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    La Chiesa assume la questione giovanile (I/cap. 2 di J.E.Vecchi)


    Juan E.Vecchi - Pastorale giovanile. Una sfida per la comunità ecclesiale - Elledici 1992


    Capitolo secondo

    LA CHIESA ASSUME LA QUESTIONE GIOVANILE

    La possiamo leggere nella riflessione teologico-pastorale, nella prassi concreta della Chiesa e, infine, nella progettazione pastorale organica.

    1. LA RIFLESSIONE TEOLOGICO-PASTORALE

    Sin dall'esplodere della questione giovanile si fa strada nella Chiesa una riflessione che ne assume i dati socio-culturali e li inserisce in una lettura pastorale.
    Il Concilio offre i primi elementi di questa lettura; ma soprattutto esprime attenzione e volontà di incontro e dialogo. «La Chiesa ama intensamente i giovani; sempre, ma specialmente in questo tempo, si sente interpellata dal suo Signore a guardarli con speciale amore e speranza, considerando la loro educazione come una delle sue principali responsabilità pastorali».
    Da ora in poi il tema giovani viene inserito nei documenti che abbordano problemi generali della Chiesa ed è oggetto di interventi specifici. Esempio convincente tra questi è la lettera di Giovanni Paolo II «Ai giovani e alle giovani del mondo», in occasione dell'anno internazionale della gioventù.
    Le chiese particolari riecheggiano la riflessione e la arricchiscono di concretezza. Il problema giovanile trova una sua collocazione nel simposio dei vescovi europei nel 1975 su «Secolarizzazione ed evangelizzazione in Europa», mentre nel successivo del 1978 è il punto focale del confronto.
    L'America Latina offre tre documenti di molto interesse dottrinale e di progressiva applicazione pratica. Il documento quinto di Medellin (1968) rappresenta la prima dichiarazione organica della Chiesa latinoamericana sulla gioventù, considerata come destinataria di attenzione pastorale specifica. Segue, dieci anni dopo, l'opzione per i giovani di Puebla. Di recente (1987) il documento «Pastorale giovanile: sì alla civiltà dell'amore» riprende le riflessioni dottrinali e le traduce in linee operative.
    Numerose chiese diocesane e molte conferenze nazionali elaborano un quadro interpretativo autorevole sull'argomento, in lettere pastorali, in convegni ecclesiali, in orientamenti per i diversi momenti della prassi pastorale.
    Di non minore incidenza è quanto viene prodotto dai centri di riflessione, da gruppi di teologi e pastoralisti particolarmente interessati al problema. Oggi si può dire che il tema abbia raggiunto la comunità cristiana e che questa sia consapevole delle sue dimensioni ed esigenze.
    Ma quale visione scaturisce da questo cumulo di riflessioni?
    Certo non si tratta di uno studio sistematico e completo, è piuttosto una lettura sapienziale di cui possiamo cogliere alcuni nuclei principali.
    Un primo nucleo sta nel valutare positivamente la «giovinezza» nell'esistenza della persona, e la «gioventù» nel dinamismo della società e nel divenire dell'umanità. La giovinezza infatti rappresenta la condizione spirituale e la disposizione psicologica emblematica di fronte alla vita, in quanto possiede la capacità di rallegrarsi per ciò che comincia, di darsi con generosità, di rinnovarsi e di ripartire per nuove conquiste.
    È il tempo di una particolare intensa scoperta dell'io umano e delle proprietà e capacità ad esso unite nelle quali è come inscritto l'intero progetto della vita futura (cf Giovanni Paolo II, «Ai giovani e alle giovani del mondo», n. 3). La gioventù d'altro canto ripropone in forma nascente e intensa gli interrogativi e le aspirazioni dell'uomo. Per questa nuova creazione della coscienza umana che ha luogo in ogni vita che si apre, più che per il succedersi biologico delle generazioni, la gioventù risulta dinamizzatrice della società e porta inedite possibilità al processo storico dell'umanità.
