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    L'animazione come
    metodo educativo

    Pierpaolo Triani

    È bene partire provando, per un momento, a lasciarci suggestionare dalle parole.
    Anima ci riconduce al termine greco ànemos, che significa vento, soffio. C'è un vento che soffia fuori di noi che può essere leggero come la brezza o sconvolgente come un uragano; e c'è anche, per usare il linguaggio metaforico, il vento che soffia dentro di noi, lo spirito, il dinamismo vitale che, secondo diverse tradizioni religiose, è stato "alitato" in noi. Un dinamismo che opera senza poter essere "afferrato", che si può sentire e percepire, ma non vedere.
    Non a caso dunque il termine anima è stato utilizzato, in diverse filosofie, per esprimere il nucleo più profondo di ogni uomo, di cui è più semplice parlare per distinzione (ciò che egli non è) piuttosto che per definizione.
    Nessuno può afferrare fino in fondo l'anima dell'altro e tanto meno crearla; può solo riconoscerla e attivarla. Parlare di anim-azione perciò significa mettere in campo una prospettiva di intervento sulla realtà e di promozione delle persone che si caratterizza come:
    • un'azione dell'anima, ossia, per esplicitare meglio la metafora, come un insieme di pratiche dove chi opera mette in gioco, con coraggio e intensità, le proprie energie vitali;
    • un'azione che fa agire l'anima, ossia come un insieme di pratiche che mirano al far fare (Contessa, 1996), a rendere realmente attive le proprietà, le caratteristiche, le potenzialità di ogni persona;
    • un'azione che intende promuovere l'anima, ossia come un processo intenzionale che guarda allo star bene del soggetto, ma soprattutto alla "liberazione della persona umana da quei condizionamenti che ne limitano la realizzazione e la capacità di governo della propria esistenza individuale e collettiva" (Pollo, 1998, p. 93).
    Il principio dell'animazione, proprio per la sua ricchezza, può essere declinato in modi differenti a seconda delle finalità che vengono chiamate in causa, dei linguaggi che vengono utilizzati, dei contenuti e dei dinamismi su cui si intende operare con maggiore forza. Si hanno perciò diversi modelli e diverse accezioni di animazione.
    Per quanto riguarda i modelli sono state elaborate negli anni scorsi alcune classificazioni (Pollo, 1998; Floris, 2001) che hanno cercato di mettere in luce e ordinare le diverse sensibilità (ludiche, aggregative, espressive, culturali, politiche) che rendono ricco e variegato il cosiddetto mondo dell'animazione (Floris, 2008).
    Per quanto riguarda invece le accezioni se ne possono riconoscere attualmente due basilari (Triani, 2002).
    Vi è un'accezione debole, secondo la quale l'animazione viene intesa come quell'insieme di attività finalizzate a distrarre, divertire, e per questo considerata meno impegnativa e seria degli interventi educativi.
    Vi è un'accezione forte, secondo la quale l'animazione va intesa come "un'azione sociale di promozione umana e di coscientizzazione personale e comunitaria" (Ellena, 1997). In quest'ottica l'animazione non è qualcosa di totalmente estraneo all'educazione, al contrario è un modo di interpretare le finalità del processo formativo, di intendere e realizzare l'impegno educativo; è un metodo con alta valenza educativa (Triani, 2001).
    È all'interno di questa accezione forte che si intende offrire con il presente contributo, in modo sintetico, una sorta di indice tematico dell'animazione in quanto metodo.

