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    Dodici passi

    verso la preghiera

    Ferruccio Ceragioli *


    Il vangelo di Marco (Mc 12,28-34) racconta che, nei giorni immediatamente precedenti la Pasqua di Gesù, nel clima ormai segnato da una durissima ostilità nei confronti del Signore, un giorno, probabilmente al tempio, uno scriba si avvicinò a Gesù e gli pose una domanda: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?». In questo caso, a differenza di altri, l'interrogativo non aveva scopi polemici e non mirava a mettere alla prova Gesù, ma voleva davvero ascoltare dal Signore una risposta su una domanda peraltro diffusa nelle varie scuole rabbiniche dell'epoca. È una domanda che resta interessante anche per noi, soprattutto se la ritraduciamo in questo modo: «Quale è la cosa più importante della vita? Che cosa conta davvero? Per che cosa vale la pena vivere?». E anche a noi, come allo scriba, interessa ascoltare e comprendere la risposta di Gesù: «Il primo è: Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l'unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. Il secondo è questo: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Non c'è altro comandamento più grande di questi». È una risposta che certamente conosciamo, ma che merita di non essere data per scontata, perché può rivelare molte cose e può metterci in questione al di là di quello che diamo per ovvio e scontato.

    Innanzitutto, si potrebbe dire che, secondo la logica di Gesù, la risposta non poteva essere diversa. Se è vero che, come dice Giovanni nella sua prima lettera (cfr. 1Gv 4,8), Dio è amore, allora Dio non può che amare [1] e Dio non può che chiedere di amare. Ma, forse, il nodo per chi ascoltava Gesù allora e anche per chi, come noi, lo ascolta oggi, è che cosa vuol dire amare. Che cosa vuol dire amare Dio e amarlo con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente e con tutta la forza? E che cosa vuol dire amare il prossimo e amarlo come se stessi?
    Possiamo pensare alla nostra esperienza dell'amore, pur sapendo che è limitata e anche spesso inquinata. Quando si vuole bene a una persona, si desidera stare con lei, passare del tempo insieme, condividere delle cose. Anche con Dio può essere così: amarlo vuol dire stare con Lui, dirgli che siamo contenti che ci sia e che sia come è, ringraziarlo di tutti i suoi doni, condividere con Lui le nostre gioie, le nostre fatiche, le nostre angosce e le nostre speranze. Quando si ama una persona si desidera inoltre fare qualcosa per lei, regalarle qualcosa che la renda felice, che le faccia piacere. Anche con Dio può essere così: amarlo significa desiderare di fare qualcosa per Lui, o, potremmo dire, desiderare di fare la sua volontà, come ha fatto Gesù che diceva: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera» (Gv 4,34). E che cosa può fare piacere al Padre se non che i suoi figli si vogliano bene, si sostengano a vicenda, vadano d'accordo, si perdonino, si riconcilino e vivano nella armonia e nella pace? Si capisce bene da qui il legame tra il primo e il secondo comandamento e come sia impossibile separarli. Anche amare il prossimo vuol dire prima di tutto essere contenti dell'esistenza dell'altro, dirgli: «È bello che tu esista». E poi vuol dire desiderare che l'altro (un altro che possono essere davvero tutti, senza confini né limitazioni) possa vivere la sua vita in pienezza e per questo aiutarlo a togliere tutto quello che impoverisce la sua vita, che ne ostacola lo sbocciare, il fiorire e il portare frutto e, dunque, vuole dire farsi vicini e stare vicini, prendersi cura. Perché tutto possa sfociare in fraternità, amicizia e comunione.
