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    La questione giovanile: tappe di una evoluzione e sfide poste all'azione pastorale (I/cap. 1 di J.E.Vecchi)


    Juan E.Vecchi - Pastorale giovanile. Una sfida per la comunità ecclesiale - Elledici 1992

    SIGLE

    Documenti del Concilio
    DV Dei Verbum
    GS Gaudium et Spes
    LG Lumen Gentium
    PO Presbiterorum Ordinis

    Documenti pontifici
    ChL Christifideles Laici
    CT Cathechesi Tradendae
    EN Evangelii Nuntiandi
    RH Redemptor Hominis

    Documenti episcopali
    CEI Conferenza Episcopale Italiana
    Puebla Conferenza Generale dell'Episcopato Latino Americano

    Presentazione

    La stagione dei progetti pastorali è incominciata alcuni anni fa. Il campo giovanile si dilatava e diventava complesso. Di conseguenza, l'azione della comunità cristiana concepita secondo i criteri precedenti appariva frammentaria, poco finalizzata, insufficiente. Si sentì allora l'urgenza di capire più a fondo la situazione dei giovani e preparare proposte mirate per sintonizzarsi e dialogare con loro.
    È una stagione non ancora finita. Anzi sta appena dando i suoi primi frutti maturi. Sempre più spesso gli operatori pastorali elaborano assieme le loro scelte secondo alcuni criteri condivisi, e maggiore è la convergenza dei diversi messaggi e interventi.
    Le comunità ecclesiali si presentano dunque come soggetti più unitari dell'azione pastorale, pur arricchendosi di molteplici risorse e iniziative.
    Questo volume raccoglie l'esperienza di un progetto concreto nei suoi due aspetti fondamentali: la riflessione e la prassi.
    Non è un «trattato teorico» né un «manuale pratico». È invece il risultato di uno sforzo per illuminare la portata di scelte educative pastorali, darsene ragione ed esplicitarne i fondamenti.
    I suoi capitoli riportano materiali diversi: alcuni sono conferenze tenute a educatori o a operatori pastorali; altri rivisitano articoli già pubblicati su riviste o volumi; altri ancora sono parti di documenti per gruppi e comunità che si riconoscono nel progetto.
    Sono stati elaborati in un arco di tempo di- dodici anni e per questo portano il segno delle diverse fasi di un cammino di chiarimento: di qui le novità, gli sviluppi concentrici e anche i ritorni, le sovrapposizioni e le ripetizioni.
    Tutto però conserva un riferimento centrale evidente: il medesimo progetto e una sua congrua impostazione educativa pastorale, per cui le differenze di tempo o di genere letterario non comportano discontinuità di pensiero.
    L'autore è stato Consigliere Generale per la pastorale giovanile della Congregazione Salesiana per dodici anni, e ha avuto come compito specifico quello di aiutare a formulare, tradurre in prassi e valutare i progetti pastorali, anche dal punto di vista della fondatezza teologica e carismatica. La stagione dei progetti è stata da lui vissuta quale protagonista competente e appassionato.
    Il nostro Centro ha accompagnato con simpatia lo sviluppo editoriale del volume: ora è lieto di offrire ai lettori questo pregevole strumento di riflessione e formazione, nella convinzione di rendere una qualche utilità a chi cerca di orientarsi pastoralmente nel variegato mondo giovanile.
    Il Centro Salesiano Pastorale Giovanile
    Roma, 24 ottobre 1991