    L'animazione in quanto metodo

    L'espressione "metodi e tecniche dell'animazione" indica generalmente l'insieme di modalità e di pratiche attraverso le quali l'intenzione animati-va è concretamente declinata. Nell'uso comune non vi è un confine netto tra l'ambito dei metodi e quello delle tecniche; entrambe le parole vengono spesso utilizzate come sinonimi, oppure a volte sono distinte considerando le tecniche come fattori a sé stanti che possono essere valorizzati all'interno di specifici metodi. Per esempio le tecniche di presentazione dei membri di un gruppo possono essere utilizzate all'interno di un processo formativo centrato sulla costruzione di un progetto come, ugualmente, all'interno di un processo centrato sulla narrazione di sé.
    Le pratiche animative hanno costruito negli anni un ricco bagaglio di risorse, ma non è mia intenzione entrare nel dettaglio attraverso una loro puntuale descrizione. Prima infatti di essere un insieme di metodi e tecniche, ritengo che l'animazione possa essere intesa come metodo educativo "al singolare", ossia come una specifica logica di azione adatta a promuovere la persona. Ed è su questo punto che vorrei soffermarmi.
    Per metodo possiamo intendere un insieme strutturato e dinamico di operazioni strettamente connesse a una finalità che si intende "costruire" "produrre", "raggiungere", "far emergere". C'è metodo non solo dove c'è intenzionalità, ma attività organizzata. La pratica dell'animazione non si basa sulla mera spontaneità, ma sul fare leva costantemente su alcune operazioni; l'animatore, come vedremo anche tra poco, fa sentire, esprimere, divertire, interagire ecc.
    Queste operazioni in sé hanno la possibilità di attivare processi formativi, hanno cioè una loro forza trasformativa; esse diventano metodo educativo in senso proprio quanto sono valorizzate consapevolmente e progettualmente per permettere alle persone di vivere la propria vita in modo significativo, di crescere in consapevolezza, libertà e responsabilità.
    Alla luce di queste precisazioni il metodo dell'animazione (o metodo animativo) può essere descritto come quell'insieme organizzato e progettualmente co-costruito di azioni che, avendo come finalità ultima la promozione della significatività della vita delle persone, mira ad accrescere la vitalità, l'espressione delle persone, la partecipazione dei gruppi, delle organizzazioni, attraverso una serie di interventi di carattere espressivo, culturale, ludico, ricreativo, in una logica di crescente coinvolgimento (Triani, 2001).
    Il metodo animativo dunque, come ogni metodo educativo, si presenta come una realtà "significativa", in quanto ha alla base alcune opzioni culturali di fondo e perché attraverso il proprio svolgersi permette l'attuazione di alcune caratteristiche fondamentali della persona.

    I terreni culturali dell'animazione

    Alla base del metodo animativo sta un orizzonte di valori e contenuti che si presenta come l'intreccio di una serie di filoni culturali (Regogliosi, 1989; Pollo, 2002; Deluigi, 2010). L'albero dell'animazione, per restare nel linguaggio metaforico, è un albero con radici ramificate che attingono risorse da terreni diversi.
    Un primo terreno può essere individuato nell'attivismo. L'animazione infatti attinge da questa prospettiva pedagogica la concezione per cui non c'è autentico apprendimento senza uno stretto connubio tra riflessione e azione. Si impara facendo e riflettendo sull'esperienza che si va compiendo; svolgono perciò un ruolo cruciale il protagonismo dell'educando, il rapporto diretto con i problemi della realtà, il confronto, la riflessività.
    Un secondo terreno può essere individuato in un complesso di posizioni, molto diffuse nel contesto italiano soprattutto a partire dagli anni Sessanta, che possiamo riassumere nella sigla "promozione umana e sociale". L'educatore, l'insegnante, l'operatore sociale hanno il compito di emancipare la situazione dei singoli e delle società. Per fare questo occorre, come sottolineava Paulo Freire (2002), superare una concezione depositaria dell'educazione per assumere invece una concezione problematizzante che ha nella coscientizzazione il processo cardine. Da questo terreno è attinta la convinzione che animare è propriamente liberare le persone, rendendole più consapevoli di sé e del mondo. In questo processo di liberazione ricopre un ruolo fondamentale, come testimonia la grande attenzione data all'espressione corporea, al linguaggio teatrale e alla cultura popolare (Deluigi, 2010), la progressiva consapevolezza delle proprie risorse comunicative.
    Un terzo terreno è quello che potremmo definire con la sigla "alternativa sociale". L'idea portante di questo territorio culturale è quella secondo la quale l'animazione è realmente educativa se pone al centro l'immaginazione e la creatività, se permette fattivamente di pensare in modo nuovo e di pensare il nuovo.
    Un quarto terreno è quello della cultura del tempo libero, che ha preso particolarmente forza verso la fine del XX secolo. Le parole chiave qui diventano "gioco", "divertimento", riconosciuti come fattori che concorrono in modo forte alla costruzione del benessere personale. 

