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    Il desiderio,

    motore della vita

    Giovanni Cucci 

     

    Un equivoco da chiarire 

    Parlare di «desiderio» a proposito della vita spirituale potrebbe suscitare disagio, ritenendo che lasciare libero corso ad esso porterebbe ad una vita senza freni e schiava degli impulsi, disattendendo i valori scelti. Il desiderio potrebbe anche rievocare le sofferenze più forti ricevute nella vita: un affetto non corrisposto, un’amicizia tradita, un bel gesto incompreso…, una serie di situazioni in cui l’apertura di sé e l’espressione di ciò che si aveva di più caro ha comportato ferite profonde. Da qui la tentazione di concludere che una vita senza desideri sarebbe tutto sommato più tranquilla, ordinata e stabile.

    Il desiderio non può tuttavia essere cancellato così facilmente. Desideri e affetti, nel loro binomio inseparabile, costituiscono l’elemento basilare della vita psichica, intellettuale e spirituale, sono la sorgente di ogni attività; pur apparendo spesso un insieme caotico e complicato, essi rimandano a realtà fondamentali e necessarie che danno sapore alla vita, perché la rendono interessante, «gustosa». San Tommaso associa con acume il desiderio allo stesso atto della vista, un’operazione essenzialmente selettiva, che si sofferma su ciò che cattura il cuore 1.

    Il desiderio occupa inoltre un posto fondamentale nella stessa rivelazione biblica, a differenza di altre tradizioni religiose, al punto da costituire un elemento specifico della relazione con Dio: «La perfezione suprema per il buddismo è “uccidere il desiderio”. Gli uomini della Bibbia, anche i più vicini a Dio, quanto appaiono lontani da questo sogno! Al contrario, la Bibbia è piena del tumulto e del conflitto di tutte le forme del desiderio. Certo, è ben lontana dall’approvarle tutte […], ma in tal modo prendono tutta la loro forza e danno tutto il suo valore all’esistenza dell’uomo» 2.

    D’altra parte, tutte queste precauzioni e timori mostrano per contrasto la potenza ed il ruolo del desiderio nella vita. Esso è veramente in grado di accendere tutto l’essere, dando gusto, forza, coraggio e speranza di fronte a decisioni e difficoltà. Come osserva R. May: «Il desiderio porta calore, contenuto, immaginazione, gioco infantile, freschezza e ricchezza alla volontà. La volontà dà l’autodirezione, la maturità del desiderio. La volontà tutela il desiderio, permettendogli di continuare senza correre rischi eccessivi. Ma senza desiderio, la volontà perde la sua linfa vitale, la sua vitalità e tende ad estinguersi nell’autocontraddizione. Se avete solo volontà senza desiderio, avete lo sterile, neopuritano uomo vittoriano. Se avete solo desiderio senza volontà, avete la persona forzata, prigioniera, infantile che come un adultorimastobambino può diventare l’uomo robot » 3.

    Spesso è proprio la mancanza del desiderio a costituire lo spartiacque tra un progetto riuscito, coerente e duraturo, e le mille velleità e buoni propositi di cui, come si dice, è lastricato l’inferno… Lo stesso valore diventa bello e facilmente realizzabile quando è allettante; anche dal punto di vista morale si possono attuare grandi mutamenti quando risultano attraenti per il soggetto: «Un comportamento buono è valido nella misura in cui è il frutto del desiderio della bontà. Più che essere buoni è importante avere la voglia di diventarlo» 4.

    Il desiderio infatti, parafrasando lo psicologo Kubie 5, consente di attuare l’unico tipo di trasformazione duraturo, e cioè «cambiare nella capacità di cambiare»: ciò consente di riportare ordine nel disordine. Quando il desiderio è vero, autentico, porta ad operare una radicale ristrutturazione, a «mettere ordine nella propria vita», come Il desiderio, motore della vita 3

    direbbe sant’Ignazio 6, giungendo ad essere un uomo capace di gustare e godere di essa 7, in altre parole di essere contento.

    Ma che cosa si intende con il termine «desiderio»? E come è possibile riconoscerne la possibile autenticità e profondità? 

    Che cos’è il desiderio? 