    PARTE PRIMA
    LA CHIESA DI FRONTE ALLA QUESTIONE GIOVANILE: QUALE PASTORALE

    Premessa

    Nella pastorale della Chiesa si è andata definendo un'area nuova di azione con caratteristiche proprie, che sta acquistando un'importanza sempre maggiore: la pastorale della gioventù. Ad essa ci si sente oggi particolarmente interessati in forza della novità. Urge pertanto capire i fenomeni che le hanno dato origine e le esigenze che ne scaturiscono.
    La pastorale della gioventù, o «giovanile», non è la precedente cura religiosa dei ragazzi aggiornata ed estesa oggi a un'età superiore. Non è nemmeno la pastorale degli adulti adeguata a soggetti giovani. È invece la risposta della Chiesa a un fenomeno sociale e culturale recente, per molti aspetti notevolmente fluido, che va sotto il nome di «questione giovanile». La quale è provocata da un insieme di fattori: l'allungamento del periodo di preparazione alle responsabilità professionali e sociali, l'aumento numerico della fascia giovanile adulta (17-27 anni), il parcheggio di questi giovani alla soglia dell'impiego e della partecipazione sociale, il disagio collettivo che ciò provoca in loro, le difficoltà delle istituzioni di accompagnare questi giovani alla soluzione dei loro problemi e al completamento della loro educazione.
    Tale questione giovanile si manifesta vistosamente nei diversi atteggiamenti che i giovani assumono nei confronti della società: dissociazione, apatia, adeguamento passivo, contrapposizione, marginalità, diverse forme di anomia e disadattamento (devianza, delinquenza...).
    Per la società è una «questione», fa «problema», perché si presenta come una sfida: Che cosa intende trasmettere a queste generazioni? E su quali strumenti conta per riuscirvi? Come pensa di investire la vitalità di queste generazioni per inserirle nel proprio progetto storico? E qual è questo progetto storico?
    Il problema interessa necessariamente anche la Chiesa, preoccupata, in forza della sua missione, dei processi di annuncio e comunicazione della fede e della formazione di comunità credenti, realtà collegate all'esperienza umana individuale e sociale. Dove ancora non si avverte tale problematica, la Chiesa continua a svolgere una pastorale di «iniziazione» per i ragazzi e cerca di coinvolgere cristianamente i giovani nella pastorale degli adulti.
    Il fenomeno è recente. La questione giovanile, insieme alla questione operaia che la precede e alla questione femminile che viene dopo, segna la vita di tutte le società in questo secolo; ma viene percepita con maggior forza e analizzata con migliori strumenti nelle società avanzate. Lo studio della sua evoluzione è fatto attraverso un tipo di analisi socio-culturale che ha inizio nella decade degli anni '50, ma la cui metodologia si è perfezionata negli ultimi anni. Questa analisi rappresenta un approccio nuovo e perciò una nuova comprensione della realtà giovanile, diversi dalla descrizione del fenomeno evolutivo individuale a cui ci aveva abituati la pratica educativo-scolastica; diversi anche dall'enunciazione delle tendenze ideali della gioventù, quali l'autenticità, il desiderio di verità, la disponibilità al nuovo, l'energia di cambiamento..., a cui si riferiscono sovente documenti ecclesiali.
    Quest'analisi tenta piuttosto di rilevare come i giovani si collocano nel sistema dei rapporti familiari, socio-culturali e politico-economici. Esamina le possibilità di vita e le proposte di valori che emergono dal contesto e le reazioni che provocano nel soggetto. Rivolge l'attenzione anche ai sentimenti religiosi, all'atteggiamento dei giovani nei confronti della pratica cristiana ereditata, alla visione che si sono fatti della Chiesa, alla maniera in cui elaborano le proprie convinzioni etiche, all'influsso dell'elemento religioso nella formazione dell'identità e nel sistema di significato.
    Proprio dal confronto tra le finalità della pastorale – suscitare la fede e proporre la conversione, formare comunità credenti, lievitare il mondo col Vangelo – e la situazione reale dei giovani nasce la pastorale giovanile come area «originale» di riflessione che non può essere dedotta né dalla pastorale degli adulti né da quella dei ragazzi.
    Per approfondire questa prospettiva fondamentale ci interessa percorrere le tappe attraverso cui si è configurata la questione giovanile e considerare le corrispondenti risposte pastorali da parte della Chiesa.

