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    Il discernimento come

    tratto della spiritualità

    di Ignazio di Loyola

    Giovanni Cucci [1]



    Cosa significa "discernere"?

    Il discernimento degli spiriti è una pratica fondamentale della spiritualità cristiana. Essa è presente ampiamente nella Bibbia (vedi i contributi del presente quaderno) e praticata ben prima di Ignazio di Loyola. Cassiano riporta in proposito l'opinione di Antonio Abate (sec. III) secondo cui «il discernimento esamina atti e pensieri dell'uomo e sceglie oculatamente quelli che sono da ammettere» [2]. La sua forma più compiuta trova tuttavia espressione nelle cosiddette «Regole per il discernimento degli spiriti» di Ignazio di Loyola, strettamente legate alla dinamica degli Esercizi spirituali, in particolare al suo carattere «combattivo». Ciò è confermato dall'avvertenza data da Ignazio per iniziare in maniera adeguata questo tipo di esperienza: «Chi propone gli esercizi, secondo le esigenze che avverte nell'esercitante in fatto di desolazioni e di astuzie del demonio, oppure di consolazioni, potrà spiegargli le regole della prima e della seconda settimana, che servono appunto a conoscere i diversi spiriti [nn. 313-327; 328-336]» [3].
    In realtà il ruolo del demonio occupa un posto molto limitato nelle «regole» e nel più generale percorso degli esercizi spirituali. Fare discernimento significa piuttosto prendere contatto con la realtà e verità dell'esperienza (anche) spirituale, che riconosce solo in Dio nostro Signore il suo «Principio e fondamento» (ES, n. 23), e a cui appartiene ogni potere: «Lo Spirito di Dio, prima, durante, dopo la tentazione, e anche prescindere dalla tentazione, è verifica amorosa presenza ed esercita costante, benefica azione. Quello del diavolo è potere limitato e controllato [...]. Gesù ha già vinto il mondo (Gv 16,33), ha giudicato il principe di questo mondo (cfr Gv 16,11)» [4].
    Il discernimento, in questo percorso, assume piuttosto il significato fondamentale di «cercare e trovare la volontà di Dio nell'organizzazione della propria vita in ordine alla salvezza dell'anima» (ES, n. 1). Questa ricerca consiste anzitutto nella scelta della propria vocazione; a tale scopo vengono presentate diverse modalità di scelta o «elezione». Ne ricordiamo in particolare tre: la prima è la più diretta e certa, «senza alcuna incertezza», come quando Gesù chiamò gli apostoli (ES, n. 175). La terza è legata «a un tempo tranquillo», un tempo cioè «in cui l'anima non è agitata da diversi spiriti ed esercita le sue facoltà naturali liberamente e tranquillamente» (ES, n. 177). Durante questo tempo la persona può considerare come possa meglio raggiungere il fine per cui è stata creata, di servire e lodare Dio (ivi; cfr n. 23). Il modo più ordinario è invece per lo più il secondo: «quando si acquista sufficiente chiarezza di idee, attraverso l'esperienza delle consolazioni e del discernimento dei diversi spiriti» (ES, n. 176).
    Ritorna in questi testi la parola «spiriti», che Ignazio lega alla capacità di esercitare «le facoltà naturali dell'anima» la memoria, l'intelletto, la volontà (cfr Esercizi Spirituali, n. 45; 177). È esperienza comune che, quando l'uomo cerca di deliberare, avverte l'influsso di emozioni, desideri, paure, che facilitano o bloccano il processo del discernimento: «La parola spagnola usata da Ignazio –mociones – esprime chiaramente questa dinamica che è sempre desta nella vita interiore dell'uomo: le mociones sono anzitutto i "movimenti interiori" e disordinati al loro primo manifestarsi, che si verificano in quell'intreccio inscindibile che è composto di ragione, sentimento e volontà. Gli "spiriti" comprendono i pensieri (le immagini di sé e degli altri, le associazioni, le fantasie, ecc.), i sentimenti e gli stati d'animo (ad esempio, la gioia, la tristezza, l'amarezza, la speranza, l'aridità, l'esuberanza e così via)» [5].
    Ignazio specifica che ci sono tre modalità fondamentali di pensieri, «uno mio proprio, che deriva unicamente dalla mia libertà e dalla mia volontà, e gli altri due che provengono dall'esterno, uno dallo spirito buono e l'altro dallo spirito cattivo» (ES, n. 32). Il lavoro proprio del discernimento, sempre da compiersi con l'aiuto di una guida, cui esporre ciò che si muove nel cuore (cfr n. 326), richiede questa fatica indispensabile di esaminare il corso dei pensieri e affetti che si affacciano al proprio animo, per poterne individuare la provenienza. In altre parole, se essi sono per il nostro bene o per il nostro male.
    È importante imparare a discernere ciò che sta capitando, perché la differenza tra i vari tipi di pensieri non si coglie in maniera immediata e semplice: la tentazione infatti (come sappiamo fin da Gen 3) si avvale spesso dei medesimi contenuti della vita spirituale (Dio, la preghiera, lo studio, le opere di carità), ma per portare a direzioni antitetiche.