    La Chiesa dunque vede in essa una «immagine di se stessa, giovinezza del mondo» e la speranza per la società e per la Chiesa.
    Questa riflessione viene modulata con innumerevoli espressioni e approfondita da prospettive diverse, ma si tratta in fondo di «un'unica intuizione spirituale».
    In tale chiave infatti vengono letti i disagi e le aspirazioni della gioventù. Essi manifestano la tensione che le persone singole e l'intera umanità sperimentano nella ricerca del proprio compimento definitivo. Sono come invocazioni di una presenza e riconoscimento di un limite; diventano frustrazione quando, nel soddisfarli, il destino e la dignità dell'uomo vengono ignorati dalle persone o dall'organizzazione sociale. Il giovane ha però, dalla creazione e redenzione, la possibilità di superare questi condizionamenti e di realizzare la sua vocazione umana in qualunque situazione.
    La Chiesa sa di poter offrire al giovane una illuminazione per interpretare il suo mistero, e un modello conforme al quale costruire l'esistenza: è Cristo, via, verità e vita. Gli propone anche un ambito umano di ricerca sincera, di esperienza e condivisione della verità: è la comunità dei credenti. Offre ancora un progetto storico: il Regno che investe tutto il tempo presente, si realizza in ogni momento, abbraccia tutta la storia.
    Ma ciò si attua all'interno della esperienza del singolo e dell'umanità, sovente negativa, dominata da forze avverse.
    La Chiesa ripensa allora il suo servizio alla crescita dei giovani. Lo vede come una «proposta di valori» tra cui primeggia la fede, l'amore e la speranza che plasmano la persona dal di dentro in ogni situazione; come un aiuto al discernimento delle esperienze giovanili, di qualunque tipo esse siano, per scoprire il positivo e denunciare quello che è negazione della vita; come compagnia nell'apertura permanente all'azione di Dio e nello sforzo di superamento dei propri limiti. «Per questa strada, che non fallisce né delude, i giovani matureranno nel considerare che la vita è chiamata, è vocazione, e i divini progetti su di loro acquisteranno forza incisiva, divenendo fedeltà: non solo fedeltà consapevole di uomini, ma fedeltà innamorata di credenti in Cristo e suoi veri discepoli» (Ballestrero, «Giovani verso Cristo», 1).
    Per adempiere questo ministero essa interroga il suo Signore sugli atteggiamenti e sullo stile che la possono rendere «educatrice» della libertà dei giovani. Sa di dover convivere e solidarizzare con la loro condizione, rendendosi garante delle loro aspirazioni legittime e aiutando a smascherare alienazioni. Si propone di dialogare con i giovani, ascoltando le loro domande e offrendo la propria ricchezza; di rispettare il loro cammino, dando testimonianza della propria speranza.
    Questi nuclei, ripresi nelle forme più varie, si esplicitano ulteriormente quando la riflessione diventa «situata» e particolare, come capita nei documenti delle Conferenze episcopali e nelle lettere dei vescovi. I valori allora vengono nominati, i rischi e disagi individuati, le mediazioni ulteriormente concretizzate.
    La riflessione teologico-pastorale si traduce così in strumenti operativi. I catechismi per i giovani, elaborati in diverse aree culturali, propongono una maturazione umana alla luce di Cristo, nella comunità, per il Regno. Altrettanto fanno gli itinerari di vita cristiana preparati per i movimenti e i diversi documenti con cui si è cercato di descrivere il compito educativo della Chiesa.