    Capitolo primo
    LA QUESTIONE GIOVANILE: TAPPE DI UNA EVOLUZIONE E SFIDE POSTE ALL'AZIONE PASTORALE

    1. PRIMA DELLA QUESTIONE GIOVANILE

    Fattori di cambiamento sociale che modifichino anche la condizione dei giovani non mancano mai nella storia, ma cominciano ad addensarsi nella seconda metà del secolo scorso e all'inizio del nostro. Basti pensare al progressivo evolversi della famiglia verso la forma «moderna», all'estensione della scuola destinata a divenire lo strumento principale di socializzazione, alla diffusione della stampa come fatto sociale rivolto alla maggior parte della gente e non soltanto a un gruppo ristretto di professionisti. Questi fenomeni investono però soltanto alcuni settori della popolazione, mentre altri ne rimangono esclusi. Riferiti ai giovani, essi non creano tuttavia una realtà sociale distinta per mentalità e aspirazioni.
    Alla fine del secolo scorso e per tutto il primo quarto di questo l'adolescenza è l'età dell'educazione in famiglia e per un buon numero di giovani nella scuola. Essa rappresenta la transizione verso le responsabilità adulte realizzate nel lavoro, nel matrimonio e nell'inserimento pieno nella vita sociale. L'idea di prolungare questo periodo viene respinta, perché ciò esporrebbe i giovani all'indolenza e alle deviazioni morali.
    La gioventù non emerge come soggetto sociale. La sua durata è breve. Sono pochi i giovani che prolungano la loro partecipazione alla vita oltre i sedici anni. La società, munita di solidi quadri di riferimento etici e giuridici, esercita su di essi un controllo sufficiente. I processi e le agenzie di socializzazione, cioè di inserimento nella società attraverso l'apprendimento delle sue norme e le relative giustificazioni, sono poche ma efficaci: la famiglia, la scuola, l'ambiente sociale e, in quei paesi in cui la Chiesa ha rilevanza pubblica, la parrocchia.
    Questo quadro non cambia nemmeno con l'ulteriore diffondersi della scuola elementare e con l'allargamento dell'insegnamento medio. Già alla fine dell'800, non bastando l'istituzione scolastica a impegnare tutto il tempo degli adolescenti, sorgono le associazioni educative. Si tratta sempre di associazioni fatte e guidate dagli adulti per gli adolescenti: l'adulto viene sostituito con i giovani più grandi nel tradizionale ruolo di guida. Così l'educatore si cala nei divertimenti dei ragazzi per proporre quei valori che non è possibile trasmettere dalla cattedra o dal pulpito. Il tempo libero e la socializzazione fuori dalle istituzioni tradizionali sono elementi che avranno sviluppo solo in seguito.
    Tra il 1920 e il 1940 non pochi giovani partecipano alle spinte rivoluzionarie e alle agitazioni sociali. Vengono convocati dai regimi e inquadrati in «organizzazioni», con finalità politiche e ideologiche, mentre le scuole sottolineano con forza l'impegno patriottico e morale. Il fenomeno di inquadramento con l'accentuazione del ruolo degli adulti si verifica anche nelle organizzazioni giovanili dei paesi democratici, ma è soprattutto una realtà dei regimi totalitari. Chiusi tra un tale associazionismo e una scuola rigorosa, i giovani delle classi borghesi perdono la capacità di iniziativa collettiva. Il sistema scolastico in effetti li organizza per classi omogenee; rafforza così la solidarietà tra quelli della medesima età e livello e rende difficile la comunicazione fra scuola secondaria e università. D'altra parte i giovani delle classi borghesi perdono la capacità di iniziativa collettiva, mentre i giovani esclusi dalla scolarizzazione o sono in attesa di occupazione o costituiscono una forza lavoro sfruttata e mal pagata.
    Gli anni '45-'60 sono in Europa occidentale, Stati Uniti e Giappone, il tempo della ricostruzione, della industrializzazione, dei «miracoli economici», della occupazione piena, dell'estensione dell'insegnamento medio-superiore, del mercato comune d'Europa, della televisione, dei primi esperimenti spaziali, di un confronto sociale serrato che porterà a una società più giusta.
    Superata la fase più acuta della guerra «fredda», i tentativi di nuovi inquadramenti dei giovani falliscono. Vi è una diffusa reazione di stanchezza di fronte al manicheismo delle contrapposizioni ideologiche. Nasce una generazione «tranquilla», con tendenza a migliorare la propria vita privata, che coglie nel lavoro più che il significato «etico e sociale», l'aspetto «positivista» di strumento di benessere. Si assimilano rapidamente modelli di atteggiamenti adulti e si ripiega precocemente su valori di sicurezza e di comfort. Un'immagine diffusa parlava dei giovani delle tre M: matrimonio, mestiere, macchina.
    Intanto il soggetto giovanile comincia a farsi sentire, anche perché la presenza dei giovani nella società è in proporzione rilevante.
    Nell'Europa Orientale si affermano i sistemi marxisti con forte controllo su tutti i processi di educazione, socializzazione e partecipazione. Quali che siano le reazioni soggettive individuali o di gruppi, questo controllo impedisce ogni evoluzione della situazione giovanile nel ventennio che invece nell'altra Europa è il più fecondo di novità.
    Nei Paesi dell'emisfero Sud l'evoluzione non è uniforme. In generale è segnata dal fenomeno della doppia velocità e dal divario economico che da questo momento comincia ad aprirsi fino a diventare la questione Nord-Sud. I movimenti di decolonizzazione in alcuni paesi, la mancanza di opportune trasformazioni sociali ed economiche in altri, l'alto indice di natalità, la dipendenza dai centri mondiali politici ed economici danno origine a un doppio fenomeno giovanile: una minoranza che ha accesso ai beni, alla istruzione e qualificazione professionale superiore; una maggioranza che non raggiunge la scolarità secondaria e che presenta un basso rendimento e un grande indice di abbandono, già a livello di istruzione primaria. La prima viene selezionata dal sistema scolastico per i ruoli sociali ed economici; la seconda, perdendo progressivamente opportunità anche per il degrado economico generale, rimane fuori dai processi di socializzazione, costituendo così con le loro famiglie la «massa emarginata», la quale entra precocemente nel mercato del lavoro con prestazioni di basso profilo e con retribuzione da sfruttamento.

    2. IL FENOMENO GIOVANILE DEGLI ANNI '60

    Arriviamo così agli anni sessanta, decennio della contestazione, che ha il suo apice nei fatti del '68. Il fenomeno sorge prima nei paesi democratici occidentali, partendo da istituzioni formative prestigiose per dotazioni scientifiche e tradizioni di ricerca. Ma ha ripercussioni anche in altri paesi, compresi quelli del terzo mondo e dell'Europa Orientale.
    Esso incomincia nel '62 e, attraverso i movimenti del '64 e '67, diventa più generale nel '68. Si tratta dunque di un decennio e non di un solo anno. Senza addentrarci nello sviluppo cronologico e geografico, è interessante raccogliere i tratti con cui la questione giovanile che ci preoccupa emerge da questo decennio.
    Nel panorama mondiale cominciano a farsi sentire i grandi problemi comuni che servono da agglutinante: il sottosviluppo, la dipendenza del terzo mondo, l'oppressione dei poveri e il collegamento tra la povertà e l'eccesso di benessere, le guerre per il predominio mondiale (vedi Vietnam), la discriminazione razziale (vedi Luther King), la subordinazione dei sistemi educativi e istituzioni culturali ai poteri economici e militari.
    È il momento dell'esaltazione dell'impegno politico, dell'azione collettiva, che nel continente latinoamericano trova il suo corrispondente nel desiderio di fare del popolo il protagonista delle trasformazioni sociali e nei movimenti di liberazione.
    Il soggetto giovanile appare più solidale che mai. Sembra attraversato da certe sensibilità comuni. La comunicazione sociale a scala mondiale porta il fermento ad aree lontane e culturalmente diverse. Ma la teoria del contagio non è sufficiente per spiegare la sintonia. La coscienza «mondiale» si fa sentire. È facile in questa temperie ipotizzare una classe giovanile rivoluzionaria e innovatrice. C'è la tendenza a privilegiare nettamente l'aggregazione e la solidarietà tra pari, con una certa chiusura al dialogo e al confronto intergenerazionale. Viene negata la validità della stessa comunicazione tra le generazioni: «Non fidarti di nessuno che abbia più di trent'anni», dice uno slogan.
    È il tempo della contestazione globale e dell'esaltazione del cambiamento rivoluzionario, carico di idealismo utopico, che sfocerà anche nel terrorismo, nella contro-cultura, nel dissenso. Ma appaiono soprattutto evidenti la difficoltà di tradurre le utopie in progetti storici, così come la genericità delle prediche antiautoritarie.
    All'interno del movimento emerge comunque fortemente, insieme alla protesta contro le varie concretizzazioni dell'autoritarismo e della riproduzione dei sistemi dominanti, una forte domanda di partecipazione diretta al potere, di un progetto di società senza repressioni e sfruttamento, di una diversa qualità di vita, di espressione massima delle proprie potenzialità, del diritto all'innovazione e al cambiamento.
    Tutto ciò mette in luce, fra ambiguità non trascurabili, una coscienza collettiva, la volontà di affrontare insieme i problemi e di uscire insieme dalle difficoltà.

