V. LA STRUTTURA DELL'ORGANIZZAZIONE
Il sistema dei ruoli disegna la struttura dell'organizzazione, che è l'insieme delle modalità, mediante cui ogni organizzazione gestisce i processi di differenziazione e di integrazione. Tali modalità sono molteplici e possono aassociarsi nelle maniere più differenti a seconda del tipo di organizzazione. Se è vero che i processi sono sempre gli stessi, è altrettando incontrovertibile che essi si attivano nella loro possibile molteplice varietà di modulazioni: il sistema dei ruoli c'è in ogni caso, ma esso si configura in modo singolare. Ne consegue che non esistono organizzazioni identiche. Sono possibili invece delle comunanze che consentono di riconoscere dei tipi di struttura fondamentali. Esaminiamo la questione.
1. Criteri che regolano le strutture
Non è facile identificare i tipi di struttura delle organizzazioni. Se stessimo alle ricerche, ne dovremmo contare da tre a dieci: ci sono le strutture formali e informali, pubbliche o private, e così via.
Ma forse, più che descrivere le varie possibilità di struttura, è più fecondo individuare i criteri fondamentali che ispirano i tipi ideali delle strutture organizzative. Così riusciamo a identificare meglio le varie strutture.
Un primo criterio si rifà alla valorizzazione della funzione. Si tratta di considerare insieme coloro che svolgono gli stessi compiti, ossia che hanno la medesima funzione. L'attenzione è posta sulla specializzazione del ruolo, che è una valenza positiva. Ma subito ci diamo conto che questo può dare adito a un'organizzazione che agisce a comportamenti stagni. Se si sottolinea ad esempio in modo esasperato la differenza tra preti e laici, si crea separazione tra loro. Se l'insegnante è solo colui che insegna dalla cattedra, si instaura un vero distacco tra gli interlocutori interessati. E non solo. Il rischio è che l'organizzazione si indentifichi con la gerarchia e con le norme, su cui ricadono fondamentalmente gli impegni di integrazione. I fedeli diventano degli utenti, dei fruitori, e non sono spinti a dare il loro apporto specifico. Tutti intuiamo come la funzionalità dell'organizzazione dipenda non tanto e non solo dal buon rendimento di una componente, bensì dal massimo di coerenza delle diverse funzioni. Un correttivo sta senz'altro nel ridurre la logica dei vasi separati, rendendoli comunicanti. Si creano così momenti collegiali che facciano superare la separazione. I consigli rappresentativi diventano una reale esigenza, più che una modalità moderna: la partecipazione è d'obbligo e la condivisione una regola di vita.
Ma i problemi sul tappeto si risolvono in radice solo mutando il criterio: ossia ispirarsi all'obiettivo da raggiungere. Si sposta cioè l'attenzione dalla divisione dei compiti alla strutturazione che privilegia come riferimento il risultato. Si preferisce così porre l'accento sulla integrazione dei ruoli e sulla loro interdipendenza. La distinzione delle funzioni sussiste sempre, ma l'obiettivo comune viene
rafforzato. Un esempio può servire. Nell'ambito ecclesiale sussiste ancora oggi la divisione del compito di evangelizzare per cui sono solo preti e religiosi che si sentono impegnati in questo. Ma se riconosciamo che la Chiesa è missionaria, mettiamo in rilievo una meta comune che porta a superare le divisioni. Oggi infatti tuutti i battezzati sono chiamati ad evangelizzare (la scelta dell'unitarietà), anche se ciascuno a seconda della sua peculiarità. L'integrazione dei ruoli in una prospettiva comune supera la separazione dei compiti. Gli organi centrali si assumono allora il compito di indicare le linee generali da perseguire, e in sussidiarità si impegnano gli organi periferici. Tutta l'organizzazione viene strutturata in modo tale che gli organismi collegiali siano determinanti. Ad essi spetta il compito di di delineare piani e progetti nella corresponsabilità.
Ma anche in questo caso si può intuire come i vari organismi collegiali, che sono un valore in sè, potrebbero però rivelarsi meccanismi assai complessi e di difficile gestione. Le decisioni giungeranno facilmente al rallentatore, e forse anche inficiate di compromessi. Si impone quindi una mediazione.
A soluzione può servire un terzo criterio: porre l'accento sui valori di cui sono portatori le persone. Questo rende consapevoli che la principale dinamica della crescita non sta tanto nella gerarchia o nelle norme, bensì soprattutto nel sistema di valori promossi e vissuti. Sono questi a dover orientare decisamente sia i risultati da conseguire che le diverse funzioni necessarie, per cui ci si organizza non in modo semplicemente funzionale o massimamente organico, bensì secondo la valenza ideale: è questa a orientare compiti e funzioni, organismi e traguardi.
