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    La problematica educativa dell'organizzazione (nona parte di: «Agire innovativo nella pastorale»)


     

     

    IX. LA PROBLEMATICA EDUCATIVA DELL'ORGANIZZAZIONE

    Dalle considerazioni avanzate sino ad ora si evince che le organizzazioni non sono delle realtà asettiche, attraverso cui è possibile mediare qualsiasi tipo di valore. Non sono dei semplici canali di trasmissione. Anzi al contrario esse incarnano in sé un sistema valoriale che si istituzionalizza e sono espressione di una mentalità, di una cultura. E' tipico infatti dell'organizzazione presentarsi in modo compatto e organico con un suo volto.
    Ma un inghippo sorge da un fatto: l'organizzato istituito è accolto con facilità come un dato indiscutibile, e appunto per questo esercita un influsso determinante sulla persona, senza che questa ne sia consapevole.
    L'interrogarci perciò sul contesto organizzativo, in cui avviene l'educazione e la formazione, non è una questione marginale, bensì porre attenzione su dinamismi che rischiano di essere condizionanti o addirittura paralizzanti la crescita. Occorre dunque di conoscere, al di là delle intenzioni degli operatori, quali sono i tratti delle organizzazioni in cui esplica la loro azione. Sotto il profilo organizzativo, una qualsiasi comunità consta di una struttura di relazioni, di reciproche dipendenze e di potere, di una rete di rapporti definiti, di un sistema di finalità e di valori, di un contesto culturale...: tutto questo non può che incidere sull'azione educativa e pastorale, anzi diviene spesso la forza formativa decisiva in un ambiente. A tale scopo merita di impegnarsi nella conoscenza.

    1. La problematica istituzionale

    L'organizzazione nasce dall'idea di ordine finalizzato e risponde alle richieste di convivenza coordinata. Sorge dalla necessità di soddisfare delle esigenze, per cui si mettono insieme gli sforzi in vista di comuni scopi. Nella distribuzione dei diversi ruoli si viene a gestire il potere consentito. A seconda della vitalità, un'organizzazione è espressione della cultura della società e dà voce a scopi e valori emergenti di un certo gruppo sociale. Possiede una propria dinamica: si forma, si sviluppa, si consuma e si rinnova con una certa autonomia nell'ambiente. Senza dubbio sono i valori e gli obiettivi dichiarati a strutturare il sistema organizzativo, ma di certo anche la relazioni spontanee determinano la cultura dell'organizzazione.
    Sotto questo profilo risulta possibile una polarizzazione tra i valori formali dell'organizzazione e le motivazioni dei suoi membri, sino a giungere anche a conflittualità. E anche se l'organizzazione come tale non possiede obiettivi, se non quelli espressi dagli individui, cionondimeno l'intreccio delle sensibilità forma mentalità comune. Non si può proprio reificare l'organizzazione come organismo pensante, quasi fosse un essere vivente, e tuttavia essa è uno strumento collettivo che permette la convergenza degli intenti e la comune soddisfazione di quanto non si può ottenere
    individualmente.
    È questo "collettivo o corale" che prende forma organizzata e tende a diventare realtà istituita. Conoscerne i processi, per poterli governare, serve all'azione educativa. Disoccultare l'implicito istituzionale è uno svelare dinamismi che guidano gesti e azioni dei singoli e ne spiegano il senso.
    La dimensione istituzionale attraversa tutti i livelli delle relazioni umane e pertanto sostiene ogni organizzazione. Essa funziona come rete simbolica, ossia come insieme di immagini, che comprendono da un lato una componente funzionale (per il raggiungimento di obiettivi) e dall'altro una immaginifica (per l'espressione di esigenze emozionali): è un intreccio di bisogni e desideri, di utopie e realtà, che compongono l'immagine istituita. L'organizzazione si presenta con@ un suo volto istituzionale: la parrocchia è tale Perché è configurata da tratti diversi dalla scuola.
    Non si tratta dunque di un semplice abito che si può comunque dismettere o cambiare. Essa è invece intessuta da elementi tali che la fa essere istituzione, ma comprende anche quelle variabili che la rende tipica e singolare. L'istituzionale appare come un tessuto simbolico che permea tutta la realtà organizzata e si estrinseca in un dinamico rapporto tra istanza innovatrice (istituente) e l'istanza perdurante (percepita come astorica). Le norme istituite sono prodotti della storia e dell'ambiente, ma pure manifestano un qualcosa di necessario, percepito come immutabile.
    Possiamo portare ad esplicazione un'organizzazione quale la comunità parrocchiale o quella scolastica. Queste posseggono senza dubbio una fisionomia ben determinata, che si rifa agli scopi specifici della singola istituzione. E tuttavia assumono valenze ben diverse nell'immaginario collettivo. Le parrocchie possono sembrare delle comunità dispensatrici di sacramenti, delle realtà che fanno carità, territori riservati ai preti e dai confini ben stabiliti, un supermarket religioso, oppure anche delle comunità di crescita nella fede, una realtà aggregata di gente diversa che collabora, un centro di diffusione di senso su un territorio...
    Così la scuola può essere vissuta come una rete di relazioni educative o come distributrice di diplomi, come occasione che seleziona coloro che ottengono esiti istruttivi oppure quale sfida per la crescita di tutti...
    Certamente le immagini che viviamo sono assai più complesse ed articolate, sono a raggio diffuso, ma è incontestabile che emerga tra queste l'immagine attribuibile socialmente. Ma non solo di immagine si tratta, bensì pure di istituito che appare come naturale, intoccabile. Si pensi alla grande fatica compiuta in questi anni recenti nel modificare il rapporto tra docente e allievo, tra il prete e il fedele. Sembrava quasi che certi profili fossero inalienabili. La loro permanenza nell'immaginario è appunto dovuta a questo senso di astoricità dell'istituzione: si è invece andati scoprendo che questo fatto era dovuto a intenti spesso manipolatori o alla scarsa disponibilità all'imprevisto. Per proteggere l'organizzazione si rifuggiva dalla diversità possibile, per rifugiarsi nel sicuro e consuetudinario. L'istituzione resiste al nuovo, lo accoglie con lentezza e lo assimila con parsimonia. Eppure le istanze della novità stanno dentro le istituzioni che devono
    aprirsi per rigenerarsi.
    Immersi in simile mentalità d'ambiente, denso di sollecitazioni silenziose, giovani e adulti vengono forgiati inavvertitamente dal clima che si respira nell'organizzazione. Essi assorbono norme di condotta, come valori impliciti, in una sorta di educazione informale che si sta scoprendo sempre più importante. Persino interventi educativi intenzionali possono perdere la loro efficacia di fronte alla resistenza delle suggestioni d'ambiente. Inavvertitamente sfugge la rilevanza del contesto, presupponendo che il testo educativo sia vincente in ogni caso. Ma occorre aprire gli occhi davanti alle dinamiche istituzionali e ai loro modelli.