    In ambito psicologico si distingue anzitutto «desiderio» da «bisogno». Il desiderio, a differenza del bisogno, ha una radice più sottile e complessa, legata alla storia, alla memoria, agli affetti dell’individuo: esso ha anche a che fare con la fantasia e non è facilmente concretizzabile in un oggetto immediato, come avviene invece nel bisogno 8. Sarebbe dunque riduttivo identificare il desiderio col piacere o l’appagamento sessuale, esso è piuttosto un elemento che attraversa tutti gli aspetti della vita, intellettuale, spirituale, relazionale, ludico. C’è un elemento di continuità nel desiderio che indica una direzione, un percorso, un senso al vivere, a differenza del bisogno che è puntuale, limitato, circoscritto e di breve durata.

    Dal punto di vista psicologico, il desiderio si potrebbe definire come la capacità di «canalizzare tutte le nostre energie verso un oggetto stimato centrale per noi. Non è quindi il cieco impulso, la voglia matta, l’istinto che spinge incontrollato, ma una tendenza significativa verso qualcosa che è apprezzato in sé» 9. Il desiderio è dunque una specie di «cerniera» capace di unire cognizione, immaginazione e affetto. Conoscere e concretizzare in modo adeguato il desiderio è fondamentale perché significa sapere ciò che si vuole dalla propria vita, ed essere disposti ad affrontare rischi, rinunce, a superare ostacoli per realizzarlo.

    In una prospettiva più propriamente filosofica, si possono specificare tre differenti livelli di questa «tendenza unificatrice» propria del desiderio: 1) il livello più basso, assimilabile al bisogno, come tendenza verso un bene da consumare (per esempio il cibo); 2) come ricerca di un bene di cui si sente la mancanza, ma che è in qualche modo presente al soggetto (come il desiderio di essere felice, di completare un corso di studi, un’impresa); 3) come risposta a qualcosa di presente e che insieme interpella il soggetto nella sua totalità, fino a giocare per essa la propria libertà, anche in modo permanente (ad esempio per una scelta di vita) 10.

    Dal punto di vista antropologico, il desiderio viene a scardinare la concezione illuministica dell’uomo, considerato unicamente sotto il profilo della pura razionalità; il desiderio sembra invece portare scompiglio nella vita, conferendo una certa sovversiva aria di caos. Per questo può essere visto come un nemico, perché demolisce programmazioni di vita troppo precise, rende incerto il futuro, introduce l’imprevedibilità, mostra ciò che non si vorrebbe riconoscere: «Il mondo dei desideri non è un mondo chiaro e semplice […]. La nostra cultura ha fatto sufficientemente proprie le principali acquisizioni della psicanalisi, cosicché noi siamo non poco irritati allorché un lapsus qualsiasi - parola o gesto “mancati” - sembra tradire in noi dei desideri che non oseremmo a nessun costo ammettere, neppure a noi stessi. Il motivo di tutto questo è semplice: non solo questi desideri sono difficili da identificare, ma sovente sono tali proprio perché sono difficili da ammettere. Il mondo dei nostri desideri infatti suscita in noi una folla di altri sentimenti che facciamo fatica a controllare» 11.

    D’altra parte il desiderio, a differenza del bisogno, mostra la caratteristica propriamente spirituale dell’uomo, la trascendenza; il bisogno è legato a qualcosa di immediato, mentre il desiderio può riguardare realtà a lunga scadenza, che implicano progettazione, sacrifici, tentativi, smarrimenti e rinunce, e richiede l’applicazione di tutte le proprie facoltà e capacità. Si pensi al desiderio di diventare medico, o di portare a termine una ricerca, o di adoperarsi perché venga fatta giustizia in una situazione di abuso e sfruttamento: tutto ciò presuppone che il desiderio abbia una durata nel tempo. Soprattutto, e questo è l’aspetto più importante, il desiderio non sembra esaurirsi nelle sue concrete, puntuali, realizzazioni. 

