L’anima della
pastorale giovanile:
un’inquietudine profetica
Stanisław Ryłko
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1. Nella prima lettura, il profeta Isaia in toni drammatici descrive la situazione dell’umanità in attesa del Messia: “Cercano acqua ma non c’è; la loro lingua è riarsa per la sete” (Is 41,17). Di quale sete si tratta? Certamente non è sete di acqua potabile, ma è una sete più profonda: sete dell’anima... sete del Messia... sete di Dio... E non è forse questo anche un ritratto delle giovani generazioni del Continente Europeo del nostro tempo, che portano in sé un’enorme sete del senso della vita, della speranza del futuro, della fede? I giovani di oggi hanno una grande sete di Dio... Le relazioni ascoltate in questa giornata ci hanno mostrato quanti sono oggi i giovani smarriti, confusi e perciò facile preda del mondo della delinquenza, delle dipendenze distruttive (droga, sesso)… Quanti i giovani senza futuro perché senza lavoro! E quanti giovani “scartati”, giovani che il mondo ritiene “inutili”! I giornali parlano di un’intera “generazione perduta”...
La Chiesa non può restare indifferente di fronte a questo grido dei giovani di oggi: “Abbiamo sete! Moriamo di sete! Chiesa dove sei?”. Sicuramente Dio non è indifferente a questo grido. Nella profezia di Isaia, Dio dice: “Io, il Signore, risponderò loro, io /.../ non li abbandonerò. Farò scaturire fiumi su brulle colline, fontane in mezzo alle valli; cambierò il deserto in un lago d’acqua...” ( Is 41, 17-18). È questa una parola di speranza, una parola di grande incoraggiamento per tutti noi, responsabili di pastorale giovanile: Dio non ci lascia soli! Ci precede sempre e sa scrivere dritto anche sulle righe storte...
Papa Francesco sogna una Chiesa che viva costantemente un dinamismo di “uscita”, di “esodo” verso le periferie esistenziali abitate anche dai giovani; vuole una Chiesa che non si chiuda nei stretti recinti delle proprie comunità parrocchiali, dei gruppi pastorali, ma sappia guardare sempre oltre... Vuole una Chiesa animata dall’audacia di andare sempre più lontano, di non fermarsi mai; una Chiesa che, come buona samaritana, si chini con amore materno sulle ferite dei giovani per fasciarle... Quante volte ha detto: “Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura...” (EG n. 49). Durante questo Convegno, vogliamo entrare proprio in questa prospettiva di “esodo” e allargare il nostro sguardo sui giovani che forse non incontriamo mai nelle nostre chiese, nei nostri gruppi, ma sono ugualmente “nostri”... E chiediamoci sinceramente: cosa facciamo per loro? Vogliamo ridestare e sviluppare in noi quel gusto spirituale di essere vicini alla vita dei giovani, specialmente di coloro che sono lontani...
2. Come dovrebbe essere, dunque, l’identikit di un operatore di pastorale giovanile nei nostri tempi? La liturgia della parola dell’odierna Eucarestia ci viene in aiuto e ci presenta un modello nella figura di San Giovanni Battista - l’ultimo e il più grande dei profeti... La liturgia ci invita a pensare al nostro lavoro pastorale con i giovani proprio come a una missione profetica. Mi sembra che questa sia una caratteristica molto importante. Vediamo dunque brevemente i tratti essenziali di un profeta...
Il profeta vive e opera come una persona “decentrata” – espressione questa molto cara a Papa Francesco. Al centro della sua vita sta Dio e non il suo “io”! Un profeta è sempre animato da una grande passione per la causa di Dio! Giovanni Battista amava dire: “Lui (Cristo!) deve crescere; io, invece, diminuire” (Gv 3,30). Ed è questa una lezione di umiltà di cui tutti noi abbiamo bisogno: “Siamo servi inutili” (Lc 17,10). Quindi il riconoscimento fattivo del principio del “primato della grazia”! Questo atteggiamento ci dà forza e coraggio di fronte alle sfide dei nostri giorni e, al tempo stesso, ci protegge davanti al rischio - abbastanza diffuso tra i pastori - di un certo “narcisismo pastorale”, di un’esagerata ricerca di sé stessi e della propria gloria, anziché di quella di Dio. Un pastore concentrato su sé stesso nuoce alla causa di Dio e non costruisce – o meglio - costruisce sulla sabbia...
Il profeta poi deve avere il coraggio di essere segno di contraddizione nel mondo, quando Dio lo chiama ad annunciare verità scomode, che vanno controcorrente rispetto ai diktat della cultura dominante e del pensiero politicamente corretto del momento. Un profeta, perciò, non deve cercare una popolarità facile, gli applausi ad ogni costo – deve invece annunciare e difendere la verità sempre e comunque... Si tratta di un importante monito per tutti gli operatori di pastorale giovanile: avere il coraggio di annunciare ai giovani quei traguardi alti ed esigenti del Vangelo. Non dimentichiamo che i giovani amano essere sfidati! San Giovanni Paolo II spesso diceva di sé: “Io sono amico dei giovani, ma un amico esigente”. E Papa Francesco parla della necessità di risvegliare nei giovani la “magnanimità”, vale a dire quella viva consapevolezza che Dio ci ha creati per le cose grandi e non piccole! Servire la verità – assieme a un atteggiamento di carità pastorale - è un atto fondamentale di misericordia che è il cuore stesso del Vangelo. Nei nostri tempi, segnati da una profonda crisi antropologica, da una crisi dei valori e, di conseguenza, da una preoccupante emergenza educativa, essere guide spirituali ed educatori ci chiede di ridestare in noi l’anima e il coraggio dei profeti...
E infine il terzo tratto distintivo di un profeta: l’inquietudine del cuore... Il profeta è una persona inquieta, non si ferma mai. Mentre gli altri tranquillamente si accontentano e si accomodano, lui guarda sempre lontano, alla ricerca di nuove strade... Spinto da Dio, è continuamente in “movimento” e non di rado disturba la gente che gli sta accanto, rischia di dare fastidio e addirittura può farsi dei nemici... Così fu nell’Antico Testamento e così è anche oggi. Il profeta cerca modi e vie sempre nuove per trasmettere il messaggio che Dio gli ha affidato. Ed è proprio questo che Papa Francesco, in questa nuova stagione evangelizzatrice della Chiesa caratterizzata dalla gioia, si aspetta da noi cristiani e specialmente dai pastori. Credo che lo scopo principale di questo Convegno sia esattamente questo: essere una sorta di “salutare provocazione” capace di risvegliare in ciascuno di noi quell’inquietudine missionaria, che è l’anima di ogni attività pastorale della Chiesa. E concludo con le parole di Papa Francesco: “Andiamo avanti, mettiamocela tutta, ma lasciamo che sia Lui a rendere fecondi i nostri sforzi come pare a Lui” (EG n. 279).
IV CONVEGNO EUROPEO DI PASTORALE GIOVANILE: “Una Chiesa giovane, testimone della gioia del Vangelo”
Omelia
Roma, 11 dicembre 2014