitutiva di una pastorale giovanile, impegnata per la vita e la speranza dei giovani, nel nome del Signore della vita. Sulla provocazione che può venire all'azione pastorale dal confronto con il mondo delle "politiche giovanili", la pastorale giovanile può ripensare se stessa e riformulare i suoi orientamenti.
    Certamente, l'impegno nei confronti delle "politiche giovanili" non copre tutto il processo di pastorale giovanile. E non è davvero questione di quantità, come se esistesse una soglia minimale da assicurare ed un indice massimale da non superare per una corretta prassi di educazione alla fede.
    La questione è molto diversa.
    La sensibilità emergente sfida la pastorale giovanile nel cuore della sua identità. Si tratta di realizzare un ripensamento in chiave ermeneutica, per dirla con quella espressione di gergo che ritorna spesso sulle pagine della rivista. La sfida fa scoprire qualcosa che prima era messo tra parentesi. E spinge a realizzare tutto dalla prospettiva nuova scoperta. Non produce competenze nuove ma un cambio di mentalità. Non è un'aggiunta, ma una riformulazione.

    2.1. Le ragioni
    Non ho bisogno di spendere molte parole per motivare la proposta, perché la spero coerente con le tante cose scritte sulla pastorale giovanile dalle pagine della rivista.
    Ne indico due, evocative di tante altre.
    La prima ragione ci riporta all'evento dell'Incarnazione, centrale per ogni azione pastorale.
    Una pastorale giovanile che pone la vita quotidiana al centro delle sue preoccupazioni, si misura continuamente con i problemi e le prospettive che il territorio lancia. La vita quotidiana è la vita concreta e reale delle persone. Il territorio è lo spazio, comune e condiviso, della generazione della vita, del suo consolidamento, delle minacce che l'avvolgono e dei processi che la inquinano. I discepoli di Gesù condividono con tutti questo spazio esistenziale e si impegnano, con tutti, per la sua liberazione.
    La passione per la vita nella trama del territorio non è un'aggiunta agli altri impegni, tipici dell'azione pastorale (comunione ecclesiale, parola e sacramenti). Il territorio è il luogo in cui questi impegni prendono "umana carne" in una rinnovata esperienza di incarnazione.
    Il confronto sul territorio comporta, immediatamente, il riconoscimento della dimensione politica di ogni azione pastorale: il territorio è luogo della trama istituzionale della gestione del potere, a favore della vita o contro la vita per tutti.
    La seconda ragione ricorda una scelta di fondo del nostro progetto di pastorale giovanile: il riconoscimento dell'importanza dell'educazione (in un senso molto realistico) anche nei processi che riguardano l'educazione alla fede.
    L'educazione è la grande sfida che la cultura attuale lancia a coloro che credono all'uomo e alla sua dignità. Per questo, anche chi è impegnato esplicitamente nell'ambito dell'evangelizzazione, riconosce di assolvere intensamente il suo compito, giocando tutte le risorse nell'ambito dell'educazione. Nel nome dell'educazione gioca la sua fede e la sua speranza. Attorno alle esigenze dell'educazione chiede la collaborazione di tutte le persone che amano l'uomo e ne cercano una promozione, oltre le differenze culturali e religiose. La comunità ecclesiale riconosce la portata salvifica dell'educazione anche come evento già compiuto e preciso (anche se parziale), nell'ordine della salvezza di cui è sacramento.
    La comunità ecclesiale riconosce così nell'educazione il modo privilegiato per realizzare oggi i necessari impegni di promozione umana nell'ambito dell'evangelizzazione. Scegliendo di giocare la sua speranza nell'educazione, sente di essere fedele al suo Signore. Con lui crede all'efficacia dei mezzi poveri per la rigenerazione personale e collettiva e crede all'uomo come principio di rigenerazione: restituito alla gioia di vivere e al coraggio di sperare, riconciliato con se stesso, con gli altri e con Dio, può costruire nel tempo il Regno della definitività.

