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    Per gli apostoli furono necessari cinquanta giorni per giungere ad essere testimoni del Signore risorto. Ma, cinquanta giorni preceduti da almeno due anni di cammino alla sequela di Gesù. Inoltre essi richiesero un coinvolgimento pieno nei processi spirituali incominciati nei giorni di Pasqua. Perché l'azione dello Spirito in noi non aggiunge pensieri divini ai pensieri nostri o sentimenti divini ai nostri sentimenti, ma dall'interno qualifica diversamente i nostri pensieri, i nostri stati d'animo, i nostri sentimenti, le nostre azioni, facendoli crescere nella loro dimensione umana. Noi diventiamo figli di Dio non perché acquisiamo perfezioni divine, ma perché portiamo a compimento la perfezione umana che ci è consegnata, corrispondentemente a quel progetto di umanità che Dio ha formulato fin dall'eternità e che in Gesù ci ha manifestato, ma solo come promessa e anticipazione, perché il compimento non lo conosciamo, non conoscendo la gloria di Gesù risorto. Anche noi quindi siamo inseriti in un cammino spirituale. I cinquanta giorni vissuti dagli apostoli sono il paradigma della nostra piccola storia. Anche su di noi lo Spirito è stato invocato quando siamo nati, quando intorno a noi i nostri genitori, i parenti, gli amici, si sono raccolti, per invocare lo Spirito. Il Battesimo è l'inizio di questo cammino. E nell'Eucarestia noi ogni domenica rinnoviamo, richiamiamo questo inizio, per giungere a compimento.
    Meditare sulle modalità che ebbe il compimento negli apostoli ci serve per capire le diverse dimensioni della nostra vita spirituale. Nel racconto del capitolo 2 degli Atti, come anche nel Vangelo, appaiono tre attività molto chiare: l'annuncio di Cristo come Messia e Signore, la remissione dei peccati e la capacità di capirsi nella diversità dei linguaggi. Fermiamoci brevemente ad esaminare questi tre aspetti, che sono fondamentali anche per la nostra vita spirituale.

     

    L'annuncio di Cristo come Messia e Signore

    Nella Lettera ai Corinti Paolo scrive: «Nessuno può dire "Gesù è Signore" se non nello Spirito Santo». Vuol dire che il riconoscimento di Gesù come Signore non è la semplice conclusione di un ragionamento, ma il risultato di un'esperienza. Vivendo l'atteggiamento della fede, cioè accogliendo l'azione dello Spirito, il nostro pensiero, la nostra attitudine nei confronti di Gesù acquistano qualità nuove.
    Questo è avvenuto anche nella storia. Quando gli apostoli cominciarono la loro predicazione, il contenuto del kerygma era molto semplice: «Gesù è risorto ed è stato costituito Messia e Signore», cioè punto di riferimento per il nostro cammino. Lungo i secoli la formulazione della dottrina cristologica ha acquistato caratteristiche sempre diverse, forme nuove. Nello stesso quarto Vangelo c'è già un modo nuovo di esprimere il mistero di Gesù, rispetto a quello dei sinottici. Anche la formula "figlio di Dio" acquistò significati nuovi attraverso l'uso che i cristiani ne facevano. Questo modo di penetrare il mistero di Gesù era legato in primo luogo all'esperienza della salvezza che compivano, cioè al fatto che, riferendosi a Lui, giungevano a vivere in un modo nuovo, a capire l'esistenza, la sofferenza, l'amore, l'esperienza di ogni giorno, in un modo più significativo. Il primo dato essenziale è quindi l'esperienza.
    Il secondo elemento importante è costituito dai diversi modelli culturali che i credenti utilizzavano man mano che l'annuncio cristiano entrava in nuovi ambienti. Il primo annuncio della Pentecoste utilizzava modelli ebraici diversi da quelli del mondo greco. Quando invece Giovanni, per esprimere il mistero di Cristo, ricorre al termine "logos", introduce delle connotazioni dottrinali più ricche, più profonde. Questo termine, infatti, che veniva dalla filosofia stoica ed era utilizzato anche in ambienti platonici, aveva delle risonanze diverse dal termine ebraico "dabar", che indicava parola/azione di Dio.
    Insieme a queste connotazioni più ricche a volte vennero introdotti anche degli inquinamenti, perché questo processo non va avanti in modo automatico, ci sono anche limiti e insufficienze provenienti dal peccato, dall'ignoranza, dal carattere limitato dei pensieri.
    Anche oggi il cammino continua. Ogni generazione ha una sua cristologia. Per esempio la cristologia della teologia della liberazione ha caratteristiche molto diverse da quelle della cristologia europea. È. questa ricchezza della molteplicità delle prospettive che emerge dall'esperienza di fede, quando viene vissuta in modo autentico.
    Ma non basta sviluppare delle idee per pervenire a una dottrina autentica, è necessario che maturi o fiorisca da un'esperienza di fede. Anche noi oggi siamo chiamati a vivere l'esperienza di fede per formulare in un modo corretto la dottrina su Gesù e pronunciare anche noi la formula «Cristo è Messia», «Cristo è Signore». Ma se la pronunciamo solo perché l'abbiamo sentita dire, non testimoniamo l'efficacia della fedeltà di Gesù, il significato storico delle sue scelte e dei suoi insegnamenti.

