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    19. LA PROGRAMMAZIONE

    EDUCATIVA

    Mario Comoglio

    INDICE

    1. COSA SI INTENDE PER PROGRAMMAZIONE EDUCATIVA

    1.1. Le radici della programmazione educativa

    1.1.1. L'influenza delle tecnologie educative
    1.1.2. L'influenza della teoria dei sistemi

    1.2. Che cosa vuol dire programmare

    1.3. Programmare educativamente

    2. PRIMO MOMENTO: IL PROGETTO

    2.1. Punti di riferimento per un progetto

    2.1.1. Quale uomo?
    2.1.2. Opzioni fondamentali
    2.1.3. Finalità e obiettivi generali
    2.1.4. Gli atteggiamenti

    2.2. Le fasi verso gli obiettivi operazionalizzati

    2.2.1. Prima fase: la selezione degli obiettivi
    2.2.2. Seconda fase: determinazione degli obiettivi specifici
    2.2.3. Terza fase: l'organizzazione degli obiettivi
    2.2.4. Quarta fase: gli obiettivi operazionalizzati

    3. SECONDO MOMENTO: ANALISI DELLA SITUAZIONE

    4. TERZO MOMENTO: IL METODO

    4.1. PRINCIPI DI METODO

    4.1.1. Primo principio
    4.1.2. Secondo principio
    4.1.3. Terzo principio

    4.2. L'itinerario

    4.2.1. La sequenzialità
    4.2.2. Le unità di percorso un itinerario

    5. QUARTO MOMENTO: LA VALUTAZIONE

    5.1. CHE COSA E QUANDO VALUTARE

    5.2.1 Prima fase: decidere che cosa valutare
    5.2.2. Seconda fase. Decidere quando e come raccogliere le informazioni
    5.2.3 Terza fase: interpretazione
    5.2.4. Quarta fase: la valutazione come feed-back sulla programmazione educativa

    5.3 Conclusione

    Sgombriamo subito il campo da due possibili pregiudizi di fronte ad un quaderno dedicato alla programmazione educativa.
    Il primo è quello di chi trova scontato parlare di programmazione educativa e pastorale.
    In effetti se ne parla da molti anni. In numerose comunità esiste un progetto educativo. Altre lo stanno faticosamente elaborando. Ora, secondo alcuni, la «moda H della programmazione educativa -sarebbe ormai tramontata. Apparterrebbe al passato pedagogico e pastorale. In fondo se ne parla con una certa stanchezza. Come mai? Come per altre intuizioni e strumenti di lavoro educativo si è caduti nel messianismo tecnologico, quasi che la sola programmazione fosse capace di innescare un processo di cambio delle istituzioni, dello stile degli animatori... Di qui una caduta di attenzione alla programmazione e la fine nei cassetti e negli armadi di tanti progetti educativi.
    Il secondo pregiudizio è quello di chi guarda con diffidenza alla programmazione proprio perché sa di tecnologia educativa che tradisce l'educazione come arte, creatività, fantasia. Alcuni poi vedono nella programmazione una intrusione pericolosa nel campo della educazione alla fede, dove non conterebbero le leggi delle scienze umane.
    Per superare i due pregiudizi occorre ripartire dal compito specifico della programmazione in campo educativo e pastorale.
    Al di là dei risultati concreti che si possono ottenere dalla stesura di un progetto per una scuola o un centro giovanile, la programmazione ha una sua importanza per il ruolo che viene 'ad avere nell'azione educativa. Educare non è solo arte, né solo attività, né sola teoria, né sola intuizione. Tra la teoria dell'educazione e l'azione educativa immediata è necessaria una mediazione: la programmazione.
    La programmazione è lo strumento metodologico per eccellenza in quanto aiuta a selezionare le risorse educative disponibili in una data situazione e le organizza scientificamente in un modello di relazione educativa e comunicativa, in una strategia fatta di tempi, di luoghi, di agenti, di processi, di strumentazione (cf «il credo dell'animatore», Q1).
    La programmazione è, in altre parole, lo strumento che permette di organizzarsi in vista dell'azione alla luce delle scienze dell'educazione come teoria.
    Nel nostro progetto di animazione culturale essa ha un ruolo decisivo. Non è possibile fare animazione se non si padroneggia con competenza questo strumento, utilizzandolo dentro il circolo «prassi - riflessione sulla prassi - in vista di una nuova prassi».
    Qualche parola soltanto sull'uso pastorale della programmazione. Anche qui, sgombrato il campo dai facili entusiasmi, ma anche dalla diffidenza di chi «rifiuta ogni possibilità di poter intervenire educativamente nell'ambito della educazione e celebrazione della fede» (Q6, pag. 10), occorre ritrovare la funzione della riflessione sulla azione pastorale, della valutazione del cammino percorso, del confronto serrato tra le forze pastorali e tra gli animatori dei gruppi non solo sulla organizzazione delle attività, ma anche e soprattutto sui finì e sul progetto di insieme a cui si intende lavorare.
    Una parola va anche spesa sul «soggetto» che deve elaborare il progetto educativo e pastorale. Non è il singolo e - neppure un piccolo gruppo di esperti, ma la comunità in generale e quella educativa in particolare. Un progetto elaborato dal singolo può essere chiaro e preciso, ma non serve. È la comunità che deve fare programmazione educativa, almeno nel, sue grandi fasi. Forse l'aspetto più educativo della programmazione consiste proprio nel «processo» che viene a coinvolgere le forze della comunità.

