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    La comunità educativa pastorale (III/cap. 1 di J.E.Vecchi)


    Juan E.Vecchi - Pastorale giovanile. Una sfida per la comunità ecclesiale - Elledici 1992


    PARTE TERZA

    LA COMUNITÀ EDUCATIVA PASTORALE ANIMA E PROGETTA

    Capitolo primo
    LA COMUNITÀ EDUCATIVA PASTORALE

    Nella complessa problematica della pastorale giovanile, carica di molteplici questioni e di prospettive differenti, sorge legittimo un interrogativo: qual è in definitiva il nodo determinante attorno a cui si gioca l'educazione e l'educazione alla fede della gioventù?
    La risposta non è evidentemente né facile né semplice. E tuttavia occorre trovare il coraggio e la saggezza di scommettere in qualcosa.
    La scelta cade se non «sul» nodo, certo su uno dei nodi decisivi nella formazione dei giovani d'oggi: la comunità educativa. La formazione di vere comunità, basate sulla corresponsabilità, è uno dei massimi intenti del rinnovamento pastorale, oggi invocati.
    L'Oratorio-Centro giovanile, per essere proposta efficace e ambiente educativo per i giovani d'oggi, dovrà formare anzitutto la comunità con la partecipazione attiva e responsabile dei giovani, degli educatori laici e dei genitori, dei collaboratori disponibili nelle maniere più diverse. Allo stesso modo ogni istituzione scolastica è chiamata con sempre maggiore urgenza a costruirsi nella condivisione attiva di responsabili e di insegnanti di genitori e di allievi. Così se ci si riferisce alla vita pastorale di una parrocchia, che intenda rispondere alle attese della gente e porsi nella prospettiva della nuova evangelizzazione e della testimonianza dei valori cristiani, non ci si può sottrarre dal costruirla come comunità.
    «Edificare la comunità» è oggi una istanza di fondo, anzi una norma pastorale.