    Ci si potrebbe chiedere che cosa c'entra tutto questo con il tema della spiritualità e con il tema della preghiera che dà il titolo a questo contributo. In realtà, questo duplice comandamento dell'amore si colloca al cuore della spiritualità cristiana: se la vita spirituale è una vita guidata dallo Spirito, da quello Spirito che è lo Spirito del Padre e del Figlio e dunque è lo Spirito dell'amore, per il cristiano il cammino della spiritualità consisterà nell'imparare a lasciarsi insegnare dallo Spirito che cosa è l'amore (per Dio e per i fratelli) e a lasciarsi condurre dallo stesso Spirito a vivere questo amore (per Dio e per i fratelli) in tutta la propria esistenza.
    Forse è importante recuperare questa idea di spiritualità in un contesto come quello contemporaneo in cui rischia di essere concepita in modi significativamente diversi, con tratti che possono essere molto interessanti, ma spesso anche discutibili [2]. Facciamo qualche esempio: oggi la spiritualità è spesso intesa come sinonimo di benessere interiore, qualcosa che, in una vita frenetica e angosciante, aiuti a recuperare la serenità e l'armonia con sé stessi. Questo non è ovviamente da disprezzare, al contrario, ma il problema è che questa pace dell'anima talora viene perseguita nella separazione dagli altri ambiti della propria vita ordinaria, a partire dal lavoro e dalla vita sociale e politica, e persino anche isolandosi dalle altre persone che potrebbero disturbare questa ricerca. Un altro aspetto che caratterizza diverse forme di spiritualità del nostro tempo è l'assenza di Dio: mentre una volta veniva dato per scontato il legame tra la spiritualità e Dio, oggi ci possono essere spiritualità senza Dio, talora ispirate a tradizioni orientali come quella buddhista. In questo caso la meta della ricerca non è più Dio, ma sono le profondità di noi stessi o addirittura il vuoto da cui tutto si genera e a cui tutto ritorna (magari anche facendo riferimento alle teorizzazioni sul vuoto della meccanica quantistica). Oppure si parla sì di Dio, ma di un Dio che non è un Dio personale con cui entrare in dialogo, bensì un oceano di energia con cui connettersi e nel quale immergersi. Anche il rapporto con il corpo e con la natura segnano profondamente (e giustamente) tanta spiritualità del nostro tempo: abbiamo certamente bisogno di recuperare queste dimensioni che abbiamo trascurato se non addirittura disprezzato, ma anche qui si possono imboccare sentieri che rischiano di condurre a nuovi animismi o nuovi panteismi, fino a una sorta di divinizzazione della Grande Madre Natura (per esempio la cosiddetta "ipotesi Gaia" di James Lovelock potrebbe indirizzare in questo senso? [3]). Infine, oggi la spiritualità, anche per un'allergia verso le Chiese e le istituzioni in genere, sembra avere dei tratti non solo individualistici, ma spesso anche molto soggettivistici: tutto è spiritualità, in questa realtà ognuno può metterci tutto quello che vuole, senza che ci sia in essa niente di oggettivo.
    Credo che sia allora utile mettere in evidenza alcuni dei tratti specifici della spiritualità cristiana, che, come già in parte anticipato a partire dal duplice comandamento dell'amore, è una spiritualità ad un tempo dell'interiorità e dell'esteriorità, del dialogo e della relazione, del corpo e dello spirito, della persona e della comunità. Una spiritualità che non è mai chiusura in sé stessi, ma sempre apertura a una relazione, relazione con Dio, ma anche relazione con i fratelli, e che è chiamata a invadere tutta la persona (spirito, anima e corpo, cfr. 1 Ts 5,23) e tutti gli ambiti della sua esistenza, dalle relazioni al lavoro, dalla politica all'economia, dal tempo libero al tempo del riposo, fino a poter realizzare gli inviti di Paolo ai cristiani delle sue comunità: «Qualunque cosa facciate, in parole e in opere, tutto avvenga nel nome del Signore Gesù, rendendo grazie per mezzo di lui a Dio Padre» (Col 3,17); e anche: «Sia che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio» (1Cor 10,31); o ancora: «Siate invece ricolmi dello Spirito, intrattenendovi fra voi con salmi, inni, canti ispirati, cantando e inneggiando al Signore con il vostro cuore, rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo» (Ef 5,18-20). Una spiritualità che, in ultima analisi, non è altro che amore, amore per Dio e amore per i fratelli.