    3. IL '77: NOVITÀ E CONTINUAZIONE

    La seconda metà degli anni '70 rappresenta per alcuni il funerale del '68. Per altri invece l'aggravarsi della crisi a livello economico,. politico e culturale non offre ai giovani riferimenti di valori e finisce per trasformare gli stessi modelli positivi nel loro contrario. Nell'ambito pubblico si diffonde il «permissivismo» che è la maschera-caricatura della libertà personale, il «narcisismo» come contraffazione della ricerca di soggettività; l'«indifferentismo» quale esito sbiadito della tolleranza; il «pragmatismo» che è la degenerazione della esigenza di razionalità di fronte all'utopia.
    Intanto si aggravano fino alla ingovernabilità i problemi delle società nazionali e internazionali: la crisi energetica, la tensione Est-Ovest, la corsa agli armamenti, i rapporti Nord-Sud, la questione morale, la liberazione dei desideri.
    Il mondo giovanile comincia a disgregarsi: si tende a privilegiare la soggettività e il quotidiano piuttosto che i dati scientifici e l'impegno storico. I giovani aderiscono con facilità alla cultura radical-libertaria: «Vivere senza tempo e godere senza ostacolo». Sono disposti a uscire dalle leggi del mercato per impegnarsi in lavori precari, meglio capaci di esprimere l'esigenza di attività alternative non alienanti. Sono disponibili a «fare festa insieme», piuttosto che intavolare dibattiti o compiere gesti politici. Sono critici dei sindacati. «Riprendiamoci la vita» è l'espressione di una nuova cultura che si manifesta nel bisogno di un lavoro gratificante, di una casa, di una formazione adeguata, di un tempo libero alternativo. Emergono di più le esigenze esistenziali che le tensioni o rivendicazioni politiche, anche a causa della presenza forte e consapevole della componente femminile, più numerosa e meno subordinata che nel movimento degli anni '60.
    Questa fase è decisamente meno propositiva e progettuale; è anche più «provinciale», priva di clima internazionale. In essa si privilegia l'autoespressione individuale e l'appartenenza di gruppo. Molti dubitano che questi giovani vadano dietro a valori post-materiali, e rilevano piuttosto un movimento regressivo verso gli atteggiamenti possessivi: sicurezza fisica, benessere economico...
    Tali valori dominanti dissuadono dal mitizzare la gioventù quasi fosse spontanea espressione delle tendenze di innovazione e dei bisogni più autentici.
    Privato, riflusso, caduta della progettualità sono i termini che indicano una tendenza generale con cui non si vuole tuttavia caratterizzare ogni singolo soggetto o gruppo.

    4. VERSO GLI ANNI '90

    Il resto è vicino a noi. La questione giovanile ha successivi sviluppi e mutamenti, e si diversifica secondo i contesti. In riferimento all'educazione e alla pastorale si usano categorie interpretative, che illustrano la novità della situazione.

