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    Come intervenire nell'organizzazione: il gruppo (tredicesima parte di: «Agire innovativo nella pastorale»)


     

     

    XIII. COME INTERVENIRE NELL'ORGANIZZAZIONE: IL GRUPPO

    Cammin facendo, stiamo costatando fenomeni interessanti che riguardano tutta un'organizzazione, sia essa parrocchia, oratorio, scuola, o in genere una comunità educativa. Essi ci sono di aiuto a comprendere la realtà organizzata e ad interpretarla.
    Ma con sempre maggiore chiarezza emerge evidente l'interrogativo: come possiamo intervenire a guidare, o perlomeno a influenzare i fenomeni organizzativi? da che cosa iniziare?
    Senza dubbio è possibile tendere a influenzare o costruire l'organizzazione come tale, e abbiamo fatto cenno a possibili itinerari o indicato opportunità. E tuttavia pare oggi decisiva la scelta di un punto strategico su cui fare perno. Tale punto è il gruppo di lavoro, che rappresenta la cellula di base di una qualsiasi organizzazione e lo snodo dela sua evoluzione.

    1. Il gruppo: unità organica e organizzata

    Senza dubbio l'unità di base dell'organizzazione è rappresentata dal gruppo: ma come si configura?
    Il gruppo è certo l'insieme degli individui e dei loro bisogni (emergenza psicologica): lo scambio e lo scopo lo caratterizza. Ma il suo costruirsi in unità rivela come esso diventi un soggetto collettivo, vivo e attivo, possieda modalità di sviluppo, abbia una sua organizzazione (emergenza sistemica). Il gruppo insomma si autoorganizza come sistema, ossia costruisce l'insieme di quelle relazioni che lo fanno esistere come tale, come un insieme unito. Così viene a differenziarsi dal suo ambiente attribuendosi un significato specifico.
    Ciò che è determinante in questo sta nel riconoscere che i membri assumono una duplice identità, che li connota nella loro singolarità e che li rende parte dell'identità del gruppo. Essi sono allo stesso tempo singoli individui, ma anche parte di un gruppo: in definitiva il gruppo non resta una somma di singoli, bensì una realtà costituita da un insieme di relazioni che fanno unità.
    Appunto per questo diviene necessario cogliere la sua valenza di sistema, la sua tensione organizzativa e la sua caratteristica di un insieme unito.
    Il gruppo come sistema contiene al contempo sia l'idea della unità che della molteplicità. In effetti noi costatiamo che in gruppo convivono i singoli individui con tutte le loro caratteristiche ed esigenze, e insieme un soggetto attivo che prende posizione e si fa riconoscere come una unità. In questo rileviamo una prima difficoltà, ossia quella di creare convergenza delle parti, che spesso tendono ad essere separate, e d'altro canto quella di conservare la tipicità degli individui rispetto alla tendenza ad uniformare. E' la tensione tra unità e molteplicità che percorre la vita di ogni gruppo.
    E d'altra parte un gruppo di lavoro può essere efficace nell'organizzazione, solo se, nella sua azione, gli individui e il gruppo non si sminuiscono reciprocamente: deve divenire possibile di essere presenti come singoli e al contempo quale gruppo.
    Così il gruppo è un sistema che prevede al contempo in maniera antagonista e complementare sia gli aspetti di globalità che di differenziazione. Gli uni determinano l'esigenza di costruire rapporti in cui si riconosce di condividere bisogni e scopi comuni, e gli altri chiedono spazio per potarsi esprimere nella propria originalità. Il gruppo che si organizza deve affrontare il problema del rapporto tra somiglianza e differenza. Anzi si potrebbere affermare in questa prospettiva che il gruppo è organizzazione delle differenze, stabilendo relazioni complementari tra i soggetti e tra essi e l'insieme. Il riconoscere non semplicemente la reciprocità, ma in particolare quanto ci è complementare, sviluppa senso di appartenenza e suscita partecipazione.
