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    Il cambiamento: problema o provocazione? (prima parte di: «Agire innovativo nella pastorale»)



     

    CAMBIARE: COME E PERCHÉ


    I. IL CAMBIAMENTO: PROBLEMA O PROVOCAZIONE?

    Il cambiamento è un nodo sentito come determinante nella vita sociale contemporanea. Lo è a livello di prassi: adattare, rinnovare, cambiare non è che seguire il corso della vita e vivere gli eventi della storia quotidiana.
    Lo si constata anche sul piano della ricerca scientifica, esaminando la vasta letteratura in questo campo, specie in area psicosociale. E pur non essendo disponibili a considerare tale categoria un valore assoluto, ne intendiamo cogliere la portata sociale e il peso culturale.
    E' incontrovertibile che oggi i cambiamenti prendono corpo nei modelli di sviluppo della società e nei suoi sistemi istituzionali (livello strutturale), si esprimono nelle concezioni dell'uomo e negli stili di vita (livello culturale), si realizzano nei rapporti sociali e nelle condizioni di vita (livello sociale).
    Soprattutto essi giocano una grossa partita su piano etico, poiché configurano valori e ideali su cui scommettere il futuro per l'uomo e per l'umanità. Il cambiamento è una reale sfida.
    In un sistema educativo (sia esso scuola od oratorio, centro giovanile o di formazione professionale, associazione o comunità parrocchiale...) il processo di cambiamento avviene a diversi livelli, in stretta interazione tra loro : a livello di percezioni degli individui che partecipano al cambiamento (la personalità), di norme che regolano i rapporti tra le persone (il sistema di interazione), di leggi che guidano la vita delle strutture dell'organizzazione (il sistema istituzionale) di codici culturali che costituiscono il tessuto sociale (l'ambiente sociale). Ogni livello non sussiste a sé, ma si richiama l'uno agli altri; e tutti sono in interazione complessiva tale da essere esistenzialmente interdipendenti.
    In tale visione un educatore o un pastore non può pensarsi al di fuori o al di sopra di una rete di relazioni nel suo gruppo, né può evitare la condizione di essere ed agire in una istituzione (quale la scuola, l'oratorio, la parrocchia...) o misconoscere di vivere in un ambiente con i suoi codici culturali. E d'altra parte non si intende con questo varare una concezione di soggezione o di remissività: i codici culturali, le norme sociali sono elaborate dai soggetti sociali e istituite da persone; nel gruppo ogni membro può essere centro di comunicazioni che dà e riceve. Interazione e interdipendenza sono pensati a livello teorico come possibili e progettabili, specie se si assume la prospettiva pedagogica.

    E se da un lato l'incidenza dei soggetti protagonisti di un sistema (siano essi interni come i giovani o gli educatori, oppure esterni come gli specialisti o autorità varie) non può né deve essere misconosciuta, dall'altro non sono da sottovalutare le determinanti delle strutture (come l'istituzione in cui ci si trova inseriti, l'organizzazione territoriale, o anche associazioni o gruppi di interesse), e le funzioni e i ruoli in esse giocati dai veri responsabili, che configurano le relazioni interpersonali e i rapporti sociali.
    Questa complessa realtà si vuol indagare per comprendere un po' meglio i meccanismi e le dinamiche, e soprattutto per poter intervenire intenzionalmente nel cambiamento.