    ***
    Non potendo trattare qui il tema nella sua ampiezza e complessità, abbiamo scelto di concentrare la nostra attenzione su un suo aspetto particolare e tipico, vale a dire la preghiera. Pur consapevoli che la preghiera non esaurisce né il tema dell'amore né quello della spiritualità, siamo tuttavia convinti che, da una parte, essa sia cifra significativa dell'intero tema della spiritualità, e, dall'altra, che essa sia un modo estremamente ricco di vivere il duplice comandamento dell'amore. Sì, la preghiera è un bel modo per amare Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente e con tutta la forza, nella linea di quanto dicevamo sopra: passare del tempo con Colui che ci ama e che vogliamo amare, per lodarlo, ringraziarlo, condividere con Lui tutto ciò che viviamo nel bene e anche nel male. Ma, come tenteremo di dire, la preghiera ci consente anche di vivere il secondo comandamento, quello dell'amore del prossimo.
    Per avvicinarci al mistero della preghiera, pur senza avere affatto alcuna pretesa di esaurirlo (per esempio non accenneremo nemmeno alla preghiera liturgica e comunitaria), proponiamo dodici passi successivi, ognuno dei quali sarà semplicemente costituito da un breve commento ad alcune affermazioni tratte da grandi autori spirituali, uomini e donne, della tradizione cristiana di Oriente e di Occidente, antica, moderna e contemporanea. Sappiamo bene però che non sono le parole che si dicono sulla preghiera a farne penetrare il senso profondo, nel suo dolore e nella sua gioia, ma sono solo il viverla, lo sperimentarla, il pagarla e il gustarla sulla propria pelle e nella propria carne che ci introduce davvero in essa.

    1. L'insondabile mistero della relazione con Dio
    «Ecco la preghiera: essa è la presa di coscienza di quell'insondabile mistero che è la nostra relazione con Dio» [4].
    Il primo passo di questo itinerario sulla preghiera è una frase di don Giovanni Moioli. La preghiera nasce dalla presa di coscienza, che può essere anche ridottissima, elementare, minima, che la nostra vita è in qualche modo accompagnata da una presenza, la presenza di Colui al quale possiamo dare il nome di Dio, e dalla consapevolezza che con questa misteriosa presenza possiamo entrare in relazione, perché è una presenza aperta alla relazione con noi. Man mano questa presa di coscienza si arricchisce e diventa consapevolezza della differenza tra Dio e noi, tra la creatura e il creatore: «Vi è infatti una sproporzione indicibile tra noi e Dio: non siamo due realtà, noi e Dio, comparabili o commisurabili tra di loro, che possano darsi appuntamento. In realtà Egli è prima di noi: non solo nel senso, abbastanza superficiale, che al momento in cui siamo nati Egli c'era già; o nel senso, ancora troppo esteriore, che Egli è più grande di noi. L'intuizione va spinta ben oltre. Dio è «prima» perché è il fondamento e la ragione stessa di tutto ciò che noi siamo. È Lui che, in Gesù Cristo, viene a cercarci» [5]. Insomma, di questa relazione non siamo noi i protagonisti primi, al contrario siamo sempre preceduti: «In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati. ... Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo» (1Gv 4,10.19). L'iniziativa è sempre di Dio: si comprende così come la preghiera prima che essere una parola che noi diciamo a Dio è una parola che noi ascoltiamo da Dio. Per questo la preghiera è anzitutto ascolto, ascolto di un Dio che ci parla in tanti modi e, in particolare, attraverso la sua parola attestata nella Bibbia. La Scrittura, per esempio nel libro dei Salmi, ci dona anche le parole umane per rivolgerci a Dio, ma prima di tutto ci chiede di ascoltare, perché è nell'ascolto che ci si apre alla relazione con Colui che è altro da noi ed è prima di noi. Pregare è allora dire al Signore come il giovane Samuele: «Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta» (1Sam 3,9).

