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    Le dinamiche del potere dell'organizzazione (settima parte di: «Agire innovativo nella pastorale»)


     

     

    VII. LE DINAMICHE DEL POTERE DELL'ORGANIZZAZIONE

    "Potere" è una parola che ricorre di frequente nel nostro linguaggio quotidiano, e serve per riferirsi a una vasta serie di situazioni. Al di là della complessità della questione, per ora è sufficiente sapere che il potere è una dimensione essenziale nella vita sociale. Lo conferma il fatto che spesso è
    accompagnato da un alone di rifiuto che lo rende negativo: subisce una sorta di giudizio etico. Ciò si spiega con facilità: è senza dubbio più semplice leggere le degenerazioni del potere che riconoscerne la funzione positiva.
    Rimane ad ogni modo confermato che non sembra gestibile una realtà organizzata senza esercizio del potere.
    Il gioco di condizionamenti dei ruoli e delle funzioni in una organizzazione è fuori discussione. E' ineliminabile il vicendevole influsso, e difficilmente discutibile l'incidenza della gerarchia. Il potere è sempre e comunque una componente inevitabile di qualsivoglia organizzazione. Rappresenta anzi un ulteriore espressione del dinamismo organizzativo. La gerarchia esercita sai un potere di differenziazione che di integrazione: ossia si fonda sulla differenza di potere tra i membri e al contempo sul compito primario di integrare i contributi dei singoli. E' fuori dubbio la possibilità di vincolare, di influenzare da parte della autorità. Le modalità però possono essere diversificate.
    Senz'altro sorprendente è costatare che, quando si chiede a membri di un organizzazione perchè obbediscano ai loro capi, rispondano immediatamente che è del tutto normale in un corpo sociale. Lo verifichiamo nei fatti quotidiani in famiglia, nella scuola, in un'industria, nelle realtà ecclesiali. Normalmente si è disponibili ad obbedire, perchè in fondo si ritiene giusto così. Questa disposizione (con evidenti eccezioni) all'adesione non è che la risultante del processo di leggittimazione dell'autorità negli organismi sociali. In fondo si riconosce come quasi naturale che qualcuno comandi e che qualcuno obbedisca, per regola sociale.
    Ma se questa è una costatazione assodata, la sua manifestazione non è univoca. Si possono individuare diversi tipi di leggittimazione: per Weber sono tre gli idealtipi di potere.
    In taluni casi si obbedisce al superiore perchè si è sempre agito in questo modo, senza problemi. Così avviene normalmente, anche se non è sempre vero, nei confronti dei genitori, degli insegnanti, dei capiufficio. Questa è consuetudine, tradizione. In altri casi si obbedisce perchè chi comanda ha un fascino particolare, un carisma che si fa ascoltare e trascina. Si fonda la richiesta di adesione sulla autorevolezza personale. E ancora, specie nella società attuale, la gente si predispone all'obbedienza poichè così è previsto dalle norme. Le norme sono state pensate e condivise, e quindi rappresentano il modo più giusto e razionale di governare i processi sociali. Si sta a quanto stabilito.
    Probabilmente non si trovano che in rarissimi casi i modelli ideali, soprattutto ne riscontreremo invece di misti. Ma è cionondimeno utile soffermarci sui tre tipi segnalati.