    1. Il mutamento come problema vitale

    Anzitutto una constatazione: la vita è mutamento. A livello fenomenico l'esperienza comune è questa: ogni uomo vive in continuo mutamento, immerso in un ambiente sottoposto a persistenti o ricorrenti variazioni. E' questo un fatto costitutivo della nostra esistenza, senza di cui non potremmo neppure ipotizzare di riuscire a sopravvivere.
    La mancanza di stimolazioni sensoriali (deprivazione sensoriale) ad esempio provocherebbe in ciascuno di noi la destrutturazione inevitabile delle dinamiche di percezione e di conoscenza, causando l'alterazione della personalità.
    La "crescita" umana del resto richiama alla mente una maturazione continua e progressiva. E' una metafora che esplica una cosa assai nota: vivere è modificarsi
    costantemente nel proprio essere, che trova il suo inizio
    nella fecondazione e la espressione terminale con la morte; è movimento, passaggio, evoluzione.
    Nel suo processo di crescita l'organismo umano è programmato nei suoi ritmi evolutivi, possiede potenzialità che lo portano a maturare una personalità, è progettato in vista del perseguimento di determinati scopi. Ma se vivere è crescere, significa però in particolar modo "apprendere". Si apprende ad esprimersi e ad agire con intenzionalità, si acquisiscono interessi e si maturano ideali, si impara a capire e a interpretare. Insomma si può apprendere modificandosi.
    Senza volerci addentrare in teorie, peraltro articolate e complesse, la cui contrapposizione porta a schierarsi agli estremi (per gli uni la personalità umana non sarebbe sostanzialmente che un prodotto della cultura, mentre per gli altri soprattutto una germinazione di natura), a noi interessa qui rilevare che l'uomo si trova immerso nel mutamento che non è vissuto come neutro o onnidirezionale, bensì è colto come potenzialità nella crescita verso la maturità umana e nella elaborazione significativa e corale della cultura in cui vive.
    E' la asserzione convinta che l'uomo tende alla attuazione di una realtà che va oltre se stessa e la penetra nella sua verità più profonda, nello svelamento del senso e del significato delle cose. A ragione un giornalista non sospetto come E. Scalfari asserisce: "Chi la pensa in questo modo (nella immodificabilità ineluttabile dei sistemi iniqui) ha un'assai debole fiducia nei valori della libertà e della spiritualità. Quei valori superano le difficoltà più ardue, trovano la via per penetrare nelle più difese muraglie e vincono infine, creando nuovi equilibri e suscitando nuovi problemi. Così è la vita, che distrugge per creare il nuovo e mai non si arresta in questo incessante travaglio" (La Repubblica, 14 marzo 1990).
    Nell'esperienza umana dunque mutare non è una scelta, ma condizione ed esigenza. E' legge di vita per ogni cultura e ogni società, al di là di qualsiasi ideologizzazione o presa di posizione.
    Ciò che è scelta, è solo l'intenzione del cambiamento nel mutare delle cose, sta nel gestire il fenomeno con consapevolezza.
    Sotto il profilo educativo l'operatore deve fare i conti con la realtà della condizione umana e sociale. La sua azione è rivolta in modo eminente all'uomo storico, concreto, fenomenico, attenta al quotidiano della vita nella sua problematicità e contradditorietà. E ciò è ancor più vero quando si tratta di realtà giovanile.
    E' comunque il giovane o l'uomo della strada da educare e formare: lo incontriamo con le sue passioni e sentimenti, con le sue speranze e noie; ci imbattiamo nei suoi rifiuti e nelle sue difese, nelle sue aperture e ottusità; lo troviamo a cimentarsi con le sue debolezze e sensibilità, il suo qualunquismo e impegno, con i suoi progetti e le sue sconfitte.
    Si tratta di un mondo di mutamenti e di persistenze, di ambiguità e di intenzionalità. Primo compito dell'educatore è di prendere coscienza della tumultuosità di questo fiume che dalla sorgente scorre verso il mare. Non si può pretendere che si fermi in acqua stagnante o concedere che straripi travolgendo e danneggiando. Il tutto allora sta a gestire con fantasia il percorso, utilizzando l'energia della sua corsa,
    sapendo che il senso del viaggio è il compimento "in umanità".

    2. Di fronte al mutamento

    Ma quale reazione abbiamo nei confronti del mutamento, o meglio quali atteggiamenti assumiamo di fronte a trasformazioni e cambiamenti?
    La risposta a questo interrogativo non è certamente semplice. La complessità del vivere sociale e la multidimensionalità dell'esperienza personale suggeriscono cautela. Con avvedutezza si possono avanzare ipotesi plurali e articolate che giustifichino situazioni diverse e differenti reazioni.
    Nondimeno ciascuno di noi assume di fatto, pur nella complessità, orientamenti e disposizioni che ne caratterizzano lo stile di vita. Le prese di posizione di un individuo vengono in qualche modo orientate da un atteggiamento di base spontaneo o maturato nel tempo.