    La dimensione narrativa della vita spirituale

    Per comprendere in maniera più precisa cosa Ignazio intenda con il termine «discernimento» è necessario considerare il «cappello» con cui egli fa iniziare questo tema fondamentale: «A coloro che passano da un peccato mortale all'altro, il demonio comunemente è solito proporre piaceri apparenti, facendo loro immaginare diletti e piaceri sensuali, per meglio mantenerli e farli crescere nei loro vizi e peccati. Con questi, lo spirito buono usa il metodo opposto, stimolando al rimorso la loro coscienza con il giudizio della ragione» (ES, n. 314).
    Ignazio non si abbandona a speculazioni, ma rimanda al percorso narrativo della persona, alla sua storia e direzione di vita («chi va di peccato in peccato»), ai vizi e alle virtù che si radicano nel cuore attraverso la ripetizione degli atti. Non raffigura il peccatore nella sua azione puntuale, ma cerca piuttosto di descriverlo nel processo che lo caratterizza. Questa è stata anche la sua prima fondamentale scoperta della vita spirituale: trovandosi convalescente dopo le ferite riportate nella battaglia di Pamplona, Ignazio per scacciare la noia vorrebbe leggere avventure di cavalieri, i suoi libri preferiti. Purtroppo però in casa trova soltanto vite di santi. Nel corso di quelle letture, iniziate a malincuore, egli compie la prima basilare esperienza di Dio, ripensando in particolare alle risonanze affettive che sorgevano in lui: quando pensava alle imprese dei cavalieri, Ignazio prova un diletto di breve durata, che alla fine lo lasciano vuoto, amareggiato. Quando invece legge le vite dei santi avverte una pace profonda e duratura che stimola la sua creatività e lo porta a formulare nuovi progetti: «Passava in rassegna molte iniziative che trovava buone, e sempre proponeva a se stesso imprese difficili e grandi; e mentre se le proponeva gli sembrava di trovare dentro di sé le energie per poterle attuare con facilità» [6]. Da qui un ulteriore tratto peculiare del discernimento, il punto di arrivo affettivo di un pensiero come possibile criterio di valutazione: imprese belle e desiderabili, ma difficili, divengono improvvisamente facili da attuare e conquistano il cuore, portando gioia e contentezza di vivere.
    Alla risonanza affettiva segue la riflessione, che la chiarifica e ne mostra il significato per la vita: «Meravigliato di quella diversità cominciò a riflettervi: dall'esperienza aveva dedotto che alcuni pensieri lo lasciavano triste, altri allegro; e a poco a poco imparò a conoscere la diversità degli spiriti che si agitavano in lui: uno del demonio, l'altro di Dio» (Autob., n.8).
    La caratteristica narrativa emerge da un altro parametro fondamentale, proprio del discernimento: l'alternarsi delle consolazioni e delle desolazioni (cfr ES, n. 6).

