Attesi dal suo amore
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    Dell'essere
    un buon prossimo

    Martin Luther King

     

    «E chi è il mio prossimo?»
    Luca,10, 29.

    Gesù narrò la storia di un uomo, che scendeva da Gerusalemme e incappò nei ladroni, che lo spogliarono, lo bastonarono e, andandosene, lo lasciarono mezzo morto. Per caso, passò di là un sacerdote, ma tirò dritto, dall'altra parte della strada, e più tardi anche un levita passò oltre. Finalmente, passò un samaritano, di razza inferiore, di un popolo con cui i giudei non avevano relazioni. Quando vide l'uomo ferito, fu mosso a compassione, gli somministrò i primi soccorsi, lo mise sul suo asino, «lo portò in una locanda, e si prese cura di lui».
    Chi è il mio prossimo? «Non conosco il suo nome», dice Gesù in sostanza. «E’ chiunque verso cui voi agiate da buon vicino. È chiunque giace nel bisogno all'angolo della strada della vita. Non è giudeo né gentile, né russo né americano, né negro nè bianco. È ‘un uomo’ - ogni uomo in bisogno - in una delle numerose strade della vita». Così Gesù definisce il prossimo, non con una definizione teologica, ma con una situazione vitale.
    In che consisteva la volontà del buon samaritano? Perché egli sarà sempre un paragone ispiratore della virtù dell'amicizia? Mi sembra che la bontà di quest'uomo possa essere descritta con una sola parola: altruismo. Il buon samaritano era altruista nell'intimo.
    Il samaritano aveva la capacità di un altruismo universale. Aveva uno sguardo che penetrava fino a ciò che sta oltre gli esterni accidenti di razza, religione e nazionalità. Una delle più grandi tragedie del lungo viaggio dell'uomo sulle vie della storia è stata la limitazione del prossimo alla tribù, alla razza, alla classe o alla nazione.
    Le disastrose conseguenze sono che uno non si cura realmente di ciò che accade alla gente al di fuori del proprio gruppo. Se un Americano si preoccupa solo dei propri connazionali, egli non si interesserà dei popoli dell'Asia, dell'Africa o del Sudamerica. Non è forse questa la ragione per cui le nazioni s'impegnano nella follia della guerra senza il minimo segno di pentimento? Non è forse questa la ragione per cui l'uccisione di un cittadino della vostra nazione è un delitto e l'uccisione di cittadini di un'altra nazione in guerra è un atto di virtù eroica?
    Pochi anni fa, quando un'automobile che trasportava diversi membri della squadra di pallacanestro di un collegio negro ebbe un incidente in una strada del sud, tre dei giovani rimasero gravemente feriti. Fu chiamata immediatamente un'autoambulanza, ma arrivando sul posto dell'incidente, l'autista, che era un bianco, disse, senza cercare di scusarsi, che non era affar suo servire dei negri, e tornò via. Il guidatore di un'automobile di passaggio portò generosamente i ragazzi al più vicino ospedale, ma il medico che li ricevette disse bellicosamente: non accettiamo negri in questo ospedale. Quando finalmente arrivarono ad un ospedale di colore, in una città a circa 150 miglia dalla scena dell'incidente, uno era morto e altri due morirono 30 e 50 min più tardi, rispettivamente. Probabilmente tutti e tre si sarebbero salvati se avessero ricevuto cure immediate. Questo è solo uno delle migliaia di innumerevoli incidenti che avvengono ogni giorno nel Sud, incredibile espressione delle barbare conseguenze di ogni etica che abbia come centro la tribù, la nazione, la razza.
    La vera tragedia di un così angusto provincialismo è che noi vediamo le persone come entità o addirittura come cose. Troppo raramente vediamo le persone nella loro reale essenza umana. Una miopia spirituale limita la nostra visione: vediamo gli uomini come giudei o gentili, cattolici o protestanti, cinesi o americani, neri o bianchi, non pensiamo a loro come a esseri umani simili a noi, fatti della nostra stessa sostanza fondamentale, modellati sulla stessa immagine divina. Il sacerdote e il levita videro solo un corpo sanguinante, non un essere umano simile a loro. […] Se il samaritano avesse considerato l'uomo ferito innanzi tutto come un giudeo, egli non si sarebbe fermato, perché i samaritani non avevano relazioni con loro: egli lo vide innanzitutto come un essere umano, che era giudeo solo per accidente.