    2.2. La pastorale giovanile ripensa se stessa
    La comunità ecclesiale ripensa la sua missione evangelizzatrice, per restituire al vangelo che proclama la forza di salvezza «dentro» e «per» la vita quotidiana.
    Non è un'operazione semplice: lo sappiamo tutti molto bene. Una lunga tradizione teologica e pastorale sembra stranamente spingere in direzioni diverse. Diventa urgente, per realizzare correttamente i compiti della pastorale giovanile, riscoprire l'esperienza di Gesù e dei suoi discepoli. L'annuncio non è mai un vuoto gioco di parole, verificato sui parametri della congruenza formale tra soggetto e predicato. I fatti sono la prima e più eloquente parola. Le parole della verità interpretano i fatti.
    Quando i discepoli di Giovanni gli hanno chiesto le credenziali, per rassicurare la fede del loro maestro, condannato a morte dalla tracotante malvagità di Erode, Gesù risponde senza mezzi termini: «Andate a raccontare quel che udite e vedete: i ciechi vedono, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono risanati, i sordi odono, i morti risorgono e la salvezza viene annunciata ai poveri. Beato chi non perderà la fede in me» (Mt. 11, 2-6).
    Per parlare di sé, Gesù parla della sua causa e dei fatti che sta compiendo per realizzarla. Ed è un impegno tutto sbilanciato dalla parte della promozione della vita. Qui dentro nasce una autentica esperienza di fede: «beato chi non perderà la fede in me», ricorda Gesù.
    La comunità ecclesiale annuncia Gesù di Nazareth con forza e con coraggio, facendo camminare gli zoppi e restituendo la vista ai ciechi. Essa fa un annuncio, che è di senso e di speranza contro la morte. Le parole che dice sono la vita che torna nelle gambe rattrappite del povero paralitico e negli occhi spenti del cieco dalla nascita. Essa ricorda che Gesù è il Signore e non c'è altro nome in cui essere pieni di vita, restituendo la possibilità di essere nella vita a tutti coloro che ne sono stati deprivati. Lo fa con tanta competenza e serietà, perché si riconosce «serva» di esigenze impegnative come sono quelle della vita, da essere sollecitata a rendere concreto e differenziare il suo servizio. Per questo chiama per nome le diverse situazioni di morte contro cui intende lottare e cerca uno stile di presenza, diversificato in rapporto a queste concrete situazioni.

    3. PER NON RISCHIARE SU UN TERRENO TANTO IMPEGNATIVO

    Le difficoltà per una pastorale giovanile realizzata secondo queste esigenze non sono né piccole né poche. I rischi poi non sono di sicuro esorcizzati solo dall'entusiasmo o dai ragionamenti a fil di logica.
    L'esperienza dolorosa del passato chiede molta prudenza. Non mi piace però far coincidere la necessaria prudenza con l'invito all'immobilismo, come se restare nelle posizioni tradizionali fosse il rimedio a tutti i mali. I rischi e le difficoltà si affrontano con cognizione di causa, con attenzioni personali e strutturali, con tempi programmati di verifica.
    Per questo propongo alcune preoccupazioni da assumere quasi istituzionalmente: la verifica sulla mentalità, una chiara consapevolezza del limite di ogni processo politico, una precisa attenzione alla formazione.