    La desolazione spirituale

    La desolazione viene così definita Ignazio: «L'oscurità dell'anima, il turbamento interiore, lo stimolo verso le cose basse e terrene, l'inquietudine dovuta a diverse agitazioni e tentazioni: così l'anima si inclina alla sfiducia, è senza speranza e senza amore, e si ritrova pigra, tiepida, triste e come separata dal suo Creatore e Signore. Infatti, come la consolazione è contraria alla desolazione, così i pensieri che sorgono dalla consolazione sono contrari a quelli che sorgono dalla desolazione» (ES, n. 317).
    «Sentirsi» senza fede, speranza carità non significa però «essere» senza queste virtù. Per questo Ignazio invita a non arrendersi ma a continuare la battaglia intrapresa, e non cedere alle illusioni: «Nel tempo della desolazione non bisogna mai fare cambiamenti, ma rimanere saldi e costanti nei propositi e nella decisione in cui si era nel giorno precedente a quella desolazione, o nella decisione in cui si era nella consolazione precedente. Infatti, come nella consolazione ci guida e ci consiglia soprattutto lo spirito buono, così nella desolazione lo fa lo spirito cattivo, e con i suoi consigli noi non possiamo prendere la strada giusta» (ES, n. 318).
    In questo testo non viene proibito di fare cambiamenti ma di non farli nel tempo della desolazione; in un tempo successivo, più tranquillo e pacificato, si potranno certamente rivedere alcune cose. Situazione simile a questa, e altrettanto pericolosa, è prendere decisioni anche importanti in base all'euforia del momento senza una vera deliberazione, e poi trovarsi in grosse difficoltà. Per questo Ignazio invita chi dà gli esercizi a fare grande attenzione, specie se si tratta di persona volubile e instabile (cfr ES, n. 14)
    Quando sopraggiunge la desolazione, si tende a chiudersi. Ignazio ricorda invece come sia importante agire (non discutere) in modo esattamente contrario rispetto a quanto suggerito dalla desolazione, nella consapevolezza che «il Signore, per provarlo, lo ha affidato alle sue forze naturali, perché resista alle diverse agitazioni e tentazioni del demonio; e può riuscirci con l'aiuto di Dio che gli rimane sempre, anche se non lo sente chiaramente. È vero, infatti, che il Signore gli ha sottratto il molto fervore, il grande amore e la grazia abbondante; però gli ha lasciato la grazia sufficiente per la salvezza eterna» (ES, n. 320; cfr n. 325).

    Il significato della desolazione nella vita spirituale

    Ignazio invita a compiere una lettura della desolazione, cercando di cogliervi una possibile istruzione per la vita. Essa può avere almeno tre significati differenti:
    1) Intende svegliarci dal torpore (come Davide in 2Sam 11,1ss. Cfr ES, n. 322).
    La desolazione ricorda che la vita spirituale non è una tecnica nelle nostre mani, non è identificabile con il semplice «stare bene», non è neppure programmabile a piacere, ma è una relazione con un Essere Vivente. Questo stato dell'animo contraddice radicalmente l'obiezione di chi considera la vita spirituale in termini di mera suggestione o proiezione dei nostri desideri. Dio sfugge alle nostre pretese di possesso [7]. L'esperienza di deserto interiore costituisce spesso anche l'invito a passare ad un gradino più alto della preghiera, dalla sua dimensione meditativa/intellettuale a una più silenziosa e affettiva.
    2) La desolazione ricorda la gratuità, imparare a non agire solo in vista di un contraccambio: «il Signore vuole provare quanto valiamo e quanto andiamo avanti nel suo servizio e nella sua lode, anche senza un'abbondante elargizione di consolazioni e di grandi grazie» (ES, n. 322), guardandoci dal rischio come direbbe san Bernardo di «cercare le consolazioni di Dio e non il Dio delle consolazioni».
    3) È un invito all'umiltà: «Non dipende da noi acquistare o conservare una grande devozione, un intenso amore, le lacrime o alcun'altra consolazione spirituale, ma tutto è dono e grazia di Dio nostro Signore; ossia perché non facciamo il nido in casa d'altri, elevando la mente a superbia o vanagloria con l'attribuire a noi stessi la devozione o altre forme della consolazione spirituale» (ES, 322).
    La desolazione è un momento di verità, nel senso di prendere consapevolezza della propria terra, guardandosi dalle illusioni di onnipotenza che possono risultare molto pericolose nella vita.

