IL FILO DI ARIANNA DELLA POLITICA /3
Raffaele Mantegazza
(NPG 2022-07-68)
Come parlare
Cum-flangere significa sbattere due pietre l’una contro l’altra; provocare un rumore, ma anche un ritmo, un po’ come il ritmo della vita: sistole-diastole, inspirazione-espirazione. Gli esperti di lingua ci dicono che all'origine della parola “conflitto” c'è questa espressione, il che è estremamente interessante perché dimostra come il conflitto sia qualcosa di totalmente differente dalla guerra.
Nella guerra una pietra vuole sgretolare l'altra, nel conflitto vogliono mantenersi entrambe integre, magari un po’ scheggiate, perché altrimenti il ritmo della vita scomparirebbe sostituito solo dal silenzio. La sovrapposizione semantica e anche filosofica tra guerra e conflitto è stata deleteria nell'educazione dei ragazzi e dei bambini. E come se si dicesse che non esiste altro modo di risolvere il conflitto che la guerra, il che è falso in un duplice senso: anzitutto perché ci sono molti altri modi di affrontare i conflitti, e soprattutto perché la guerra non risolve proprio nulla, ma annienta una delle parti in causa, o almeno sceglie farlo, il che è vero soprattutto nelle nuove guerre, dal XX secolo in poi. Il pensiero nonviolento ha insistito per anni sull'importanza del riconoscimento e della gestione del conflitto, sia a livello individuale che a livello politico e internazionale.
Rimanere nel conflitto significa riconoscere le ragioni delle parti in causa, ma anche i torti di ciascuno; non vuol dire banalmente incontrarsi a metà strada, ma costruire insieme la soluzione per rendere creativo il conflitto. L’esempio dell'Assemblea Costituente è fin troppo noto: differenti mondi ideologici e diversi universi di pensiero che avevano combattuto contro il fascismo si sono ritrovati non a tentare di distruggersi a vicenda. ma a lavorare quotidianamente per fare dei conflitti, a volte culturalmente e filosoficamente irriducibili, il motore e il cuore della nuova identità della democrazia italiana.
Spesso quando due bambini entrano in conflitto per un oggetto si cerca di risolvere la situazione raddoppiando l’oggetto stesso: se entrambi vogliono giocare con l’orsacchiotto, si cerca un altro orsacchiotto… uno per uno! Il problema è che le risorse non sono infinite, sia a livello micro che a livello macro, e che questo modo di intervenire inibisce la fertilità del conflitto, spegnendolo e depotenziandolo. Semmai occorrerebbe chiedersi e chiedere ai bambini come possiamo fare a giocare insieme (o anche separatamente) con quell’unico giocattolo?
Il senso del limite delle risorse dovrebbe costituire la cornice dei conflitti; e per questo motivo la guerra, soprattutto nell’era atomica (nella quale ci siamo dimenticati di vivere finché una guerra non ce l’ha brutalmente ricordato) è un vero tabù perché spazza via, con tutto il pianeta, la condizione necessaria per ogni conflitto, come se un giocatore di scacchi incendiasse la scacchiera nell’illusione di poter vincere in questo modo folle.
Dunque il conflitto è un elemento per ora costitutivo dell’avventura umana sulla Terra: diciamo “per ora”, perché sarebbe molto interessante aprire un dibattito sulla possibilità di una convivenza del tutto pacificata, perché forse il conflitto è solo una delle modalità storiche di rapporto tra esseri umani, ed è legato a una società intrinsecamente conflittuale che forse è a sua volta superabile. Forse allora anche il conflitto non è un destino ma una scelta, e come tute le scelte è reversibile.
Come pensare
Opera analizzata: “L’uomo che andava d’accordo con tutti” di Stefano Benni https://vimeo.com/146546831
Ci viene detto fin da piccoli che dobbiamo cercare di andare d’accordo con tutti. Ma il protagonista di questa storia non se la passa proprio bene cercando di mettere in atto questo consiglio:
- Dove sbaglia secondo noi il protagonista?
- O sono gli altri a sbagliare nei suoi confronti?
- Quando è giusto dire le proprie idee e quanto invece trattenersi?
- Se non siamo d’accordo con un coetaneo come possiamo fare a farglielo capire?
- E se si tratta di un genitore?
- O di un insegnante?
- O di un politico?