    2. Le dinamiche formative dei modelli organizzativi

    Per comprendere il fenomeno istituzionale ci serviamo della categoria dei modelli. Essi sono schemi concettuali. Usando questa categoria intendiamo facilitare la lettura della realtà, mediante immagini.
    Come tutti i costrutti teorici, essi possono risultare assai semplificativi e riduttivi. E tuttavia si rivelano utili chiavi interpretative. I modelli non sono la realtà, sono quadri teorici che permettono però di rappresentarsi simbolicamente la realtà sociale. Con questo strumento interpretiamo i fenomeni organizzativi.
    Analizzando l'azione formativa di una comunità non solo in quanto incontro di persone, ma anche nella sua complessità organizzativa, entrano in gioco elementi costitutivi in rapporto tra loro.
    Ravvisiamo anzitutto coloro che usufruiscono del servizio e gli operatori che svolgono ruoli e compiti. Vi sono poi le mete educative, che rappresentano gli elementi proposti dalla istituzione. Si aggiunge inoltre l'azione formativa organizzata, che si realizza secondo regole previste. Queste funzionano da riferimento o da filtro per i contenuti che si intendono tramettere o i vissuti da esplorare e comunicare. A tutto questo si può aggiungere che l'azione formativa utilizza mezzi e strumenti per perseguire gli scopi. Strutture di relazione e sistemi culturali, istanze d'ambiente e motivazioni soggettive sono tutti elementi che si combinano variabilmente, dando luogo a diversi modelli organizzativi concreti. La composizione può risultare assai molteplice. Noi prendiamo però in esame i due poli di un continuum, che si presentano alternativi se si assolutizzano, ma che sono forme verificabili nel reale.
    Per sussistere, qualsiasi organizzazione ha bisogno di una certa dose di conformità, ossia di una quantità di comportamenti consonanti. Ma se si verifica il sopravvento di questo aspetto, l'organizzazione rischia di considerare la persona quale espressione funzionale dell'istituzione. Viene mortificata l'originalità dell'individuo, appesantendola di ruoli prestabiliti. Si parla così di "personalità burocratica" o di "uomo dell'organizzazione", poiché l'operatore non risponde primariamente e con responsabilità alle attese delle persone, ma in primo luogo alle gerarchie dell'organigramma istituito.
    Un simile modello ha alla base un sistema di regole, secondo cui tutto viene fatto funzionare in vista di rendere il più possibile efficiente l'azione collettiva. Tali norme proteggono la vita organizzata, ne sono la difesa, ma tendono però il più delle volte a isolare gli individui, a ridurre il tono dei rapporti e a creare un sistema rigido. E non solo. Nel momento in cui si rende indifferibile istituire nuove regole, le decisioni sono quasi esclusivamente affidate al vertice organizzativo. L'iniziativa individuale è un pericolo da evitare, poiché tutto deve stare sotto controllo. Questo è un sistema che erige steccati tra categorie e misconosce il valore delle relazioni informali. La pressione di gruppo però è tale che porta con facilità ad adattarsi.
    Questo modello possiede il suo fascino, e anche i suoi vantaggi. Ma soprattutto attrae operatori ed educatori che guardano con sospetto la confusione e diffidano dell'organizzazione. E perciò sono portati ad accettare la logica della pianificazione burocratica dell'azione. Il loro massimo interesse sta nei programmi e nelle scadenze, le reti di rapporto tra i vari organismi vengono intensificate, si moltiplicano agenzie informative per crearsi consenso sociale e per valutare il loro influsso. Gli organi di partecipazione e i convegni di studio diventano i luoghi quasi esclusivi per lo scambio. La suddivisione dei compiti per competenze professionali diviene pressoché ossessivo e la qualifica professionale è l'unica riconosciuta competenza.