    La consolazione spirituale

    Sembrerebbe strano che gli Esercizi spirituali propongano apposite regole anche per il tempo della consolazione: un tale stato d'animo non dice di per sé che si sta procedendo bene? Ignazio non la pensa così; anzi, proprio perché più allettante e desiderabile della sua «sorella speculare», la desolazione, essa non è per questo priva di insidie e pericoli. Ci sono infatti consolazioni che sono buone solo in apparenza, e possono con facilità ingannare perché può consolare sia lo spirito buono che quello cattivo (cfr ES, n. 331) [8].
    La consolazione spirituale viene presentata in questi termini: «Quando si produce uno stimolo interiore, per cui l'anima si infiamma di amore per il suo Creatore e Signore, e quindi non può amare nessuna delle realtà di questo mondo per se stessa, ma solo per il Creatore di tutte; così pure quando uno versa lacrime che lo portano all'amore del Signore, sia per il dolore dei propri peccati, sia per la passione di Cristo nostro Signore, sia per altri motivi direttamente ordinati al suo servizio e alla sua lode. Infine si intende per consolazione ogni aumento di speranza, fede e carità, e ogni gioia interiore che stimola e attrae alle realtà celesti e alla salvezza dell'anima, dandole tranquillità e pace nel suo Creatore e Signore» (ES, n. 316).
    Non si tratta di una definizione, ma è piuttosto la descrizione di uno stato interiore. Sua prima caratteristica è di essere un «movimento intimo», che tocca nel profondo ma non è appariscente. In secondo luogo è legata al pilastro degli Esercizi, il Principio e fondamento («ama ogni cosa nel suo creatore», cfr ES, n. 23); per questo anche il dolore (ad es. per i propri peccati) può diventare motivo di consolazione perché riporta alla verità del rapporto con Dio. La consolazione poi riguarda anzitutto la speranza, intesa come ciò che mette in cammino, senza cedere alle derive inquiete dell'attivismo.
    Ma la consolazione, come si notava, può diventare una tentazione quando si cerca di possederla, divenendone dipendenti al punto da preferirla alla stessa relazione con Dio. Per Ignazio essa è invece l'oasi dove si fa rifornimento per poi riprendere più speditamente il cammino (cfr ES, n. 323).
    Come per la desolazione, anche in questo caso è importante precisare che il «sentire» non è il criterio del discernimento, ma piuttosto il contenuto da interpretare, alla luce della propria storia. Il semplice «sentire» può risultare estremamente ambiguo se isolato dal contesto di riferimento.
    Per questo il n. 333 invita a considerare con molta attenzione quanto si presenta alla mente, specialmente il possibile punto di arrivo: «Dobbiamo fare molta attenzione al corso dei nostri pensieri. Se nei pensieri tutto è buono il principio, il mezzo e la fine e se tutto è orientato verso il bene, questo è un segno dell'angelo buono. Può darsi invece che nel corso dei pensieri si presenti qualche cosa cattiva o distrattiva o meno buona di quella che l'anima prima si era proposta di fare, oppure qualche cosa che indebolisce l'anima, la rende inquieta, la mette in agitazione e le toglie la pace, la tranquillità e la calma che aveva prima: questo allora è un chiaro segno che quei pensieri provengono dallo spirito cattivo, nemico del nostro bene e della nostra salvezza eterna».
    Questa regola presenta tre criteri che riassumono in maniera efficace il discernimento ignaziano e manifestano un'antropologia integrale:
    Un criterio anzitutto intellettuale: rivedere il percorso narrativo dei pensieri, il suo principio ma soprattutto il punto di arrivo, perché la possibile bontà del pensiero si riconosce dai suoi frutti (cfr Mt 7,16-20).
    Affettivo: «se inquieta, turba, fiacca, toglie la pace».
    Operativo: la condotta, il tipo di azioni o di omissioni cui i pensieri e gli affetti presi in considerazione conducono.