    2. Il debito e la gratitudine
    «La preghiera è l'espressione di un'esistenza debitrice» [6].
    Se nel primo passo abbiamo sperimentato che la preghiera è una relazione in cui prendiamo coscienza di essere sempre preceduti da Dio, il secondo passo è rendersi conto che questo essere "prima" di Dio non si esprime nella logica del dominio, ma nella logica del dono. Dio è prima di noi non per schiacciarci od opprimerci, ma per ricolmarci dei suoi doni. La nostra stessa vita, ciò che noi siamo e possiamo essere è dono di Dio. È lui che ci ha creati e ci ha ancora prima desiderati: «Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d'amore della sua volontà, a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato» (Ef 1,3-6). Per questo la preghiera è espressione di riconoscenza e gratitudine, nella consapevolezza di un debito che non potremo mai estinguere, ma che non per questo ci lascia tristi, angosciati o assillati, e al contrario si trasforma in gioioso rendimento di grazie.

    3. Chiunque chiede riceve
    «Pregare è, prima di tutto, tendere la mano a Dio per ricevere» [7].
    Proprio perché da noi non possediamo niente e tutto quello che abbiamo lo abbiamo ricevuto in dono («Che cosa possiedi che tu non l'abbia ricevuto?», 1 Cor 4,7), siamo e restiamo dei poveri che hanno sempre bisogno di tendere la mano a Dio per ricevere. Siamo dei mendicanti, mendicanti di vita, di amore e di gioia e anche mendicanti di cose semplici e necessarie come il pane quotidiano. È questa la preghiera di supplica, di richiesta o di domanda, come preferiamo chiamarla, che non deve essere disprezzata come se fosse una forma meno nobile di preghiera. È Gesù stesso che, non solo nel Padre Nostro, ci invita a chiedere al Padre con fiducia, perseveranza e umiltà: «Io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto. Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!» (Lc 11,9-13). Un figlio chiede perché ha bisogno di qualcosa e perché desidera qualcosa, e chiede perché sa che il Padre gli vuole bene: sottovalutare la preghiera di domanda sarebbe non riconoscere la propria povertà e credere di poter bastare a sé stessi e, nello stesso tempo, non riconoscere l'amore del Padre.


    4. La preghiera del cuore

    «"Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore!".
    Questo grido si leva dalla nostra disperazione più profonda, dalla presa di coscienza del peccato che ci allontana dall'amore vero. Non esiste d'altronde preghiera possibile per il cristiano all'infuori di quella che nasce dalla coscienza del proprio peccato, coscienza che solo Dio può dare nel momento stesso in cui perdona il peccato e accoglie nel suo amore il peccatore» [8]. Di fronte al mistero di Dio l'uomo, oltre a riconoscere la propria povertà, acquista anche «coscienza della propria indegnità. Egli si accorge di essere egoista, ingiusto, contaminato, malvagio» [9]. Ma questa consapevolezza non lo schiaccia perché è accompagnata e anzi prodotta dall'incontro con la misericordia del Padre, che è sempre più grande di quanto possiamo immaginare o pensare. Nasce allora in noi, o forse si risveglia, il desiderio di Dio.

    5. Un desiderio senza fine
    «Il tuo desiderio è la tua preghiera; se continuo è il tuo desiderio, continua è la tua preghiera. Perché non invano ha detto l'Apostolo: "Pregate senza interruzione" (1 Ts 5,17). [...] Se non vuoi interrompere la preghiera, non cessare mai di desiderare. Il tuo desiderio continuo sarà la tua continua voce» [10].
    La nostra vita è intessuta dai nostri desideri, ma il cammino della preghiera è anche il passaggio dai tanti desideri superficiali che ci abitano a quel desiderio che il Signore stesso ha messo nel nostro cuore creandoci: il desiderio di Lui. Come dice ancora sant'Agostino: «Signore, ci hai fatti per Te e inquieto è il nostro cuore finché non riposa in te» [11]. Si tratta allora di esercitarci in questo desiderio e di farlo crescere fino a poterci riposare in esso.