    E mentre si sviluppa la complementarietà, ri rileva il contemporeneo verificarsi dell'antagonismo, che è l'affermazione della differenza individuale, risorsa per il gruppo. Ma se il gruppo intende costruirsi come sistema è indispensabile che la complementarietà controlli o contenga le tendenze alla dissociazione, integrando le diversità individuali. La strada per la porre in circolo virtuoso l'antagonismo, è quella della valorizzazione delle differenze.
    Una simile questione viene posta al gruppo come sistema nel suo rapporto con l'ambiente: può essere aperto o chiuso.
    La chiusura si riferisce all'identità e unità del gruppo: è l'organizzazione che il sistema si dà. Senza di essa non sussiste una realtà sociale identificabile. L'apertura invece si rifa allo scambio con l'ambiente. Un sistema serrato si sclerotizza. Per conservarsi vivo necessita di interazioni con la realtà che sta intorno. Il gruppo deve essere disponibile ad evolvere nel contesto in cui si trova, deve cambiare continuamente. E se il gruppo troppo chiuso muore per asfissia, il gruppo troppo aperto viene meno per anomia. Non si tratta semplicemente di interazione tra gruppo e ambiente, sotto la spinta del mutamento esterno. L'integrazione segue altre regole che vede attivo il gruppo nella selezione degli stimoli dell'ambiente (non tutto deve trovare posto nel gruppo) e nella conservazione della sua autonomia (non ogni aspetto del sistema deve essere mantenuto). Insomma il gruppo si attiva come soggetto nel suo ambiente, per cui apertura e chiusura sono dinamismi di crescita, più che fenomeni previsti.
    In questa prospettiva la realtà del gruppo viene riconosciuta come qualcosa che è più della somma delle aprti. Il sistema gruppo possiede la sua organizzazione, il suo essere unità: è un soggetto nuovo che presenta qualità nuove. Esso si presenta come un fatto nuovo, reale e concreto, che costringe all'evidenza.
    La trasformazione dei singoli in membri del gruppo, l'organizzazione del gruppo rispetto alla dispersione, la valorizzazione delle diversità nell'unità sono le qualità nuove.
    Ma il gruppo è anche meno della somma delle parti: ci sono caratteristiche dei singoli che nel gruppo non emergono. Ogni rete di relazioni stabilisce vincoli e impone confini agli individui. Il sistema gruppo sussiste là dove nascono norme, si stabiliscono complementarietà, sorge organizzazione: cose tutte che garantiscono la vita di un gruppo di lavoro che tale sia. I limiti di gruppo vincolano necessariamente gli individui, ma sono pure opportunità nuove consegnate nelle mani di tutti.
    In questo suo essere più e meno, il gruppo si configura come soggetto storico e dinamico, organizzato e necessario, che ne sottolinea la sua originalità.

    2. Il gruppo e i singoli nell'innovazione

    Il rapporto tra gruppo e singolo viene qualificato dal legame che sussiste allorchè si stabilisce un contatto significativo. Un tale legame definisce la piattaforma psicologica (emergenza psicologica), ossia la relazione interumana.
    Vi è nel soggetto un bisogno di identità (di differenziarsi dal- l'ambiente) e insieme un bisogno di dipendenza (di integrazione con gli altri). L'intera gamma dei bisogni dell'individuo trova nel gruppo il luogo apposito per la loro gratificazione o frustrazione: respinge per i limiti posti, ma anche attrae per le opportunità offerte. Il nodo cruciale del gruppo sotto il profilo psicologico sono dunque i bisogni, così come si presentano nei singoli. Sulla loro base, o meglio nella loro soddisfazione vengono instaurati legami di gruppo. La ricerca della gratificazione delle proprie esigenze è inevitabile, anche perchè segno di conferma della singola identità.