    La remissione dei peccati

    L'altro aspetto, che è conseguente, è formulato in modo molto chiaro nel brano del Vangelo. La prima affermazione di Gesù è: «Pace a voi (la pace, cioè quell'armonia profonda che risulta dalla sintonia con l'azione di Dio e che il peccato distrugge, o inquina, o disturba). Ricevete lo Spirito Santo: a chi rimetterete i peccati saranno rimessi, a chi li riterrete saranno ritenuti». L'azione di Dio che armonizza, che riconcilia, che pacifica, passa attraverso l'azione delle creature. Nella Chiesa quest'azione ha acquistato un'espressione sacramentale, ma il sacramento è precisamente l'espressione di un'azione ecclesiale, che riguarda tutti e di cui tutti sono il soggetto. Per cui quel «Rimettete i peccati» è rivolto a tutti i fedeli. Quella sera erano presenti tutti i discepoli, comprese le donne. A tutti viene affidato questo compito di rimettere i peccati. Rimettere i peccati vuol dire offrire alla persona che esprime il male della propria vita (tutti noi abbiamo elementi negativi che ad un certo momento esprimiamo) spinte positive, offerte di vita, dinamiche di amore, di benevolenza, di misericordia.
    Questo è perdonare i peccati. Quando non lo facciamo, il peccato non è rimesso, nel senso che resta nella sua dinamica distruttrice. Quando noi veniamo meno a questo compito, noi fissiamo gli altri nel loro male. Per esempio: una persona ci aggredisce? Se noi non offriamo misericordia in rapporto all'aggressione, noi fissiamo l'altro nella sua aggressività, la sanzioniamo; se poi reagiamo con la nostra aggressività, rafforziamo l'aggressività altrui, la moltiplichiamo.
    Per offrire vita e misericordia è necessario che ci apriamo all'azione dello Spirito, cioè che viviamo i rapporti nell'orizzonte di un'azione più grande che in noi si esprime e si svolge. È necessario cioè che diventiamo strumenti dello Spirito, convinti che la forza della Vita è molto più ricca delle modalità piccole che ha finora realizzato nella nostra esistenza.
    Questa convinzione resta sempre il sottofondo: l'energia che ci attraversa ha delle ricchezze enormi finora rimaste inespresse; se noi l'accogliamo con attenzione, con sensibilità, con una sintonia può crescere lungo il tempo, e noi diventiamo capaci di esprimerla in forme più efficaci e più ricche.
    Noi sappiamo che ogni giorno possiamo rimettere peccati, ma che ogni giorno possiamo anche sanzionare il peccato altrui, fissare gli altri nel loro male. Corrispondentemente, noi sappiamo che ogni giorno i fratelli che incontriamo possono rimetterci i peccati e che questo richiede da noi un'accoglienza continua. Non sono meccanismi automatici, come avviene in ambito fisico o biologico. Nel piano spirituale è chiarissimo: se non c'è consapevolezza e coinvolgimento, i processi non avvengono, per cui noi possiamo vivere giornate intere senza che nulla accada in ordine allo Spirito, cioè senza che nessuna azione dello Spirito si esprima in noi. Sono giorni perduti alla vita spirituale, alla storia del regno. Quanti giorni perduti nella nostra esistenza!
    C'è la possibilità di recupero dei giorni perduti, per cui anche il loro ricordo non è inutile, anzi, ha un grande valo. re, proprio perché possiamo raccoglierli e investirli di una forza nuova. Nella memoria delle nostre infedeltà o delle misericordie non esercitate, dei perdoni non offerti, dei peccati non rimessi ai nostri fratelli, possiamo accogliere un dono nuovo di vita.