    1. COSA SI INTENDE PER PROGRAMMAZIONE EDUCATIVA

    Problema

    Chi avrà letto il titolo di questo quaderno si sarà fermato un istante a pensare e si sarà posto alcune domande. Che cosa vuol dire programmare? Che cosa si intende per programmazione educativa? È probabile che a qualcuno sia sorto anche qualche dubbio o perplessità e che abbia pensato: È mai possibile 'programmare' ciò che è condizionato da una variabile 'non-programmabile' come la libertà? È mai possibile programmare l'educazione di un gruppo di persone che hanno la caratteristica fondamentale di essere diversissime tra di loro, per possibilità, sviluppo, per ambiente di provenienza, per le interazioni che possono avere? Come è possibile 'programmare' ciò che deriva da un dato insondabile come il mistero che è ogni persona e il futuro altrettanto inconoscibile che sta davanti ad essa?
    È mai possibile programmare degli obiettivi educativi che hanno una lunga scadenza, quando l'azione educativa è spesse volte sporadica, occasionale e si compie in un tempo di rapidi cambiamenti?

    1.1. Le radici della programmazione educativa

    Prima di rispondere a tutte queste domande e di valutare il peso che ciascuna di esse può avere è opportuno che ci si intenda su che cosa intendo per “programmare” educativamente.
    A qualcuno questo argomento può sembrare una novità o una nuova z ,moda. In verità si parla di programmazione in campo educativo da almeno settant'anni.
    Gli inizi risalgono ai primi anni del 1910 e maggiori approfondimenti si ebbero verso la fine del 1930, mentre per quanto riguarda la diffusione delle idee, ci si può riferire 1949 con la pubblicazione di uno studio di R. W. Tyler, Basic Princiof Curriculum and Instruction, che in USA ha avuto ben 30 edizioni. Più del valore del contenuto, quest'opera ha il merito di aver individuato le grandi domande a cui deve rispondere chiunque vuole pensare ad una programmazione educativa:
    1. Quali sono le finalità che orienta l'azione educativa?
    2. Quali esperienze educative sono adatte e disponibili al raggiungimento delle finalità che un educatore si propone?
    3. Come possono essere in concreto organizzate queste esperienze?
    4. Come poter verificare se gli obiettivi che ci si è proposti sono stati raggiunti?
    Sulla strada aperta da Tyler si misero molti ricercatori e sorsero molte proposte di modelli. Ciò che maggiormente influenzò la programmazione educativa furono soprattutto due ambiti di ricerca: le tecnologie educative e la teoria dell'organizzazione, che è una applicazione particolare di un campo più ampio di studi riguardante la teoria generale dei sistemi.