    2. LA PRASSI DELLA CHIESA NEI CONFRONTI DEI GIOVANI

    Mentre si sviluppa la riflessione teologico-pastorale sul fenomeno giovanile, le chiese si trovano impegnate nella prassi concreta a favore dei giovani: tentativi di contatto, iniziative promosse per il loro coinvolgimento e formazione, nuovi modi di presenza nel loro mondo.
    Quello della prassi pastorale rappresenta un momento rilevante di confronto e di discernimento tra domanda giovanile e proposta ecclesiale, che meriterebbe un accurato approfondimento. Ma poiché non è semplice operare una sua ricognizione, trattandosi di vissuto spesso imponderabile, ci limitiamo ad accennare ad alcune linee di azione portate avanti dalle comunità.
    Un primo impegno delle comunità ecclesiali nei riguardi dei giovani consiste nel loro coinvolgimento alla vita della comunità. Il desiderio di partecipazione e la volontà di collaborazione da parte dei giovani trovano risposta nelle chiese che utilizzano le vie più diverse per renderli corresponsabili. Si tratta talvolta di tentativi molto incerti, di strade nuove da esplorare; ma l'apertura di spazi partecipativi è reale. Fioriscono infatti attorno alle parrocchie gruppi spontanei che si interessano di animare le liturgie, che si impegnano nel sociale aprendosi alle varie esigenze del territorio, che assumono iniziative a favore del terzo mondo e delle missioni «ad gentes». Sono spesso giovani che nel loro entusiasmo si spendono generosamente per far sì che le comunità si rinnovino alla luce delle grandi intuizioni conciliari. L'informalità dei gruppi non toglie loro la serietà dell'impegno, anche se non sono esenti da ambiguità. Di fronte a tale disponibilità, numerose comunità si aprono alla partecipazione e accolgono i gruppi come istanze di rinnovamento.
    Di certo preponderante nell'azione delle chiese è l'impegno catechistico e liturgico per la formazione dei giovani. Si organizzano per loro iniziative di approfondimento dottrinale sia occasionali che continuative. L'insegnamento della religione, opportunamente rinnovato, resta sempre, pur con difficoltà, uno dei canali principali di contatto dei giovani con il discorso religioso. Così anche la scuola cattolica cerca di adeguare le sue proposte e i suoi metodi per corrispondere alle attese giovanili. Rappresentano poi un nuovo strumento formativo le scuole di teologia per laici, dove i giovani sembrano essere i più presenti. Le chiese, insomma, cercano di portare avanti diverse forme di evangelizzazione a seconda delle situazioni e degli interessi dei gruppi, sforzandosi di percorrere vie inedite e usufruendo dell'esperienza accumulata nel tempo.
    Ma le chiese oggi trovano particolarmente efficace una modalità non nuova, sebbene rinnovata nelle sue forme: sono i gruppi, le associazioni e i movimenti, a cui i giovani aderiscono in forza delle loro esigenze di crescita e di condivisione.
    Alcune proposte associative si ispirano a modelli consolidati nel tempo: si pensi ai centri giovanili, alle forme aggregative come l'azione cattolica, alle associazioni promosse da istituti religiosi, agli scouts... Ma ci sono anche proposte in stile nuovo: sono i cosiddetti «movimenti», che rispondono a nuovi interessi ed esplorano percorsi inediti. Molti giovani se ne sentono attirati.
    L'azione ecclesiale tra i giovani è segnata anche da un'altra novità: sono i luoghi (o momenti) di aggregazione che funzionano da catalizzatori per il vasto universo giovanile. Taizé è uno di essi: il fascino del luogo è indiscutibile e ancor più lo è la carica spirituale della testimonianza e della proposta. Anche i luoghi natali di santi, quali ad esempio Francesco d'Assisi e Don Bosco, maestri di spiritualità, diventano sempre più punti di incontro per numerosi giovani e riferimento per la loro ricerca di fede. Di frequente comunità religiose di stile nuovo o antico convocano, aggregano e provocano. Così le scuole della Parola o di preghiera offrono ai giovani delle diocesi un comune cammino di crescita nella fede conforme alla loro sensibilità e al rinnovamento ecclesiale.
    Infine non mancano iniziative a livello di Chiesa universale, in cui è rilevante la figura del Papa. Gli incontri annuali della gioventù del mondo (Roma, Buenos Aires, Santiago), i frequenti colloqui giovanili nelle sue visite pastorali in tutti i continenti, il rivolgersi di frequente ai giovani nei suoi scritti e in particolari circostanze, come l'anno santo dei giovani (1984), la celebrazione dell'anno internazionale della gioventù, sono momenti aggregativi attesi che svolgono un'azione di richiamo e di proposta spirituale.
    Un'ulteriore linea di iniziative pastorali coinvolge i giovani nell'attenzione agli ultimi. Le forme sono molteplici: volontariato educativo e impegno per la pace, animazione culturale e cooperazione missionaria, promozione dell'ambiente e attività tra gli emarginati. Si tratta di un servizio che esprime la diaconia della Chiesa divenendo segno profetico e testimoniale della fede.
    La scoperta che la proposta cristiana di impegno risponde alle esigenze reali della gente, apre i gruppi alla complessa realtà del territorio come ambiente umano in cui si condividono e si risolvono assieme i problemi, si crea cultura e si sperimenta la solidarietà.
    Non pochi giovani impegnati si cimentano allora nel sociale e nel politico, rielaborano nella prassi il rapporto Chiesa-mondo, ricomprendono il contributo dei cristiani alla vita pubblica, assumono impegni politici nelle istituzioni, cercano di lievitare la solidarietà col Vangelo, collaborano da credenti nella difesa dei diritti umani e nelle iniziative verso settori sfavoriti.
    Il rilancio dell'interesse prepolitico e politico, accompagnato da solida formazione culturale e cristiana, si presenta nelle chiese più organizzate come motivo capace di aggregazione.

