Armido Rizzi, PAROLA DI DIO E VITA QUOTIDIANA, Elledici
Un'impressione superficiale identifica parola scritta e parola morta. Invece, scrivere non è congelare, bensì custodire e trasmettere. La bibbia è la conferma più grandiosa di questo fatto. Nessuna parola è stata, nel corso della storia umana, più viva di quella biblica; nessuna è stata più incessantemente e appassionatamente rivissuta e attualizzata.
Il fenomeno dell'attualizzazione non comincia con il concludersi della rivelazione biblica, non riguarda soltanto la sua ripresa dentro la successiva tradizione ecclesiale. Esso è già interno alla bibbia stessa, momento costitutivo della formazione del suo testo. Infatti i libri che compongono la bibbia, lungi dall'essere ogni volta frutto di un nuovo e inedito evento rivelativo, sono in buona parte riprese e ripensamenti degli eventi originari e degli scritti che li hanno fissati: sono «tradizioni» che si vengono formando lentamente, al punto che un grande esegeta ha potuto scrivere una teologia dell'Antico Testamento come storia delle sue tradizioni (e, per il Nuovo Testamento, ne abbiamo visto un esempio nella formazione dei vangeli). Ogni tradizione è rinnovata creazione, non stanca ripetizione di cose già sapute. A garantire questa novità, quest'originalità di attualizzazione, è la «situazione vitale» ogni volta diversa; lo stesso evento o testo, riletto in prospettiva e con preoccupazioni differenti, rivela aspetti prima ignorati, consegna una ricchezza di senso rimasta fino allora nascosta. Così, per prendere uno degli esempi più fecondi, l'esodo di Israele dall'Egitto viene visto da un profeta in esilio come la promessa del nuovo esodo da Babilonia a Gerusalemme; viene riletto da un altro profeta, dopo il ritorno e in vista della ricostruzione, come esodo esistenziale, continuo cammino di conversione del popolo; e ogni anno viene reso presente liturgicamente nella celebrazione pasquale.
Ma lo stesso Nuovo Testamento che cos'è se non un'attualizzazione integrale dell'Antico? In Gesù la comunità cristiana vede realizzate non solo le profezie messianiche ma l'intera economia di salvezza delineatasi in Israele; come dirà Agostino: «Nell'Antico Testamento è nascosto il Nuovo, nel Nuovo Testamento è svelato l'Antico». In altre parole: ciò che avviene in Gesù reinterpreta e mette pienamente in luce ciò che era avvenuto nella storia d'Israele. Certo, si tratta di una reinterpretazione tutta speciale, che produce un nuovo senso che supera e invera quello dei testi originari; si tratta di una nuova origine e di un nuovo fondamento: di quello che chiamiamo, appunto, il Nuovo Testamento. È attorno al Nuovo Testamento che nasce il nuovo popolo di Dio, la chiesa e sarà ormai al Nuovo Testamento che essa si rivolge per cercarne una continua attualizzazione.
È vero, l'attualizzazione cristiana non può superare e inverare il Nuovo Testamento come questo ha fatto con l'Antico, perché in esso è contenuta la rivelazione definitiva di Dio; ma può sempre farlo rivivere: far rivivere la parola di Dio per vivere di essa Punto di partenza sono, ancora e sempre, le esigenze vitali della comunità di fede; le quali mutano e si alternano, pur presentando alcuni tipi fondamentali e di più facile ricorrenza.
Nei primi secoli vediamo svilupparsi una lettura dottrinale della bibbia, sollecitata dalla necessità di far fronte alle insorgenti eresie. La formulazione dei grandi dogmi trinitario e cristologico è lontana, quanto a linguaggio, dal tenore delle confessioni bibliche di fede; ma l'esigenza a cui essi rispondono è la stessa: dare alla propria adesione a Cristo un'autocoscienza all'altezza degli interrogativi e delle difficoltà dell'epoca.
Accanto all'istanza dottrinale va facendosi strada, e diventa sempre più intensa, l'istanza direttamente spirituale: nutrirsi della parola di Dio per sviluppare la vita di fede. È su questa linea che si disegna una distinzione che avrà un'enorme fortuna: tra il senso letterale della bibbia e il suo senso spirituale; distinzione che, pur nella varietà delle sue applicazioni e dei suoi risultati, presenta una struttura unitaria di derivazione filosofica. L'uomo e il mondo sono realtà a due livelli: visibile e invisibile, contingente ed eterno, corpo e anima. Questa concezione antropologica e cosmologica diventa, attraverso un grande Padre greco come Origene, criterio dell'interpretazione biblica: bisogna andare oltre il significato letterale del testo, per attingere il suo senso spirituale; è questo senso che può nutrire l'anima e portarla alla perfezione cristiana. Infatti, i nemici di cui la bibbia parla a ogni pagina (nemici di Israele, dei giusti, di Gesù...) altro non sono che i peccati e i vizi, contro cui l'anima ingaggia il suo combattimento con l'arma della parola di Dio. E tutte le vicende di Dio con il popolo eletto non sono che immagini del rapporto tra Cristo e l'anima, del cammino che questa è chiamata a compiere dal peccato alla suprema unione di contemplazione e d'amore.
Attraverso S. Gregorio Magno, quest'interpretazione passa al monachesimo occidentale e diventa il lievito di tutta l'esegesi monastica medievale. Lettura liturgica della bibbia (opus Dei) e lettura personale nella cella (lectio divina) sono non solo i due tempi e luoghi dell'interpretazione biblica ma le due coordinate che ne determinano lo stile: il vero senso della bibbia è, in sintonia con la chiesa, il nutrimento del cuore, dell'affettività religiosa.