    1. LE MOTIVAZIONI CHE SOLLECITANO A TALE SCELTA

    Ci sollecitano in questa direzione fatti sociologici, ecclesiali e pedagogici. Col loro linguaggio indicano chiaramente che oggi non è possibile educare, né evangelizzare se non attraverso la comunità.
    Un primo motivo della scelta va cercato nella Chiesa: nella sua natura e nelle sue linee pastorali attuali. Essa si presenta ed è una realtà di comunione che si sviluppa attraverso l'incontro delle persone e porta avanti la sua missione mediante il contributo convergente di vocazioni diverse.
    È una comunione organica, cioè ha efficacia in quanto corpo-comunità, unitario nelle finalità e diverso nella molteplicità dei ministeri.
    L'esperienza della comunità ecclesiale in questi anni di rinnovamento conciliare manifesta con chiarezza che essa deve svilupparsi in un contesto di responsabilità, e trova nella complementarità delle diverse vocazioni la forma più valida di crescere nella fedeltà a Dio e nel servizio agli uomini.
    Le conseguenze pratiche di una tale visione della Chiesa arrivano alla vita quotidiana e, dunque, alla maniera di lavorare per il Vangelo. Il soggetto di ogni presenza e attività pastorale è la comunità. I pastori sono visti come animatori di tutti i suoi membri e dell'insieme, piuttosto che come responsabili esclusivi della missione della Chiesa.
    Questa istanza comunitaria ha poi uno speciale rapporto con la sfida dell'evangelizzazione nel mondo contemporaneo. «La comunità vissuta nello spirito evangelico è di natura sua testimonianza che non solo edifica il Cristo nella comunità, ma lo irradia diventando segno per tutti» (Sacra Congregazione per l'educazione cattolica, La scuola cattolica, Roma 1977, n. 61).
    Il fatto comunitario infatti è eloquente, parla prima ed è spesso più forte della parola. La «Evangelii nuntiandi» riprende il tema con maggior forza, quando afferma: «Ecco: un cristiano o un gruppo di cristiani, in seno alla comunità di uomini nella quale vivono, manifestano capacità di comprensione e di accoglimento, comunione di vita e di destino con gli altri, solidarietà con lo sforzo di tutti per tutto ciò che è nobile e buono. Essi irradiano, inoltre, in maniera molto semplice e spontanea, la fede in alcuni valori che sono al di là dei valori correnti, e la speranza in qualche cosa che non si vede, che non si oserebbe immaginare. Allora con tale testimonianza senza parole questi cristiani fanno salire nel cuore di coloro che li vedono vivere domande irresistibili... Altre domande sorgeranno, più profonde e più impegnative, provocate da questa testimonianza che comporta presenza, partecipazione e solidarietà, che è un elemento essenziale, generalmente il primo nella evangelizzazione» (n. 21).
    In un mondo secolarizzato, in cui l'esperienza religiosa non è più espressa dalle grandi istituzioni sociali, riprende particolare forza e significato quel gruppo di uomini nel quale è possibile riscoprire la sintesi cristiana nella sua integrità.
    Più specifico si rivela il motivo della scelta, se si entra nel campo particolare dell'educazione. Seguendo la tendenza partecipati-va della società, anche l'educazione sta passando dalla gestione individuale alla corresponsabilità comunitaria.
    Le tre ragioni che sostenevano il diritto a una gestione «privata» erano il possesso delle strutture, la specializzazione professionale e l'offerta di un certo tipo di educazione.
    Ma la crescita del senso sociale di questi anni stimola persone e gruppi a divenire «animatori» di una realtà condivisa piuttosto che imprenditori esclusivi.
    L'educazione è così più un servizio sociale che un'impresa individuale. Il fenomeno va considerato non semplicemente politico, ma specificamente educativo. Solo attraverso l'esercizio pratico di pluralismo e della partecipazione il ragazzo si abilita alla convivenza civile e al senso della sua dignità e responsabilità come persona. Le istituzioni educative del resto non hanno per finalità soltanto di trasmettere conoscenze, ma soprattutto di educare, ossia di formare socialmente e culturalmente, e aiutare a crescere come cittadini.
    Infine, un motivo della scelta comunitaria si rifà a un grande filone educativo, portato nella Chiesa e nella società da don Bosco: il Sistema Preventivo.
    Ci sono in esso elementi chiave che si attuano solo nella comunità educativa: lo spirito di famiglia, l'ambiente educativo e il protagonismo giovanile. Il primo suppone una trama di rapporti personali ispirati a fiducia, familiarità e bontà. Suppone che l'educazione sia opera di stima e di amore che si percepisce e si respira come clima.
    Il secondo richiede pluralità di attività e convergenza di molteplici fattori verso traguardi da perseguire.
    Il terzo esige il coinvolgimento interiore dei giovani, che fa affiorare la spontaneità e si esprime nell'assimilazione vitale dei valori e nella loro partecipazione attiva ai processi educativi.
    Il Sistema di don Bosco, insomma, richiede un intenso e luminoso ambiente di partecipazione, un modo comunitario di crescita umana e cristiana, vivificata dalla presenza amica e solidale di educatori e giovani.