    3.1. La mentalità
    Stiamo vivendo un tempo felice e impegnativo: all'entusiasmo sta subentrando la riflessione, alla furia devastatrice con cui abbiamo fatto piazza pulita di tanti strumenti stiamo sostituendo la verifica, la riformulazione, l'invenzione di espressioni capaci di dire il passato in termini nuovi.
    Purtroppo, è facile costatare la persistenza di modi di fare, molto meno maturi. Non mi preoccupa la resistenza al cambio o la riutilizzazione di logiche e di modelli che sembravano scomparsi nella prassi pastorale. Mi inquieta invece colui che mette... vino nuovo in otri vecchi: colui cioè che si getta in prassi rinnovate senza modificare per nulla la sua mentalità.
    Qui sta veramente il nodo della questione: la verifica sulla mentalità.
    Il rapporto tra pastorale giovanile e "politiche giovanili" può essere realizzato secondo quella mentalità pastorale che vedeva il rapporto tra la Chiesa e il mondo in termini di conflittualità insanabile, di conquista a tutti i costi, di distinzioni rigide e di esclusioni forzate. In questa logica si possono fare tante cose, dal sapore innovativo. Alla radice però restano pericolosi atteggiamenti riduttivi.
    Al contrario, con una mentalità rinnovata possono essere realizzate le cose più semplici... nell'attesa di incontrare le condizioni favorevoli per operazioni di prospettiva molto più ampia. Non posso tracciare un confine netto tra queste due mentalità, con la pretesa di dividere in buoni e cattivi. Posso però ricordare alcuni tratti di quella mentalità rinnovata che dovrebbe stare alla radice di una pastorale giovanile aperta alla dimensione politica.
    Per esempio:
    - Purtroppo è facile far diventare grandi i problemi piccoli, per discutere a lungo sui modi di risolverli... senza avvertire che esistono già problemi grandi e inquietanti, che non possiamo davvero minimizzare. Quello della vita e della sua qualità è l'unico grande problema per tutti gli uomini di buona volontà: i discepoli del Signore della vita, impegnati ad annunciare il suo nome perché tutti abbiano vita in abbondanza, sono per forza, in frontiera.
    - Se poniamo al centro delle nostre preoccupazioni pastorali l'unico problema veramente urgente e comune, la vita e la sua qualità, diventa facile superare le distinzioni tra credenti e non credenti, tra chi vede l'esperienza cristiana in uno modo e chi la vede in un altro... per convergere, a partire dalla diversità, verso la soluzione dell'unico problema, che riguarda veramente tutti.
    - Questa convergenza di tutti attorno all'unico problema comune, non può di certo tradursi in un indifferenziato agglomerato di impegni e di interventi. Da questa prospettiva, al contrario, diventa urgente riscoprire la gioia e la responsabilità della comunità ecclesiale, nel cuore della sua missione salvifica.
    La comunità ecclesiale infatti si pone come stimolo a tutti a decentrarsi verso la vita e la sua promozione, proprio nel momento in cui essa offre il vangelo della speranza, per assicurare tutti sulla vittoria definitiva della vita sulla morte, nella pasqua del suo Signore.
    - Un altro tratto di questa mentalità rinnovata è dato dalla fiducia verso l'educazione, anche all'interno dei processi tipici dell'educazione alla fede.
    Fiducia nell'educazione significa almeno due cose: da una parte, la consapevolezza che il servizio all'uomo e alla sua maturazione, attraverso l'educazione, rappresenta un momento privilegiato di educazione; dall'altra, la consapevolezza che in una situazione culturale come è la nostra, il servizio alla qualità della vita secondo la logica impegnativa del vangelo rappresenta un'urgenza irrinunciabile, se non si vuole scadere in modelli religiosi di profonda e pericolosa disintegrazione tra fede e vita.
    - Infine, la mentalità rinnovata porta a ridefinire i luoghi dove si fa pastorale. Purtroppo, in questi ultimi anni il problema è stato risolto con una oscillazione pendolare tra due estremi. Per qualcuno l'unico luogo della pastorale era l'ambito strettamente ecclesiale. Le risorse venivano spese per riportare verso l'interno.
    Qualche altro preferiva la logica del totale decentramento. Il territorio era l'unico spazio dove incontrare i giovani, progettare educazione e, persino, realizzare esperienze liturgiche e sacramentali.
    Gli esiti di queste strane soluzioni sono ormai di immediata costatazione: la comunità ecclesiale rischiava di diventare luogo di progettazione economica, politica o sociale o, al contrario, il territorio veniva trasformato nell'anticamera della comunità ecclesiale.
    Abbiamo raggiunto livelli di maturazione teologica che ci permettono di realizzare alternative serie. Il territorio è spazio di vita e di morte. E' quindi il luogo centrale dell'azione pastorale impegnata per la vita. Gli spazi ecclesiali sono il luogo, necessario e gratuito, dove sperimentare la vittoria della vita sulla morte, consolidare la speranza, rafforzare l'impegno.