    Il gruppo viene trattato come un oggetto della propria soddisfazione. Ma spesso i bisogni individuali sono narcisistici, incompatibili tra loro. Ne scaturisce il paradosso, per cui, se si vuol giungere alla soddisfazione, è inevitabile la mediazione dei bisogni, ossia occorre venire a patti. Così il legame che si instaura con i membri del gruppo si rivela insieme vincolo e risorsa. Su questa base i gruppi si configurano in maniera differente. In effetti non sono i bisogni (simili per tutti gli individui) a diversificare i gruppi, bensì la natura del legame che si instaura tra gli individui nel gruppo.
    Questo legame prende forma in un primo momento della relazione tra i singoli, ossia nella interazione. Questa si realizza nel libero gioco dell'espressione dei bisogni individuali: è una reale concorrenza nella ricerca di soddisfare le singole esigenze, dando voce alla necessità umana di stare insieme. Il gruppo viene così a sussistere in quanto crea spazio d'incontro e agisce, e allorchè viene realizzata una pluralità di individui coinvolti: è in verità un fare interattivo tra singoli. Appunto in questo sta il punto di partenza di un gruppo.
    Ma se il gruppo intende costruirsi come gruppo di lavoro, come soggetto collettivo, deve superare questo livello di scambio per migrare al livello dell'integrazione.
    L'interazione suscita la rappresentazione mentale di essere membro del gruppo e produce l'emergere di uguaglianze tra i membri, consentendo di avvertire il gruppo come proprio. La coesione che ne scaturisce è un primo legame che sta alla base del gruppo, anche se essa può esprimersi in sentimenti ambivalenti o contrapposti. Ma già il sentirsi dentro alla situazione del gruppo fa percepire di essere un insieme e non delle isole. Taluni bisogni vengono garantiti, come quelli connessi alla sicurezza personale, all'autostima, all'identità. Il cammino di gruppo è iniziato, ma non basta. Viene in prospettiva avvertita una necessità: acquisire la consapevolezza di essere membri che dipendono vicendevolmente. L'interdipendenza rappresenta il passo ulteriore, e dice l'emergere di rete di relazioni fondate sulle diversità individuali. Il gruppo si configura come tale: dalla percezione della presenza si passa a quella della reciprocità. E se la prima conduce alla coesione, l'altra prepara allo scambio. L'accoglimento della interdipendenza predispone a un passaggio di maturazione nel gruppo, verso l'integrazione. Che significa porre in un circolo virtuoso il rapporto tra diversità individuali e uguaglianze di gruppo, trovare l'equilibrio tra la soddisfazione dei bisogni comuni e quelli dei singoli. Sviluppando la logica dell'e, e non quella dell'o, si giunge all'integrazione. Entriamo così nella dinamica del cambiamento, per cui individui e gruppo sono portati a bilanciarsi nella responsabilità. Si procede sulla base delle relazioni di fiducia vicendevole, sulla partecipazione attiva, e quindi sulla collaborazione, cui segue la condivisione.
    Il senso di appartenenza al gruppo come soggetto si sviluppa e si rafforza: ne viene alimentata la vita interna, configurato il gruppo nella sua identità, stabiliti i rapporti con l'ambiente.
    Il gruppo non è solo se stesso tra gli altri, ma anche si differenzia da valori e norme dell'ambiente: possiede una sua soggettività. Lo strumento che facilita questa evoluzione si chiama leadership. Essa si propone come istanza capace di integrare il bisogno individuale con quello di gruppo, di equilibrare le spinte alla differenziazione o all'uniformità. In questo modo si compie il disegno di interpretare rettamente e contenere in pieno le esigenze del singolo e del collettivo.
    Il gruppo di lavoro si colloca nella scena dell'organizzazione, che ne rappresenta il suo campo d'azione. Esso viene ad assumere un compito che lo inserisce nel contesto organizzato: ne pianifica perciò l'azione, ne cura lo svolgimento, ne gestisce le relazioni. Il gruppo di lavoro rimane come tale nell'organizzazione, ma questa ne indica il compito. L'operatività del gruppo rimane legata alla sua vita come gruppo di lavoro e al contempo al compito che gli viene affidato dall'organizzazione.
    La sintesi dei due aspetti porta all'innovazione organizzativa.