    La dialettica tra i desideri e i limiti 

    Parlare di desiderio è parlare insieme anche di una mancanza 12, di una lotta e propensione all’azione per raggiungere un bene di cui si è sprovvisti. Ciò significa che la gioia di realizzare qualcosa costituisce soltanto «un lato della medaglia» del vivere; l’altro, altrettanto essenziale, è dato dai limiti: si può dire che l’esistenza, considerata sotto questo punto di vista, si muove verso due direzioni fondamentali, simmetriche e tra loro contrapposte 13.

    Il mondo dei desideri rivela all’essere umano che egli è potenzialmente infinito. Alla sua nascita egli può apprendere qualsiasi lingua, compiere qualunque progetto, tutto sembra ugualmente posto davanti alla gamma delle sue possibilità, potrebbe essere imprenditore, monaco, professore, esploratore, atleta… Inoltre il desiderio apre la porta a dieci, mille altri desideri possibili, esso non conosce mai la parola «fine», ma anzi sembra accrescersi col passare del tempo: leggere un libro richiama altre infinite letture possibili, una persona conosciuta mette a sua volta in relazione con altre ad essa vicine, un’esperienza apre a molteplici altre, non si arriva mai a dire «basta».

    Unito al fascino delle nuove scoperte emergono tuttavia, prima o poi, anche la stanchezza e la delusione, la percezione cioè del limite. Si entra così nella direzione che muove verso il ridimensionamento: con il tempo imparare diventa più faticoso, le possibilità virtualmente infinite, si assottigliano inesorabilmente. Se il desiderio è lo sbocciare della vita che si mantiene fresca e in fiore, il limite introduce la nozione della morte nei progetti e realizzazioni possibili, ricorda il definitivo, nel senso di non ritorno, di chiusura delle possibilità.

    Il limite tuttavia, come il desiderio, non è in sé negativo perché consente di vivere. Si pensi per esempio ai limiti precisi che hanno reso possibile la comparsa della vita sulla terra: basterebbe spostare anche solo di qualche grado l’inclinazione dell’asse terrestre, o la distanza dal sole, o la temperatura, per rendere la terra un deserto. Senza limiti non ci può essere ordine e stabilità: nel libro della Genesi la creazione viene appunto descritta come una serie di limiti introdotti da Dio, che consentono alle varie forme vita di svilupparsi e diffondersi sempre più.

    Il limite è importante anche per la salute psichica: la mancanza di confini interiori caratterizza infatti quelle forme di mancato sviluppo psicologico noto con il termine di psicosi; in esso il soggetto non riesce a percepire la sua distinzione dalla realtà esterna, ma solo una sorta di ansia diffusa e indifferenziata 14.

    Applicato al nostro discorso, la presenza del limite non implica affatto la morte del desiderio, ma costituisce piuttosto l’unica maniera possibile di realizzarlo: non si possono attuare desideri senza conoscere e fare i conti con i limiti, cioè con le potenzialità effettivamente alla propria portata. Allo stesso modo il limite non potrebbe essere avvertito come tale se non nella prospettiva, propria del desiderio, di superarlo.

    I due movimenti del desiderio e del limite, di apertura e chiusura, dunque, si intersecano strettamente: il punto centrale del loro equilibrio è dato dall’atto di prendere una decisione, scegliendo ciò che davvero sta a cuore, e rinunciando per esso a tante altre possibilità ugualmente attuabili.

    Ciò che appare a prima vista come una constatazione ovvia: «voglio fare questo e perciò non posso fare quello», è spesso il cuore del problema. Se il desiderio non viene conosciuto, sviscerato, maturato, se il limite non viene messo in conto o è rifiutato come negativo, tutto questo mette la persona nell’impossibilità di decidere, di impegnarsi per una scelta precisa, tanto più se definitiva.

    Da qui l’importanza di quello che viene chiamato il «paradosso fondamentale» della vita umana: quando la dialettica tra i desideri e i limiti viene riconosciuta e accettata come tale, sapendo cioè che si tratta dell’unica maniera possibile di conseguire ciò che sta a cuore, essa diventa anche più facile da vivere. I problemi sorgono invece quando non si accetta questa dinamica e si cerca di eliminarla cedendo alle tentazioni dell’unilateralità. 