    Uno degli atteggiamenti più diffuso riguardo al mutamento è la semplificazione della realtà. In sostanza si tende a negare il problema, meglio a risolverlo asserendo che non esiste, nascondendo la testa sotto la sabbia. La complessità del sistema sociale fa talmente problema da far trovare una via d'uscita in un realistico attenersi a quanto è constatabile: ossia sminuire la rilevanza di avvenimenti o fatti che sono invece sintomi di questioni complesse.
    D'altro canto si può assumere anche l'atteggiamento di chi vede soluzioni definitive dove non esistono neppure quelle ipotetiche. E' la sindrome da utopia: può essere giudicato "meglio viaggiare pieni di speranza che arrivare" (Stevenson); oppure si può addebitare alla propria insufficienza e incapacità l'irraggiungibilità utopistica della meta prefissata; o ancora si scarica ogni responsabilità ritenendosi categoricamente esenti dal mutare, per cui il compito di cambiare è di altri.
    Insomma di fronte al mutamento si può reagire - in termini dicotomici - con le spinte alla conservazione o alla rivoluzione. E anche se la traiettoria tra questi due estremi contempla nella realtà una serie graduale di atteggiamenti differenti, serve analizzare gli estremi per comprenderne le dinamiche.
    A situazioni inattese o inedite di un certo peso e valore si tende a reagire con l'estraneità, l'incertezza, l'indifferenza, la paura. Se l'evento è vissuto come ansiogeno e disturbante, la reazione può sfociare in una difesa acritica dello stato esistente o in una esigenza parossistica di trasformare la situazione, risolvendosi su piano ideologico o in conservatorismo o progressismo. E pur con soluzioni opposte, le due manifestazioni sono di una medesima dinamica reattiva volta a scongiurare un reale mutamento.
    Sia nell'uno che nell'altro caso, infatti, si tenta di esorcizzare il cambiamento nell'esaltazione (è un valore a tutti i costi) o nella demonizzazione (è un disvalore da rifiutare).
    Ma il mutamento può essere letto, pur nella inevitabile inquietudine che solleva, come una istanza promozionale,
    motivo di crescita, via per lo sviluppo. Riconosciuto quale fatto di vita significativo e non come strumento funzionale per trasformare o come motivo per reazioni difensive, il cambiamento opera da elemento dinamico e stimola processi maturanti.
    Interpretando il significato di un mutamento in atto o di una proposta di cambiamento, ci si mette nella condizione di non lasciarsi travolgere, ma di considerare i fenomeni con il dovuto "distacco partecipativo". La capacità umana di anticipare, mediante l'immagine simbolica, la meta intravista, offre la concreta possibilità sia di far emergere l'intenzionalità genuina che di assorbire l'ansietà provocata da quanto è sconosciuto. In questo modo si avverte che è ammissibile, e magari augurabile, agire diversamente. La scelta motivata e consapevole sbilancia sul da farsi, provocando l'esigenza di prevedere. Per gestire la propria azione in avanti, diviene necessario progettare, riconoscendo quanto vi è di possibile e realizzabile. Ma come si attua un simile processo nei fatti quotidiani?!

    Ciascuno di noi possiede un mondo di desideri e di sogni. Sognare è importante nella vita: fa parte della capacità immaginativa, fantastica, creativa della persona. E' la sua dimensione costruttiva e divergente, la sua proiezione nell'utopico, nell'ideale.
    Però ognuno ben sa che la propria vita deve essere radicata sul principio della realtà. Ci sono bisogni reali, richieste concrete, condizioni di fatto che attendono assensi e gratificazioni. Ammettere facili errori in questo campo è spesso fatale. L'uomo ha delle esigenze concrete che devono essere soddisfatte.
    Certo tutti sanno che il desiderio, l'utopia possono trasformarsi in illusioni, o addirittura in allucinazioni, in "utopismo". E che il bisogno, l'istinto si modificano anche in insaziabilità istintuale o in esaltazione della sola corporeità, in "pragmatismo".
    Eppure l'incontro, la sutura, l'integrazione tra l'immaginario e il realistico, tra l'emozionale e il razionale procurano un terreno fertile per l'uomo e la sua cultura: è il possibile, il progettabile. Non certo inteso questo come compromesso opportunistico, bensì quale opportunità per la persona di giocarsi nelle sue intenzioni; e quindi non nella logica della necessità o dell'ovvio, ma nella coerenza dell'apertura significativa, e persino del pericolo della non totale prevedibilità degli altri.
    L'educatore è ben consapevole che in questo rischia la sua avventura educativa. E' proprio dell'azione pedagogica assumere un consapevole orientamento verso il futuro. E futuro vuol dire apertura al possibile, ossia apertura verso orizzonti che sollecitano ad andare oltre nella prospettiva dei valori. L'azione educativa del resto non si snoda nella fuga dall'utopia o nelle secche dell'esistente, non si sviluppa nell'astrazione dal contesto culturale in cui avviene o lungo le scie dell'idealismo.
    Diventa efficace e significativa invece quando si incarna nelle situazioni prospettando orizzonti nuovi, valori possibili, evidenze maturanti, e non si impantana nei meccanismi di necessità o nella sicurezza degli esiti per correre il rischio educativo, che dice rispetto della libertà e responsabilità dell'uomo.