    3. La costruzione di gruppi di lavoro

    In un'organizzazione operano gruppi, che tendono a divenire di azione. E' una necessità, se si intende incidere nello sviluppo organizzativo. Il percorso di crescita non è
    automatico o naturale, bensì si attiva nell'impegno a costruire il gruppo di cambiamento e di intervento. Esso si propone come soggetto sociale attivo tra altri soggetti organizzati. Il processo che si instaura interviene in modo significativo nella struttura e cultura del- l'organizzazione: produce reti di relazioni e di idee, e pertano autonomia nell'autodeterminazione.
    Qui si intende evidenziare lo spazio di intervento del gruppo, ossia ciò che consente ai gruppi in organizzazione di evolvere in risorsa effettiva per l'insieme.
    Al riguardo si gioca spesso su luoghi comuni. Non basta mettere insieme delle persone, anche esperte, assegnare loro un compito, per ottenere un esito, migliore di quanto avrebbero prodotto singolarmente. Il gruppo appare così come una realtà meccanica, fonte di grandi attese. E proprio da questo ne consegue la convincione che i gruppi sono spesso sedi dove si perde tempo.
    Ma per superare la difficoltà occorre riconoscere al gruppo la sua soggettività sociale, affidare delle consegne precise, prevedere la rete di comunicazione con gli altri organismi, collocarlo in uno spazio organizzativo proprio.
    Per comprendere al meglio è indispensabile addentrarci negli eventi del gruppo. Gli aspetti psicosociologici e sistemici si mescolano nella realtà e si configurano in eventi che devono essere interpretati. Evoluzione o involuzione, cambiamento o resistenza sono frutti di un processo dinamico che colloca i fatti del gruppo in un contesto concreto. Per interpretarlo ci rifacciamo a un modello, che si pone come chiave interpretativa, come ponte tra il soggetto gruppo e l'intervento, tra la teoria e l'azione. E' un modello a quattro dimensioni, che tenta di cogliere la realtà dinamica del gruppo.
    Nel modello che viene proposto, il gruppo è collocato in un ideale punto di snodo tra l'individuo e l'organizzato. Ne derivano quattro dimensioni fondamentali che determinano le vicende del gruppo: la Reale, la Sociale, la Rappresentata, l'Interna.
    La dimensione reale del gruppo è osservabile e manifesta. Il noi viene percepito nell'interazione tra i membri, nel riconoscere di essere interdipendenti e nella ricerca di costruire un insieme integrato. In una parola è la realtà del gruppo come soggetto attivo che dà volto alla sua identità nell'ambiente. La dimensione reale viene caratterizzata dal luogo dell'interazione (è il suo territorio), dal tempo del fare gruppo (che ne descrive la storia) e dalle attività che tendono a risultati (ossia trovare le soluzioni ai problemi). La parte più visibile è l'agire del gruppo che lo vede impegnato in primo luogo a identificare il problema reale che si intende affrontare. Non si deve confondere questo con il semplice fare, di un'azione comunque. Occorre enucleare il vero problema e non le sue conseguenze o illusioni, che è spesso la composizione delle diverse posizioni. E' come la costruzione di un puzzle: ciascuno contribuisce con il suo pezzo, ma che si incastra per comporre l'intera figura.
    Al di dentro del luogo, del tempo e dell'attività, il gruppo si definisce nella sua identità riconoscibile: esso viene classificato più o meno aperto, coeso, in interdipendenza, funzionale, integrato. Si presenta con concretezza, ma non in seplicità.
    La dimensione sociale del gruppo rappresenta quella rete di relazioni per cui esso è ancorato al sociale e istituito nell'organizzato. Una sua prima caratteristica sta nella molteplice appartenenza: la famiglia, la classe scolastica o il gruppo di lavoro, il club sportivo... Il complesso intreccio delle pluriappartenenze e l'ancoraggio del gruppo alla cultura dell'ambiente esprimono nella prassi la dimensione sociale del gruppo. Lo scambio dei valori e dei significati è legato a quest'insieme di relazioni che si intrecciano in maniera complessa. La sinergia si gioca quindi sull'equilibrio tra individuo, gruppo e organizzaione, in vista del compito assegnato al gruppo di lavoro.