    La molteplicità delle lingue

    Il terzo aspetto è oggi ancora più importante: riguarda infatti l'accoglienza delle diversità, la capacità di interpretare e di parlare lingue, culture diverse. Ci sono due formule nel racconto degli Atti. La prima, l'esperienza della Pentecoste, dice che «parlavano lingue diverse»; poi l'annuncio veniva ascoltato in lingue diverse: «ciascuno li intendeva nella propria lingua». Sono le due forme della glossolalia, della molteplicità delle lingue. È un simbolismo molto chiaro: ci sono delle comunicazioni di vita che vanno al di là delle lingue, delle culture e dei modelli che si utilizzano. Non per niente i mistici riescono a comunicare fra di loro senza bisogno di ricorrere al linguaggio, che è sempre inadeguato, rispetto alle esperienze che essi compiono; si intendono con lo sguardo, col contatto dei loro spiriti, della loro interiorità. Esistono anche fra di noi, per esempio, tra genitori e figli, tra amici che vivono intensamente, comunicazioni profonde, che prescindono anche dallo spazio e dal tempo. Di Padre Pio si diceva che aveva molte comunicazioni di questo tipo, fino a giungere a forme di bilocazione (esteriorizzazione dei processi di comunicazione che avvenivano a livello profondo).
    Non è questo il ritmo quotidiano della nostra vita. Importante però è avvertire la necessità di curare lo sviluppo della comunicazione con i nostri fratelli, nella molteplicità delle culture, delle religioni e delle lingue. Perché oggi è essenziale. Come lo fu nel passaggio notevole del I secolo dopo Cristo, che registrò un rivolgimento profondo nel mondo mediterraneo dal punto di vista culturale e religioso. Anche noi oggi, in un orizzonte molto più ampio, viviamo un processo analogo e molto più profondo, che richiede un atteggiamento spirituale diverso da quello precedente: l'incontro dei popoli.
    Le guerre che accadono sono dei sintomi, direi sotto certi aspetti necessari, dei rivolgimenti profondi che trovano alcuni popoli impreparati a ciò che la storia sollecita, cioè all'ascolto e al confronto di culture diverse. Che ci siano dei ritardi è comprensibile.
    C'è però indubbiamente oggi nella storia un dinamismo nella direzione di un'armonia di tutte le culture. Per questo siamo qui raccolti in preghiera: per sviluppare la capacità di ascolto, di accoglienza delle diversità e giungere a quella comunione che allora fu prefigurata nell'esperienza che i discepoli di Gesù fecero nel giorno della Pentecoste. Chiediamo al Signore di essere in grado anche noi di vivere oggi questa esperienza nelle nostre case, nei momenti di preghiera personale, in modo da favorire il cammino, che non può essere interrotto, se non col rischio di una distruzione totale dell'umanità.

    * * * * * 


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