    3. Dinamismi del cambiamento interiore

    Il mutamento è secondo la vita. Di fronte ad esso si possono avere reazioni più o meno produttive che bloccano o facilitano.
    Si è tuttavia incuriositi sul dinamismo che si mette in atto nell'uomo allorché avviene un cambiamento. Anzi, è più di una curiosità, poiché qualsiasi trasformazione, modifica o mutamento non avrà molto successo, se non viene integrato nelle strutture personali. Sistemi sociali impositivi o ideologici mostrano prima o poi tutta la loro inconsistenza. Bisogni indotti e ideali artificiosi non durano nel tempo: possono ostacolare un cammino di crescita, condizionano anche con forza chi ne è inconsapevole, ma in maniera persino inconsulta vengono meno come mode che cambiano ad ogni soffiar di vento.

    Ed allora cerchiamo di conoscere un po' più i dinamismi del cambiamento interiore, soprattutto di comprendere a fondo quel proverbio francese per cui "più si cambia e più si rimane la stessa cosa".
    In effetti indagare sul cambiamento vuol dire più propriamente sollevare la questione del rapporto sconcertante tra cambiamento e persistenza. Il paradosso è reale : un individuo cambia pur rimanendo sempre se stesso, e quanto meglio ricerca la sua identità tanto più si modifica. Nella nostra cultura si sono in genere elaborate molte teorie al riguardo. Esse vertevano per lo più o sulla persistenza o sul cambiamento, considerando in generale l'invarianza uno stato naturale e il mutamento un problema da spiegare, o viceversa.
    Oggi riconosciamo che si tratta di un fenomeno complementare: ci si interroga contemporaneamente sulla persistenza di una situazione problematica e sull'intervento per cambiarla.
    Ci addentriamo nell'analisi affrontando una questione assai sentita: il rapporto educativo, causa di incomprensione e di frustrazioni. Si vorrebbe trovare la strada giusta, risolvere il problema tra autorità e libertà nell'educare. Ma di frequente la soluzione prospettata più che essere un cambiamento è il reale problema. Ma esaminiamo la questione in dettaglio.
    Se collochiamo il rapporto educativo all'interno di un sistema di interazione, ad esempio tra generazioni differenti, la possibilità di mutamento degli atteggiamenti scorre su un asse che va dalla simbiosi al distacco. Le soluzioni possibili contrapposte indicano da un lato che si prende posizione sull'altrui generazione dichiarandone l'inconciliabilità. "La gioventù di oggi - è scritto su una tavoletta babilonese di 3000 anni fa - è corrotta nell'anima, è malvagia, empia, infingarda. Non potrà mai essere ciò che era la gioventù di una volta e non potrà mai conservare la nostra cultura". Dall'altro al contrario si segnala che la questione si risolve accorciando le distanze, comunicando in modo simmetrico, sullo stesso piano. Immedesimarsi nella situazione del giovane con forme di giovanilismo dell'adulto, o esigere che la gioventù ragioni alla maniera adulta (adultismo) sono azioni spesso pensate come cambiamenti risolutivi. E non vale certo ricorrere alle differenti variazioni o mediazioni tra i due poli, perché il problema non cambia. Gli atteggiamenti di fondo sono gli stessi, anche se mutano nel loro manifestarsi in modo più o meno moderato. Secondo un certo buon senso infatti può bastare l'introdurre elementi opposti a quanti hanno creato la situazione per rovesciarla o mutarla. Quando si tratta di semplici difficoltà, anche un simile modo di agire può bastare, ma allorché si tenta di affrontare un problema che esige un cambiamento interiore, la cosa non funziona più.
    Generalizzata su piano teorico, la questione sta nei termini seguenti: un qualsiasi mutamento che avvenga all'interno di un sistema chiuso, in equilibrio omeostatico, non provoca un reale cambiamento. Si muta cioè in un gioco senza fine, ma senza cambiare le regole del mutamento che porterebbero a una reale novità.
    Per superare questa impasse occorre andare oltre il sistema, pensare la situazione come un sistema aperto che ne permetta la revisione globale: è la struttura stessa del sistema a dover ricevere e accettare un cambiamento. Usando un'immagine, non serve a nulla premere l'acceleratore per aumentare la
    velocità, se si rimane in prima; è necessario cambiare marcia, immettere nel circuito una novità per superare un blocco senza via d'uscita.