    1. Il potere come autorità

    L'autorità formale o tradizionale è una delle ragioni principali che sostengono il potere legittimo. Essa si fonda sostanzialmente sul ruolo esercitato, non sulla persona. Per questo può risultare eminentemente impersonale.
    Questo tipo di potere, proprio perchè consueto, solleva dal disagio della soggezzione: non è umiliante, a livello psicologico, ubbidire a un comando che proviene da un'autorità legittima. Ciò accade nella normalità della vita.
    Ma esiste l'eccezione: non in ogni cosa si obbedisce all'autorità legittima. All'insegnante si aderisce solo nelle questioni scolastiche, al parroco per le questioni religiose. L'autorità legittima esercita il suo influsso solo in una certa sfera d'azione, è un'autorità limitata: un vero potere ma entro certi confini.
    Una simile autorità sembra oggi subire una progressiva restrizione: si sta riducendo sempre più la sfera di influsso. Lo avvertiamo anche in ambito ecclesiale: si pensi al campo politico e sociale, ma anche etico.
    Il potere dell'autorità formale è già di per sé limitato, ma viene assai più condizionato all'evoluzione storica del sistema sociale. E' la situazione contingente a creare nuovi assetti di reale influsso.
    Le zone di dissenso o di contrasto sono frutto spesso del momento storico. La sensibilità sociale allarga o restringe il potere d'autorità. In un'epoca in cui sono riconosciuti ed esaltati i diritti dell'uomo, specie come individuo, non meraviglia la drastica riduzione dei campi d'influsso, specie se sostenuti da ragioni semplicemente tradizionali.
    Solo nelle organizzazioni autoritarie o integraliste si verifica un'autorità totalmente pervasiva che non permette spazi di libertà. Ma la provocazione alla variante alternativa è d'obbligo.
    E' proprio infatti di un'organizzazione formale dar vita al vissuto informale. Lo è nei fatti. Non per nulla è diverso il clima di un'organizzazione i cui membri obbediscono convinti rispetto a quella in cui lo fanno in maniera forzata. I rapporti che si stabiliscono sono altri. L'informale prende piede in sommo grado là dove il formale non è pienamente legittimato o accettato. Si creano leaderships alternative. Ma se è vero che l'autorità tradizionale è centrata sulla legittimazione, non è meno esatto che si possa legare al ruolo, competenza e autorevolezza. Le cose non si respingono.
    Applichiamo queste considerazioni alle comunità educative o pastorali. Non basta certo, e ne siamo tutti convinti, che un pastore sia a capo della comunità, perché lo renda accetto ed efficace. E' la competenza e l'autorevolezza che renderanno fecondo il suo influsso e praticabile la costruzione di un'autentica comunione. Il potere formale deve essere sostanziale per divenire autorevole.

    2. Il potere come scambio

    Questa modalità ci pone molto al di là della precedente prospettiva. Qui si tratta di pensare l'esercizio del potere come scambio asimmetrico di risorse. La diversità (asimmetria) delle possibilità e delle risorse è sicuramente la prima condizione dello scambio, poichè dà origine ad una relazione fondata sul potere. Questo tipo di potere si gioca sulla relazione, e quindi sulla persona e le sue risorse. Il legame viene stabilito tra una persona e l'altra, e non tra ruoli o compiti. Se l'autorità formale è impersonale, limitata, trasferibile, il potere di scambio assume i lineamenti opposti: è un'altra forma di potere.
    Possiede una diversa concezione dell'individuo e dei suoi rapporti con l'organizzazione. E se il sistema d'autorità evoca la passività dell'individuo, l'idea dello scambio porta a pensare a un soggetto attivo. L'organizzazione assume l'immagine di un sistema cooperativo basato sullo scambio delle risorse.
    Ma non ci è consentito idealizzare questa modalità.
    Non sempre lo scambio avviene in modo fecondo. Essendo praticamente illimitato, l'influsso può eccedere in forme quali la manipolazione o la coercizione. Del resto tangentopoli si rifà a questo tipo di potere, nelle sue forme degenerative. Le violazioni palesi sono sotto gli occhi di tutti, ma esistono anche quelle occulte, dovute alla difficoltà di poter definire il confine tra lecito e illecito.
    In verità, anche un qualsiasi sistema di ruoli, definiti con rigore formale, lascia vasti spazi in cui possono sorgere rapporti di potere di scambio. Del resto in qualunque ruolo è previsto un margine di discrezionalità. E inoltre è possibile creare intenzionali sfere di flessibilità per garantirsi facili condizioni di scambio. Si pensi ai ricatti che gli allievi possono rivolgere al loro insegnante, alle modalità di compiacenza subdole per ingraziarsi chi ha risorse e per attivare giochi politici.
    Scaturisce di qui la concezione di un'organizzazione quale arena politica: spazio sociale in cui si confrontano e scontrano gli interessi dei diversi soggetti.
    Guardata così, l'organizzazione presenta un nuovo volto. Non sarà tanto o semplicemente il sistema di ruoli formale a gestire il potere, quanto piuttosto "il sistema di ruoli d'azione" (Crozier). E' l'intreccio complesso delle relazioni di scambio che struttura l'esercizio del potere: in esso mai sono tutti uguali. A vincere sono le relazioni forti, le complicità. Non che non esistano regole o norme, esse però scaturiscono dal libero scambio che si codifica tra gli individui. Di certo non può resistere a lungo un'organizzazione basata solo su questo tipo di potere, sarebbe socialmente rischiosa. C'è bisogno di un'autorità che riconosca i diritti formali e sostanziali delle persone, al di là del rapporto stabilito. Resta comunque vero che il potere di scambio, lo si voglia o no, si manifesta in qualsiasi organizzazione. Anche il sistema di autorità tra l'altro può essere giocato in un potere di scambio.
    Risulta scomodo, ma pure possibile, un simile potere nelle realtà ecclesiali. Non sono esenti da tali dinamiche le nostre comunità. Il nasconderlo è negare la realtà, e ancor più è favorire che il sistema di scambio diventi sempre più forte e condizionante.