    La dimensione rappresentata consta in un insieme di immagini che il gruppo produce durante la sua azione. Essa risulta dal complesso delle rappresentazioni cognitive e affettive del gruppo. La risultante del processo di elaborazione cognitiva è il riconoscere di stare insieme agli altri, che è la base di ogni forma di comunicazione, di collaborazione, di tutte le convergenze sui progetti. Diviene perciò una necessità ricercare nell'attività reale la sua dimensione rappresentata. Non basta la realtà del gruppo: in essa alberga una realtà rappresentata che deve trovare espressione sia all'interno che all'esterno. Anzi occorre puntare al rafforzamento della rappresentazione di sè come gruppo sia nelle sue somiglianze che nelle differenze.
    La dimensione interna interpreta il livello degli affetti e sentimenti: è il piano della struttura profonda del gruppo, come campo ad alto valore simbolico.
    Al di dentro dell'attività realistica e concreta del gruppo, che esprime il perseguimento di obiettivi e l'esecuzione di compiti, si manifesta sempre un complesso di fantasie legato al mondo emotivo. Questo condiziona evidentemente aspetti dell'azione, anzi talvolta ne è addirittura rivelazione: è il mondo dell'inconscio dei membri del gruppo che prende corpo in simbolismi e fantasmi.
    A conferma basta annotare quanto sia facile per un gruppo produrre illusioni o miti, specie se di evidenza irrealistica.
    Un mito determinante è il gruppo stesso, considerato soffocante o catartico, protettivo o minacciante, risolutivo o inconcludente. Ma a questo si collegano il senso dell'onnipotenza, il rischio della dipendenza, l'evocazione di figure parentali. Talvolta emerge l'esigenza di dedicarsi al gruppo sino al sacrificio della propria individualità, come anche tale è il distacco che si vive il gruppo come castrante. Fantasmi e immagini attraversano la vita del gruppo e ne impregnano la sua storia.
    Le quattro dimensioni possiedono una loro singola valenza, ma ne abbiamo intravisto il complesso intreccio: ciascuna si connette e viene richiamata a vicenda.
    Il gruppo di lavoro tende alla maturazione nell'azione. Se si intende far crescere il gruppo, le dimensione devono emergere in sinergia. L'esasperazione di una dimensione sull'altra, la sottovalutazione di una di esse, portano ad uno sbilanciamento dell'intervento nel sociale organizzato. Peraltro ci è noto come bisogni, emozioni, fantasmi (dimensione interna) devono correlarsi con appartenenze, ruoli, regole (dimensione sociale); ed altrettanto rappresentazioni, ideali, valori
    (dimensione rappresentata) sono da rapportare a soggetti, compiti, risorse (dimensione reale). I livelli si intersecano, richiamandosi a vicenda. In un gruppo maturo la configurazione delle dimensieni tende ad essere armonica, perchè ricercata e costruita. A tale scopo si lavora sia sul piano operativo e concreto del compito assegnato al gruppo, sia su quello della ricerca del significato del nuovo soggetto che avanza. Nella dinamica di interazione le dimensioni tendono a sviluppare un altro grado di autonomia, nel riconoscimento della interdipendenza esse si organizzano attorno alla dimensione reale che guida l'attività e controlla l'intervento; nell'impegno di integrazione le dimensione vengono coniugate in armonia nell'azione reale, sulla cui base si instaura un processo sinergico. Un tale dinamismo si verifica sia in un ambiente sociale generico, come in un sistema molto organizzato. Per giungere a un gruppo maturo non basta farlo semplicemente esistere, occorre che si assuma il compito di una evoluzione in armonia, di tendere intenzionalmente ad un esito positivo del suo sviluppo.

    4. Come e perchè intervenire

    Quando si lavora in gruppo, si tende ad un esito. La sua efficacia però è condizionata alla chiarezza e condivisione dell'obiettivo, che rappresenta l'espressione di un risultato atteso.