    1.1.1. L'influenza delle tecnologie educative

    Con la denominazione di tecnologie educative, spesse volte si intendono gli aspetti esteriori dell'attività educativa come l'uso di sussidi hardware del tipo audiovisivi, macchine per insegnare, calcolatori, prove oggettive, filmini, etc. Ma più precisamente ci si dovrebbe riferire ad un modo di concepire l'insegnamento, l'apprendimento o l'educazione eseguito in un modo razionale. Anche se esistono molti modelli di tecnologia educativa tutti sono abbastanza concordi nell'affermare una distinzione tra contenuti e modi di apprendimento, nel manifestare una fiducia che tutti possono apprendere qualcosa o un comportamento se questo avviene in modo adeguato attraverso un processo a questo finalizzato, stimolando l'operatività del soggetto interessato all'apprendimento, facendo ricorso a mezzi didattici, usando strategie individualizzate, rispettando un ritmo personale di apprendimento, etc.
    Grande ìnflusso su questo settore e campo di ricerca ebbe una conferenza tenuta all'Università di Pitts burg dello psicologo americano B.F. Skinner nel 1954.
    In questa conferenza, Skinner, partendo dai suoi presupposti comportamentistici, affermava che è possibile far apprendere un comportamento complesso se, dopo averlo frazionato nei comportamenti elemetnari, si provoca un apprendimento graduale di essi.
    Si devono presentare le varie unità in successione logica, in brevi unità di senso compiuto, relativamente autosufficienti, e per ogni unità si devono offrire tutti gli elementi necessari per il raggiungimento dell'obiettivo. L naturale che le difficoltà devono essere accuratamente graduate e si devono evitare le possibilità di errore (principio dei piccoli passi).
    Dal momento che l'acquisizione del comportamento è migliore se si suscita la partecipazione dell'interessato, si deve promuovere l'attività di colui che apprende, in modo che la progressiva acquisizione e raggiungimento di obiettivi programmati sia anche un rinforzo gratificante e l'interessato sia motivato a continuare (principio della partecipazione attiva).
    Ogni programma di questo tipo deve anche prevedere che non si proceda se non verificando ad ogni istante il risultato previsto. Ogni passo successivo deve essere fatto con la sicurezza che la tappa precedente è stata raggiunta (principio del controllo immediato).
    Dal momento infine che nessuna persona è uguale all'altra, ognuno ha le sue difficoltà da superare e le sue possibilità di apprendimento; un buon apprendimento è possibile solo se si rispettano i ritmi di ciascuno (principio dell'adattamento).
    Schematicamente così potremmo rappresentare il modello di tecnologia educativa di Skinner (cf fig 1).

    q19 5a
    Il modello di Skinner era chiaramente un modello derivato dal sua impostazione psicologica,, tutttavia è un esempio concreto e plastico di una concezione educativa, che nel suo esplicarsi non è intuitiva o casuale quanto invece orientata ad uno scopo predeterminato e ben preciso. Dopo Skinner si possono con molti altri modelli come quello di N. Crowder che rispetto alla linearità rigidamente sequenziale Skinner ammette e sfrutta positivamente la possibilità di errore per raggiungere l'obiettivo.

    Ma il modello che ha avuto più largo successo e che in Italia è stato più conosciuto e dibattuto è quello che va sotto il nome di mastery learning o di learning for mastery (cioè apprendimento per la padronanza di una competenza).
    Il processo di apprendimento di una competenza secondo B.S.Bloom, il principale sostenitore di questa tecnologia educativa, contempla due diverse fasi. In un primo momento si esplicitano gli obiettivi, lo standard delle performance terminali che si vogliono ottenere, si costruiscono le prove di verifica, sull'obiettivo che si vuole raggiungere, si stabiliscono ampie unità d’insegnamento apprendimento e delle sottounità più parziali e più ristrette, si individuano e si decidono le operazioni intellettuali che si richiedono, se ne specificano i contenuti, si elabora un piano operativo per ciascuna unità minima e le prove di verifica di ciascuno di questi sotto-obiettivi intermedi. Solo dopo aver compiuto tutte queste singole operazioni si può passare al secondo momento e cioè alla fase esecutiva. Prima però di iniziare il piano è necessario fare un esame preliminare sul punto di partenza, comunicare gli obiettivi che si vogliono raggiungere, spiegare il piano globale, il genere dell'attività che saranno previste, gli strumenti che si useranno, etc.; solo dopo questa fase preoperatoria si darà seguito al piano così come lo si era predisposto nel primo momento. Se volessimo anche qui esprimere graficamente le operazioni di pianificazione, si potrebbe rappresentarle come nelle figure 2 e 3.