    2. LE ESIGENZE ATTUALI DI UNA COMUNITÀ FORMATIVA

    Oggi poniamo alla base della comunità educativa le seguenti esigenze: i rapporti umani, il senso di appartenenza, l'identità educativo-pastorale.
    La necessità di rapporti «nuovi» tra i componenti della comunità educativa è avvertita con forza se si intendono raggiungere livelli di collaborazione e vicendevole integrazione. Tale novità trova concretezza in alcune espressioni pratiche.
    Una prima è l'intensità: si tratta di passare da rapporti spesso scarsi a rapporti più frequenti; dalla mancanza di comunicazione personale, professionale e funzionale all'informazione sistematica.
    La novità è attuata anche nell'estensione dei rapporti: si punta infatti sul coinvolgimento di più gruppi e persone, anzi di tutti quanti possono essere interessati, come le famiglie, le forze sociali, le varie istituzioni educative.
    La novità può essere percepita inoltre nella profondità del rapporto: ci si impegna non solo nella cordialità, ma in particolare nella ricerca comune del senso e dello stile dei propri compiti educativi.
    Sin qui sono note che costituiscono un buon rapporto umano.
    Ma naturalmente si intende andare oltre e addentrarsi in un reale rapporto educativo pastorale. Ci si riconosce e ci si accoglie allora come educatori ed educatori alla fede, si ricerca insieme la propria crescita umana e cristiana, ci si pone in una prospettiva vocazionale di scelta di vita e di assunzione di una missione comune.
    Certo tra «professione» e «vocazione» si danno differenze. Questa coinvolge il senso della vita, e la dedizione completa di sé nella logica della gratuità: l'intenzione infatti di chi opera «per vocazione» non si ferma alla retribuzione o alle prestazioni dovute, bensì si rivolge tutta a rispondere a Dio, servendo i giovani con slancio interiore.
    Tali vincoli vocazionali, riconosciuti come elementi di un progetto superiore, si rivelano la forza unitiva più forte per la costruzione della comunità: occorre scoprirli e coltivarli. Sono basati sulla comune chiamata a lavorare per i giovani, a spendersi per loro come educatori.
    I rapporti nuovi dovrebbero creare un sentimento più forte di appartenenza. L'insieme della realtà educativo-pastorale non è unicamente un'organizzazione di lavoro; la partecipazione non è un fatto tecnico come se fosse sola socializzazione di un servizio. Tende invece a essere comunità nel senso più radicale, come un gruppo fondato su interessi vitali, a cui si aderisce per scelta del cuore. Se non si promuove anche questa dimensione difficilmente si raggiungono i traguardi che l'organizzazione si pone.
    Ma quali sono gli elementi che rafforzano l'appartenenza e che uniscono più fortemente la comunità nell'azione?
    In primo luogo c'è la chiarezza della missione e delle finalità. Se i fini non sono evidenti si compromette fin dall'inizio il cammino della comunità e la sua direzione di marcia nella progettazione. Su molti elementi si può ammettere pluralità di vedute, ma non certo sulla ragion d'essere della comunità.
    Differisce non poco l'insegnare dall'educare, l'educare semplicemente dall'evangelizzare educando. Ognuna di queste scelte può essere legittima per un cristiano; ma una comunità ha bisogno assoluto di definire su quale piano intende collocarsi.
    Le comunità che si propongono come orizzonte ultimo di testimoniare e annunciare il Vangelo non possono confondere il semplice insegnamento, la promozione umana e neppure l'educazione con la sua meta finale: sarebbe un compromettere la comunicazione sin dall'inizio.
