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    Il rapporto con Dio
    coniugato nel tempo

    Gv 3, 16-18

     

    Questo breve tratto del Vangelo di Giovanni, preso dal terzo capitolo, esprime una delle convinzioni fondamentali dell'esperienza cristiana, comune anche ad altre esperienze religiose: la convinzione che al fondo della storia degli uomini, dell'avventura dell'universo, ci sia una Realtà positiva, un Bene unitario, un'energia alimentatrice. Non siamo espressioni di forze cieche, contraddittorie: siamo investiti da una energia che conduce a perfezione. Così esprime l'idea il Vangelo di Giovanni: «Dio ha tanto amato il mondo». Noi siamo frutto di un amore. È un termine antropomorfico, perché Dio è molto di più dell'amore, ma noi riusciamo a indicare la realtà che ci alimenta e ci sostiene solo con questi termini, che traducono la nostra esperienza.
    Questo è il primo dato fondamentale della fede cristiana: credere in Dio significa ritenere che c'è una Vita grande, che c'è una Verità immensa, che c'è un Bene sommo e che una forza positiva ci alimenta. Il nostro futuro è possibile, perché Dio può entrare nella nostra vita.
    Tale possibilità si realizza però quando c'è accoglienza, quando nella persona esiste un atteggiamento di sintonia. Mentre nelle altre forme elementari della creazione tutto avviene in modo meccanico, deterministico, caotico (anche il caos è deterministico), a livello umano la forza della vita richiede di diventare pensiero, decisione; sollecita quindi sintonia, accoglienza, altrimenti non può svilupparsi. Per questo il Vangelo parla di giudizio e di condanna. Sono termini metaforici, perché non esiste una sentenza di Dio nei nostri confronti, né un tribunale divino che giudica la nostra vita: è un autogiudizio, un'autocondanna. Quando la Vita non è accolta, le forme precedenti di vita sfioriscono, non si sviluppano Quando l'energia di vita non viene interiorizzata, prevale la morte. Le dinamiche di morte, di distruzione, le spinte caotiche, prevalgono sulle spinte del bene. Questa è la condanna, questo è il "giudizio già pronunciato" in chi non accoglie la Vita.
    Questo è il primo aspetto della fede in Dio, quello che la festa di oggi ci ricorda. Quando diciamo che «Dio è uno solo» vogliamo dire che la forza di vita è positiva, è unidirezionale, ci conduce a perfezione. C'è una Realtà profonda che ci sostiene e che rende sensata tutta la nostra esistenza.
    Come cristiani aggiungiamo: «Dio è Trino» cioè diciamo Dio trinitariamente. Ci sono anche altre esperienze religiose che hanno modalità analoghe di esprimere il divino (per esempio anche l'induismo ha una certa modalità triadica di esprimere l'esperienza con Dio). Nel cristianesimo la prospettiva trinitaria è diventata anche una formula dottrinale. Ma non è una formula calata dal cielo o detta da Dio, perché utilizziamo termini umani. Se fosse calata dal cielo o detta da Dio, sarebbe stata formulata fin dall'inizio, mentre ha richiesto secoli per essere formulata, perché nasceva da una esperienza. La formula trinitaria esprime la fede vissuta «tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede» (Ebr 12,2) ed evidenzia due qualità peculiari dell'esperienza cristiana.
    La prima è il carattere relazionale della nostra esistenza: noi siamo rapporto, per cui diciamo Dio in modo relazionale: Padre, Figlio, Spirito sono termini relazionali.
    La seconda modalità è il carattere temporale: la creatura può accogliere il dono della vita solo in una successione di eventi.
    Chiariamo brevemente queste due caratteristiche specifiche dell'esperienza cristiana e soprattutto vediamone i riflessi spirituali, dato che siamo raccolti qui per alimentare la nostra vita interiore.