    4.1. Categorie interpretative e nuovi bisogni

    In primo luogo si rileva la frammentarietà. Svanisce l'idea di una «condizione», di una «classe», di un «soggetto sociale solidale e unico», portatore di istanze comuni, di una cultura o sub-cultura giovanile. La massa giovanile appare divisa socialmente e nella coscienza soggettiva. Ci sono molte frange o anche «sacche» giovanili con disagi, aspirazioni, collocazioni e ideali diversi. Questo scoraggia ogni tentativo di dare un'interpretazione unica o di cercare un approccio globale. È venuta meno la coscienza collettiva.
    Si sottolinea poi la marginalità. Dal preteso protagonismo nel determinare modalità culturali e socio-politiche, la gioventù è venuta a trovarsi come strato marginale, con meno possibilità e capacità partecipative a causa dell'entrata tardiva nel mondo del lavoro e dell'allontanamento volontario dalla vita pubblica. La marginalità provoca innumerevoli conseguenze, non soltanto sulla coscienza soggettiva, ma anche in fenomeni sociali molto dibattuti. La gioventù appare più come un riflesso delle crisi e dei disagi della società globale che come una forza propulsiva di cambiamento con stimoli propri.
    Un'altra categoria cerca di spiegare l'insieme dei disagi e dei comportamenti dei giovani: è la lotta per l'identità. Di fronte al venir meno di una certa identità collettiva, i giovani cercano di conferirsela in modo autonomo. Convivono pertanto in maniera non conflittuale, ma nemmeno comunicativa con le istituzioni e, in generale, con i detentori dell'autorità. Elaborano individualmente un sistema di valori e in particolare il codice di comportamenti, e assumono appartenenze parziali e molteplici. Si fa strada tra loro, senza eccessivi conflitti, la relativizzazione di ogni quadro dottrinale sicuro e il rifiuto di schemi interpretativi ideologici.
    Si parla di eccedenza di opportunità, riferendosi alle esperienze molteplici che i giovani possono avere, senza impegnarsi totalmente in nessuna di esse. Ne deriva la caduta della progettualità a lungo termine e la valorizzazione dell'immediato, dell'effimero. Cresce dunque la capacità di adattarsi alle varie situazioni e di convivere con la precarietà.
    Ma alla radice e a sintesi di tutte le precedenti interpretazioni sta la complessità, riflesso della nostra società e cultura. Ne sottolineiamo alcuni elementi.
    Nella società complessa non esiste «un centro» che riesca a proporre efficacemente punti di riferimento stabili, una filosofia di vita unica o prevalente, un sistema di valori unitario. Non c'è un potere capace di esercitare nei riguardi della struttura sociale una forte attrazione e dare a tutto il sistema un'organizzazione unitaria. I «centri» o non esistono o sono molti.
    La nostra società manca di legittimazione, soffre l'assenza di un fondamento: essa offre beni e stabilisce norme di convivenza, ma non riesce a far accettare un sistema di valori condiviso da tutti. Perdendo la sua carica simbolica provoca una rapida successione di egemonie provvisorie che sorgono e scompaiono rapidamente. Ciò si verifica a livello etico, politico e culturale. Si assiste dunque a un rimescolamento continuo di messaggi e di influssi tra gruppi diversi.
    Il risultato è una sostanziale «fragilità» dei processi di socializzazione, con il rischio di produrre una quantità notevole di soggetti dotati di. scarso adattamento, di scarso sentimento di appartenenza e di integrazione. Gli educatori non hanno più una cultura unitaria da proporre, ma semplicemente elementi isolati di cultura, eterogenei e spesse volte alternativi o contraddittori tra di loro.
    Ci si trova di fronte a una società che forma persone che si adatteranno semplicemente con molto «pragmatismo» e con una punta di cinismo, tentando di sfruttare a proprio vantaggio le opportunità che offre, senza però coinvolgersi a fondo nei suoi problemi. Sono persone che non percepiscono la sua legittimità assoluta, perché non è stata loro trasmessa.
    In simile società complessa emergono allora nuovi bisogni, in una direzione che la pastorale deve considerare come «segni».
    Risolti per la maggioranza (ma è proprio vero?) i problemi del cibo, della casa, del lavoro, della sicurezza sociale, emerge l'esigenza di una migliore qualità di vita personale, di esperienze che privilegiano le relazioni umane, i bisogni soggettivi, le attività libere e gratuite. Si tratta di bisogni chiamati radicali o post-materialisti.
    Di fronte all'aumento del tempo libero si fa avanti l'ipotesi che questo possa diventare sempre più il luogo nuovo dell'identità individuale e collettiva. Fino ad oggi era la professione o il lavoro
    che determinava l'identità fondamentale di una persona. Qualcuno pensa ora che la situazione stia cambiando. Forse si va verso una società in cui sarà il crescente tempo libero il luogo in cui le persone potranno optare per tipi diversi di attività che soggettivamente sembrano dare più occasioni di autorealizzazione, di dare un senso alla vita. E questo naturalmente apre nuovi orizzonti educativi nelle società industrializzate.

    4.2. America Latina

    Per quanto riguarda l'America Latina, i documenti ecclesiali parlano della gioventù come di un «nuovo corpo sociale» («prima c'erano i giovani, oggi c'è la gioventù») e tentano di presentarla come un gruppo di pressione sociale, sottolineando alcune sue caratteristiche generali. E tuttavia non possono poi evitare di differenziare in sei settori i giovani che nella realtà si trovano in situazioni ben diverse, senza collegamenti tra di loro e, in generale, senza coscienza collettiva all'interno dei medesimi settori: la gioventù contadina, quella dell'ambiente urbano «popolare», gli studenti e universitari, i giovani lavoratori, la gioventù in situazioni critiche diverse, la gioventù indigena.
    Da ciò si può dedurre che alcune categorie interpretative, come la frammentazione e la marginalità, si applicano anche nel continente latinoamericano. Da relativizzare invece è l'insorgere dei «nuovi' bisogni». Essi sembrano caratterizzare una minoranza e appaiono più indotti dai modelli delle società sviluppate, mentre una grande maggioranza deve ancora accedere a quei beni che sono condizione necessaria per «essere uomini»: sufficienza economica, cultura e istruzione di base, qualificazione professionale sufficiente, retribuzione giusta del proprio lavoro, partecipazione attiva nella società.
    La povertà estrema, insieme alla consapevolezza che è provocata, mantenuta e aggravata da fattori strutturali, a sfondo prevalentemente economico, gestiti dall'esterno con collaborazioni all'interno, costituisce un elemento determinante della situazione e della coscienza giovanile. Una presa di posizione nei suoi confronti divide la società e addirittura la Chiesa. Con la caduta dei «sistemi ideologici» la gioventù è rimasta senza progetti e senza sostegno. E dopo le esperienze fugaci «dello sviluppo» (anni '60) e della «liberazione» (anni '70), oggi sente più che mai di essere con tutta la popolazione «alla periferia» del mondo che decide e sul quale si decide.
    Dal punto di vista religioso, la Chiesa conserva un forte peso morale e, data la maggioranza cattolica della popolazione, suscita ancora speranze anche se vaghe, mentre si va facendo strada il secolarismo, e la religiosità popolare si frantuma nelle adesioni alle sètte.