    6. Anima e corpo
    «Allora l'uomo tutto intero è colto dalla preghiera. Anche le sue mani, i suoi piedi e le sue dita partecipano in un modo ineffabile, ma del tutto reale e percettibile, alla preghiera, e sono ricolmi di una forza che la parola umana non saprebbe spiegare»[12].
    Il desiderio di Dio coinvolge tutta la nostra persona, non solo la nostra mente o il nostro spirito, ma anche il nostro corpo. È uno degli aspetti della preghiera più dimenticati in Occidente, ma che, grazie all'incontro con l'Oriente, stiamo iniziando a riscoprire. Infatti, «l'esperienza spirituale è essenzialmente un'esperienza corporea: non solo, dunque, si tratta di non fuggire il corpo, ma occorre imparare ad abitarlo in tutta la sua potenzialità relazionale. E...] Il più "spirituale" non avviene, dunque, altrimenti che nella mediazione del più "corporeo"» [13]. Imparare a pregare anche con il corpo significa farsi coinvolgere totalmente da quella relazione che è la preghiera, come faceva san Domenico che associava nove posizioni corporee a nove atteggiamenti fondamentali della preghiera perché «un tale modo di pregare suscita la devozione mediante l'azione reciproca dell'anima sul corpo e del corpo sull'anima» [14]. E così anche la relazione con il Signore prende forme tangibili e palpabili.

    7. Sotto lo sguardo di Dio
    «La preghiera è l'esperienza della contemplazione dello sguardo di Dio rivolto su di noi. E...] È l'atteggiamento interiore di chi si mette sotto lo sguardo di Dio sapendo di essere già considerato da lui come un bene prezioso e un figlio amato» [15].
    La relazione con Dio diventa allora molto semplicemente una relazione in cui ci si sente guardati con amore e in cui si gode dell'affetto che si riceve. La difficoltà è qui quella di credere che questo sguardo è sempre rivolto a noi in ogni istante, e sempre con affetto immutabile, è credere che questo è reale in ogni momento e in ogni situazione. Questo è difficile perché «l'atto di fede che noi compiamo affermando "Dio è qui", ha un'importanza ben piccola per noi. Siamo intellettualmente coscienti che Dio è qui, ma non ne siamo coscienti fisicamente, in maniera tale da raccogliere ed incentrare ogni nostra energia, pensiero, emozione e volontà, facendo di noi un unico atto di attenzione» [16]. Sì, la preghiera, come dice Charles de Foucauld, «è l'attenzione dell'anima amorosamente fissata su Dio: più l'attenzione è amorosa, migliore è la preghiera» [17]. Già gli antichi padri del deserto avevano insistito su questo: «L'attenzione che cerca la preghiera troverà la preghiera: la preghiera infatti segue l'attenzione ed è a questa che occorre applicarsi» [18]; ma è proprio questa attenzione dello spirito che, in una vita così frenetica e dispersa, come è quella del nostro tempo, fatichiamo molto a raggiungere. Il problema è imparare quello che nei testi classici sulla preghiera viene chiamato raccoglimento, cioè il raccogliere 
    i nostri pensieri, le nostre intenzioni, le nostre energie, i nostri sentimenti, il nostro corpo, le nostre attività, e orientare tutto verso la presenza di Dio: «Nella sua essenza, la preghiera è uno stare faccia a faccia davanti a Dio, sforzandoci coscientemente di rimanere raccolti e assolutamente tranquilli e attenti alla sua presenza, il che significa starsene con mente indivisa, con cuore e volontà indivisi alla presenza del Signore; non è cosa facile» [19].