    q19 5b

    q19 6


    Anche in questo caso come per lo schema di Skinner, se si escludono i dettagli, globalmente appare chiaro che l'azione educativa viene intesa non come un'azione che è lasciata all'improvvisazione o alla casualità del momento ma come una azione che non diversamente dalle altre azioni umane deve essere intenzionale, finalizzata, coerente con un obiettivo che si vuole raggiungere. Libri che possono essere letti con interesse e utilità su questo argomento sono: G. Taylor (a cura di), Tecnologia dell'educazione, Lisciani Giunti, Teramo, 1983; J.H. Block, Mastery Learning. Procedimenti di educazione individualizzata, Loescher, Torino, 1972.

    1.1.2. L'influenza della teoria dei sistemi

    Contemporaneamente alla tecnologia dell'educazione, la pedagogia, e più specificatamente la didattica, è stata notevolmente influenzata da un'altra corrente e sviluppo di idee: la teoria generale dei sistemi e dell'organizzazione. L'apporto originale di questi studi e riflessioni sta nella prospettiva nuova che essi propongono secondo la quale deve essere vista e analizzata la realtà.
    Dal punto di vista della teoria dei sistemi la realtà non è comprensibile se si continua ad esaminarla isolando gli elementi di cui è composta o se si continua a considerarla come effetto di una monocausa. È necessario invece sempre assumerla come 'totalità' di concause. Non è solamente necessario, afferma L. von Bertalanffy, studiare le parti e i processi in stato di isolamento, ma anche risolvere i problemi decisivi che si trovano nell'organizzazione e nell'ordine che unificano quelle parti, e che rendono il comportamento delle parti ben diverso, quando è studiato entro il complesso da quanto è studiato in stato di isolamento. Si veda - L. Von Bertalanffy, Teoria generale dei sistemi, Mondadori, Milano, 1983 e J.A. Seiler, Analisi dei sistemi e comportamento organizzativo, Etas, Milano, 1976.
    Contrari a questo modo di vedere le cose in campo pedagogico sono tutti quei modi di analizzare e di tentare di risolvere i problemi educativi mediante la modifica di una delle variabili che concorre a determinare la situazione educativa. In particolare si crede di migliorare la situazione scolastica migliorando o cambiando i programmi scolastici; oppure si spera di determinare un migliore apprendimento risolvendo le difficoltà della interazione insegnante-allievo; oppure si pensa di avere migliori risultati educativi se si è aderenti o si sa rispondere ai bisogni e alle domande dell'educando; oppure ancora si crede che, se si usassero strumenti più moderni e adeguati (audiovisivi, televisione, lavagne luminose, etc.), i ragazzi meglio risponderebbero all'azione educativa dell'educatore. Ciascuna di queste proposte di soluzione educativa, al di là della loro intrinseca validità, hanno a monte un modello concettuale di vedere la realtà educativa come dipendente solo dai contenuti o solo dall'interazione educatore-educando, solo dal bisogno-risposta, o solo dagli strumenti educativi.
    La teoria generale dei sistemi mette invece in luce una prospettiva secondo la quale la situazione pedagogica non è analizzabile e risolvibile se si continua ad esaminarla isolando e privilegiando una _= variabile rispetto alle altre. , In altre parole, la teoria generale dei sistemi e dell'organizzazione invita la pedagogia a considerare se stessa come il risultato della interazione di molti elementi e di molte variabili e ad avanzare miglioramenti di se stessa solo dalla considerazione della globalità del suo strutturarsi.
    Non mancano anche qui esempi e modelli di considerare in modo nuovo i problemi pedagogici.
    Su questa linea I.K.Davies, dopo aver affermato che l'insegnamento dipende da quattro funzioni interrelate, asserisce che queste possono anche ben definire la competenza di un insegnante e di un processo educativo. Un educatore e insegnante è colui che sa ben combinare e guidare una pianificazione, una organizzazione e una verifica della propria attività educativa:

    Sempre da un punto di vista del processo educativo come sistema, P.H. Coombs dice che il sistema educativo, in analogia con altre imprese produttive, ha un insieme di inputs in entrata che, a seguito di un processo, danno un altro insieme di outputs in uscita. Un processo educativo risulta schematicamente definito come nella figura 4.