    4.3. Africa

    Quanto all'Africa, i dati disponibili mettono in evidenza la rilevanza numerica dei giovani rispetto agli adulti e sottolineano i fenomeni socioeconomici che determinano il destino di molti giovani: l'esodo rurale e l'urbanizzazione non gestita. Le diverse «frange» giovanili sono così descritte: coloro che arrivano dai villaggi alle città in cerca di lavoro per sopravvivere, tra cui le sottofrange dei lavoratori, dei vagabondi...; i giovani delle aree rurali in generale fortemente depresse; gli studenti, che si frammentano in sottogruppi.
    I «fattori» poi che influiscono sulla condizione giovanile sono i seguenti: il ruolo subalterno del soggetto giovane di fronte al mondo adulto; la rapida decolonizzazione e la conseguente difficoltà di gestire ordinatamente la società con le relative gravi carenze in campo educativo, culturale, assistenziale; lo scontro tra antiche sensibilità tradizionali e l'impatto della civiltà moderna; il sistema educativo che non è riuscito a darsi modelli adatti alla situazione africana; la dipendenza economica e culturale, per cui alcuni inseguono i livelli di vita delle società avanzate e non si curano del «progresso di tutti».
    Le aspirazioni dei giovani, pervenuti a un certo livello di consapevolezza, si collocano tutte nella linea di avere una professione e un impiego, di vivere in un contesto di maggior giustizia e libertà, di godere dei beni delle civiltà più avanzate, di ricuperare le tradizioni e «l'anima africana». Ma la maggioranza vive ancora nella precarietà fondamentale di esistenza, educazione e lavoro.

    4.4. Asia

    Il panorama dell'Asia non è uniforme. Mentre qualche paese riproduce i tratti delle società avanzate, sebbene con caratteristiche proprie (Giappone), altri stanno entrando in un processo di industrializzazione, di corsa al possesso e al benessere, di concorrenza per i posti di lavoro, di esigenze crescenti di educazione e qualificazione (Corea, Thailandia).
    In India i giovani tra i 15 e i 24 anni sono 155 milioni e rappresentano il 20% della popolazione. Al di sotto dei 24 anni sono il 60%. Consistente appare la popolazione giovanile rurale (74%), mentre nelle aree urbane (26%) si frammenta in studenti, lavoratori, giovani in cerca di impiego, girovaghi, devianti.
    Come in altre zone geografiche, mancano una coscienza e punti di riferimento collettivo. La gioventù non si esprime in scelte culturali, educative o politiche, ma nelle «mode» o nelle forme di espressione importate, mentre nell'ambito familiare e sociale delle aree rurali persistono ancora i costumi ereditati. Vige un'enorme distanza tra le opportunità di cui godono le classi più agiate e quelle a cui ha accesso la maggior parte della popolazione. Il problema giovanile sembra essere quello dell'educazione e della possibilità-di lavoro retribuito. È invece difficile parlare di questione giovanile come rivendicazione collettiva di partecipazione o di elaborazione culturale.
    Le Filippine, per la religiosità popolare cattolica diffusa, per il sistema sociale e per le condizioni economiche, presentano condizioni simili a quelle dell'America Latina.