    3. Il potere come influsso

    Questo modo di esercitare il potere è più sfuggente, perchè in genere si è fermamente convinti di agire di norma in piena autonomia.
    Il fatto che nell'organizzazione si condivida il medesimo universo semantico nell'interpretare il reale e si attivino spontaneamente i filtri valutativi, consente la vita organizzata. E tuttavia questo non deve risultare un assoluto intoccabile. Poichè spesso basta uscire dal proprio contesto per riconoscere valide altre categorie interpretative. La ricerca di spiegazioni convincenti non può mai cessare, poichè il nuovo è inedito, non riscontrabile, e il consueto può
    essere la forza d'influsso di determinati attori.
    Il condizionamento del potere d'influsso diventa così molto reale. E quanto più il potere di manipolazione è inconfessato o inconsapevole, tanto meglio limita chi lo subisce. Non per nulla si parla di "persuasione occulta", che mette normalmente in atto strategie di inganno, a danno degli inconsapevoli.
    La figura del demagogo è una realtà possibile. Egli punta sull'apparenza, sul fascino, sulla seduzione. E l'interlocutore, più che misurarsi su quanto viene proposto, si lascia invaghire. Invece di ascoltare con razionalità, si ammira con sentimento, ci si schiera per venerazione. In questa prospettiva, l'organizzazione viene declassata a macchina del consenso e mortificata come campo di confronto. Il ricorso esasperato alle metafore, agli slogans, alle parole d'ordine fanno parte del sottile gioco di pilotare il consenso a proprio esclusivo vantaggio.
    Sono sotto gli occhi di tutti l'azione di certe sette, che giungono persino a convincere i propri membri al suicidio collettivo.
    Ma il potere d'influsso è reale in ogni organizzazione, anche se in diverse intensità.
    Il potere come autorità, come scambio e come influsso provoca dunque dinamiche differenti nelle organizzazioni. Il suo diverso esercizio lascia un'impronta riconoscibile tanto da diversificare le forme organizzative. La loro distinzione però non può cedere alla esasperazione o anche separazione.
    Nella realtà le organizzazione presentano forme miste, in cui autorità, scambio e influsso si mescolano in forme variegate. Qualsiasi organizzazione è come un'arena, espressione degli attori che vi fanno parte e manifestazione delle passioni che travagliano il cuore umano.


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