    q19 7a
    Anche in questo caso come per le tecnologie educative si potrebbero portare altre esemplificazioni di modelli che analizzano il fatto educativo come sistema.
    A noi basta qui aver dato un esempio delle diverse prospettive e di come due correnti di studi e di ricerca hanno determinato un nuovo modo di considerare i problemi educativi.
    Da tutto ciò ne risulta che la 'programmazione educativa' più che una nuova pedagogia o una nuova moda o un settore della ricerca educativa è un punto di vista nuovo da cui considerare il complesso dei processi educativi, una prospettiva nuova che si è arricchita in questi ultimi decenni di apporti teorici e di molteplici interventi operativi e che coinvolge tutti i problemi cruciali dell'educazione (finalità, obiettivi, sviluppo cognitivo e socioemotivo, gli atteggiamenti e i comportamenti degli educatori, i metodi, l'organizzazione dell'istituzione educativa e scolastica, i rapporti di autorità, scuola e società, etc.)

    1.2. Che cosa vuol dire programmare

    Nonostante, abbia detto, che da qualche decennio si parla di programmazione, si può ritenere che tale parola abbia avuto un uso frequente soprattutto in questi ultimi tempi. Anche se la parola 'programmazione' e 'programmare' si può reperire in enciclopedie e vocabolari che precedono la scoperta del calcolatore, si può dire che il suo senso specifico deriva da questo e ad esso se ne deve attribuire il successo.
    In questo campo (quello informatico) programmare non ha immediatamente il significato di 'produrre', di 'fare'. quanto quello di riuscire a predisporre e a prevedere tutte le operazioni che un'intelligenza artificiale deve compiere per produrre un risultato.
    Dal momento che non si può programmare su un 'nulla', per programmare si esige che si abbiano chiari dei dati da cui si parte (inputs) e dei dati che si vogliano ottenere (outputs). Tra questi due estremi, un programmatore cerca di tracciare una serie di passaggi logici che costituiscono un ponte che unisce i due estremi: inputs e outputs.

    q19 7b
    Da questa semplice descrizione dell'attività programmativa, programmare significa innanzitutto: prevedere, finalizzare, razionalizzare.
    ^ Prevedere: quando si fa un programma per un calcolatore, non si procede facendo immediatamente partire il calcolatore. II programmatore si fornisce innanzitutto di carta e penna e comincia a 'simulare' i percorsi logici che il calcolatore dovrà con molta probabilità compiere per ottenere i risultati che si vogliono. In altre parole, egli cercherà di 'prevedere' come opererà la macchina quando le si chiederà di fornire determinate informazioni o prestazioni come risultato.
    ^ Finalizzare: per prevedere che cosa si deve fare, è necessario avere uno scopo da raggiungere. Quest'operazione definisce, in campo educativo, il suo carattere intenzionale.
    Se dobbiamo andare a trovare un amico che abita in una certa via, prima di uscire di casa noi possiamo prevedere il percorso che faremo e, se non lo conosciamo, possiamo anticiparlo scorrendo le indicazioni di una carta topografica. In tutti e due i casi il percorso che possiamo 'prevedere' non è un girovagare a caso. Se è vero che molti possono essere i percorsi che possiamo scegliere, è anche vero che se vogliamo davvero andare a trovare il nostro amico tutte le strade che possiamo scegliere devono terminare alla via e alla casa in cui abita il nostro amico.
    Ciò che possiamo vedere in questa semplice azione come 'andare a trovare un amico', possiamo rilevarlo in qualsiasi azione che noi vogliamo realizzare. Ogni scopo che vogliamo raggiungere è costituito da una sequenza di azioni tra loro coordinate e gerarchizzate poste per realizzare il fine che ci si prefigge.
    Ciò significa che 'programmare educativamente' non è qualcosa di contrastante con il nostro agire ordinario, ma un'esigenza imposta all'azione educativa proprio perché essa sia pienamente umana.
    ^ Razionalizzare: alcune volte questo verbo, può voler dire 'risparmiare', ma questo non è il significato primo che esso può esprimere in riferimento alla programmazione. II risparmio è piuttosto un effetto che non una componente del suo significato. Per 'razionalizzazione' nella programmazione ci si riferisce a quell'attenzione costante che si deve avere nella predisposizione delle attività e degli obiettivi che permettono il raggiungimento degli scopi. In questo senso programmare educativamente significa tenere sempre presente, in tutto ciò che si fa, gli obiettivi educativi che si vogliono perseguire e se, in qualche momento, può essere necessario compiere qualche deviazione di percorso, queste non sono che eccezioni che dovranno essere chiuse per ritornare sulla strada che si stava percorrendo.
    Razionalità non significa soltanto non perdere di vista gli obiettivi o scegliere le cose opportune per conseguirli, ma anche capacità di saper'seriare' gli obiettivi in ultimi e intermedi, saper distribuire in modo progressivo e adatto contenuti e interventi, saper organizzare le diverse fasi di una programmazione in modo da costituire un tutto coordinato e coerente. Significa in altre parole, riuscire a indirizzare l'operare di ogni giorno verso le grandi finalità dell'educazione nelle quali l'educatore/animatore si compromette.