    Il discernimento: alcuni criteri riassuntivi

    Riprendendo alcune osservazioni di p. S. Rendina, si possono ricordare alcuni punti fondamentali che possono risultare di aiuto per il discernimento in senso ignaziano [9].

    1) Anzitutto il confronto con la parola di Dio e la dottrina della chiesa. Ignazio stesso riconosce che se avesse dato ascolto semplicemente al suo «sentire» si sarebbe suicidato quando si trovava in un momento di grande disperazione: «Ma, sapendo che è peccato uccidersi, tornava a gridare: "Signore, non farò mai cosa che ti offenda"» (Autob., n. 24). Quando le emozioni non vengono educate e purificate (mettendole a confronto con la verità della dottrina di fede), possono giocare brutti scherzi. La storia della spiritualità è piena di esempi eloquenti in proposito. Per potere fare chiarezza su quanto sta capitando, la dottrina della chiesa raccomanda l'accompagnamento spirituale. La disponibilità al confronto è sempre un buon segno nel processo di discernimento mentre la ritrosia a farsi conoscere o a manifestare il proprio animo può rendere molto più difficile il discernimento [10].

    2) Porre attenzione alle risonanze affettive del proprio vissuto, notando se i sentimenti suscitati sono superficiali o durano nel tempo, se la consolazione è «intima» nel senso visto sopra o se si tratta dell'euforia superficiale del momento. La capacità di vivere le relazioni o la tendenza a chiudersi in se stessi sono ulteriori indicazioni importanti per riconoscere la bontà dei propri sentimenti. Il tempo è sempre un parametro fondamentale nel discernimento. Ciò significa anche interrogarsi sugli affetti che questo pensiero suscita: sono libero o attaccato? Saprei rinunciarvi? Un elemento caratteristico dell'esperienza di Dio è la docilità, la capacità di mettersi in discussione di fronte a possibili critiche e obiezioni: come Abramo, si è pronti a sacrificare ciò che si ha di più caro (cfr Gen 22,1ss.).
    Le vite dei santi costituiscono un aiuto alla comprensione di questo punto. Santa Teresa d'Avila, di fronte alla missione che Gesù le comunica, la riforma del Carmelo, incontra forti opposizioni e critiche, ma si sottomette ai suoi superiori, anche se a suo parere la loro valutazione non è corretta. Allo stesso modo, Ignazio presenta spontaneamente il testo degli Esercizi ai teologi dell'inquisizione che lo interrogano in proposito, pronto a distruggerli qualora vi avessero trovato errori e inesattezze [11].