    Recuperando il problema precedente sul rapporto educativo, un reale cambiamento si instaura quando i soggetti in interazione accettano la loro condizione di differenza, di "diversità", per progettare un qualcosa di nuovo che li supera. In questo modo il rapporto educativo non si ripiega su di sé, ma si apre a istanze, valori, esigenze, come possono essere l'autonomia personale, la solidarietà, la sopravvivenza, la qualità della vita..., che li interpellano e sfidano.
    I mutamenti del rapporto superano la loro sterilità, proiettandosi verso la realizzazione di "progetto". Il sistema viene rivisitato, rinnovato, assimilando un qualcosa di nuovo nella dinamica del cambiamento. La persistenza e il cambiamento trovano così la loro integrazione in una perenne ricerca di crescita e di maturazione.
    In altro modo possiamo riesprimere così la dinamica del cambiamento interiore. Se consideriamo l'atteggiamento umano come il nostro modo tipico di essere e come una disposizione ad agire in una certa maniera di fronte alle situazioni, non lo si cambia con molta facilità. Un cambiamento esige una nuova percezione o addirittura ristrutturazione di se stessi: è un processo che tocca l'equilibrio interiore, che incide sugli atteggiamenti.
    Ora per provocare un cambio di atteggiamento occorre procedere in modo organico e puntuale. Il soggetto inquadra anzitutto il problema. Non è sempre agevole riconoscerlo con facilità, eppure è assolutamente indispensabile enucleare il punto dolente, prendere coscienza della reale situazione. Tra mille sentimenti, idee, emozioni non si può sfuggire di guardare in faccia alla realtà, anche facendosi aiutare, se si intendono ricercare soluzioni adeguate: si tratta di identificare il vero problema e non sostare su quelli apparenti o mascherati. Capire "che cosa" sta avvenendo è l'indispensabile: l'approccio pragmatico, che non si perde in un gioco senza fine di ricerca delle motivazioni, persegue la ricognizione del problema umano per tentarne la soluzione in prospettiva. In sostanza non si fa perno sulla ricerca nel passato, bensì si guarda più alla possibilità di un nuovo atteggiamento, mettendo di fronte la persona a scelte personali.
    Senza dubbio la semplice conoscenza della situazione non modifica il problema, e tanto meno cambia l'atteggiamento, ma opera una catarsi indispensabile per superare tensioni o ansie e prendere opportune distanze dalla situazione.

    Il secondo passo per provocare un cambio di atteggiamento consiste nell'immaginare il nuovo. Chiarita la situazione problematica, occorre ottenere informazioni che prefigurino un diverso atteggiamento da assumere oppure leggere la situazione in una visuale rinnovata. Si setacciano perciò all'analisi motivazioni e scelte, intuizioni e ragioni, condizioni e prospettive. Questo passaggio è il presupposto per la tappa successiva: ossia il confronto con il proprio atteggiamento, e in genere con la situazione problematica.
    La riconsiderazione attenta del consueto e dell'innovativo matura gradualmente la percezione che è possibile cambiare: il vecchio atteggiamento perde la sua assolutezza indiscutibile e
    il nuovo viene ritenuto assimilabile.
    Anche se il momento della decisione e della scelta rimane avvolto nell'indecifrabile, un sintomo manifesta che il cambio sta per attuarsi: è il ripensamento di sé secondo la nuova categoria. Il nuovo atteggiamento verrà così a maturazione e l'individuo esperimenta che dentro di sé emerge "un nuovo sentire", che si sta cambiando. Ristrutturarsi allora significa mettere nella condizione di affrontare la situazione, senza eluderla, perché il modo nuovo di guardare la realtà ne ha mutato o approfondito il senso, operando al livello del suo significato. Quest'iter di cambiamento non dice "tutto e subito". Quando le mete previste sono concrete e raggiungibili, si producono effetti positivi. Ma si tratta sempre di un autentico cammino da compiere in gradualità. E se la dinamica del cambiamento interiore è una comune esperienza, non per tutti avviene con i medesimi ritmi o sviluppi. Si possono indicare le comuni direttrici di marcia, ma a nessuno è tolta la fatica e la gioia di vivere il travaglio di una vita che si compie vivendola.