    Tutto si sviluppa nella linea dell'efficientismo funzionale, che a lungo andare mortifica gravemente la vita di una comunità che si sente in cammino e che intende crescere la persona. Soprattutto si costata che il sistema risulta assai chiaro sulla carta, che i piani scritti sono formalmente perfetti, ma che la realtà corre in tutt'altra direzione. Accanto a quella prevista, si genera una realtà di rapporti parallela, che rischia di avere più forza del sistema istituito. Ed allora veniamo a verificare che esistono due comunità: quella formale e strutturata, e quella vitale e organica. Le deduzioni e conseguenze sono intuibili.
    Sul versante opposto sta il modello che valorizza al massimo la relazione sociale e la spontaneità dell'incontro. Si,enfatizza un aspetto oggi assai accettato, specie dai giovani: il bisogno di interagire e di entrare in intimità viene sottolineato quale istanza di fondo per l'uomo d'oggi. L'uomo sociale e la sua creatività sono costantemente all'ordine del giorno. Avanza una concezione dell'uomo basata sulla complessità dei suoi bisogni, un concetto di potere fondato sulla ragionevolezza e corresponsabilità, una idea di valori organizzativi che si rifanno ai migliori ideali umanistici.
    Alla radice del modello si trova la convinzione che la linea di sviluppo umano vincente è l'autorealizzazione. La realtà si organizza all'insegna delle relazione spontanea, superando l'anonimato e appropriandosi della parola. La persona diviene la personificazaione carismatica dei più alti valori che fondano la comunità: si vive pertanto in piccoli gruppi, poiché solo in essi sono praticabili la quotidinaità del rapporto, il rispetto reciproco e la comune ricerca, uno stile di vita familiare. Al volto formalista del progetto efficientista, si sostituisce il fascino dei carismi personali. Si tratta di un modello che tenta di ricuperare il relazionale in un'azione
    che rischia la sclerosi se formalizzata.
    Da questo è semplice intuire una cosa centrale: chi coagula le attese del gruppo è il leader carismatico, che si segue con disponibilità. Le condizioni per uno scambio favorevole e per un confronto aperto vengono sollecitate da un ruolo animatore.
    Questo modello autorealizzativo possiede il fascino della freschezza ideale, ma rischia di scadere nell'idealismo. Non tutte le organizzazioni sono riconducibili ai rapporti primari. Il leader carismatico può essere una forza trascinatrice, ma oggi si corre il pericolo che si tramuti con facilità in manipolatore: non sono infrequenti i casi di suggestioni, specie oggi che siamo tanto sensibili all'emozionale. Il relazionale poi conserva la sua alta valenza nelle organizzazioni, ma è inevitabile che si strutturi in forme più o meno stabili, in vista di compiti essenziali. Certamente l'operatore d'oggi è più attratto da questo modello rispetto a quello efficientistico, Perché l'intervento educativo non viene chiuso in uno schema programmato, ma aperto alla creatività personale. E tuttavia non si può celare che qualsiasi persona si trova in una rete organizzativa complessa, che non deve essere taciuta; in un sistema di gioco di potere, che, quanto più è ignorato, tanto meglio condiziona.
    Ma allora, a che tipo di modello riferirsi? La risposta non è semplice. Certo non sta nel compromesso che dice un po' dell'uno e un po' dell'altro. O anche nel pensare che stia nel moderare i toni dei due modelli.
    Occorre uno sforzo di fantasia. Per questo diviene necessario indugiare un poco sulle dinamiche di cambiamento delle organizzazioni.


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