    3.2. Far spazio alla croce
    Le ultime note aprono verso la seconda condizione.
    Il rapporto tra pastorale e politiche, quando è centrato verso l'unico problema vero, quello della vita, esige il rispetto della specificità dei diversi interventi. Sollecita di conseguenza la pastorale verso una fedeltà rinnovata ai suoi compiti e spinge i credenti ad una "compagnia" con tutti, carica della forza profetica del vangelo.
    Mi piace dire tutto questo ricordando, ancora una volta, la figura evangelica del "soltanto servi".
    Il regno di Dio è la pienezza di vita per ogni uomo. Questa pienezza è tutto frutto della passione operosa di Dio per far nascere vita dove c'è morte. E' dono suo, gratuito e imprevedibile. Ma è un dono speciale: sollecita e sostiene la collaborazione responsabile di ogni uomo di buona volontà. La richiede tanto da condizionare, normalmente, il risultato della sua passione per la vita a questa nostra risposta. Ma esige che ogni impegno per la vita sia realizzato secondo il suo progetto: perché lui è la vita in pienezza e solo in lui e nel suo stile possiamo costruire vita in autenticità.
    Esiste quindi un modo di servire la vita che corrisponde al progetto di Dio; e ce ne possono essere altri che invece sono diversi e lontani. Non è facile saperlo sempre nel concreto delle azioni, perché non esiste un libro di ricette a cui attingere le soluzioni. C'è però un punto di riferimento sicuro, che ci permettono di distinguere e di decidere. Questo è, ancora una volta, Gesù di Nazareth.
    Gesù ha dato la sua vita, come sommo gesto di amore, accettando le conseguenze inaudite di una esistenza tutta protesa nell'impegno di restituire vita e speranza, nel nome di Dio, agli uomini, prigionieri dell'oppressione fisica, culturale, religiosa.
    Chi vuole la vita, si pone come Gesù al servizio della vita, con la coscienza che "dare la vita" è la condizione fondamentale perché la vita sia piena e abbondante per tutti. Chi si impegna per la vita riconosce che l'esito della sua fatica è sempre oltre ogni progetto ed ogni realizzazione. Viene dal futuro di Dio, dove ogni lacrima sarà finalmente e definitivamente asciugata. Per questo, nella compagnia piena e sincera con tutti, il cristiano è costretto ad assumere atteggiamenti, a dire parole e a fare gesti che sono solo suoi, che non riesce più a capire e a condividere chi viaggia solo sull'onda del buon senso e delle logiche correnti.

    3.3. Ritorna il problema della formazione
    I compiti relativi alle politiche giovanili e al ripensamento della qualità dell'azione pastorale da questa prospettiva, chiama in causa, immediatamente, la qualità dei processi formativi attraverso cui sono abilitate le persone impegnate nell'azione pastorale.
    Lo sappiamo bene; e ce lo siamo ricordati tante volte. Se cambia il compito affidato o il modo di svolgerlo, deve, per forza, cambiare l'insieme degli interventi destinati a rendere una persona capace di assolvere i suoi compiti.
    Una rapida analisi porta a constatare la persistenza, in molti operatori di pastorale, di una serie di atteggiamenti contrari a quella mentalità di cui si diceva.
    Per fare qualche esempio, ricordo:
    - la difficoltà a confrontarsi e a collaborare con persone di mentalità diversa dalla propria;
    - difficoltà a realizzare veri processi di corresponsabilizzazione, assumendo tutte le conseguenze di questa esigenza (condivisione di informazioni, costruzione assieme degli obiettivi, verifiche periodiche...);
    - tentazioni di autosufficienza, spesso motivata da una strana visione religiosa (basta l'impegno... lo buona volontà... la grazia di Dio);
    - sindrome dell'accerchiamento, come se fossimo circondati da nemici che stanno minacciando, da tutte le parti, il nostro impegno e la nostra buona volontà, con conseguente assunzione di atteggiamenti di difesa o di aggressività;
    - pretesa di possedere in assoluto tutti i valori e la loro organizzazione pratica.
    Lo riaffermo: una pastorale giovanile che assume, come verifica della sua qualità, il confronto con le logiche evocate dalla formula "politiche giovanili" richiede persone impegnate con atteggiamenti molto diversi da quelli elencati. Nessuno si improvvisa. I processi formativi (quelli iniziali e quelli di richiamo, in vista della formazione permanente) hanno una grossa responsabilità al riguardo. In che direzione? Per decidere la direzione, è sufficiente riscrivere al positivo l'elenco di atteggiamenti appena annotato.