    5. SFIDE ATTUALI ALLA PASTORALE

    In questa situazione giovanile emergono alcuni elementi che toccano profondamente l'agire educativo e pastorale.
    L'allungamento dell'età giovanile ha posto al centro dell'attenzione della pastorale gli adolescenti e i giovani. Le fasi tradizionali dell'iniziazione cristiana, considerate in altro tempo come i momenti definitivi della comunicazione della fede, risultano insufficienti. Le situazioni che determinano l'orientamento nella vita (ingresso nel mondo del lavoro, università) hanno luogo dopo l'adolescenza. La sintesi culturale, la maturazione del criterio etico sui problemi più sentiti, certe scelte di esistenza avvengono nell'età che segue l'iniziazione. Il tempo, le esperienze, i contenuti dottrinali della iniziazione continuano a essere importanti; ma non ricoprono, nemmeno materialmente, l'età giovanile. Programmi sistematici per la formazione cristiana dei giovani o non esistono o vengono meno, proprio quando questi sono ancora in piena evoluzione.
    La comunicazione della comunità ecclesiale con questa fascia giovanile non è facile. Man mano che i soggetti si inoltrano nella giovinezza, diminuiscono per loro le opportunità e i luoghi d'incontro, dialogo e socializzazione religiosa. Si deplora il fenomeno dell'allontanamento dei giovani, a volte subito dopo la prima Eucaristia, e, in forma più generale, dopo la Confermazione.
    La comunicazione è resa difficile anche dalla diffusa indifferenza religiosa e dalla visione pragmatica della vita. Ciò determina l'irrilevanza sociale del pensiero e della pratica religiosa, come anche dell'istituzione che li propone e rappresenta con le sue iniziative e ruoli. I giovani elaborano la dimensione religiosa ed etica nel privato, con criteri personali, in forma frammentaria, in funzione dei propri bisogni.
    La comunicazione presenta anche altri problemi. Il linguaggio verbale che pretende offrire contenuti ordinati e coerenti ha un potere di convinzione molto ridotto e non provoca adesioni e scelte vitali. Oggi parlano i gesti, le immagini, i testimoni, i simboli dello status, la promessa di soddisfazione e felicità. Non si persuade più con i «trattati»: si accolgono invece messaggi in codici vitali di cui bisogna possedere la chiave.
    Gli spazi umani dove il messaggio religioso arriva a essere significativo sembrano essere la soggettività e la solidarietà. La prima spinge alla ricerca del senso, a dare un punto di unità e consistenza alla propria persona (identità), a cercare un ancoraggio etico nella complessità della situazione attuale. Su questo molti aspettano dalla Chiesa un orientamento, un segno, un'indicazione di saggezza, una testimonianza. Ma ciascuno si prende la libertà di accettare o meno quello che essa indica, secondo il proprio sentire e le proprie esigenze. Si comporta come consumatore in una specie di supermarket culturale.
    La solidarietà appare come l'energia con cui si possono affrontare insieme le grandi sfide alle quali ogni società e l'umanità tutta tentano di rispondere: la povertà, l'emarginazione, la pace, la giustizia, l'ambiente. La solidarietà influisce sulla coscienza dei giovani in due forme: quando sono raggiunti personalmente da essa in situazioni difficili; e quando ne fanno esperienza attiva, considerandola l'impegno più significativo della fede.
    L'ampio campo giovanile si presenta all'azione pastorale con alcune tendenze comuni, che sembrano dargli una certa unità. Appare invece molto diversificato in ciò che riguarda scelte di vita e disponibilità verso la fede. Ci sono giovani impegnati, semplicemente praticanti, vicini, disponibili, lontani per diverse ragioni, estranei al linguaggio e alla realtà ecclesiale.
    Il cerchio più largo è quello dei «lontani». Sul fatto della sua consistenza non ci sono dubbi. Appare evidente nei dati sulla frequenza «domenicale», sulla catechesi e persino sul battesimo e prima comunione. Il numero di giovani raggiunti dalle iniziative ecclesiali costituisce una percentuale minima sulla totalità.
    Il fenomeno è stato oggetto di riflessioni approfondite e di accurate-distinzioni. Ci sono i «lontani» dalle preoccupazioni etiche, che potrebbero costituire una base di dialogo; quelli che hanno perso l'interesse per la dimensione religiosa; quelli per i quali il messaggio cristiano rientra nel generico del pensiero religioso; quelli che non si riconoscono affatto nella Chiesa; quelli che, pur riconoscendosi in essa, non frequentano più. Non pochi di loro non si sono allontanati: sono semplicemente nati in un «altro continente culturale», hanno imparato un «altro linguaggio», sono cresciuti «in altri ambienti». Per loro la Chiesa e Gesù Cristo sono stati più notizie giornalistiche che vero annunzio. Hanno smesso di essere per loro riferimenti «sostanziali». Criteri, senso e appartenenze vengono elaborati senza prendere in considerazione le istanze religiose. È il fenomeno della «irrilevanza» o «insignificanza» soggettiva del religioso, qualunque sia il suo valore o la sua verità oggettiva. La lontananza a volte è causata da fattori non religiosi, come l'emarginazione sociale e culturale, la precarietà, la mancanza di condizioni fondamentali di esistenza.
    C'è poi un secondo cerchio. I giovani di quella religiosità che è stata chiamata «light», cioè «leggera». È una religiosità che non si preoccupa della conoscenza organica del mistero cristiano né della pratica coerente e totale della vita cristiana. In essa può stare tutto. Per questo non sperimenta le crisi, gli entusiasmi o i problemi che tempo addietro erano tipici del periodo scolastico di socializzazione religiosa. Questi giovani non sono contrari ai sentimenti religiosi e nemmeno disinteressati ai messaggi, sono però «fedeli alla loro dichiarazione di indipendenza riguardo agli impegni istituzionali o etici». In essi si verificano momenti di «emozione», impatto e riflessione religiosa, come sprazzi fugaci. Sono provocati da una persona (Madre Teresa, Roger Schutz, il Papa), da un evento (incontro personale, raduno giovanile, situazioni di estrema miseria, un fatto di vita, esperienza felice di dedizione...), da un problema personale o del contesto (droga, abbandono di persone indifese), dal ritorno a quanto si era imparato in una buona iniziazione cristiana o da una prima riflessione matura sulla vita. Si tratta di curiosità, di sentimento, di buona disposizione e persino di un certo interesse intellettuale. Il problema qui sta nel come accompagnare questi giovani verso l'adesione stabile a Cristo e la scelta consapevole della fede.
