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    Don Milani

    insegna ancora

    Lorenzo Artusi

    Come avvicinarsi alla complessa figura del sacerdote Lorenzo Milani? Difficile è farsi un'idea chiara su di lui, soprattutto per chi pensa al cristianesimo come a una morale o a una struttura, anziché viverlo come una sequela. Al centro della sua esistenza, infatti, c'è il mistero dell'essere umano e della sua incancellabile relazione con Dio, come emerge dalle splendide pagine della biografia che gli dedicò Neera Fallaci.

    Un libro con tante anime

    Chi era don Milani? È questa una domanda che non può conoscere una risposta definitiva, ma che invita a mettersi in gioco e in ricerca del mistero più profondo della vita. Don Lorenzo Milani rimane, sotto questo aspetto, una provocazione. Tra gli innumerevoli testi scritti dedicati a questo sacerdote fiorentino, il libro di Neera Fallaci (1932-1984), intitolato Vita del prete Lorenzo Milani. Dalla parte dell'ultimo, con una prefazione di David Maria Turoldo e una postfazione di Mario Gennari (edito da Rizzoli nel 1993; ma la prima edizione è di Milano Libri Edizioni del 1974), è certamente, a tutt'oggi, «il più completo e il meglio articolato tra i molti libri scritti sulla vita di don Lorenzo Milani», come scrive proprio Mario Gennari nella postfazione al volume. L'autrice, sorella della celebre scrittrice e giornalista Oriana Fallaci, è riuscita a restituirci la personalità di don Milani soprattutto grazie a una forte empatia che emerge dalle più di seicento pagine del volume. Una ricerca minuziosa, ricchissima di documenti, testimonianze dirette, inediti, fotografie. Leggendo questo volume si fa l'esperienza di un vero e proprio incontro con Lorenzo Milani.
    Ho letto per la prima volta questo volume nel 1994, su suggerimento di don Bruno Forte; era appena uscita l'edizione Rizzoli, voluta da Oriana Fallaci alcuni anni dopo la morte della sorella. A quel tempo, incontravo spesso Fioretta Mazzei che aiutavo nel suo infaticabile lavoro per far conoscere Giorgio La Pira. Fu proprio Fioretta a dirmi che Neera Fallaci era stata molto aiutata, nella composizione di questo libro, da don Raffaele Bensi, confessore e guida di don Milani. Poco dopo, qualcuno del gruppo di Fioretta mi disse che, durante gli ultimi mesi di vita di don Milani, egli non permetteva a nessuno di visitarlo e che Fioretta era stata una delle poche persone ammesse al suo capezzale: "una di noi", diceva di lei, se non ricordo male, don Lorenzo. Probabilmente, tra gli aiuti ricevuti da Neera Fallaci per la stesura di questa biografia, c'era stato anche quello di Fioretta, una delle persone che lesse la Lettera a una professoressa ancora in fase di stesura e a cui fu chiesto un certo contributo (cfr. la lettera di don Lorenzo Milani del 30 ottobre 1966, in op. cit., p. 592).

    Incontrare don Milani

    La lettura di questo volume è piacevolissima e molto scorrevole. L'intelligenza curiosa di Neera Fallaci conduce il lettore sulle tracce lasciate da don Lorenzo, dal momento della nascita a Firenze al periodo degli studi e poi alla conversione e all'ingresso in seminario; per arrivare al periodo in cui era cappellano a San Donato e via via alla stesura delle opere che lo hanno reso celebre, fino agli anni finali a Barbiana e alla morte. A differenza di tanti altri, Neera Fallaci capisce profondamente, forse fino a condividerle, la coerenza e la radicalità del sacerdote fiorentino. Il libro, in effetti, appare come un incontro ammirato tra due personalità.
    Nella lettura dell'intero volume, ad esempio, emergono aspetti della personalità di don Milani che evidentemente ricorrono in tanti episodi della sua vita come tratti fondamentali della sua personalità. Si pensi al grande senso di libertà che ha evidentemente affascinato prima di tutto la sua biografa, così come emerge fin dagli anni giovanili, nelle testimonianze dei suoi compagni di liceo, tra cui Oreste Del Buono che ricorda Lorenzo come uno che «pareva non avesse da rendere conto a nessuno, se non a se stesso» (ivi, p. 55). Ed è proprio la libertà che emerge dalla sua scelta di fedeltà all'esilio di Barbiana: «Quando uno liberamente regala la sua libertà è più libero di uno che è costretto a tenersela» (da un biglietto di don Lorenzo alla madre, p. 602). È lo stesso impegno alla libertà con cui forse conduce l'esperienza della scuola di Barbiana in cui don Lorenzo testimonia proprio «quell'impegno di libertà educando ininterrottamente alla ricerca, allo studio e al desiderio di verità, ritenendo la fede il momento culminante di un percorso di formazione piuttosto che il suo punto di partenza» (dalla postfazione di Mario Gennari, p. 602). Una lucidità che lo rende attualissimo, come annotava già Ernesto Balducci: don Lorenzo combatteva le costanti del consumismo che allora andava diffondendosi e che oggi è il nostro principale avversario: «l'arrivismo, la competizione, il denaro, il falso progresso, la libidine del potere, la scienza asservita alla guerra, il bisogno di successo a ogni costo, l'egoismo, la violenza nascosta, il narcisismo, il disimpegno e, in ultimo, i miti delle mode con le loro icone così spiccatamente metropolitane» (ivi).
    Dall'esilio di Barbiana, don Milani denuncia gli inganni della modernità, rivolgendosi invece alla "persona" come a un valore totale e definitivo. La scuola di Barbiana è per questo principalmente un ambiente educativo dove i ragazzi studiano per conoscere e non per essere valutati. Studiano per diventare liberi. Vengono in mente le pagine di prefazione che Oriana Fallaci ha scritto al celebre racconto dello scrittore Jack London, Il richiamo della foresta, per l'editore Rizzoli, in cui ricorda come da bambina, leggendo quella storia, avesse capito in particolare quanto fosse importante nella propria vita lottare con tutte le forze per mantenere la propria libertà.