    1.3. Programmare educativamente

    Prima di dire che cosa significa o quali operazioni si devono compiere per fare una programmazione educativa, può essere utile, per chiarire meglio il punto di vista da cui ci mettiamo, esplicitare alcune presupposizioni che sono connesse a questo discorso.
    Chi si mette a formulare un progetto educativo o una programmazione educativa, prima di proporsi un qualsiasi risultato manifesta alcune certezze o assunzioni che è importante sottolineare.
    ^ Innanzitutto chi intende programmare una attività educativa esplicitamente o implicitamente afferma che 'educare' non è solo un 'assistere' alla crescita dei ragazzi o dei giovani. Al contrario egli ritiene di avere la possibilità e il dovere di intervenire 'positivamente' nella loro crescita e che -senza il suo intervento i giovani o i ragazzi diventerebbero diversi da quello che lui desidererebbe.
    ^ Programmando un intervento educativo, in secondo luogo, un educatore-animatore dimostra anche un'altra presupposizione: Egli crede che i condizionamenti ereditari, socio-ambientali, socio-culturali, o psicologici non sono determinanti sulla persona al punto da non lasciargli spazi una sua realizzazione responsabile. Egli è convinto cioè che persona, nonostante certi condizionamenti, non è sottomessa essi in modo deterministico in misura tale da essergli impossibile essere diversa da quello che i condizionamenti esterni o interni la vorrebbero. Per questa fiducia e sicurezza un educatore-animatore ritiene che vi sia anche uno spazio per lui. Egli si rifiuta di pensare che il contesto sociale, e come cultura, e come struttura istituzionalizzata sia il vero e unico educatore e l'ultima parola come se 'educazione' fosse sinonimo di 'inculturazione',
    ^ Una terza presupposizione la si può trovare in quella psicologia o pedagogia che ritiene che un certo comportamento (assunto nel senso più vasto del termine) può essere condizionato da uno 'stimolo'. Questo non significa assimilare l'intervento dell'educatore-animatore ai condizionamenti esterni o interni a cui si accennava prima, quanto invece attribuire all'educatore-animatore la responsabilità che il giovane cresca o maturi in conformità ad un progetto dell'animatore che lo responsabilizza e lo rende cosciente della sua realtà liberandolo dalla sottomissione a quei condizionamenti che lo fanno crescere, ma in modo irresponsabile.
    È questa responsabilità che orienta l'educatore-animatore a cercare di adeguare (= programmare) il proprio intervento affinché ciò che egli fa non sia lasciato al caso e accada che, forse senza accorgersene, proprio per noncuranza, ancora una volta lasci all'ambiente e ai condizionamenti interni il compito di realizzare quell'uomo che serve meglio ai loro scopi, manipolando opportunamente la sua coscienza.
    Sono queste tesi di fondo (in realtà per un vero educatore queste presupposizìoni non sono o non devono essere solo degli 'a priori' senza fondamento, ma anche convinzioni con una buona plausíbilità) che richiedono e spingono un educatore a esplicitare quanto egli vuole realizzare, in altre parole a programmare la sua azione educatìva.
    Da questo punto di vista 'programmare' non vuol dire andare secondo una moda pedagogica, ma migliorare la propria competenza educativa, verificarsi continuamente su degli obiettivi scelti, rendere intenzionale e quindi responsabile la propria attività, confrontarsi continuamente con la situazione senza cullarsi in una tradizione che ha sempre fatto così.
    D'altra parte programmare educativamente richiede educatori che non siano solo dei volenterosi, degli 'sgobboni', delle persone desiderose di fare del bene, ma pensare che, oltre alla buona volontà, dispongono di una chiarezza e capacità previsionale degli scopi che vogliono raggiungere, una capacità dì analizzare e valutare la situazione di partenza, una capacità di saper opportunamente raccordare partenza ed arrivo con comportamenti e iniziative adatte a modificare la realtà sugli obiettivi che si vogliono raggiungere. Affermato questo in generale, cerchiamo ora di essere più precisi sulle diverse fasi di una programmazione educativa.