    Il buon prossimo guarda oltre gli accidenti esterni e scorge quelle qualità interiori che rendono tutti gli uomini umani e, perciò, fratelli.
    Il samaritano possedeva la capacità di un altruismo pericoloso.
    La strada di Gerico è una strada pericolosa.
    È possibile che il sacerdote e il levita temessero, qualora si fossero fermati, di essere assaliti. Forse i briganti erano ancora nelle vicinanze; o forse l'uomo ferito al suolo era un simulatore, che voleva attirare dalla sua parte i viaggiatori di passaggio, per una rapida e facile rapina. Io immagino che la prima domanda che il sacerdote e il levita si posero fu: “se mi fermo per aiutare quest'uomo, che cosa mi succederà?” Ma per la natura stessa del suo interessamento il samaritano rovesciò la domanda: “se io non mi fermo per aiutare quest'uomo, che cosa ne sarà di lui?”. Il buon samaritano s'impegna in un altruismo pericoloso.
    Non ci domandiamo spesso: “che ne sarà del mio lavoro, del mio prestigio, della mia situazione, se io prendo posizione in questa questione? La mia casa sarà bombardata, la mia vita minacciata, o verrò messo in prigione?”. L'uomo buono rovescia sempre la domanda. Albert Schweitzer non si domandò: “che ne sarà del mio lavoro, del mio prestigio, della mia sicurezza come professore universitario e della mia situazione come organista, esecutore di Bach, se io lavoro con la gente dell'Africa?“, ma si domandò invece “Che ne sarà di questi milioni di uomini colpiti dalle forze dell'ingiustizia, se io non vado a loro?“.
    Abramo Lincoln non si domandò: “Che ne sarà di me, se io pubblico la Proclamazione di emancipazione e metto fine alla schiavitù?”, ma si domandò: “Che ne sarà dell’Unione e di milioni di negri, se io non lo faccio?”.
    La misura definitiva di un uomo non la si trova là dove egli sta nei momenti di tranquillità e di convenienza, ma là dove egli sta nei momenti di difficoltà e di controversia. Il vero prossimo rischierà la posizione, il prestigio e anche la vita per il benessere degli altri. Attraverso vallate pericolose e su rischiosi sentieri, egli solleverà qualche fratello oppresso e schiacciato ad una vita più alta e più nobile.
    Il samaritano possedeva anche un altruismo eccessivo. Con le sue stesse mani egli fasciò le ferite dell'uomo e poi lo collocò sul suo asino: sarebbe stato più facile pagare un'ambulanza per portare l'infelice ospedale, piuttosto che rischiare di macchiarsi di sangue l'abito bene assettato.
    Il vero altruismo è più della capacità di essere pietosi: é la capacità di sim-patizzare.
    La pietà può rappresentare poco più della premura che spinge ad inviare un assegno, ma la vera simpatia è l'interessamento personale che esige il dono della propria anima. La pietà può nascere dall'interesse per un’astrazione chiamata umanità, ma la simpatia nasce dalla premura per un particolare essere umano bisognoso che giace all'angolo della strada della vita. Simpatia è un sentimento di amicizia per la persona in bisogno: per la sua pena, per la sua angoscia, per i suoi fardelli. I nostri sforzi missionari falliscono quando sono fondati sulla pietà, piuttosto che sulla vera com-passione. Invece di cercare di fare qualcosa con le popolazioni africane e asiatiche, troppo spesso noi abbiamo cercato soltanto di fare qualcosa per loro. Una manifestazione di pietà priva di genuina simpatia porta ad una nuova forma di paternalismo, che nessuna persona che si rispetti può accettare. I dollari possiedono potenzialmente la capacità di aiutare i figli di Dio feriti sulla strada di Gerico della vita, ma se quei dollari non sono distribuiti da dita compassionevoli, non arricchiranno né chi li dà, né chi li riceve. Milioni di dollari missionari sono andati all'Africa attraverso le mani di gente di chiesa, che morirebbe milioni di volte piuttosto di concedere ad un Sudafricano il privilegio di partecipare al culto nella loro congregazione. Milioni di dollari del Corpo della Pace vengono investiti in Africa in forza del voto di uomini che lottano inflessibilmente per impedire che ambasciatori africani ottengano di essere membri del loro clubs diplomatici o stabiliscano la residenza nelle loro vicinanze. Il Corpo della Pace fallirà, se cerca di fare qualcosa per i popoli non privilegiati del mondo; avrà successo, se cerca costruttivamente di fare qualcosa con loro: fallirà come movimento negativo per sconfiggere il comunismo; avrà successo solo come sforzo positivo per eliminare dalla terra la povertà, l’ignoranza e la malattia. Il danaro senza amore è come il sale senza sapore, buono solo per essere calpestato sotto i piedi degli uomini. Il vero amor di prossimo esige interessamento personale.