    Senza dubbio le finalità non risultano chiare immediatamente e d'improvviso. È necessario ritornare ad esse per approfondire il significato, le implicanze e le conseguenze nuove, per chiarirle in analisi successive ed evidenziarle.
    Richiamare le finalità e interrogarsi su di esse è riprendere contatto come comunità educativa con la propria ragion d'essere. Questo crea coscienza comune, che determina il senso di appartenenza a un unico progetto e a una unica comunità.
    La comunità rafforza per di più il suo senso di appartenenza attraverso la condivisione dei valori non per enunciato, ma per vissuto. Gli educatori pertanto dovranno interrogarsi sui valori che scelgono e come li esprimono, su come li approfondiscono e in che modo li condividono.
    Al riguardo si può cadere in difetto su due versanti: il gruppo non ha scoperto e tantomeno coltiva valori capaci di unire persone adulte ed esercitare attrattiva sui giovani, oppure non è riuscito a trovare espressioni comunitarie adeguate ed efficaci.
    Su questo si può descrivere una tipologia delle comunità educative.
    Esistono comunità che in quanto gruppo non esprimono nessun valore, benché certi pregi siano legati al nome dell'istituzione o anche molti educatori ne siano singoli portatori: le scelte di valori comuni però non emergono. L'azione educativa appare qui divisa in funzioni e azioni che non comunicano tra loro se non in forma di coesistenza pacifica. La comunione tra le persone è ostacolata sotto il peso dei propri ruoli e competenze.
    Ci sono comunità composte da singoli individui che sono «religiosi», ma il gruppo come tale non si esprime religiosamente, il fatto religioso risulta assente nella prospettiva comunitaria.
    Esistono però anche comunità che, come gruppo, cercano di dar voce nella prassi sia ai valori professionali che all'amore per i giovani, e mostrano interesse a proporre ai giovani l'ideale cristiano della vita, l'apertura al mistero di Dio, la mutua condivisione e solidarietà. Questo rappresenta la direzione di marcia, guardando la quale si cammina verso la meta, anche se magari si fanno soltanto piccoli passi.
    E infine, per dare consistenza alla comunità, emerge l'esigenza di maturare la propria identità educativa e pastorale.
    La comunità educativa si presenta come portatrice di una proposta peculiare e di una propria maniera di offrirla. Nel pluralismo di progetti educativi della nostra società, chi si dedica all'educazione si qualifica non perché erige un'istituzione in più, bensì perché risolve in maniera originale le domande educative dei giovani.
    Non tutto in verità può essere definito, né previsto sin dall'inizio. Anche se talune intese di fondo sono indispensabili già in partenza, non mancheranno lungo il cammino verso la costituzione di un proprio patrimonio di idee ed esperienze, sfide alla capacità educativa e opportunità di crescita.
    L'affrontare questo compito non persegue solo la finalità di risolvere i problemi con soddisfazione comune, ma di mantenere salda e di far crescere la comunità, raccordandola ai bisogni che man mano vanno sorgendo e alle risorse interiori con cui la Provvidenza la va arricchendo.
    In simile situazione si potranno più facilmente trovare i punti di convergenza su una prassi educativa a cui insieme ci si ispira. Così la comunità non viene guidata da un rigido regolamento di azione e nemmeno procede ricercando momentanee convergenze senza direzione, poggiando sul gioco del consenso; ma su finalità e criteri di base condivisi, affronta assieme programmazioni e revisioni, difficoltà e riprese, tempi di crescita e di rallentamenti: compie insomma un cammino guardando alla meta.