    Le dimensioni antropologiche

    Ogni metodo educativo non solo ha un patrimonio culturale di riferimento, ma si connota per la valorizzazione di alcuni aspetti propri della vita umana, che sono assunti sia come punto di partenza, sia come risorsa, sia come finalità. Il metodo cooperativo, per esempio, è definito tale perché pone al centro l'interazione collaborativa tra i soggetti coinvolti, nella convinzione che in questo modo potranno imparare meglio a vivere insieme.
    Il metodo dell'animazione, a sua volta, si caratterizza per la valorizzazione di alcune dimensioni fondamentali dell'uomo (Cadei, 2001; Triani, 2001).
    La prima è la sensibilità, intesa come il bisogno/desiderio/capacità di "sentire la vita", di sentirsi vivi, di mostrare attenzione e interesse verso qualcosa, di appassionarsi ed entusiasmarsi. Animare si presenta, a questo riguardo, come il contrario di mortificare.
    La seconda è l'espressività, intesa come il bisogno/desiderio/capacità di dare forma comunicabile a ciò che si sente e a ciò che progressivamente si pensa, si comprende, si costruisce. Vale la pena a questo proposito ricordare alcuni pensieri di Freire (2002, p. 78): "Esistere umanamente è dare un nome al mondo, è modificarlo [...] Non è nel silenzio che gli uomini si fanno, ma nella parola, nel lavoro, nell'azione-riflessione". Animare si presenta come il contrario di far tacere; è riconoscere ogni persona come soggetto culturale, è dargli la parola (attraverso una molteplicità di linguaggi), è coltivare questa sua potenzialità fondamentale.
    La terza è l'intersoggettività, intesa come il bisogno/desiderio/capacità della persona di entrare in comunicazione con l'altro, e di partecipare con gli altri alla modificazione della realtà. Animare diventa il contrario di lasciare da soli; è promuovere esperienze di incontro, di dialogo, di collaborazione.
    Accanto a queste tre dimensioni sono ormai convinto se ne debba aggiungere una quarta, che in alcuni miei scritti precedenti sul tema ho solo accennato. Si tratta dell'immaginazione, intesa come il bisogno/desiderio/capacità di pensare il nuovo, l'inedito, il fantastico. Animare diventa il contrario di replicare meccanicamente; è far "trasformare", promuovere la fantasia, la creatività, la divergenza costruttiva, è permettere di guardare alla realtà con occhi capaci di immaginare futuri diversi e percorsi inusuali. Il gioco, in fondo, è proprio questo: darsi uno spazio in cui abitare il mondo secondo uno sguardo diverso.

    La struttura di base

    Dalle dimensioni antropologiche che stanno a fondamento del metodo si originano diverse operazioni che concorrono a delineare la struttura dinamica dell'azione animativa. Tale struttura è ciò che dà senso all'utilizzo delle diverse tecniche e delle diverse metodiche. Proverò a descrivere brevemente le sue caratteristiche, cercando di porre in luce ciò che è richiesto all'animatore di mettere in atto.
    L'animazione prende forma, innanzitutto, attraverso lo strutturarsi di una "trama esistenziale". Perché le persone possano sentirsi realmente coinvolte, e possano sentirsi provocate e stimolate ad agire, c'è bisogno innanzitutto che sia costruito un clima positivo, che si generi un intreccio relazionale costruttivo. A questo riguardo la prima operazione è quella dello "stare con". Per mettere in moto processi di cambiamento duraturi c'è bisogno che l'animatore prenda parte al contesto in cui opera, ne conosca le caratteristiche, ne comprenda i punti di forza e problematicità.
    Lo stare dell'animatore è strettamente connesso con l'operazione dell'accogliere. L'azione animativa comporta l'accoglienza delle persone e della loro capacità di sentire la vita, di esprimere, di partecipare, di immaginare. A loro volta lo stare e l'accogliere chiamano in causa il creare comunicazione e il creare fiducia. All'animatore infatti è chiesto di aprirsi e di promuovere lo scambio e la condivisione di informazioni, di entrare in contatto e di mettere in contatto, di generare atteggiamenti fiduciari, di mostrarsi degno di fiducia.
    Su questa trama esistenziale, l'animatore individua obiettivi e contenuti, elabora progetti e mette in atto interventi, secondo un doppio movimento (Triani, 2001).
    Il primo può essere chiamato movimento dell'animatore verso l'esterno, ossia verso le persone e i contesti. Esso si declina attraverso operazioni che richiamano direttamente le dimensioni antropologiche prima accennate.
    Vi è innanzitutto il sensibilizzare/vitalizzare. L'animatore, infatti, cerca di rendere vitali le persone, di stimolare la loro capacità di sentire; cerca di sintonizzare la loro sensibilità verso ciò su cui intende operare con loro.
    Vi è poi il far esprimere/promuovere forme. L'animatore cerca di suscitare "la parola" stimolando l'espressione e la significazione attraverso l'attivazione di diversi canali espressivi, attraverso il potenziamento dei linguaggi basilari per dire e raccontare la vita, nella consapevolezza che "pronunciare la parola autentica significa trasformare il mondo" (Freire, 2002, p. 77).
    Vi è quindi il far partecipare/rendere partecipi. L'animatore mette in atto strategie per fare in modo che le persone si sentano parte di un gruppo, di una comunità; condividano valori comuni; progettino e operino insieme. Non a caso lo studio delle dinamiche di gruppo e le tecniche di gestione dei gruppi sono uno dei punti di forza della cultura dell'animazione.
    Vi è (non alla fine ma costantemente) inoltre un far immaginare. A questo riguardo l'animatore è colui che invita a uscire dalle proprie visioni, che stimola e provoca per allargare gli orizzonti e i mondi delle persone, per promuovere la loro capacità di pensare il nuovo e di trasformare la realtà.
    Tenendo presente questo quadro articolato di operazioni si può comprendere bene come vi siano delle tecniche che puntano l'attenzione solo su alcune di esse e come invece ve ne siano altre più complesse (per le quali forse si può utilizzare la nozione di "metodi") capaci di valorizzarle, con sfumature diverse, tutte. La pratica del teatro, per esempio, può rientrare in questa seconda categoria.
    Il secondo movimento può essere chiamato movimento dell'animatore verso se stesso. Il metodo dell'animazione infatti si realizza pienamente nella misura in cui colui che ha la responsabilità di guidare il processo animativo mette in atto alcune operazioni che hanno come oggetto il proprio vissuto e il proprio comportamento. Anche in questo caso sono chiamate in causa le dimensioni antropologiche fondamentali.
    In rapporto con la sensibilità è chiesto all'animatore di essere attento a ciò che accade durante l'azione, a ciò che egli sente e vive, a ciò che egli va facendo.
    In rapporto con l'espressività, il movimento verso se stesso chiede all'animatore di andare in profondità nella lettura della realtà, cercando di esprimere in modo sempre più ricco ciò che egli va vivendo e comprendendo.
    In rapporto con l'intersoggettività è chiesto all'animatore di non assumere solo la parte della guida, bensì di lasciare spazio all'altro, ai suoi segni, ai suoi silenzi, a suoi tempi; di mettersi in gioco non in una logica di dominio o di manipolazione, ma di condivisione.
    In rapporto con l'immaginazione, il movimento verso se stesso comporta per l'animatore il compito di guardare le persone e la realtà in modo creativo, di lasciarsi provocare dagli altri, dai loro messaggi, dalle loro domande e proposte.
    Oltre che per i significati portanti e la struttura di base, un metodo educativo si caratterizza anche per il modo con cui sono interpretati i collegamenti tra i diversi fattori e le diverse operazioni che lo caratterizzano (Triani, 2001).
    A questo proposito, come conclusione, è opportuno mettere in evidenza come l'azione animativa nel suo strutturarsi e realizzarsi chieda di superare:
    • una logica meramente lineare per assumerne una combinatoria, attenta a far continuamente interagire le diverse componenti;
    • una logica meramente previsionale per assumerne una prospettica, attenta non solo a controllare che si faccia ciò che è stato previsto, ma capace di costruire dal nuovo che va emergendo durante l'azione; una logica meramente esecutiva, per assumerne una co-costruttiva, attenta a delineare il da farsi progressivamente, cercando di rendere partecipi tutte le persone coinvolte.