    La crisi del desiderio 

    Il desiderio si presenta di per sé come un bene arduo, da raggiungere a prezzo di lotte e rinunce; quando le difficoltà sono eccessive, soffocano il desiderio. È vero però anche il contrario: una situazione di eccessiva facilità e comodità risulta ugualmente distruttiva nei confronti del desiderio, accentuando il senso della dipendenza, della bassa stima di sé (perché non si è mai veramente «guadagnato» nulla nella vita...), della passività che porta a preferire la comodità alla profondità. La stessa ricchezza di mezzi a disposizione, senza un progetto adeguato, rischia di spegnere il desiderio: come nel celebre racconto di Borges, essere introdotti in un’immensa biblioteca, senza interessi e punti riferimento, finisce per scoraggiare, schiacciati dal peso della molteplicità e vastità dei percorsi possibili.

    L’incapacità di sapere quello che si vuole, di operare valutazioni in grado di differenziare qualitativamente la molteplicità di offerte, l’illusione di avere sempre, equidistanti, davanti a sé tutte le possibili scelte della vita (culturali, professionali, relazionali, affettive) finiscono per bloccare paradossalmente l’iniziativa, perché non si saprebbe da dove iniziare. A questo va aggiunta un’impostazione culturale che prolifera di bisogni, ma riconosce pochi desideri, stendendo un velo d’instabilità all’esistenza. Senza progetti a lungo termine, capaci di coinvolgere in profondità la persona, la stessa vita smarrisce il suo gusto, riducendosi a un prodotto da consumare.

    Un documento, pubblicato alcuni anni fa dalla Pontificia Opera per le Vocazioni Ecclesiastiche indicava proprio nella sovrabbondanza di possibilità il motivo del disorientamento del giovane (ma non solo!), ridotto a vagare tra mille differenti percorsi, senza riuscire a differenziarli in ordine di importanza per la propria vita, con pericolose ricadute sul piano delle scelte: «Come la Roma antica, l’Europa moderna sembra simile a un pantheon, a un grande “tempio” in cui tutte le “divinità” son presenti, o in cui ogni “valore” ha il suo posto e la sua nicchia. “Valori” diversi e contrastanti sono copresenti e coesistenti, senza una gerarchizzazione precisa; codici di lettura e di valutazione, d’orientamento e di comportamento del tutto dissimili tra loro. Risulta difficile, in tale contesto, avere una concezione o una visione del mondo unitaria, e diventa dunque debole anche la capacità progettuale della vita. Quando una cultura, infatti, non definisce più le supreme possibilità di significato, o non riesce a creare convergenza attorno ad alcuni valori come particolarmente capaci di dar senso alla vita, ma pone tutto sullo stesso piano, cade ogni possibilità di scelta progettuale e tutto diviene indifferente e piatto» 15.

    Una mentalità all’insegna del «tutto e subito» e un ambiente troppo protetto, rischiano così di spegnere il desiderio. Inoltre, mancando l’abitudine a superare le difficoltà, permane una situazione di noia, di fragilità interiore per cui, quando si presenta un ostacolo, un contrattempo, la situazione può con facilità degenerare, con esiti drammatici: a quel punto l’insuccesso viene letto come un fallimento totale, fino a ritenere impossibile continuare a vivere. Spesso il suicidio adolescenziale e giovanile, drammaticamente in aumento nelle nostre società, nasce da motivazioni del tutto sproporzionate, ma vissute come una sorta di catastrofe globale: «Se non c’è gratitudine la vita non si apre alla speranza e si chiude in un presente che si ripete, quasi una clonazione infinita di tanti piccoli attimi tutti uguali a se stessi, attimi fuggenti verso il vuoto. È la noia […]. È un giovane, quello di oggi, che… “potrebbe, ma non ne ha voglia”, deluso o ferito dal benessere e un po’ depresso e arrabbiato, o sazio e insoddisfatto, come puntualmente rilevano le varie analisi sociologiche. È sottilmente fragile: basta un ceffone del padre, un brutto voto a scuola, il “no” della ragazza amata, e il futuro è cancellato. E con lui ogni possibile desiderio» 16.

    Da qui il compito indispensabile di imparare a leggere il desiderio, di decifrarne la portata simbolica che lo caratterizza, riconoscendone l’insegnamento per la vita.