2. Le tensioni delle strutture organizzative
Prendendo in considerazione le diverse strutture organizzative, si è tentati di descriverle in termini dicotomici e contrapposti, per comprenderne le dinamiche. E' un modo che serve a renderle visibili. La realtà tuttavia ci pone di fronte a strutture che si sviluppano in un continuum tra due estremi. Le tensioni che si creano sono assai esplicative della realtà organizzata.
Una prima tensione si pone tra tendenza meccanica e organica. Abbiamo già anticipato talune considerazioni. Il sistema meccanico viene caratterizzato da una accentuazione dei compiti e delle funzioni, generando con facilità organismi formali e burocratici. Nel sistema organico invece l'attezione va sull'esperienza e sulla competenza, e sul contributo dei singoli. La struttura viene concepita come un vero organismo che cresce di vita propria. Ad un attento esame, ciascuno dei due poli presenta aspetti positivi o problematici. La concezione organica rischia di divenire dispersiva e di scadere nell'inefficienza, se l'unico criterio guida resta la spontaneità dell'apporto. E d'altra parte la visione funzionale porta necessariamente alla forma burocratica dell'organizzazione, se si costruisce in modo formale il sistema dei ruoli e dei compiti. Il tutto sta a mediare le contraddizioni e a gestire le ambivalenze, in modo che non si realizzi contrapposizione, ma integrazione.
Una seconda tensione si verifica tra l'organizzazione interna ed esterna. Se la struttura interna risulta essere troppo rigida e chiusa in sè, senza le opportune interdipendenze con l'ambiente, è plausibile che si troverà in gravi difficoltà in una cultura del mutamento. La stabilità della struttura può essere un valore, a condizione che l'organizzazione sia disponibile a ricevere gli inputs delle altre organismi sociali. E per contro una società che non permette una libera organizzazione dei sistemi di valore, diventerà a lungo andare sterile, se non addirittura decandente. Anche in questa tensione tutto si gioca nel saper rapportare le esigenze interne con le esterne e viceversa: non bisogna abbassare la guardia nella comunicazione vicendevole.
I sistemi organizzativi presentano inoltre una terza tensione tra legami rigidi o deboli. Nelle organizzazioni rigide le interdipendenze interne sono stringenti: una variabile è strettamente collegata all'altra e tutte si condizionano a vicenda. In un sistema a legame debole le articolazioni sono sostenute da forte autonomia: una non condiziona l'altra irreparabilmente. Il sistema universitario ad esempio è a legame debole: ad esso sono permessi pluralità di approcci nella ricerca, diversità di scuole di pensiero, che un legame rigido non consentirebbe. E al di là delle degenerazioni sempre possibili, non è proponibile per esso un sistema che non riconosca la libertà e la professionalità del docente. Liberandoci dal modello razionalista, comprendiamo che questa tensione rimane valida, se accettiamo che è solo questione di grado del legame. Ancor più poi vale la constatazione che esistono di fatto legami costitutivamente deboli e tali devono rimanere: il legame educativo e quello pastorale sono deboli per natura, poichè da una proposta avanzata non ne consegue di necessità l'accettazione dovuta. In simili casi il legame che non proviene dalla forza intrinseca della proposta, diviene manipolazione e forzatura nei confronti della libertà. Il legame forte porta certamente ad effetti più immediati, ma misconosce il rispetto della persona. Questa tensione può trovare la sua mediazione più sul piano dell'efficacia che dell'efficienza, più a livello di crescita che di imposizione. Il rispetto del legame è fondamentale.
3. L'organizzazione si riveste di istituzione
E' questo un capitolo a sè, che avremo modo di affrontare adeguatamente. Qui basti anticipare che è difficile trovare nella realtà semplici organizzazioni; incontriamo spesso assai più istituzioni o organizzazioni istituzionalizzate. Come strumento tecnico, l'organizzazione è facilmente sostituibile, mentreinabile, l'istituzione rivela un radicamento naturale, difficilmente sopprimibile. L'organizzazione si configura perciò come istituzione, se incarna un sistema di ideali che la rende valore in sè; se perde il suo carattere strumentale per divenire un fine. Allorchè tende a garantire lo svolgimento delle funzioni necessarie alla vita sociale e personale o ad esprimere sistemi di credenze condivisi nella società, diviene istituzione poiché rappresenta nell'immaginario collettivo un sistema simbolico che persiste nel tempo. Organizzazione e istituzione si richiamano a vantaggio della vita delle realtà sociali e comunitarie.