- In quale momento della storia il protagonista avrebbe potuto finalmente dire quello che pensava?
Film “Strane storie. Racconti di fine secolo” di Sandro Baldoni, terzo episodio
Nel film assistiamo a quella che tecnicamente si chiama escalation, ovvero la trasformazione di un conflitto in una specie di tentativo di annientamento reciproco.
- Quando secondo noi il conflitto diventa patologico, quando cioè ci si mette in un tunnel senza via d’uscita?
- Quando era ancora possibile evitare l’atteggiamento distruttivo?
- Chi avrebbe potuto intervenire per evitare la tragedia?
- Il film è ovviamente un paradosso, ma quali situazioni concrete simili a questa possiamo scoprire nella quotidianità? E come possiamo intervenire dall’esterno per aiutare a non far svicolare il conflitto verso la violenza?
- Quali sono secondo noi le radici profonde dei conflitti quotidiani, tra vicini, amici, famigliari?
Cosa fare
Prendiamo in prestito dall’amico Daniele Novara una esercitazione che serve anche per presentare alcune dinamiche del conflitto tra paesi del cosiddetto Primo Mondo e paesi del cosiddetto Terzo Mondo (che incredibilmente viene ancora denominato così anche se il Secondo Mondo non esiste più da anni!) per il controllo delle materie prime.
I partecipanti vengono divisi in due gruppi e a ciascun gruppo viene fornito il materiale che viene presentato nelle istruzioni qui sotto.
Gioco delle matite senza punta
Istruzioni per il gruppo 1
Siete in possesso di una cassettina chiusa a chiave e di alcuni fogli bianchi; la cassettina contiene delle matite spuntate; l’altro gruppo possiede la chiave della cassettina e due temperamatite. Vincerà il gioco il gruppo che per primo presenterà al conduttore un foglio con le firme dei componenti del gruppo effettuate con le matite contenute nella cassettina. Le comunicazioni tra i due gruppi avvengono tramite la mediazione del conduttore.
Gioco delle matite senza punta
Istruzioni per il gruppo 2
Siete in possesso della chiave di una cassettina, di due temperamatite e di alcuni fogli bianchi; la cassettina è in possesso dell’altro gruppo, e contiene delle matite spuntate. Vincerà il gioco il gruppo che per primo presenterà al conduttore un foglio con le firme dei componenti del gruppo effettuate con le matite contenute nella cassettina. Le comunicazioni tra i due gruppi avvengono tramite la mediazione del conduttore.
Come provare
Ci sono conflitti a scuola che rischiano tutti i giorni di trasformarsi in scontri oppure (il che è forse anche peggio) di passare inosservati. Quando un conflitto viene esso a tacere e viene ignorato acquisisce una forza sotterranea che rischia di renderlo ancora più forte e distruttivo.
Possiamo allora provare a realizzare una mappa dei conflitti nella nostra scuola, mappando cioè le situazioni di conflitto tra ragazzi e adulti, tra adulti, tra ragazzi, tra maschi e femmine, tra insegnanti e genitori, magari usando colori diversi (il verde per i conflitti risolti, il giallo per quelli ancora in atto, il rosso per quelli che si sono trasformati in azioni più o meno violente).
Possiamo poi capire quale potrebbe essere il ruolo di tutti gli attori della scena scolastica (ragazzi, insegnanti, dirigenti, personale di segreteria, personale ausiliario) per entrare in questi conflitti, restare al loro interno e cercare di risolverli.
Cosa domandarsi
Cresciamo anche attraverso i conflitti, almeno in questa società. Quali sono i conflitti che ci hanno fatto crescere, e quali invece quelli che ci hanno solamente feriti, o attraverso i quali abbiamo ferito altre persone? Possiamo scrivere una nostra autobiografia conflittuale per capire come i conflitti che abbiamo attraversato (e dei quali siamo rimasti prigionieri) da bambini o da ragazzi hanno determinato la nostra identità adulta e tornano ad emergere quando affrontiamo un conflitto attuale?
Freud ha dimostrato la presenza attuale e attiva nella coscienza dell’adulto delle ferite dell’infanzia e dell’adolescenza; possiamo pensare la stessa cosa a proposito del conflitto, ma anche in senso positivo, perché i conflitti che abbiamo risolto da ragazzi, magari con l’aiuto degli adulti, possono fornirci la strada per affrontare la situazione attuale.