    Ma è possibile elaborare una «graduatoria» dei desideri per riconoscerne la validità e la verità? La gravità di questi interrogativi, irrinunciabili, mostra, oltre all’importanza di conoscere i propri desideri, anche l’aiuto efficace che può giungere da un percorso di vita spirituale. È infatti nella lettura e interpretazione del desiderio che il discorso psicologico incontra alcuni elementi fondamentali della vita spirituale, come l’ascesi e la rinuncia: esse non sono da intendersi come nemiche del desiderio, ma come un percorso di riconoscimento e maturazione di ciò che veramente vale, tralasciando quanto, pur attraente, toglie gusto alla vita, lasciando la persona in balìa del capriccio. 

    Per un’educazione al desiderio 

    Presupposto indispensabile a questo lavoro è la fiducia che i desideri profondi troveranno un loro compimento e una loro realizzazione adeguata. Ciò implica una concezione della vita e del mondo all’insegna dell’ordine e del senso, per cui valga quindi la pena impegnarsi e faticare. Non a caso il desiderio è anche un simbolo potente per riconoscere la presenza di Dio nella propria vita; lo stesso vangelo può essere presentato come una fondamentale educazione ai desideri. Si pensi per esempio alla domanda iniziale di Gesù nel vangelo di Giovanni: «Che cercate?» (Gv 1,38), una domanda che invita a fare chiarezza nel cuore prima della sequela. Anche nel contesto proprio del miracolo, Gesù rimanda al desiderio; quando si trova di fronte al paralitico della piscina di Betzatà gli chiede anzitutto: «Vuoi guarire?» (Gv 5,6). Non è una domanda scontata, e difatti il malato non risponde alla domanda di Gesù, ma continua a parlare dei problemi che gli sono familiari 17, i problemi della giornata tipica del paralitico. «Guarire» significa fare i conti con la paura di perdere una situazione magari disagevole ma nota, per iniziare una vita nuova, più sana e libera, ma anche più incerta e difficile, sconosciuta; e così alcune decisioni, pur ipoteticamente auspicate, quando se ne presenta l’occasione non vengono mai attuate.

    Perché ci sia un cambiamento non basta dunque semplicemente «stare male», essere esasperati: occorre soprattutto il desiderio convinto di introdurre una novità nella propria vita, essendo disposti ad affrontarne il costo. Ponendo quest’interrogativo, Gesù invita a riconoscere che cosa è importante desiderare nella vita, come guida per ogni passo ulteriore, di guarigione e di salvezza.

    Come conoscere dunque la possibile verità e profondità del proprio desiderio? Un primo criterio di valutazione è la sua durata nel tempo. Il desiderio profondo non si spegne con il passare del tempo, ma anzi come il granello di senapa della parabola (cfr Mc 4,31 s.) cresce sempre più. Le difficoltà e gli insuccessi solitamente non spengono il desiderio profondo, ma semmai lo rafforzano; è come quando si ha sete, se non si trova da bere, non per questo si rinunzia, anzi ad un certo punto ciò finisce per occupare tutto il corso dei pensieri e dei progetti.

    Questa caratteristica era stata ben riconosciuta dai padri della chiesa. San Gregorio Magno riscontra nei tentativi di Maria Maddalena di trovare il Signore al sepolcro la dinamica del desiderio spirituale, che cresce e si rafforza nonostante le difficoltà: «Cercò dunque una prima volta, ma non trovò; perseverò nel cercare, e le fu dato di trovare. Avvenne così che i desideri col protrarsi crescessero, e crescendo raggiungessero l’oggetto delle ricerche. I santi desideri crescono col protrarsi. Se invece nell’attesa si affievoliscono è segno che non erano veri desideri» 18.

    Sant’Ignazio compie la prima fondamentale esperienza di Dio ascoltando il proprio cuore e notando questa strana alternanza: i desideri mondani vengono assimilati facilmente, ma non hanno durata e alla fine lasciano vuoti, con l’amaro in bocca. Il desiderio di Dio («andare a Gerusalemme a piedi nudi, non cibarsi che di erbe, praticare tutte le austerità che aveva conosciute abituali ai santi») 19 invece presenta inizialmente una certa resistenza, ma una volta accolto reca pace e serenità profonde, che durano nel tempo. Quando racconta quest’esperienza, erano trascorsi più di 30 anni, eppure il desiderio di Gerusalemme continuava a riempire e a infiammare il cuore di Ignazio.