    8. Semplicità e intimità
    «Per me la preghiera è uno slancio del cuore, è un semplice sguardo gettato verso il Cielo, è un grido di gratitudine e di amore nella prova come nella gioia, insomma è qualche cosa di grande, di soprannaturale, che mi dilata l'anima e mi unisce a Gesù» [20].
    Le parole di Teresa di Gesù Bambino aggiungono due elementi molto importanti al cammino della preghiera: il primo è quello della semplicità. La preghiera non richiede doti intellettuali particolari, ragionamenti complicati, sforzi esagerati di pensiero o di volontà, ma è qualcosa di molto semplice, alla portata di tutti, dai bambini a quelli che sono capaci di ritornare bambini. L'altro elemento decisivo è l'unione a Gesù. Gesù è il punto di attrazione della preghiera cristiana, perché è Lui la via che ci conduce al Padre. Per questo nella preghiera lo sguardo si fissa su Colui che ci ha chiamati amici: come dice Teresa d'Avila, «l'orazione mentale non è altro, per me, che un intimo rapporto di amicizia, un frequente trattenimento da solo a solo con colui da cui sappiamo d'essere amati» [21].

    9. Contemplazione e conformazione
    «Quando volgi lo sguardo a Cristo con perseveranza nella preghiera, la sua immagine mistica e invisibile si imprime segretamente nel tuo essere interiore. Ricevi allora le sue qualità, vale a dire il riflesso della sua infinita bontà e dolcezza, e la "luce del suo volto" (Sal 4,7). È a proposito di questa trasformazione che Paolo dice: "Figlioli miei, che io di nuovo partorisco nel dolore finché non sia formato Cristo in voi" (Gal 4,19)» [22].
    Il grande monaco egiziano Matta el Meskin ci suggerisce che cosa avviene in questa contemplazione di Gesù (che per noi si realizza soprattutto attraverso i racconti dei vangeli): a poco a poco la sua immagine, i suoi pensieri, i suoi sentimenti, i suoi atteggiamenti si imprimono dentro di noi e diventano i nostri. E allora piano piano, magari quasi impercettibilmente, noi veniamo conformati a Gesù, prendiamo la sua forma, diventiamo un po' più simili a Lui. E allora la sua preghiera diventa la nostra: «La caratteristica della preghiera cristiana è che essa è la preghiera del Cristo, rivolta al Padre suo» [23].

    10. Nelle profondità trinitarie
    «In fondo al mio cuore lo Spirito di Dio, che è anche lo Spirito di Gesù, grida incessantemente: "Abbà, Padre" (Gai 4,6). Questo grido dello Spirito diventerà poco alla volta il mio grido personale: è la prova che sono veramente diventato figlio di Dio. Ho il diritto di farlo mio; mi è dato di balbettare con il Figlio: "Abbà, Padre" da qualche parte nel cuore di Dio, al seno stesso delle tre persone della Trinità. La preghiera è forse altro da questa tentazione di unirci allo Spirito e di lasciar sgorgare incessantemente il suo mormorio in noi?» [24].
    Con questa citazione di André Louf, entriamo ancora di più in ciò che caratterizza in modo unico la preghiera cristiana. Essa, infatti, è preghiera trinitaria in cui lo Spirito Santo ci unisce a Gesù, ci rende figli nel Figlio e fa sì che il grido di Gesù, grido della fiducia e dell'intimità, della adorazione e della lode, diventi anche il nostro grido: «Abbà, Padre». Ma allora «pregare è lasciarsi trasportare nelle profondità trinitarie, dove Dio ti plasma e ti rimodella a sua immagine» [25]. In questo senso la preghiera anticipa quello che sarà il paradiso, quando saremo immersi per sempre nella vita e nella gioia di Dio. Allora tutto sarà benedizione e lode: «Benedire Dio è rallegrarsi che egli esista e si manifesti come Dio: è essere profondamente lieti della sua presenza» [26].