    Il carattere relazionale della nostra natura

    Il meccanismo del nostro pensiero tende a fissare le cose, ad assolutizzarle, perché le separa. Noi pensiamo separando: il nostro pensiero fissa le diverse cose separandole fra loro. Tutte le culture che accentuano fortemente il pensiero, tendono a rilevare la differenza tra le cose. In questo modo rischiano di non cogliere il nesso profondo che le costituisce.
    Qui si potrebbe anche riflettere un momento sulla accentuazione del pensiero che nella nostra cultura si è verificata a partire dal secolo XVI: tutto è stato ricondotto al pensiero fino alle punte radicali dell'idealismo e dell'individualismo. Per fortuna queste dinamiche non sono mai isolate, ci sono sempre reazioni interne, perché la vita si difende. Però dobbiamo riconoscerne i frutti, per esempio nell'esasperata ricerca della felicità individuale che caratterizza la nostra società. Come se fosse possibile l'essere felici da soli, mentre non si può essere felici che in comunione, accogliendo e offrendo i doni della vita. Tutte le ricerche che noi oggi viviamo in modo individualistico sono sbagliate, non perché sono ricerche di beni, anche economici o politici o di organizzazione di società, ma perché sono ricerche fatte in prospettiva individuale. Il singolo individuo o la famiglia o il gruppo si pongono come fattore di contraddizione, di separazione dagli altri.
    Questi atteggiamenti sono insensati, perché la vita è trama di rapporti. Non esiste la realtà in sé, non esistono le cose, esistono rapporti. Le cose sono costituite dalle relazioni. Anche a livello fisico la realtà è come l'emergenza di un intreccio di energie, espressione di rapporti profondi che emergono e appaiono. Noi siamo costituiti dalle relazioni, non solo con gli altri (questo è il livello superiore), ma anche con gli animali, con le piante, con la realtà che ci attornia. Siamo in simbiosi continua, in una comunione radicale, condizione per cui l'energia che ci costituisce possa pervenirci ed esprimersi in noi.
    In questo senso noi possiamo diventare noi stessi vivendo rapporti e alimentando relazioni. La nostra struttura relazionale si manifesta anche nel modo di pensare e di dire Dio.
    Se la realtà è relazione, anche la perfezione divina, cioè il Tutto, in un modo suo, che noi non possiamo né immaginare né sapere, è costituito da dinamiche relazionali. Cosa voglia dire questo riguardo a Dio non lo possiamo capire, lo possiamo percepire solo nelle nostre piccole realtà create.
    I termini che noi utilizziamo per parlare di Dio sono termini umani: figlio, dono, principio, parola, spirito; e sono tutti termini relazionali che indicano rapporto. Non sappiamo che cosa indicano di Dio. Importante però è avver tire che l'espressione di fede in Dio mette in luce anche una caratteristica della nostra condizione: noi siamo relazione.
    Il che vuol dire che, se Dio è, per vivere intensamente noi non possiamo evitare il rapporto con Lui. Vivere la relazione con Dio non è accidentale per noi, ma costitutivo. E il viverla consapevolmente ci rende, da un punto di vista umano, compiuti. Chi vive la fede in Dio deve avere questa consapevolezza: il suo traguardo è una compiutezza umana che deve diffondere.
    Non è necessario che gli altri abbiano le stesse nostre espressioni di fede. Essi possono accogliere le dinamiche vitali che emergono da chi vive la fede in Dio. Se Dio è al fondo della vita, se noi siamo costituiti dalle relazioni, il vivere la relazione con Dio è costitutivo, sviluppa delle dinamiche che sono essenziali per l'umanità e che anche altri possono poi assumere, anche se non vivono la fede in Dio come noi la viviamo. Abbiamo un compito quindi nei confronti degli altri.