    3. ISTANZE CHE RENDONO DINAMICA LA COMUNITÀ

    Come si muove e come cresce una comunità educativo-pastorale? Le forze interne che le infondono energia per crescere e capacità di movimento sono la partecipazione, l'animazione, la formazione permanente.
    Pensare alla partecipazione come a una forza di costruzione interna, e non subirla semplicemente come necessità, vuol dire abilitarsi a operare con le sue potenzialità e anche i suoi rischi. Rimane comunque un elemento dinamizzante, perché provoca e costringe la comunità a un ben determinato tipo di rapporto tra le persone, a un cammino di coinvolgimento verso la propria definizione educativa, che si diversifica assai dal modo in cui le questioni vengono risolte e definite solo da poche persone.
    Partecipazione significa dover affrontare la diversità delle persone e le divergenze delle vedute, e ciò non consente di stabilire punti obbliganti di partenza o di marcia predefinita. Questo obbliga a concepire la comunità educativa non come una struttura fissa, come un evento di confronto e di crescita.
    Proprio per questa convinzione si accetta volentieri da una parte la collaborazione piena fra chi condivide la medesima scelta cristiana e le finalità pastorali, ma d'altra parte si ricerca pure una conveniente integrazione di coloro che a queste istanze sono meno sensibili, nel rispetto da parte di tutti delle mete da perseguire.
    La partecipazione e il coinvolgimento dei giovani presentano maggiori difficoltà rispetto a quelle degli adulti: le diverse esigenze dell'età, l'equilibrio richiesto di fronte a problemi spesso non semplici, il rischio di escluderli surrettiziamente o di conquistarli paternalisticamente sono reali problemi.
    La demassificazione, per cui la comunità giovanile viene articolata in sezioni o gruppi secondo l'età e la preparazione può essere una prima risposta, poiché ciò rende più facile conoscersi, aiutarsi concretamente gli uni con gli altri, capire gli obiettivi immediati che si propongono, scoprire e approfondire gli stili della loro esperienza.
    Sono poi da cercare spazi in cui i giovani possano gestire loro stessi attività sportive, culturali, sociali e religiose.
    Ma la partecipazione come criterio educativo si fa strada spesso anche in strutture rappresentative, in cui si impara ad affrontare politicamente le questioni in vista del bene complessivo.
    Il grado basilare della partecipazione è senz'altro l'informazione, che deve circolare regolarmente all'interno della comunità educativa. Chi viene escluso dalla necessaria informazione viene per ciò stesso escluso dalla partecipazione. Ma si deve andare più in là: cimentarsi nello studio in comune delle situazioni, elaborare criteri e piani per promuovere la vita della comunità.
    Con simili itinerari si mette in moto un processo che tende spontaneamente a creare una visione comune sia riguardo ai valori umani di base, quanto ai valori e ideali più esplicitamente religiosi.
    Il grado massimo della partecipazione è la comunione di fede e di esperienza cristiana: una funzione peculiare assumono dunque coloro che condividono a fondo i valori evangelici. Non è certo un compito di onore, bensì un impegno di servizio.
    Ma la mobilizzazione di tutte le componenti delle comunità in un cammino di continuità richiede un altro elemento: la presenza di un gruppo animatore. Non si tratta di un vertice di comando, ma di un centro propulsore.
    C'è una parola chiave molto usata in questi ultimi anni: animare, che non si deve ridurre all'organizzare o dirigere.
    L'animazione nel suo significato originale fa pensare anzitutto all'attività interiore dell'anima come energia di vita, di crescita armonica, di coesione articolata delle parti: attività che dall'interno fa crescere la partecipazione di tutti i membri della vita del corpo.
    Lo sviluppo di questo tema ci porterebbe lontano; lo rimandiamo più avanti, nelle prossime riflessioni. Ora ci basta asserire che la vita di una comunità educativa, e la sua possibilità di camminare, unita secondo un progetto condiviso, dipende in massima parte dal fatto che un gruppo di responsabili si assumano il compito di animare tutta la comunità nella linea del progetto comune. E al contempo la forza del gruppo animatore scaturisce inesorabilmente dalla sua esperienza comunitaria.