    Sono due gli elementi indispensabili che consentono al gruppo di risultare efficare nella sua azione. In primo luogo ogni membro deve conoscere con chiarezza quali sono gli obiettivi da perseguire; e in secondo luogo deve essere facilitata l'identificazione con il comune obiettivo. Per questo, in uno dei primi momenti nella vita del gruppo non si può che affrontare la questione del chiarimento e della messa in comune di che cosa si intende perseguire. Questo deve risultare concreto e chiaro in modo da saper convogliare tutte le energie disponibili.
    Il contratto tra i membri del gruppo riposa su questo primo riferimento, da poter interpretare da tutto con univocità. E non basta asserire che la consegna che l'organizzazione dà è evidente, occorre rendere consapevoli gli attori, e tutti gli attori, per evitare errori di prospettiva. Ogni organizzazione formula gli obiettivi dal suo punto di vista, il gruppo deve misurarlo, interpretarlo. Chiarire non significa cambiare: spesso il timore sta qui, nel paventare uno stravolgimento. Ma rimane sempre vero che il gruppo è un osservatore più vicino dell'organizzazione, e quindi i due punti di vista coniugarsi e integrarsi. Sta di fatto che il cammino di condivisione, provoca nel gruppo un patto che lega ciascun membro: impegna a far funzionare al meglio e a raggiungere con determinazione quanto ci si propone.
    Troppo spesso però la definizione dell'obiettivo è assai vaga, indeterminata. La richiesta di coordinamento, di organizzare meglio, non è che la manifestazione chiara di indeterminatezza dell'obiettivo, o perlomeno di enunciazione manchevole. Uno scopo vago non offre al gruppo la possibilità di verifica del cammino compiuto, e quindi lo condanna spesso alla delusione. Se poi anche le finalità dell'organizzazione in cui il gruppo si inserisce sono solo abbozzate, viene meno il contesto in cui operare, con lo sfilacciamento dei legami. Fare chiarezza
    serve all'unità nel gruppo e insieme a creare il clima organizzativo. Quando l'organizzazione non supporta il gruppo, si apre la via alla sua irrilevanza concreta e a un vissuto di abbandono.
    Per superare tali inghippi, occorre che il gruppo definisca i suoi obiettivi e l'organizzazione le sue finalità. Bisogna perciò conoscere adeguatamente gli individui che partecipano, le loro motivazioni, i loro valori; la situazione concreta con i suoi problemi e compiti; l'organizzazione nella sua cultura e struttura. In un secondo momento c'è il confronto da promuovere: da esso dovrebbe emergere la situazione reale e far scaturire la comunione d'intenti. Il momento conclusivo del processo dà voce alla capacità progettuale del gruppo: è la convergenza negli obiettivi che crea unità d'azione nel perseguirli.
    Tutto ciò rende significativo il gruppo nell'organizzazione: sviluppa la dinamica dei bisogni e delle motivazioni a tutti i livelli, e il formarsi del senso di appartenenza al gruppo dentro l'organizzazione. E quanto più il gruppo evolve verso l'integrazione dei bisogni dei singoli, del gruppo e dell'organizzazione, tanto più la sua azione è efficace. E così quanto meglio cresce il senso di appartenenza, tanto meno si corrono i rischi dell'esclusione o della chiusura del gruppo nell'organizzazione. Le differenze devono essere gestite e valorizzate, appunto a partire dalle finalità e dagli obiettivi.
    Senza dubbio un gruppo diviene efficace quando sa utilizzare al meglio le differenze di approcci, di esperienze, di competenze. Ciò porta alla creatività e all'innovazione, facendo passare il gruppo da tessuto di relazioni a campo di idee.
    E tuttavia le differenze devono tradursi in articolazioni e in regole di funzionamento. Si parla di ruoli nel gruppo, che si muovono con una certa discrezionalità e soggettività.