    Il dottor Harry Emerson Fosdick ha fatto una calzante distinzione tra obblighi coercitivi e obblighi non coercitivi. I primi sono regolati dai codici della società e dalla vigorosa attrezzatura delle forze dell'ordine: l’infrazione di tali obblighi, esposta in migliaia di pagine nei libri della legge, ha riempito numerose prigioni. Ma gli obblighi non coercitivi sono fuori della portata delle leggi della società: essi riguardano gli atteggiamenti interiori, le relazioni genuine da persona a persona, e le espressioni di compassione che i libri di legge non possono regolare e le prigioni non possono correggere: tali obblighi si onorano affidandosi ad una legge interiore, scritta nel cuore. Le leggi umane assicurano la giustizia, ma una legge più alta produce l'amore. Nessun codice di condotta ha mai indotto un padre ad amare i suoi figli o un marito mostrare affetto alla moglie: il tribunale può forzarlo a provvedere gli alimenti per la famiglia, ma non può costringerlo a provvedere l'alimento dell'amore: un buon padre obbedisce ad un comandamento non coercitivo.
    Nel nostro paese oggi ha luogo una poderosa lotta: è una lotta per conquistare il regno di un mostro malvagio chiamato segregazione e del suo inseparabile gemello chiamato discriminazione, un mostro che è andato errando attraverso questo paese per quasi un centinaio d'anni, spogliando milioni di negri del loro senso di dignità e derubandoli del loro diritto nativo alla libertà.
    Gli ordini dei tribunali e le forze di polizia sono di inestimabile valore per mettere fine alla segregazione, ma la fine della segregazione è solo un passo parziale, sebbene necessario, verso la meta, verso la meta finale che cerchiamo di realizzare, una forma di vita veramente intergruppale e interpersonale. La fine della segregazione abbatterà le barriere legali e avvicinerà gli uomini fisicamente, ma qualche cosa deve toccare il cuore e l'anima degli uomini, così che essi vogliano stare insieme spiritualmente, perché questo è naturale e giusto. Un vigoroso rafforzamento delle leggi sui diritti civili metterà fine alla segregazione nei pubblici servizi, che è una barriera contro una società veramente de-segregata, ma non può mettere fine a timori, pregiudizi, orgoglio e irrazionalità, che sbarrano l'accesso ad una società veramente integrata. Questi ostacoli oscuri e demoniaci saranno rimossi solo quando gli uomini saranno dominati dall'invisibile legge interiore che scolpisce nei loro cuori la convinzione che tutti gli uomini sono fratelli e che l'amore è lo strumento più potente dell'umanità in vista di una trasformazione personale e sociale. La vera integrazione sarà compiuta da uomini che siano veramente ‘prossimo’ e obbediscano di buon grado ad obblighi non coercitivi.
    Come non mai prima d'ora, amici miei, gli uomini di tutte le razze e nazionalità sono oggi chiamati ad essere ‘prossimi’ gli uni verso gli altri. L'appello ad una politica mondiale di buon vicinato è assai più che un'effimera parola d'ordine: è l'appello ad una forma di vita capace di trasformare la nostra imminente elegia cosmica in un salmo di pienezza creativa.
    Non possiamo più a lungo permetterci il lusso di tirare diritto dall'altra parte: una tale follia si chiamava una volta fallimento morale, oggi porterebbe al suicidio universale. Non possiamo sopravvivere a lungo separati spiritualmente in un mondo che è unito dal punto di vista geografico. In ultima analisi, io non devo ignorare l'uomo ferito sulla strada di Gerico della vita, perché egli è parte di me ed io sono parte di lui: la sua agonia mi diminuisce, la sua salvezza mi accresce.

    (La forza di amare, cap. 3)


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