    In secondo luogo è importante notare se da un desiderio ne nascono altri, che diventano di aiuto e stimolo per attuare altre cose, altrettanto buone. È la «circolarità» propria dello spirito: si nota per esempio che intraprendere un’attività caritativa aiuta a vivere meglio altri momenti della giornata, come la preghiera, lo studio, le relazioni. È un’altra maniera di notare come il desiderio cresce con il tempo, pacificando e rasserenando. Per poter compiere ciò è tuttavia indispensabile fermarsi e mettere una certa distanza rispetto al vissuto interiore. È come quando si vuole osservare nel suo insieme una città, una regione: occorre guardarla da lontano. Per sant’Ignazio questo momento di stacco nei confronti del vissuto era dato dall’esame di coscienza 20, un invito a rivedere la propria giornata da un punto di vista particolare, notando per esempio i desideri che l’hanno accompagnata. La rilettura della propria vita è uno dei gesti più sacri ed importanti che si possano compiere, un gesto purtroppo spesso disatteso, o attuato troppo tardi, prima di morire. Poterlo compiere con calma e, come suggerisce Ignazio, in spirito di ringraziamento, aiuta non solo a riconoscere i desideri profondi, ma anche a purificarli, vivendo diversamente i propri fallimenti. Come osservava il filosofo Santayana, l’uomo che non ha conosciuto il proprio passato, è condannato a ripeterlo.

    È importante comunque che questo confronto comprenda anche una persona esperta e istruita a proposito delle realtà spirituali. Tale persona dovrebbe essere soprattutto capace di ascolto: spesso non è necessario dire molte cose, perché chi racconta, nel momento stesso in cui parla, vede dispiegarsi davanti a sé il vissuto, raggiungendo quello che Ricoeur chiamava «la propria identità narrativa» 21. Ci si conosce soltanto raccontandosi ad un altro, in un contesto di gratuità accogliente, senza l’assillo del dovere o l’angoscia del giudizio. L’accompagnamento spirituale non è finalizzato ad ottenere una risposta a buon mercato su di un problema immediato, ma è un lavoro lento, profondo e faticoso, di indubbio aiuto per la conoscenza di sé anche dal punto di vista umano.

    Un frutto prezioso di questa lettura è anche di saper imparare dagli errori commessi, una caratteristica, questa, propria dei santi. Come la scienza e la civiltà, anche la vita spirituale di ciascuno procede per tentativi ed errori; lo stesso peccato racchiude un insegnamento, e finché esso non viene colto, si rischia di restarne prigionieri. Quando invece si giunge a decifrare il valore simbolico di un desiderio che si presentava come «cattivo», esso stranamente perde il suo potere «magico», compulsivo verso il male, rivelando quel bene di cui si era da sempre alla ricerca, come avevano notato i maestri spirituali: «Una volta che si è messo a nudo il desiderio fondamentale - che è sempre desiderio di un assoluto d’amore -[…], i mille piccoli desideri apparentemente cattivi che gli servivano da esca perdono il loro potere di fascinazione e non sono più provati come una “vertigine” quasi irresistibile o come “pericolosi”, contrariamente a quanto sembravano essere prima» 22.

    Lungi dunque dall’essere preda del materialismo più sfrenato, il mondo dei desideri rimanda essenzialmente alla dimensione spirituale, di trascendenza, perché invita ad uscire da se stessi, ad elaborare un progetto, a scommettere su di esso, anche con sacrificio, portando a compimento quanto stava realmente a cuore, perchè capace di dare senso, cioè significato e direzione, alla propria vita.

     

    NOTE 

    1 Cfr TOMMASO D’AQUINO, s., 3 Sent., d. 35, 1, 2, I. Per un approfondimento di questa tematica cfr G. CUCCI, La forza della debolezza. aspetti psicologici della vita spirituale, Roma, AdP, 2007, 21-62.