    Riferimenti bibliografici

    Cadei L. (2001), Radici pedagogiche dell'animazione educativa, ISU Università Cattolica, Milano.
    Carosio E. (2012), "L'animazione didattica", Scuola e Didattica, LVII, 14, pp. 15-24.
    Contessa G. (1997), L'animazione, Città Studi, Milano.
    Deluigi R. (2010), Animare per educare, SEI, Torino.
    Ellena G. A. (1997), "Animazione", in .I. M. Prellezo, C. Nanni, G. Malizia (a cura di), Dizionario di scienze dell'educazione, Elledici-LAS-SEI, Torino.
    Floris F. (a cura di) (2001), L'animazione socioculturale, Quaderni di Animazione 
    e Formazione, Edizioni Gruppo Abele, Torino.
    Floris F. (a cura di) (2008), Il mondo dell'animazione socioculturale, Quaderni di Animazione Sociale, Edizioni Gruppo Abele, Torino.
    Freire P. (2002), La pedagogia degli oppressi, Edizioni Gruppo Abele, Torino.
    Lucarini V. (2004), Strumenti e tecniche di animazione, Elledici, Leumann.
    Pollo M (1998), "Verso un documento di base dell'animazione", Animazione 
    Sociale, 5, pp. 29-69.
    Pollo M. (2002), L'animazione culturale, LAS, Roma.
    Regoliosi L. (1989), "Appunti per una storia dell'animazione in Italia", Animazione Sociale, 13, pp. 5-17.
    Triani P. (2001), "Ipotesi sul metodo dell'animazione", Animazione Sociale, 2, pp. 70-81.
    Triani P. (2002), Sulle tracce del metodo. Educatore professionale e cultura metodologica, ISU Università Cattolica, Milano.

    (da: Vanna Iori, a cura di, Animare l'animazione. Gioco pittura musica danza teatro cinema parole, Franco Angeli 2012, pp. 13-20)


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