    4. Per un cambiamento integrale

    I dinamismi di cambiamento interiore sono strettamente legati all'individuo come "uomo di gruppo". La persona umana non è pensabile come un'isola intrapsichica, dove si consumano energie per sostare nel mondo. Deve essere considerata assai più come un centro di operazioni, in costante interazione con il tessuto sociale e la realtà circostante. Essa è immersa in una rete di comunicazioni, di legami sociali, di interdipendenze personali; si riconosce in stili di vita, in modelli di comportamento, in sistemi di valore che condivide; si esprime in contesti sociali e culturali determinati, assume funzioni e ruoli previsti, diventa creativa e singolare, si impegna in progetti e si realizza in organismi e istituzioni.
    E' dunque lecito, anzi indispensabile, interrogarsi su come si esprime culturalmente il cambiamento. Nella complessità delle situazioni e nel pluralismo delle proposte in cui viviamo oggi, occorre anche porsi un serio interrogativo educativo: come sottrarre alla disintegrazione personale, ai comportamenti dissociati, alla segmentazione frustrante della vita odierna?

    Insomma si pone la questione del cambiamento "integrale": ossia il cambiamento non è tale se non integra significativamente tre dimensioni che costituiscono la personalità umana in condizione associata. Del resto l'individuo vive essenzialmente insieme ad altri (struttura relazionale), parla con gli altri (scambio di significati vitali), opera in interconnessione con gli altri (modelli di comportamento) .
    L'uomo è per definizione un essere insieme agli altri: nessuno è un assoluto esistenziale. La condizione umana sta nell'interazione. La relazione interpersonale è il tessuto vivo della sua esistenza. La può gestire come un fatto di progressi o regressi, di avvicinamento o distanza tra persone. Ma sussiste sempre la potenzialità a "sentirsi insieme", a una rete di relazioni che creano condivisione e unità. Sulla base di tale struttura relazionale i vissuti sociali scorrono tra la convivenza e la comunione. Alla persona è lasciato di
    gestire i rapporti perché non si sclerotizzino o degenerino.
    Quando ci si difende o si erigono barriere protettive, la relazione sociale viene deformata e la persona è posta in deprivazione. Il rapportarsi con la propria identità e il comunicare in apertura conducono sulla strada di opportuni cambiamenti: si mette in atto una struttura relazionale dinamica e accogliente in vista di uno scambio vitale di significati con la parola. E questa è per l'uomo un segno della sua intelligenza, oltre che esigenza umana fondamentale. E' tanto ovvia la cosa che nessuno la mette in dubbio. Ma parlare significa dire qualcosa, riferire esperienze, comunicare dei vissuti. E se è vero che si parla spesso per dovere sociale o per obbligo di circostanza, è altrettanto reale che di frequente lo si fa per comunicare valori e significati. Così facciamo emergere le motivazioni che ci guidano e gli ideali in cui crediamo. Il mutuo scambio di tali insiemi culturali orienta la convivenza in senso umano. E se il confrontarsi è solo un fatto formale o ricerca di consenso acritico, allora ci si accorge di parlare a vuoto, di prevaricazione demagogica, di vuoto esistenziale. Al contrario, quando si comunica qualcosa di vivo e di significativo, si coglie il senso del comune impegno, la possibile condivisione di valori e di ideali.
    Lo scambio si tramuta così in progetto che prende corpo nella vita quotidiana. Il sistema di valori e di ideali condivisi si fa progetto sociale e politico oltre che progetto di vita personale. L'agire nella prassi diviene una conseguenza logica e può essere vissuta sia come espressione-esplicazione di se stessi che come intervento per trasformare il mondo circostante. Sono due aspetti di una stessa realtà, che se possono essere vissuti come separati, esprimono tuttavia la medesima dimensione operativa dell'azione umana. Eseguire compiti, assumere ruoli, svolgere funzioni, manipolare l'esistente è impegno di ciascuno. Il fare insieme può essere un semplice attivismo collettivo, come può anche diventare un agire nella cooperazione. Ognuno ha una funzione produttiva se la prospettiva è l'integrazione. L'esecuzione organica di compiti sociali in una composizione equilibrata di funzioni e ruoli infonde nella persona il senso di realizzazione storica di ciò in cui crede. Norme di condotta e criteri valutativi dell'azione sono dunque per l'uomo e per il suo progresso: il tutto sta nel riconoscerli e valorizzarli per la crescita.