    I riflessi spirituali del carattere temporale tipico della creatura

    Il secondo aspetto è quello temporale: la formula trinitaria esprime il fatto che in noi l'azione di Dio si sviluppa nel tempo. Non mi soffermo a lungo a illustrare questo aspetto, preferisco metterne in luce i riflessi spirituali.
    Noi viviamo il rapporto con Dio modulato nel tempo e quindi come memoria del passato, attesa del futuro e accoglienza del presente: Dio che era, che è e che verrà.
    La memoria del passato. Noi riassumiamo tutta la storia, e tutto ciò che è avvenuto finora, oggi ci viene affidato per farlo fiorire e consegnarne i frutti alle generazioni nuove. A livello fisico sono cose molto elementari: ciascuno di noi è uno spicchio dell'universo. L'universo costituito nei miliardi di anni precedenti ci è consegnato. La cura per esempio del nostro corpo è anche il rispetto del tempo che è stato necessario perché il calcio, l'azoto, il ferro, ecc., tutta la realtà che ci costituisce venisse prodotta e poi pian piano diffusa nell'universo. È proprio la consapevolezza di questo inserimento nel grande processo cosmico che diventa rispetto sacro della nostra realtà fisica.
    La memoria della vita a livello biologico: l'avventura che la vita ha percorso, con i molti tentativi che ha fatto... finalmente in noi è giunta a consapevolezza. Riassumiamo una lunga storia, che in noi è giunta a consapevolezza e che noi possiamo definitivamente distruggere, rendendo vani i successi che per miliardi di anni la vita ha raggiunto.
    A livello psichico: le sofferenze delle generazioni che ci hanno preceduto, gli amori, gli impegni, la generosità ci sono consegnati per un compimento C'è stato anche il male, certo, ma la vita ha trionfato. Vuol dire che il bene è stato più potente. L'amore delle generazioni che ci hanno preceduto, le conoscenze che sono state acquisite, che oggi raccogliamo nelle enciclopedie, nei compact disc, tutto questo è affidato a noi per essere condotto avanti e sviluppato. La memoria è fondamentale. L'azione di Dio che si è espressa ed è giunta a tradursi in pensieri e imprese nelle creature, ora è affidata a noi.
    E l'attesa del futuro, perché tutto questo non è ancora finito, ci sono ancora doni che debbono essere accolti. Ma potranno essere accolti se impariamo ad attenderli. Perché potrebbero essere dispersi, passare inutilmente, andare perduti. Sono contenuti già nell'azione creatrice di Dio, ma non sono ancora apparsi sulla nostra terra. E perché appaiano è richiesta la nostra sintonia di attesa: perché sia possibile il domani è necessaria la nostra speranza.
    Pensiamo cosa significa il nostro impegno in rapporto alle generazioni future. Perché esse possano crescere e possano trovare un mondo abitabile, un mondo di pace, ci è chiesto di saper superare i dissidi di oggi, le incomprensioni, i conflitti, le aggressioni che oggi esistono. Perché domani sia la pace, ci è chiesto oggi l'esercizio attivo dell'attesa.
    E infine tutto questo si svolge nell'istante, nel piccolo presente del nostro tempo. Quel piccolo spazio in cui il dono ci è consegnato, in cui il Mistero si rivela. Imparare a vivere intensamente il proprio presente, consapevoli del Mistero, rispettosi di tutto ciò che ci è consegnato, è il segreto della gioia: il rispetto per il Mistero che ci avvolge e si consegna, attraverso gli altri, nelle piccole esperienze di ogni giorno. Anche quando l'altro è antipatico, anche quando ci offende, tutto è sempre ambito di un Mistero che si svolge, di un presente in cui l'Eterno si affaccia. In modo frammentario, incompiuto, certo, quindi limitato; ma fondamentalmente positivo, perché è l'azione di Dio che si esprime.
    Quando cominciamo a vivere in questo modo, comprendiamo che valore ha credere in «Dio che è, che era e che viene», come dice l'Apocalisse nella formula del versetto alleluiatico di oggi: il Padre che è, la Parola che ci è stata consegnata, lo Spirito che ci è promesso. Vivere trinitariamente significa immergersi nel tempo di fronte all'Eterno, in modo che nulla del Suo dono vada mai perduto e il Mistero che ci avvolge costituisca l'orizzonte quotidiano della nostra esistenza.


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