    2 P. GALOPIN e J. GUILLET, «Desiderio», in X. LEON-DUFOUR (ed.), Diziona-rio di Teologia Biblica, Casale Monferrato, Marietti, Monferrato 1982, col. 265.

    3 R. MAY, L’amore e la volontà, Roma, Astrolabio, 1971, 213.

    4 A. MANENTI, Vivere gli ideali. Fra paura e desiderio/1, Bologna, EDB, 1988, 200.

    5 L. S. KUBIE, «The Process of Evaluation of Therapy in Psychiatry», in Arc-hives of General Psychiatry, 28 (1973) 880-884.

    6 Cfr IGNAZIO DI LOYOLA, S., Esercizi spirituali, n. 21.

    7 «Godere» nel senso inteso da san Tommaso; egli parla di beatitudo come fine ultimo della vita dell’uomo e del godimento come riflesso del conseguimento di tale fine: «Il godimento nasce dall’acquietarsi dell’appetito nel bene raggiunto. Non essendo quindi la beatitudine altro che il conseguimento del sommo bene, non ci può essere la beatitudine senza il godimento che la accompagna» (Summa Theol., I-II, q. 4, a. 1).

    8 «Il bisogno provoca uno stato di tensione interna che trova il suo soddisfa-cimento in un’azione specifica che procura l’oggetto adeguato, come può essere il cibo per la fame, mentre il desiderio è indissolubilmente legato a delle “tracce mnestiche”, come le definisce Freud, che trovano il loro appagamento nella ri-produzione allucinatoria delle percezioni divenute “segni” di tale soddisfacimen-to» (U. GALIMBERTI [ed.], Dizionario di Psicologia, Milano, Garzanti, 1999, 295). In questo senso il desiderio, a differenza del bisogno coinvolge l’immaginazione, il sogno e le esperienze di vita del soggetto.

    9 A. MANENTI, Vivere gli ideali, cit., 61.

    10 Cfr D. VON HILDEBRAND, Christian Ethics, New York, David McKay Company, 1953, 32. Nel presente articolo il desiderio viene considerato nel secondo e terzo significato di questa suddivisione.

    11 A. LOUF, Generati dallo Spirito, Magnano (Bi), Qiqajon, 1994, 96.

    12 «Desiderare» deriva dall’omino verbo latino, che significava «“notare la mancanza di sidera”, cioè delle costellazioni necessarie per trarre gli aruspici; quindi nel linguaggio comune, “sentir la mancanza di”» (G. DEVOTO, G.C. OLI, Nuovo Vocabolario Illustrato della Lingua Italiana, Milano, Selezione, 1987, 858).

    13 Cfr su questo B. KIELY, Psicologia e teologia morale. Linee di convergenza, Casale Monferrato, Marietti, 1982, 206-220.

    14 Cfr F. O. KERNBERG, Teoria delle relazioni oggettuale e clinica psicoanalitica, Torino, Boringhieri, 1980, 1582.

    15 PONTIFICIA OPERA PER LE VOCAZIONI ECCLESIASTICHE, Nuove vocazioni per una nuova Europa, 6 gennaio 1998, n. 11a; corsivo nel testo.

    16 A. CENCINI, Il mondo dei desideri. Orientamenti per la guida spirituale, Milano, Paoline, 1998, 29. L’aumento impressionante dei suicidi in età giovanile, tra le varie spiegazioni possibili, sembra radicarsi in questa impossibilità a distinguere e differenziare l’entità dei problemi in gioco. Su questo cfr P. CREPET, Le dimensioni del vuoto. I giovani e il suicidio, Milano, Feltrinelli, 1993, 51 s.

    17 «Signore, io non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l’acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi qualche altro scende prima di me» (Gv 5,7).

    18 GREGORIO MAGNO, s., Omelie sui Vangeli, Om. 25, 12.45.

    19 Cfr IGNAZIO DI LOYOLA, s., Autobiografia, n. 8.

    20 Cfr ID., Esercizi Spirituali, n. 43.

    21 Cfr P. RICOEUR, Tempo e racconto 3. Il tempo raccontato, Milano, Jaca Book, 1988, 372-380.

    22 A. LOUF, Generati dallo Spirito, cit., 99.

     


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