    3. VERSO UNA VISIONE ORGANICA DELLA PASTORALE GIOVANILE: I PROGETTI

    Dalla riflessione teologico-pastorale e dalla prassi necessariamente frammentaria delle chiese nell'affrontare il complesso fenomeno giovanile nasce l'esigenza di dare organicità agli interventi. La prassi infatti rivela alcuni limiti: la polverizzazione delle iniziative e una certa loro divergenza riguardo a impostazioni concrete, la mancanza di mete chiare e di itinerari sperimentati, l'improvvisazione e la conseguente discontinuità, la mancanza di sostegno e coinvolgimento della comunità e a volte addirittura dei pastori. Appare quel fenomeno che è stato definito la «pastorale delle iniziative».
    Si fa strada allora l'idea del progetto come strumento di un'azione più completa, meglio definita, più collegata, più corresponsabile. Si tratta di raggiungere tutto il campo giovanile e non soltanto alcune delle sue frange e manifestazioni: l'educazione, l'educazione alla fede, la cultura, l'esperienza sociale, l'impegno ecclesiale, l'emarginazione, l'adolescenza, la giovinezza, i lontani, i praticanti. Si tratta anche di approfittare di tutte le energie disponibili, considerate come doni dello Spirito; e allo stesso tempo di raccordarle, gerarchizzando i loro interventi secondo i criteri dell'urgenza e importanza, secondo una visione comunionale della Chiesa e della pastorale. Si cerca allora di costruire convergenza su obiettivi che mirano alla formazione della persona e della comunità e di fare in modo che tutti si sentano corresponsabili della missione e dell'azione della comunità ecclesiale riguardo alla gioventù.
    Il criterio pastorale della progettazione (è più un criterio che una tecnica o metodologia!) viene assunto nella maggioranza delle chiese. Ha il suo correlativo nella creazione degli organismi diocesani e, in alcune parti, anche parrocchiali per l'animazione e il coordinamento della pastorale giovanile.
    Tali organismi hanno origini recenti, datano dagli ultimi anni e il loro operare è ancora incerto. Ma il loro diffondersi e progressivo affermarsi non conoscono sosta, sono ancora in atto, e fanno bene sperare.
    Dai progetti emergono alcune tendenze caratteristiche della pastorale giovanile odierna.
    È anzitutto una pastorale «missionaria». Il continente giovanile appare poco o niente evangelizzato. Anche dove la Chiesa è stabilita da secoli, convivono giovani cristiani con altri che hanno abbandonato ogni riferimento a motivi e pratiche religiose; stanno assieme giovani socializzati con altri devianti, emarginati, profughi ed emigranti. Tutto questo è campo della pastorale: non soltanto le istituzioni educative o religiose, ma il vasto «continente» giovanile verso cui bisogna indirizzarsi a volte con un'azione di ricupero, a volte con una provocazione, a volte con un invito al dialogo, con un primo annuncio, con la catechesi sistematica, con l'invito a un forte impegno umano e cristiano.
    La «missionarietà» spiega la «svolta» da un modello pastorale che si proponeva di educare ed evangelizzare specialmente e a volte esclusivamente attraverso le «istituzioni od opere», a un modello «comunicativo» che intende approfittare di tutti i canali e le forme di presenza attraverso cui veicolare messaggi, di tutte le «esperienze giovanili» che sprigionano desiderio di ricerca, e di tutti i luoghi dove i giovani esprimono la loro vita e il loro desiderio di rapporti e di senso.
    Proprio questa missionarietà postula la ricerca di molteplici approcci. La pastorale diviene allora una pastorale «di comunione», più preoccupata di includere che di escludere servizi o carismi, più tesa a unire e integrare che a separare e settorializzare. Viene superata la concezione limitata che restringeva la pastorale alla cura delle anime, al servizio religioso. In qualche parte infatti si è impiegato molto tempo per includere nella pastorale tutto il settore educativo, all'interno del quale venivano considerati «pastorali» soltanto gli interventi e i momenti esplicitamente religiosi. Ma ciò comporta, anche se non sempre in modo consapevole, una maniera di concepire il religioso come aggiunto all'umano, piuttosto che come la sua dimensione più profonda.