    In sintesi l'uomo vive con altri, scambia messaggi, agisce in comune: discerne, valuta, sceglie, investe di senso la realtà e progetta il suo futuro. Egli agisce e reagisce sulla base della germinazione biologica e della stimolazione socio-ambientale. Capace di trascendere i fenomeni per coglierne il senso, progetta con creatività e costruisce la sua vita comune. Nella sua originalità egli è capace di interpretare la realtà e di intervenire intenzionalmente nella sua storia. Sono queste le premesse per un cambiamento dinamico e integrale che dia spazio all'uomo come soggetto e protagonista. E al contempo tali sono anche le condizioni perché la trasformazione possa essere veritiera e reale.
    Pertanto, in considerazione dell'aspetto educativo, un cambiamento non risulterà incisivo per la persona e nel tessuto sociale, se non si incarna in una rete di relazioni interpersonali rinnovate (socializzazione), se non ne risulta una nuova interpretazione significativa della realtà
    (coscientizzazione) e infine se non si traduce in realizzazione storica con gesti concreti (acculturazione).
    La relazione, il significato e il gesto sono tre elementi che concorrono a costruire un reale cambiamento significativo. Del resto la parola che rivela il significato di un cambiamento rimane vuota se non segue un gesto concreto che manifesti quanto è mutato; e peraltro un nuovo comportamento che non sia motivato, risignificato sfugge alla consapevolezza umana. Così, per essere veritieri, valori e ideali richiedono di essere partecipati nello scambio e condivisi nella corresponsabilità; come anche la relazione interpersonale si svilisce e degenera quando non è sostenuta da voglia di progettualità e da sentimenti di cooperazione pur nella diversità dei compiti.
    Nella costruzione di una personalità lo sviluppo delle tre dimensioni suindicate sono fondamentali e strettamente interrelate. E anche se non possono essere pensate distinte che nella sola riflessione, tuttavia la loro esistenza fenomenica è reale. Emerge chiaramente all'evidenza, allorché si verifichi una enfatizzazione di una di esse a scapito delle altre.
    Per questo quando viene esasperata la percezione interpersonale con una sottolineatura eccessiva della rete relazionale e quindi della partecipazione, si verifica una chiusura sociale e una discriminazione del diverso: il fatto emotivo-affettivo relazionale ha il sopravvento sul resto, ossia sia sulla funzionalità di un'aggregazione sociale che sulla sua forza progettuale.
    E se al contrario l'agire nell'eseguire un compito si funzionalizza talmente da isterilire la spontaneità relazionale della persona, prende il sopravvento l'aspetto utilitaristico e burocratico: ciò che è razionale nel perseguimento di scopi diviene razionalizzazione impersonale, e quindi fossilizza la persona. I modelli di comportamento appaiono come sclerotizzati e insensibili al fine di una collaborazione umana. E infine nel caso in cui si desse la prevalenza alla elaborazione di valori e scambio dei significati, senza passare poi di conseguenza alla loro realizzazione storica, si corre il reale rischio dello svuotamento di senso e del puro accademismo. La visione del mondo basata su valori e ideali si trasforma in sterile ideologismo che prevarrà sia sulle relazioni interpersonali che sullo svolgimento di compiti, trasformandoli in meccanismi difensivi delle proprie idee in modo acritico e dogmatico.
    Insomma le tre dimensioni descritte richiedono uno sviluppo organico e sistematico per formare una personalità matura, e concorrono indispensabilmente insieme a provocare cambiamenti integrali e duraturi.


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