Con il sorgere della teologia scolastica ritorna l'interesse per una interpretazione di taglio più dottrinale; ma, a differenza dei primi secoli, comandata non tanto da una volontà di difesa contro le eresie quanto da un bisogno di penetrazione intellettuale («credo per capire»), mediato soprattutto dalle categorie della filosofia aristotelica. Contro questa contaminazione insorge Lutero, che propugna un ritorno alle categorie bibliche stesse, una «interpretazione della bibbia attraverso la bibbia».
Ma intanto l'irrompere dell'era moderna porta un'innovazione profonda nell'approccio alla bibbia. Per comprendere tale innovazione dobbiamo tenere presenti due tratti di fondo di quest'era: la nascita della coscienza critica nei confronti della tradizione e il cambiamento della visione del mondo naturale. Da un lato, dunque, la tradizione passa dall'essere criterio primo di verita ad essere sottoposta a un criterio superiore, la ragione; dall'altro, il mondo concepito come figura conclusa e familiare, dove ogni cosa ha il suo luogo e il suo ruolo dentro un ordine divinamente fondato, lascia il posto a un mondo aperto e ignoto, retto da leggi fisiche impersonali e autonome. Questo duplice fattore introduce nella relazione con la bibbia una serie di trasformazioni che operano in profondità.
A volo d'uccello: si inizia con la critica testuale, che ristabilisce il testo biblico originario (rispettivamente ebraico e greco) contro quel testo in traduzione latina (la Vulgata) che era diventato il punto di riferimento canonico per la vita di fede e per il lavoro teologico.
Dalla critica testuale alla critica storica: si scopre il carattere composito di libri fino allora attribuiti a un solo autore (Mosè, Davide, ecc.); quindi la loro non-contemporaneità con i fatti narrati e, di conseguenza, la scarsa loro credibilita storiografica, che, soprattutto nell'Ottocento, arriva a compromettere la storicita anche dei racconti evangelici.
Ma ancora: prospettive religiose, scientifiche ed etico-politiche che vanno imponendosi condizionano l'interpretazione del testo biblico; si pensi al conflitto tra dottrina biblica della creazione e dottrina scientifica dell'evoluzione, o tra il racconto biblico di Adamo ed Eva progenitori di tutti gli uomini e la teoria del poligenismo; si pensi al contrasto tra la dottrina biblica, e poi più spiccatamente cristiana, del peccato originale e della redenzione e l'ottimismo illuminista che punta tutto sulla bontà della natura umana come capacità di perfetta autorealizzaaione dell'uomo.
Tutto cio non vuol dire che lo spirito moderno sia sempre e pregiudizialmente ostile alla bibbia; l'atteggiamento piu consistente non è quello della rimozione ma quello della reinterpretazione secondo canoni che vengono imposti alla bibbia da fuori, e che sono appunto i valori dominanti della modernità. A loro volta, però, questi valori vengono condizionati dalla sensibilità etica e religiosa presente nella bibbia: questa alimenta segretamente la cultura moderna anche quando viene rifiutata come testo rivelato: si pensi a motivi come l'idea della storia in cammino verso la perfezione, o i diritti dell'uomo come fine in sé, o l'utopia di un'umanita fraterna. Si è potuto scrivere che la bibbia è il "grande codice" dell'Occidente.
Bisogna aggiungere che questo enorme movimento anche di osmosi tra bibbia e modernità riguarda quasi esclusivamente le chiese protestanti. Invece nella chiesa cattolica, con il Concilio di Trento e la riforma che esso promuove, prevale un interesse pastorale: la bibbia diventa maestra di buona condotta, strumento per guidare il popolo cristiano nella pratica dei comandamenti di Dio. Più avanti, con un atteggiamento di severa chiusura verso lo spirito del tempo e di militante difesa della verità confessionale, nella teologia cattolica si impone l'interesse apologetico: la bibbia diventa, insieme con la tradizione ecclesiastica e con la ragione, un serbatoio di argomenti in favore della dottrina cattolica.
È soltanto dopo la seconda guerra mondiale che questo quadro angusto e depauperato di uso della parola di Dio esplode, con il «ritorno alle fonti»: insieme con la liturgia e la patristica, la bibbia torna a essere accostata per se stessa, valorizzata e utilizzata secondo quella ricchezza di senso che essa contiene e vuole donare. Tre sono le caratteristiche che questo risveglio va progressivamente assumendo: la saldatura tra senso letterale e senso spirituale, resa possibile dall'affinarsi degli strumenti di analisi; lo spirito critico, con cui si scevera nel testo biblico il suo messaggio autentico dalle formulazioni - ineliminabili ma sempre imperfette - che esso si è dato; lo slargamento del contesto vitale: non è più soltanto la «vita spirituale» che viene alimentata dalla lettura della bibbia; è ogni situazione umana a venirle accostata: soprattutto, quelle situazioni di oppressione, di sofferenza, di ingiustizia, su cui il testo biblico può gettare una luce di speranza e di mutamento. Ma qui siamo ormai all'oggi; e subito ad esso ci volgiamo.
La rapidissima retrospettiva sulla storia dell'interpretazione biblica voleva soltanto confermare il rapporto tra parola di Dio e vita anche in questo secondo momento: oltre che nel suo farsi come complesso di scritti - la bibbia - anche nel suo essere custodita e operante come complesso di interpretazioni - la tradizione.