    3) Conoscersi. Ignazio mette in guardia dai temperamenti volubili, isterici, o tendenti allo scrupolo, che si infiammano facilmente e altrettanto facilmente si deprimono: essi potrebbero prendere decisioni sconsiderate, e pregiudicare seriamente il proprio cammino di fede (cfr ES, n. 14). Si è più volte visto come il discernimento richieda l'uso della propria intelligenza e la conoscenza di se stessi, delle capacità come delle aree più fragili o problematiche della propria personalità.
    C'è inoltre un invito ad apprendere da ciò che capita, per non continuare a ripetere i medesimi errori. Quanto più ci si conosce, tanto più si avverte da dove entra il cattivo spirito, si prende dimestichezza con le sue password, i punti su cui si è più sensibili, che suggestionano la mente e il cuore. Ignazio si rifà all'orientazione radicale, pratica, della persona: tutto ciò che distoglie dal fine per cui l'uomo è stato creato (ES, 23) viene dal cattivo spirito e inquieta. A seconda dell'orientazione concretamente scelta dalla persona, Dio e il nemico vengono avvertiti in maniera altrettanto antitetica, come qualcosa di attraente o di fastidioso (cfr ES, n. 335).
    Il discernimento rimane comunque un dono della grazia di Dio, che va sempre chiesto, senza presumere di esser ormai divenuti esperti e autosufficienti. Per i padri spirituali l'insidia più pericolosa, la superbia, può fare capolino proprio in coloro che si sentono ormai «esperti» e hanno smarrito il timore di Dio, condizione indispensabile per accogliere il dono della Sapienza (cfr Sir 1,1-18).

     

    NOTE

    1 Pubblicato in Parola spirito e vita. Quaderni di lettura biblica (2015), n. 71, 185-196.
    2 G. CASSIANO, Conferenze spirituali, I, 101S.
    3 IGNAZIO DI LOYOLA, s., Esercizi spirituali (d'ora in poi ES), in ID., Gli scritti, Roma, Adp, 2007, n. 8.
    4 P. SCHIAVONE, Il discernimento. Teoria e prassi, Milano, Paoline, 2009, 20. Ignazio parla del demonio in modo velato nella meditazione sul peccato degli angeli (ES, n. 50), nelle tentazioni di Gesù (ES, n. 274) e nella meditazione delle due bandiere, per imparare a conoscere le astuzie con cui il nemico solitamente agisce (ES, n. 136-142). Cfr F. Rossi DE GASPERIS, Sentieri di vita. La dinamica degli Esercizi ignaziani nell'itinerario delle Scritture, vol. 2.2, Milano, Paoline, 2007, 327.
    5 H. ZOLLNER, «Il discernimento ignaziano degli spiriti», in Civ. Catt. 2005 III 242.
    6 IGNAZIO DI LOYOLA, S. Autobiografia [d'ora in poi Autob 1, in ID., Gli scritti, cit., n. 7.
    7 Cfr TH. GREEN, Quando il pozzo si prosciuga. La preghiera oltre gli inizi, Roma, CVX, 1991, 104s.
    8 Questa insidia è d'altronde ben riconosciuta dai maestri spirituali. Nota in proposito GIOVANNI DELLA CROCE: «Per raggiungere meglio lo scopo, egli [satana] è solito mettere e instillare nel senso gusto, sapore e diletto circa le stesse cose di Dio. Fa questo affinché l'anima, attratta e abbagliata da quel sapore, a poco a poco si accechi con quel gusto e ponga la sua attenzione più su questo che sull'amore» (Salita del monte Carmelo, in ID., Opere, Roma, Postulazione Generale O.C.D., 1979,1. III, 11,2).
    9 Cfr S. RENDINA, L'itinerario degli Esercizi spirituali di s. Ignazio di Loyola, Roma, Adp, 2004.
    10 Questa è una regola espressamente raccomandata da Ignazio: «Quando il nemico della natura umana presenta a una persona retta le sue astuzie e le sue lusinghe, vuole e desidera che queste siano accolte e mantenute segrete; ma quando essa le manifesta a un buon confessore o ad altra persona spirituale che conosca gli inganni e le malizie del demonio, questi ne è molto indispettito; infatti capisce che non potrà riuscire nella malizia iniziata, dato che i suoi evidenti inganni sono stati scoperti» (ES, n. 326).
    11 TERESA DI GESÙ, s., Vita, in ID., Opere, Roma, Postulazione Generale O.C.D., 1981, c. 29, 6s. Cfr Autob., n. 68.

     

     


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