    Infine, la terza istanza che rende dinamica la comunità consiste nell'impegno dei suoi membri di formarsi permanentemente.
    Un tale compito comprende simultaneamente sia l'aggiornamento professionale che l'approfondimento cristiano.
    Il primo interessa come educatori e pastori. Le conoscenze e abilità pastorali o pedagogiche deperiscono, come possono esaurirsi le capacità manuali e tecniche. I criteri educativi e pastorali e i sistemi pedagogici, come la gioventù tra cui ci troviamo, cambiano, evolvono e si trasformano. Chi non si sottopone oggi a training periodici di coraggiosa revisione, di una nuova informazione, di rivisitazione e rinnovamento, diventa presto superato, e soprattutto impari alle sue responsabilità sia personali che comuni.

    4. LA COMUNITÀ EDUCATIVA SI SITUA NEL SUO CONTESTO

    Ciò che agisce all'interno della comunità educativa pastorale non basta però per mantenerla attiva e in crescita. Bisogna aggiungervi ciò che la inserisce e qualifica nel proprio contesto: i legami da mantenere con le realtà sociali e pastorali del territorio.
    Un primo importante legame riguarda la Chiesa locale. Oggi più che mai è indispensabile collegarsi con la pastorale della Chiesa locale, assumendone con convinzione i criteri, partecipando agli organismi che la animano, curando i legami con le varie realtà educative in essa presenti.
    È impensabile del resto che oggi, con i cocenti problemi che presentano la gioventù e l'educazione, non si attuino, a livello di chiesa particolare, un dialogo e uno scambio frequenti ed espliciti. È assai poco concepibile che a simili contatti non prenda parte attiva, con proposte e piani, chi ha compiti educativi e vive a tempo pieno tra i giovani.
    Soltanto così, alle dichiarazioni di principio sulla missione educativa della Chiesa «esperta in umanità» faranno seguito proposte concrete per la crescita delle persone, in un mondo in cui i progetti educativi si differenziano quando non si contrappongono. Impegnandosi nel realizzare tali proposte le comunità educative appariranno e saranno realmente espressioni autentiche delle potenzialità educative della Chiesa.
    Accanto al dialogo e allo scambio a livello di Chiesa, si può proporre un'altra apertura: partecipare attivamente al dialogo educativo in corso in ogni società e collaborare con tutti coloro che si battono per garantire «uguali» opportunità ai diversi progetti educativi.
    Nella cultura odierna non hanno molte possibilità coloro che si mettono sulla difensiva chiudendosi a riccio. I gruppi isolati possono persino contare su un alto numero di membri, ma ben altra cosa è avere rilevanza culturale.
    Peraltro, educare è sì aprire alla cultura passata e presente, ma ancor di più a quella che si sta elaborando per il domani. La partecipazione al dibattito culturale ed educativo diviene oggi assolutamente necessaria, se si intende veramente educare. La si attua all'interno delle associazioni professionali e collegandosi con le varie agenzie educative.
    Un cenno merita qui il tema, che sarà sviluppato più avanti, della comunità educativa pastorale nel territorio. È un tema cardine e nuovo se consideriamo che la comunità può diventare oggi un reale agente di trasformazione dell'ambiente. L'apertura al quartiere dice attenzione alla gente che sta attorno a noi, ed esprime la convinzione che una comunità educativa è un fattore rilevante per lo sviluppo di una zona.
    Essere presenti nel territorio comporta seguire la situazione giovanile locale, mostrare sensibilità alle problematiche comuni, esprimere solidarietà con le persone che sono nella necessità, sostenere tradizioni significative per la gente. È insomma un incarnarsi nella cultura del posto per ricevere stimoli e offrire contributi di crescita e di informazione.
    Tutto ciò dà una maggiore possibilità di influire sulle politiche che regolano l'educazione.