    Il Vaticano II, chiamato Concilio «pastorale» a causa della prospettiva con cui sviluppa tutta la riflessione, produce un cambiamento nella concezione stessa di pastorale. La presenta come l'azione multiforme della Chiesa guidata dai Pastori per suscitare la fede, formare la comunità cristiana e trasformare la storia con lo spirito del Vangelo. Piuttosto che un settore limitato di prestazioni religiose, la pastorale indica il criterio, l'orientamento, la finalizzazione che muove tutto l'operare della Chiesa tra gli uomini. Il campo della pastorale non è allora la Chiesa, ma il mondo; la sua preoccupazione non è la dimensione religiosa, ma tutto l'uomo; la sua finalità ultima non è inserire in una istituzione religiosa, ma salvare la persona.
    Tale considerazione porta a un'altra caratteristica della pastorale giovanile. È una pastorale «educativa», «situata», non generica. La Chiesa, concittadina dell'uomo, non soltanto prende in considerazione, ma addirittura condivide le situazioni felici o tragiche in cui questi costruisce la sua esistenza. Accoglie dunque tutto quanto il giovane affronta nella costruzione della sua identità, nella scoperta della vita e nella partecipazione alla storia.
    Il fondamentalismo religioso ritiene che il metodo pastorale adeguato consista nel mettere il giovane soltanto di fronte alla decisione di accettare o meno la fede formulata, di appartenere o meno alla comunità credente. Il buon Pastore segue altre strade: incontra la gente nei crocevia della vita che spesso hanno poco a che fare col religioso.
    La situazione giovanile è complessa. Il voler semplificarla per provocare un incontro immediato con la fede può ottenere dei risultati in alcuni casi, ma non risolve il problema dell'evangelizzazione del mondo giovanile. Soprattutto non riesce a fondere fede ed esperienza umana, e la prima rimane giustapposta alla vita.
    L'educazione, intesa come processo globale di crescita, è il luogo e il tema umano in cui l'annuncio di Cristo può risultare significativo per il giovane. Non ci si riferisce qui alla «scolarità» soltanto, ma a tutto quello che abilita la persona a emergere con la sua libertà dai condizionamenti che pretendono di dominarla e a sviluppare al massimo le sue potenzialità.
    Il carattere educativo della pastorale solleva molti interrogativi pratici e orienta verso determinate soluzioni. I percorsi di crescita umana contengono già presupposti per la fede? Bisogna intendere la catechesi principalmente come apprendimento dottrinale oppure come cammino personale di fede e di iniziazione alla vita della comunità cristiana? L'appartenenza alla Chiesa va intesa come regolarità nell'assistere ad atti religiosi o principalmente come serietà di ricerca e confronto, di coinvolgimento nella causa del Regno? I sacramenti sono adempimenti o energie per costruire la personalità secondo la misura dell'uomo Cristo?
    Non bisogna interpretare «l' educativo» come uno sconto concesso alla debolezza di alcuni, incapaci di assumere la fede di colpo o come una semplice facilitazione metodologica. Va respinta la concezione che l'educazione costituisce la metodologia della proposta di fede. L'incarnazione di Cristo ci dice che la vita dell'uomo è la carne attraverso la quale la Parola di Dio si fa vicina e comprensibile.
    Perciò alle precedenti bisogna aggiungere un'ultima e più importante caratteristica: è una pastorale «salvifica». Quello che costituisce la sua forza originale è la verità sull'uomo, su Dio, su Cristo. Essa la offre senza riduzionismi, sebbene progressivamente; senza accomodamenti, ma col linguaggio delle beatitudini. Fa una proposta alternativa che va oltre gli atteggiamenti e i beni più desiderati in questo mondo, e la fa come chi butta un seme, che porta in sé l'energia per la propria crescita; ma del quale in un primo momento si percepisce soltanto la morte mentre sí attende nella fede la sua germinazione nascosta. La proposta evangelica, per quanto paradossale, non viene sminuita; il giovane invece viene portato all'altezza della sua verità, delle sue gioie e delle sue esigenze.
    E tutto questo – missionarietà», «crescita completa», «salvezza» – si svolge in clima di libertà. La pastorale è dunque «dialogale». Accetta il valore e il limite delle istituzioni e afferma il carattere principale della persona. Ritiene marginali e da superare i processi di persuasione occulta, di socializzazione collettiva; inutili quelli di costrizione di qualunque tipo o di sottomissione in forza di prestigi intellettuali o morali. È convinta che il giovane deve liberare quanto va sorgendo dalla esperienza, mettendolo a confronto con la parola di Gesù, culmine della saggezza e della sapienza. Non è soltanto una pastorale di ascolto e di risposta, ma anche di annuncio e di proposta. Scommette su Cristo, sulla verità della sua parola, sull'energia della sua risurrezione.


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