    Ma non tutto può essere lasciato al protagonismo o al volontarismo. Taluni aspetti devono trovare una canalizzazione. Le aree da controllare sono quattro.
    Anzitutto occorre vegliare sul risultato: pertanto sono ruoli determinanti quello del pragmatico e dello storico. L'uno sollecita alla concretezza del risultato senza cadere in perfezionismi, e l'altro costruisce memoria per fissare i punti di non ritorno.
    In secondo luogo si esigono ruoli chiari nel campo delle relazioni. Se ne possono indicare due. L'animatore è colui che facilita lo scambio tra i membri e crea clima adatto al confronto, suscita partecipazione e la condivisione; e il comunicatore svolge il ruolo di chi ascolta attentamente, verifica le comprensione degli interventi, li riesprime e ne fa la sintesi, puntualizza le questioni, rilanciando la discussione.
    E infine quanto all'area della qualità dell'azione di gruppo possiamo prevedere altri due ruoli importanti: l'integratore e l'innovatore. L'uno opera nella direzione delle logiche stringenti, dei metodi rassodati, degli strumenti sperimentati; l'altro invece sollecita a sviluppare modalità nuove, introduce a processi creativi, spinge ad approcci inediti.
    Le competenze nel gruppo non possono essere concepite in modo individualistico. Occorre procedere verso sistemi di competenze che sanno riconoscere e rapportare le abilità relazionali, quali la comunicazione, la collaborazione, la conduzione di gruppo alle qualità organizzative, come l'iniziativa, la concretezza, la sistematicità. Queste a loro volta devono trovare il loro raccordo con le capacità strategiche di programmazione, di analisi e gestione del problema, dell'informazione, insieme con le abilità gestionali nella motivazione, organizzazione, cambiamento delle situazioni. Infine bisogna mettere in relazione tutto ciò con le qualità soggettive e sociali dei membri del gruppo.
    Ragionare in termini di sistema di competenze diviene allora indispensabile per la qualità del lavoro in gruppo. Fondamentale si rivela la comunicazione tra i ruoli per giungere all'efficacia dell'azione. Bisogna investire perciò nell'arricchire lo scambio facilitando l'espressione delle proprie opinioni e ipotesi, e sviluppando l'opportunità di mettere in comune i diversi punti di vista. Ciascuno deve trovarsi a suo agio, attribuendo valore a tutti i differenti contributi. Occorre sollecitare inoltre la conoscenza di sè, delle proprie abilità e qualità. A ciò serve il feedback dell'interazione: lo svelamento costruisce comunicazione, anche se il livello dello scambio non deve scadere nella superficialità o nello spontaneismo, e soprattutto nella irrilevanza. Infine si deve incrementare la capacità di ascolto attivo, che porta al superamento del proprio stretto punto di vista. Essa si sviluppa quando non si valuta, fermandosi alla soglia della replica, quando ci si interroga per comprendere meglio l'interlocutore, quando si evita l'astrazione nel raccogliere le idee, quando non si interpreta a priori il pensiero altrui.
    In questa dinamica relazionale delle funzioni nel gruppo emergono spesso due questioni. La prima si riferisce alla pressione del gruppo sull'individuo verso il conformità. Solo quando questa si manifesta nei suoi estremi di conformismo e di anticonformismo, è inevitabile la compressione dell'individuo nel vicolo cieco di una libertà coartata. La seconda si riferisce al conflitto: l'antagonismo delle idee si trasforma in incompatibilità tra le persone. Tali posizioni contrapposte possono essere affrontate in maniera diversa: si può tentare di attenuare le tensioni, ma si ottiene spesso di crearne di nuove; si possono ignorare, ma il confronto subisce distorsioni; si può resistere al confronto, però si crea l paralisi. Il conflitto deve essere considerato come un evento per la crescita: è unanormale manifestazione della vita di relazione nelle differenze. Occorre gestire il conflitto in modo costruttivo, uscendo dalla logica della ricerca del colpevole, dando voce ai sintomi del disagio, promuovendo la chiarificazione delle posizioni, ricercando i punti di contatto tra le proposte, orientando le varie ipotesi alla luce degli obiettivi.