     

    SUGGERIMENTI PER IL LAVORO DI GRUPPO
    proposti - senza pretese - da R. Tonelli

    1. ALLA RICERCA DELL'OGGETTO MISTERIOSO

    Stiamo riflettendo sulle "politiche giovanili". L'oggetto misterioso è stato descritto sotto molti e differenti punti di vista:
    - l'esigenza e i problemi (Ricci)
    - un modello globale di attenzione e di azione: il "progetto giovani" (Santamaria)
    - alcune realizzazioni concrete (gli stands)
    - una proposta "pastorale": "la costituente educativa" (Sigalini).
    ----> Per procedere in modo critico e concreto dobbiamo identificare I' "oggetto misterioso". Lo possiamo fare a due livelli differenti:

    1.1. Una ricognizione critica dell'esistente
    Quali elementi rientrano sotto la formula "politiche giovanili":
    - a livello di attività, realizzazioni, sogni e progetti... nell'ambito civile
    - a livello di mentalità ecclesiale: a cosa si pensa nelle comunità ecclesiali e in quelle salesiane... quando si parla di "politiche giovanili".

    1.2. Un progetto ideale
    Possiamo suggerire una specie di descrizione "ideale", capace di articolare quello che esiste (confuso e frammentato come sembra esso sia...) con alcune esigenze e qualche scommessa educativa?
    Questo progetto "ideale" potrebbe rappresentare l'obiettivo globale della nostra riflessione.

    2. LA PROSPETTIVA

    Identificato l'ambito, diventa necessario decidere la prospettiva in cui intendiamo collocarci "come salesiani/e", impegnati al servizio dei giovani (soprattutto i più poveri) in una precisa ottica carismatica ("come segni e portatori dell'amore di Dio").

    2.1. Atteggiamenti e paure
    L'atteggiamento degli operatori della pastorale giovanile nei confronti di tutto ciò che attiene alle politiche giovanili non è "tranquillo".
    —> E' importante "decifrare" le ragioni di questi difficili rapporti. Per esempio:
    - percezione riflessa di alcuni "pregiudizi" spesso diffusi. Per esempio:
    . paura di essere controllati socialmente
    . paura di essere manipolati
    . paura di essere omologati
    . paura di essere deprivati della identità
    . paura di essere deprivati della possibilità di organizzare liberamente le proprie prospettive di futuro;
    - consapevolezza di alcune "difficoltà" reali:
    . il difficile coinvolgimento dei laici
    . la forte burocratizzazione che il "pubblico" esige
    . il timore che prevalga l'attenzione alla "devianza" rispetto a quella attenzione alla "normalità" che caratterizza gli ambienti educativi ecclesiali.

    2.2. La collocazione
    Va poi precisato da quale concreta prospettiva intendiamo considerare il problema.
    - L'attenzione verso le politiche giovanile è solamente una delle tante attività (di prevenzione, di sostegno, di interventi a favore dei giovani, anche di respiro istituzionale e politico) attraverso cui esprimiamo il nostro servizio ai giovani?
    - Oppure essa riguarda direttamente la qualità del nostro impegno carismatico di educatori della fede?
    —> La scelta di un orientamento o dell'altro sembra importante, per evitare:
    - la coscienza riduttiva di fare opera di supplenza
    - le rincorse ad una occupazione di spazi sociali
    - le divisioni interiori sul piano della missione o dei destinatari
    - il rischio di strumentalizzare un'attività in funzione di un'altra (lo sport... per la catechesi).