    11. Misericordia e intercessione
    «Che cos'è il cuore misericordioso? È un cuore che brucia d'amore per ogni creatura: per gli uomini, per gli uccelli, per le bestie, per i demoni e per tutto ciò che esiste [—]. Il cuore si scioglie e non può sopportare di udire o vedere un danno o una piccola sofferenza di qualche creatura. E per questo egli offre preghiere con lacrime in ogni tempo, anche per gli esseri che non sono dotati di ragione, e per i nemici della verità e per coloro che la avversano, perché siano custoditi e rinsaldati; e perfino per i rettili, a motivo della sua grande misericordia, che nel suo cuore sgorga senza misura, a immagine di Dio» [27].
    Con le parole di Isacco di Ninive, entriamo nel modo in cui la preghiera diventa espressione del secondo comandamento, quello dell'amore del prossimo. L'uomo che ha fatto esperienza dell'amore di Dio, o del Dio che è amore, che si è lasciato plasmare e modellare nell'amore trinitario, non può tenere per sé quanto ha ricevuto: la misericordia che lo ha inondato trabocca dal proprio cuore e raggiunge tutte le creature, quelle creature che Dio ha voluto e che Dio ama, dagli animali agli uomini, fino a giungere persino ai rettili e addirittura ai demoni. La preghiera dilata il cuore che diventa un cuore capace di abbracciare tutto e tutti. Questa è la preghiera di intercessione nella quale, scriveva il cardinal Martini, «vi è il fatto di una mutua responsabilità, che deve essere espressa non solo attraverso l'agire, ma anche per mezzo della preghiera. Dio ci vuole gli uni per gli altri, egli desidera che mostriamo per gli altri interesse, compassione, carità, mutuo aiuto, amore in ogni cosa. Dio vuole creare una grande unità nell'umanità, attraverso l'essere gli uni per gli altri, come lui è misteriosamente in sé stesso un perpetuo dono di sé. [...] Naturalmente so bene che la mia preghiera è molto povera, pigra, spesso piena di distrazioni. Ma non di meno la considero come un piccolo rigagnolo, che fluisce dentro il grande fiume che è l'intercessione della Chiesa e delle persone buone di tutta l'umanità. Questo grande fiume di intercessione fluisce e si immerge, per me come cristiano, nel grande oceano dell'intercessione di Cristo, che "vive sempre per intercedere" a nostro favore (cfr. Eb 7,25; Rom 8,34). Così la mia piccola intercessione è parte di un grande oceano di preghiera in cui il mondo viene immerso e purificato» [28].

    12. «Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano»
    «Pregare per gli uomini è versare il proprio sangue» [29].
    San Silvano del monte Athos ha vissuto e ha insegnato in modo del tutto particolare il legame tra la preghiera e l'amore del prossimo. Egli sapeva infatti per esperienza che nella preghiera «lo Spirito santo insegna in modo ineffabile all'anima ad amare gli uomini» [30]. Se la preghiera ci unisce a Gesù, che ha amato i suoi nemici (tra i quali eravamo anche noi, come dice San Paolo: «Quand'eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo», Rrn 5,10) fino a versare il proprio sangue per noi sulla croce, e ci ha insegnato ad amare i nostri nemici (cfr. Mt 5,44), allora la preghiera ci renderà capaci di compiere quanto ci sembra impossibile: amare i nemici, perdonare, riconciliarci. Scrive ancora Silvano del monte Athos: «Il Signore misericordioso mi ha insegnato mediante la sua grazia ad amare i nemici. Senza la grazia di Dio i nemici non li possiamo amare. [...] Se tu preghi per i tuoi nemici, allora in te scenderà la pace. Quando ami i nemici, sappi che allora grande è la grazia che vive in te» [31]. Sì, questa è la meta a cui ci vuole condurre il cammino della preghiera: renderci capaci di amare, di amare Dio e di amare il prossimo, fino ad amare anche i nostri nemici e a versare il proprio sangue per loro, come ha fatto Gesù.

    Ma per chiudere il nostro piccolo itinerario manca ancora un qualcosa di decisivo, che deve accompagnare ogni passo della preghiera. Ce lo ricorda Paolo di Tarso: «Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza; non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa che cosa desidera lo Spirito, perché egli intercede per i santi secondo i disegni di Dio» (Rm 8,26-27). Noi non sappiamo pregare, se lo Spirito non ce lo insegna e non prega Lui stesso in noi. La preghiera non è opera nostra, ma è l'opera di Dio per noi, con noi e in noi.