    Perché tanti contrasti?

    La vita cristiana, in questo senso, mette sempre a nudo la contraddizione della vita ordinaria, di una vita che "misura", che si comporta secondo la morale, segue le regole. Ciò che punta il dito sulla contraddizione di chi si dice cristiano, ma poi fatica davvero molto a vivere il vangelo, è la salvezza messa in atto da Gesù Cristo. Chi dice, infatti, «è così, questa è la condizione umana, questi ne sono i suoi limiti», viene ferocemente smentito da chi, invece, vive ed è testimone di una condizione diversa, redenta, salvata da Cristo: ecco la buona novella, l'evangelo, la buona notizia! La salvezza ci raggiunge qui e ora ed è già all'opera. Il Salvatore entra in relazione con la mia vita e si propone di salvarla! Questo è quanto accaduto all'esistenza "marginale" di don Lorenzo Milani, priore di Barbiana, parrocchia costituita da una manciata di case del monte Giovi, alle pendici del Mugello toscano.
    Come afferma David Maria Turoldo, «don Lorenzo ti denuda; è la voce della coscienza che ti frastuona». Che ti fa sentire la vergogna di essere stato suo amico, suo contemporaneo e di non aver imparato, di non esserti convertito, di essere quello di sempre. Leggendo questo libro di Neera Fallaci, «ad un certo punto – continua Turoldo nella prefazione – non ti trovi più con un libro in mano, solo e quieto nel tuo studio fasciato di silenzio; ma ti senti fisicamente al muro e davanti non hai più pagineamate, ma un dito teso come una canna di pistola ad accusarti su tutto» (ivi, p. 1).

    Nel volto del Salvatore

    La salvezza non è, allora, una cosa astratta, ma ci raggiunge lì dove abbiamo bisogno, lì dove è la nostra condizione di "morte", per redimerla, per farci risorgere a vita nuova. Cristo Salvatore è colui che redime e salva l'individuo nella situazione in cui è nel presente. Il cristiano è chiamato a operare, a mettere in atto questa condizione: annunciare Cristo non significa esporne la dottrina, ma farlo incontrare come Salvatore! «Il grande rischio del mondo attuale – scrive papa Francesco –, con la sua molteplice e opprimente offerta di consumo, è una tristezza individualistica che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata. Quando la vita interiore si chiude nei propri interessi non vi è più spazio per gli altri, non entrano più i poveri, non si ascolta più la voce di Dio, non si gode più della dolce gioia del suo amore, non palpita l'entusiasmo di fare il bene» (Esortazione apostolica Evangelii gaudium, n. 2). Questo pensiero di papa Francesco sembra descrivere quello che il motto I care, che don Milani aveva appeso alla parete della scuola di Barbiana, indica in sintesi: quella cura in cui l'io si riconosce in un tu, in cui si scopre il nesso tra umano e divino. Così capiamo le parole che don Lorenzo rivolge ai suoi ragazzi, alla fine della sua vita: «Ho voluto più bene a voi che a Dío, ma ho speranza che lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto sul suo conto» (ivi, p. 605).
    Per comprendere don Milani, in definitiva, occorre partire da quello che tutti coloro che lo hanno conosciuto bene riconoscono come il centro della sua vita, dal Vangelo. Da quella verità che sola rende liberi! Una verità fatta di persone concrete che il buon Dio ci mette accanto. Sono esse la Salvezza, sono esse il modo in cui il Salvatore ci raggiunge ora e ci parla: nei fratelli che ci affida e che divengono la sua parola per noi. La parola che egli invia in questo momento per raggiungermi. Per dirsi. Per annunciare la salvezza. Per metterla in opera. E questo, di Neera Fallaci, è un libro che ci rende possibile incontrare ancora oggi don Lorenzo Milani, per essere da lui contagiati dal germe straordinario dell'Evangelo! 

    (FEERIA, 2017/1 - n. 51, pp. 55-57)


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