    2.3. Alla luce della memoria
    In un tempo di pluralismo di modelli di pastorale giovanile e di fronte alla riproposta di esigenze qualificanti per i processi di evangelizzazione (che qualche volta sembrano trascinarsi una cometa di modalità poco attente ai processi educativi...), dobbiamo "fare memoria", per dare fondare la nostra scelta.
    Facciamo memoria del cammino percorso:
    - "educare evangelizzando - evangelizzare educando"
    - l'attenzione verso tutti i giovani e verso i più poveri
    - il cammino della SGS.

    2.4. Verifica sulla "mentalità" dominante
    Dalla prospettiva della memoria sembra corretto orientarci verso una risposta precisa: l'impegno nelle politiche giovanili è dimensione costitutiva della nostra pastorale giovanile. L'orientamento nasce e scatena una reale capacità di confronto: di fronte a questo compito ripensiamo la qualità della nostra pastorale giovanile; l'assunzione di questo compito riformula, in modo rinnovato, i compiti della pastorale giovanile (un po' come "educare evangelizzando - evangelizzare educando").
    --> Su questo orientamento la nostra riflessione si va "verifica" a tre differenti livelli:
    1° livello:
    Siamo d'accordo sulla scelta? Come può essere espressa più adeguatamente e concretamente?
    2° livello:
    Le mentalità corrente (nelle nostre comunità e tra i nostri collaboratori) è in questa linea? Esistono le condizioni per "pensare" così? Come possono essere assicurate?
    3° livello:
    Alcune dimensioni sembrano irrinunciabili per questa "mentalità" nuova di azione pastorale, aperta verso le politiche giovanili.
    Per esempio (da verificare e integrare):
    a. Superare la distinzione tra credenti e non credenti attorno al problema comune (la qualità della vita), per sperimentare come i problemi comuni e urgenti si risolvono con tutte le risorse disponibili.
    b. Riscoprire la "fiducia nell'educazione". E cioè:
    - da una parte, la consapevolezza che il servizio all'uomo e alla sua maturazione "attraverso l'educazione" rappresenta un momento privilegiato di evangelizzazione;
    - dall'altra, la consapevolezza che in una situazione culturale come è la nostra, il servizio alla qualità della vita secondo la logica impegnativa del vangelo rappresenta un urgenza irrinunciabile se non si vuole scadere in modelli religiosi di profonda e pericolosa disintegrazione tra fede e vita.
    c. Riscoprire la gioia e la responsabilità della comunità ecclesiale
    - di porsi come "stimolo" verso la promozione della vita in pienezza, sollecitando tutti a piegarsi verso questo compito urgente (= la comunità ecclesiale si fa stimolo alla "costituente educativa" sul territorio attraverso le sue istituzioni educative e nel rispetto delle differenti competenze);
    - di offrire il vangelo della speranza, affidato ai credenti, come contributo irrinunciabile per una qualità di vita che sa "possedere anche la morte".
    d. Ridefinire i luoghi dove fare pastorale.
    Il territorio è la difficile mediazione tra spazi intraecclesiali e spazi reali di vita e di morte delle persone, superando la tentazione di ridurre gli spazi "profani" allo stile e alle logiche di quelli intraecclesiali o di ridurre quelli intraecclesiali a luogo di progettazione economica, politica, gestionale.
    e. Riaffermare operativamente le esigenze e la qualità di una collaborazione piena con tutti attorno al problema comune (la vita e la sua qualità): dalla tentazione dei "destinatari" e dei "collaboratori" ad una reale "compagnia nella differenza" (accolta, ricercata e promossa come scambio di doni).