    NOTE

    1 "Dio non può che amare" è anche il titolo di un bel libro di fr. Roger di Taizé: Frère Roger di Taizé, Dio non può che amare, LDC, Leumann-Torino 2003.
    2 Su questo tema si può vedere sinteticamente per esempio: L. Berzano, Spiritualità nelle società secolari, in Dizionario Teologico Interdisciplinare, EDB, Bologna 2020, pp. 254-264.
    3 Cfr. J. Lovelock, Gaia. Nuove idee sull'ecologia, Bollati Boringhieri, Torino 2011.
    4 G. Moioli, Temi cristiani maggiori, Glossa, Milano 1999, p. 102.
    5 Ivi, p. 101-102.
    6 W. Kasper, Introduzione alla fede, Queriniana, Brescia 1972, p. 99.
    7 È una frase di Irénée Hausherr citata in A. Piovano, Preghiera e ascesi: le fatiche di un cammino, in D. Castenetto – A. Margaritti – A. Piovano, La qualità della preghiera cristiana, Glossa, Milano 2002, p. 83.
    8 A. Louf, Sotto la guida dello Spirito, Qiqajon, Bose-Magnano (Bi) 1990, p. 149.
    9 R. Guardini, Introduzione alla preghiera, Morcellina, Brescia 1973, p. 58.
    10 Sant'Agostino, Esposizioni sui Salmi, cit., Esposizione sul Salmo 83,3, vol. XXVI, p. 1179.
    11 Sant'Agostino, Le confessioni, 1,1,1.
    12 Sono parole del santo vescovo ortodosso russo Ignatij Brjancaninov citate in T. Spidlik, La preghiera secondo la tradizione dell'Oriente cristiano, Lipa, Roma 2002, p. 109.
    13 L. Manicardi, Il corpo. Via di Dio verso l'uomo, via dell'uomo verso Dio, Qiqajon, Bose-Magnano (Bi) 2005, p. 63.
    14 C. Aubin, Pregare con il corpo, Qiqajon, Bose-Magnano (Bi) 2016, p. 236.
    15 P. Sequeri, Senza volgersi indietro, Vita e Pensiero, Milano 2000, pp. 24-25.
    16 A. Bloom, Per una preghiera viva, Morcelliana, Brescia 2009, p. 79.
    17 Charles de Foucauld, Opere spirituali, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (Mi) 1984, pp. 131-132.
    18 Evagrio Pontico, La preghiera, Città Nuova, Roma 1994, p. 149.
    19 A. Bloom, Per una preghiera viva, cit., pp. 77-78.
    20 Santa Teresa di Gesù Bambino, Gli scritti, Edizioni OCD, Roma 1995, p. 289.
    21 Santa Teresa di Gesù, Opere, Edizioni OCD, Roma 1992, p. 95.
    22 Matta el Meskin, Consigli per la preghiera, Qiqajon, Bose-Magnano (Bi), 1988, p. 44.
    23 A. Bloom, Per una preghiera viva, cit., p. 107.
    24 A. Louf, Sotto la guida dello Spirito, cit., p. 148.
    25 J. Lafrance, Prega il Padre tuo nel segreto, Edizioni O.R., Milano 1994, p. 115.
    26 J. Lafrance, La preghiera del cuore, Monastero di Santa Scolastica, Civitella San Paolo 1984, p. 86.
    27 Isacco di Ninive, Un'umile speranza, Qiqajon, Bose-Magnano 1999, pp. 194-195.
    28 C.M. Martini, Intercedere: farsi carico dell'altro, lectio tenuta alla Hebrew University di Gerusalemme il 3 gennaio 2008.
    29 Archimandrita Sofronio, Silvano del monte Athos, Gribaudi, Torino 1978, p. 81.
    30 Ivi, p. 328.
    31 Ivi, pp. 338-339.

    * Docente presso la Facoltà Teologica di Torino.

    (FONTE: Itinerari 4/2020, pp. 39-54)


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