    Un terzo cerchio è quello dei «praticanti». Le loro caratteristiche sono una certa regolarità nei gesti religiosi, il senso di appartenenza sociale alla Chiesa come istituzione, un'accettazione generale delle norme fondamentali di vita che la Chiesa propone a nome di Cristo. Ma la fede non libera tutte le loro potenzialità, la vita cristiana non viene colta nelle sue dimensioni profetiche di evento originale, la condotta non si ispira allo spirito evangelico, ma piuttosto ad alcune indicazioni di buon senso, la carità non riesce a diventare donazione. Si tratta di una religiosità funzionale ai bisogni della persona, integrata senza conflitto nel costume sociale, sovente lodata anche dalla stampa laica.
    Finalmente ci sono i giovani «impegnati» per i quali la fede è una scoperta, la riflessione sul mistero cristiano è continua, lo sforzo di coerenza diviene permanente, il coinvolgimento apostolico sotto varie forme è visto come un obbligo e l'appartenenza alla Chiesa è sentita e manifesta. Questi giovani si trovano nei movimenti ecclesiali, nelle parrocchie e nelle istituzioni educative come animatori, nel volontariato. Il loro numero però non oltrepassa il 6%, pur essendo la loro presenza un segno di speranza.
    Per ciascuno di questi cerchi si richiedono obiettivi e itinerari propri di maturazione nella fede. Ma insieme ad un'azione rivolta alle singole persone e ai gruppi secondo la particolare situazione umana e religiosa c'è un dialogo generazionale da ricostruire, una proposta di fede da offrire, una sana speranza in un futuro possibile da alimentare.
    Ciò spinge la Chiesa a farsi presente nel continente giovanile, nel contesto più ampio della società, corresponsabilizzandosi nei confronti delle nuove domande educative, affrontando insieme ad altre forze le cause del disagio e del disadattamento, e annunciando in forme nuove il Vangelo come salvezza per i giovani.
    La formazione umana e cristiana delle giovani generazioni è stata sempre una preoccupazione centrale della Chiesa.
    Prima dell'emergere della questione giovanile la sua pastorale nei riguardi del soggetto giovane è eminentemente una pastorale dei «ragazzi». Segue fondamentalmente tre direzioni: l'istruzione catechistica e l'iniziazione cristiana nella comunità dei credenti, con il sostegno dell'insegnamento religioso impartito nelle istituzioni scolastiche; il servizio dell'educazione cristiana attraverso le scuole cattoliche rivolto a tutti, ma soprattutto agli strati più umili; e infine l'assistenza sociale e religiosa a coloro che versano in particolari rischi morali e umani.
    Nell'attuazione dei due ultimi fronti si trovano impegnate in particolare le congregazioni religiose.
    In alcune regioni la Chiesa svolge un'azione educativa attraverso un'istituzione che risponde ai bisogni più svariati dei ragazzi e organizza il loro tempo libero: l'oratorio festivo.
    Anche l'associazionismo ha sue manifestazioni all'interno delle istituzioni educative e pastorali: è offerto come opportunità di una migliore assimilazione della fede e della pratica cristiana. Parrocchie e congregazioni se ne servono abbondantemente per fini formativi.
    Nei primi cinquant'anni del secolo la Chiesa, oltre alle iniziative pastorali consuete, migliorate nel tempo, promuove una solida organizzazione di associazioni (specialmente l'Azione Cattolica), che prevedono vigorosi programmi di formazione personale e preparazione spirituale e intellettuale per una «presenza cristiana» nella società.
    Intanto l'azione educativo-culturale viene ulteriormente rafforzata dall'allargamento e qualificazione degli istituti cattolici di livello medio superiore e soprattutto dal sorgere e affermarsi delle università cattoliche.
    Da questi due luoghi di formazione cristiana (istituzioni educative e associazioni) la Chiesa lancia i giovani nella politica e nel sociale.
    Essa esprime anche la sua attenzione verso i giovani impegnandosi in alcuni campi del bisogno giovanile (emigrazione, preparazione professionale, lavoro), portati avanti per lo più da iniziative individuali. Attorno alla parrocchia intanto nascono interessanti movimenti con germi di rinnovamento: la parrocchia-comunità, la parrocchia missionaria.
    Il fenomeno degli anni '60, con il suo apice nel 1968, sorprende del tutto la Chiesa: le sue strutture pastorali si trovano di fronte a una realtà emergente inattesa. Per cui la prima reazione è il disorientamento. Lo si coglie negli interrogativi che vengono posti nelle sedi più autorevoli. L'associazionismo tradizionale si dissolve per la mancanza di adeguamento alla nuova situazione provocata dai giovani. Le comunità ecclesiali non trovano forme sostitutive. L'emergere della fascia giovanile con il suo potenziale contestativo coglie tutti di sorpresa, mentre la fascia inferiore dell'età evolutiva e le istituzioni educative, in cui sono impegnate gran parte delle risorse ecclesiali, vengono relegate a ruolo subalterno, e il loro influsso diminuisce inesorabilmente.
    E ciò avviene in un momento in cui le intuizioni del Concilio Vaticano II, che toccano trasversalmente la questione giovanile (là dove si parla di cultura, di società, di questioni internazionali) non sono ancora state diffuse e meno ancora tradotte in linee pastorali concrete.
    È indicativo al riguardo il grave interrogativo che Paolo VI si fa nel 1968: «È possibile l'incontro tra Chiesa e giovani?».
    Le varie chiese si erano attrezzate pastoralmente per far fronte all'età dell'adolescenza; invece trovavano una gioventù che intendeva confrontarsi, valutare e intervenire.
    In questi momenti di smarrimento e quasi di dolorosa passione si inizia a prospettare la pastorale giovanile, che è venuta maturando lentamente sino ad oggi.


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