    3. VERSO PROGETTI CONCRETI

    Non è sufficiente né una generica proclamazione di principi né una rivisitazione della mentalità. E' urgente produrre progetti operativi. Alcune linee possono orientare la nostra ricerca.

    3.1. Il soggetto
    La logica della collaborazione, fondamentale per le politiche giovanili e per una pastorale che prende sul serio l'educazione promozionale, richiede decisioni concrete al livello del soggetto agente:
    - collaborare o/e organizzare qualcosa in proprio?
    - quale contributo specifico e originale nella collaborazione?
    - collaborare con chi, come, dove?

    3.2. Elenco di realizzazioni possibili
    Emerge la proposta di una "costituente educativa".
    Come valutiamo la proposta? Cosa comporta e come può essere tradotta in prassi? Possiamo suggerire altre scelte concrete, su cui scommettere, coinvolgendo su esse le risorse:
    - a livello di azione pastorale
    - a livello di interventi sul territorio.

    3.3. Il contributo specifico
    Anche se privilegiamo la logica di una collaborazione piena, è urgente definire la qualità del nostro contributo specifico.
    Esso si colloca a due differenti livelli:
    - al livello dei problemi comuni della qualità della vita,
    - al livello dei momenti formalmente pastorali: parola, sacramenti, comunione ecclesiale.
    ----> La ricerca si muove di conseguenza su ciascuno di questi due livelli, con una attenzione precisa di integrazione.
    In concreto:
    Al primo livello:
    Una pastorale impegnata per la vita nei luoghi della vita di tutti produce "scontro", per la logica stessa della vita e della sua promozione.
    In che direzione?
    - le domande reali (oltre i giochi di potere o gli interessi economici)
    - la qualità della vita, perché sia vita autentica e per tutti:
    dall'autonomia all'alterità
    dalla prescrizione all'affidamento dalla soggettivizzazione all'interiorità
    - In concreto: sulle cose che contano nel segno della riconciliazione:
    la solidarietà
    la convivialità
    la libertà
    la verità (dalla parte del mistero).
    Al secondo livello:
    Va ridefinito, nella nuova mentalità, il rapporto tra evangelizzazione e promozione umana: aiutare tutti a camminare nella vita, nel nome e nell'affidamento di Gesù il Signore.

    3.4. Una "cultura della valutazione"
    Il servizio richiede tempi e momenti di valutazione: "una cultura della valutazione". Alcune difficoltà emergono facilmente:
    - fino a che punto è presente questa "cultura"? Come può essere costruita?
    - che tipo di valutazione è possibile e praticabile, in questo ambito?
    - è possibile valutare la qualità del servizio pastorale anche da questa prospettiva?

    4. UNA CONDIZIONE PREGIUDIZIALE: LA FORMAZIONE

    I compiti relativi alle politiche giovanili e al ripensamento della qualità dell'azione pastorale da questa ottica, chiama in causa, in modo correlato, la qualità dei processi formativi attraverso cui sono abilitate le persone impegnate nell'azione pastorale (logiche di fondo, percorsi, atteggiamenti da interiorizzare...).
    Una prima rapida diagnosi della situazione attuale evidenzia la persistenza di una serie di atteggiamenti che si dimostrano improduttivi rispetto a questo modello rinnovata di azione pastorale "sul territorio".
    Per esempio:
    - difficoltà alla collaborazione, accettando il confronto e la differenza
    - difficoltà alla corresponsabilizzazione (soprattutto nei confronti dei laici)
    - autosufficienza sia nei riguardi dei modelli religiosi per la soluzione dei problemi (basta l'impegno... la buona volontà... la grazia di Dio...), sia nei riguardi della azione intrapresa da altri (solo noi facciamo le cose bene...)
    - sindrome dell'accerchiamento, con conseguente assunzione di atteggiamenti di difesa o di aggressività
    - pretesa di possedere in assoluto i quadri valoriali.
    ---> E' corretta la diagnosi?
    Quali interventi progettare per assicurare un rinnovamento dei processiformativí?


    T e r z a
    p a g i n A


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