    5. LA MISSIONE DELLA COMUNITÀ EDUCATIVA PASTORALE

    A una comunità educativa pastorale non si chiede di ripiegarsi su di sé, bensì di lavorare per i giovani. Le sono perciò affidati alcuni compiti fondamentali da realizzare insieme.
    Il primo è conoscere a fondo e seguire la condizione giovanile.
    Premessa di ogni programmazione educativa pastorale sono la sensibilità e l'attenzione alla condizione giovanile, letta nelle sue attese educative ed evangeliche mediante una analisi della situazione e il contatto diretto con i giovani.
    Si tratta in verità di un atteggiamento che non si concede al tatticismo per conquistare alle nostre convinzioni, bensì che cerca sinceramente di entrare in sintonia col mondo giovanile allo scopo di percepire attese e problemi, domande e richieste.
    Lo scollamento tra Chiesa e giovani viene denunciato un po' ovunque. Non si riesce a prendere contatto se non con una parte minima dei giovani battezzati. Si stenta ad agganciare il Vangelo con la mentalità del mondo giovanile circa la morale, l'autonomia personale, il senso della vita.
    Diviene così evidente che una comunità educativa dovrebbe essere per la Chiesa una specie di osservatorio della situazione giovanile, luogo di confronto in vista dell'evangelizzazione di questo continente umano spesso sconosciuto. Si parla della condizione giovanile e non del singolo giovane. La conoscenza del singolo richiede e comporta comprensione del gruppo e dell'ambiente dove il singolo vive, e della struttura sociale in cui sta crescendo. Non si può conoscere l'individuo senza approfondirne il contesto.
    Per questo la condizione giovanile è oggi tema di attento studio e di continuo confronto. Quanto i sociologi rilevano e quanto noi raccogliamo nelle nostre sensibilità, deve essere oggetto di scrupolosa riflessione.
    Non è un compito del tutto facile leggere e interpretare dalla prospettiva dell'educatore. E tuttavia ciò si rende inevitabile, se proposte e metodi debbono essere adeguati e coerenti.
    Pertanto la comunità si dà a scoprire e valorizzare le attese dei giovani per promuovere la loro maturazione umana e cristiana, evitando il rischio del livellamento: tiene in conto le loro esigenze specifiche e la loro appartenenza al mondo dello studio, della fabbrica, dell'impiego, della famiglia.
    C'è dunque un primo compito a cui rivolgere lo sguardo e su cui fare domande quando si verifica lo stato della comunità educativa: quanto conosciamo i giovani e quanto siamo vicini al loro mondo? Cosa si aspettano da noi? Come si riferiscono a quella concezione di vita che denominiamo «umana» e «cristiana»? In che ambiente, in che società si trovano? In quali processi sociali e culturali sono coinvolti o forse travolti?
    Il secondo compito è approfondire insieme il proprio patrimonio pedagogico pastorale: è la ricerca di identità.
    La comunità si inserisce in una tradizione pedagogica la cui sorgente si rifà spesso a movimenti educativi o all'umanesimo cristiano di grandi figure nella storia ecclesiale. Se si vuole chiarezza di identità, non si possono rinnegare le proprie radici, anzi bisogna riandare alle fonti e rivisitare l'esperienza e i cammini alla luce del carisma ispiratore.
    Una figura di educatore tra le più eminenti è don Bosco. Rifarsi a lui significa riscoprire la freschezza della missione giovanile e la responsabilità del compito educativo.
    Ammiriamo infatti in lui la capacità naturale di sintonizzare con i giovani e di renderli amici; la squisita spiritualità educativa che scaturiva dalla sua vocazione e che gli rendeva visibile l'azione di Dio nel cuore del giovane; la sua lunga e felice convivenza con i giovani di ogni tipo e condizione, che lo rendeva sapiente e saggio nell'educarli e nel portarli al Signore Gesù.
    La pedagogia di don Bosco prende inizio non da una teoria, ma dalla sua storia di educatore. Lascia alla sua morte una sapienza educativa pastorale e una prassi pedagogica a vantaggio della Chiesa e della comunità umana.
    La cultura, la scienza, la prassi sono processi cumulativi i cui traguardi vengono consegnati ai posteri. Così è anche la pedagogia, che è l'arte dell'educazione, e la pastorale, che è la pedagogia della Chiesa. Sarebbe insipienza non accogliere e godere di tali eredità.
    Il terzo compito della comunità che intendiamo prendere in considerazione è l'elaborazione del progetto educativo-pastorale. A chi segue la letteratura pedagogica pastorale di questi anni, non sfuggirà l'insistenza sul «progetto». La si avverte nel richiamo costante della parola, ma soprattutto nell'impegno a prospettare o elaborare progetti che siano seriamente fondati e si traducano in prassi di comunità.
    Forse oggi il termine «progetto» può suonare come uno slogan, se non addirittura una moda. Anzi, può apparire anche per taluni già logoro e molesto, specie se non si è colto a fondo quanto esso richiede. E tuttavia l'irruzione di una parola nell'uso comune è indice di un cambiamento nel costume e nei sistemi di vita e di azione.
    Il termine «progetto» ha sollecitato mutamenti in questi anni, e spinge ancora oggi a rivedere metodologie e contenuti educativi e pastorali. Programmi, interventi, incontri sono ormai considerati aspetti parziali e strumentali rispetto all'insieme dell'azione educativa e pastorale.
    Nel passato si dava per scontato che tutto si integrasse in un quadro di riferimento comune. Ogni iniziativa era indirizzata verso mete e finalità considerate chiare e univoche. Era abbastanza condiviso che cosa voleva dire «onesto cittadino» o «buon cristiano».
    Da qualche tempo si insiste sul fatto che ogni istituzione educativa o pastorale abbia un suo progetto: si passa così dalle programmazioni al progetto, che diviene espressione del cammino complessivo di una comunità educativa pastorale, anzi il suo schema di riferimento, il suo quadro di convincimenti e orientamenti.
    Quanto si è venuto esponendo può sembrare troppo ideale o per lo meno irraggiungibile. Ma gli ideali sono come stelle, non servono per abitarci, bensì per indicare un cammino. Così una certa presentazione della comunità educativa serve da bussola per il cammino da compiere nella giusta direzione.
    Rimane vero che una comunità è internamente viva, perché partecipa, è animata e cresce spiritualmente. Per essere tale deve fondarsi e maturare nei rapporti personali, nel senso di appartenenza e nell'identità; deve collegarsi alla Chiesa locale, all'ambiente e alla cultura del posto; deve fare memoria del proprio patrimonio pedagogico di cui è portatrice. Con tutto ciò crea un progetto originale in risposta alle esigenze odierne e in particolare si impegna ad attuarlo nella prassi quotidiana a beneficio della gioventù.


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