    Uno snodo decisivo sta nella leadership. Essa può essere vista sotto il profilo strutturale, evidenziando obiettivo, ruoli e metodo, e sotto il profilo processuale, facendo leva sulla comunicazione, sul clima e lo sviluppo del gruppo. A noi interessa qui considerare la leadership di servizio, per cui essa lavora con il gruppo, e non sopra o per il gruppo, non si
    sostituisce, ma coinvolge nei processi. Essa perciò è in sintonia con gli obiettivi del gruppo, definisce il suo ruolo nel cammino comune, coordina le competenze e gli apporti di tutti i membri, si ancora alle situazioni reali, garantisce il perseguimento del compito, facilita nelle relazioni al riconoscimento, valorizza le differenze verso l'integrazione. Se la leadership si configura in tale maniera diventano rari comportamenti di dipendenza o di contro dipendenza. E' evidente che una simile leadership si può solo costruire cammin facendo e nella consapevolezza della assoluta necessità della relazionalità nel gruppo. E tuttavia il leader istituzionale, diversamente da quello funzionale, non può sottrarsi alla sua responsabilità e autorità che provengono dall'organizzazione e che non sono delegabili al gruppo in nessun caso. Il nodo centrale del problema sta dunque nell'integrazione tra leader assegnato e le funzioni della leadership, che devono essere riconosciute e valorizzate.
    Variabile fondamentale nel gruppo di lavoro è il clima. Può essere considerato come l'insieme delle percezioni e dei vissuti dei membri, che ne influenzano i comportamenti e ne connotano ne relazioni. E' la misura della temperatura del gruppo.
    Il clima è una qualità del sistema-gruppo, che si correla con la sua cultura. Questa consente di sviluppare valori e norme, stili di pensiero e di vita. Ma l'accoglimento di tutto questo è assai condizionato dal clima del gruppo.
    Il clima si crea nella fiducia vicendevole, nell'attenzione ai bisogni dei singoli, nell'indicazione tranquilla del compito da svolgere. Esso si sostanzia di serenità nelle relazioni interpersonali, nello svolgimento di un'azione comune, nel riconoscimento dei ruoli e delle differenze, nella facilitazione dei processi di comunicazione e nell'apertura verso l'ambiente come risorsa di cambiamento.
    Il clima viene caratterizzato in particolare dalla leadership. Uno stile partecipativo è la miglior garanzia di buon clima. Sono presupposti la facilitazione della comunicazione e dello scambio. Ma al contempo la coraggiosa determinazione nel perseguire gli obiettivi sollecita a un'atmosfera di fiducia e di sostegno vicendevole. I compiti possono essere riconosciuti come funzionali, ma quando vengono collocati all'interno della valorizzazione della soggettività attiva del gruppo, infondono il senso costruttivo di partecipazione alla realizzazione di un progetto comune.
    Senza dubbio il potere di influsso della leadership è indubitabile. Ma quanto più il gruppo è maturo, e tanto più la responsabilità di creare clima è condivisa dai suoi membri. La qualità del gruppo a formare un clima adeguato viene riconosciuta nella sua armonia e coesione di sistema. Esso è aperto all'apprendimento nello scambio vicendevole e con l'ambiente, è collocato nella prospettiva della creatività e non della ripetitività. Le modalità di relazione tra i membri sono improntate alla valorizzazione positiva, al rispetto delle differenze, alla trasparenza dei rapporti, alla integrazione dei contributi in vista degli esiti. I rapporti con l'ambiente vengono caratterizzati dall'autonomia del gruppo fondato sulla propria identità, dalla capacità di adattamento che dice riferimento ragionato con il territorio, dalla affidabilità del gruppo come tale, dall'apertura all'ambiente in cui si trova il gruppo. Le modalità di azione del gruppo sono contrassegnate dalla flessibilità e dall'impegno. Soprattutto ne connota tutta l'azione il criterio dell'efficacia.


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