    2. PRIMO MOMENTO: IL PROGETTO

    Come abbiamo precedentemente affermato, nessuna azione umana sembra essere senza uno scopo. Così non sì dà azione educativa che non sia ríferibile in un quadro di obiettivi di riferimento che costituiscono globalmente gli scopi che un educatore/animatore vuole raggiungere e realizzare.
    Molto spesso questo quadro scopistico dì riferimento non è un educatore a formularlo, nè è chiamato Mura determinarlo. In genere tutto questo gli è offerto dall'istituzione (associazione, scuola, parrocchia,...) cui l'educatore-animatore presta la sua opera. In questo caso egli non deve far altro che conoscerlo e assumerlo coscientemente e saperlo comprendere.
    In altri casi ciò deve essere fatto dall'animatore o da un gruppo di animatori i quali non hanno ancora una 'carta' di obiettivi di ríferimento e sono costretti, per una esigenza di coordinazione, cooperazione verso gli stessi finì o nei confronti degli stessi educandi, ad assumere criteri e orientamenti comuni.
    Si pensi a cosa succede quando uno stesso ragazzo si trova a dover operare con due educatori che perseguono uno, l'obiettivo di educare alla collaborazione con gli altri nel perseguimento di certi scopi e l'altro l'obiettivo di valutare le proprie capacità e competenze nel raggiungimento degli stessi scopi senza la collaborazione di altri.

    2.1. Punti di riferimento per un progetto

    Per questo ci fermiamo un momento a dare alcune indicazioni sia per saper valutare un progetto che un educatore può trovare già codificato, sia per individuare quali riferimenti si devono avere quando ci si mette ad elaborarne uno.

    2.1.1. Quale uomo?

    Globalmente si può dire che un programma educativo risponde ultimamente alla domanda: quale tipo di uomo si vuole raggiungere con quest'azione educativa? Generalmente (in ambito soprattuto cattolico) si risponde a questa interrogativo con un riferimento di tipo filosofico-antropologico, tuttavia una risposta adeguata deve essere trovata in una sintesi tra diverse aree o prospettive.
    Innanzitutto, certo, la domanda richiama un ambito filosofico-antropologico e di filosofia dell'educazione. Non c'è azione pedagogica che ultimamente non sia riferibile ad un orizzonte di valori, di significati che la giustificano o la motivano. Dal punto di vista della programmazione educativa tali orientamenti ultimi costituiscono come un 'credo' per l'animatore-educatore. Non è che l'azione educativa derivi o sia dedotta immediatamente da questa, tuttavia essa fornisce un quadro ideale e sistematico di valori, di valutazioni ultime dell'uomo, della sua realizzazione, della sua natura più profonda, della sua maturità, di quello che è chiamato a divenire, delle dimensioni del suo essere, etc.
    Tutto ciò fornisce un quadro di obiettivi, ma non si deve pensare che una programmazione di obiettivi educativi debba essere derivata solo da una concezione ideale e filosofica sull'uomo, come indicheremo subito.
    Un'altra area da cui si derivano finalità educative è anche il sistema economico-sociale-storicoculturale nel quale l'educatore-animatore vive o in cui si presuppone che il giovane-ragazzo dovrà vivere.
    Proprio in base a queste determinazioni noi possiamo costatare ad esempio che le finalità a cui educava la scuola primaria degli anni '20 sono diversi da quelli degli anni '80. Così si può dire che diverse sono le competenze a cui si devono educare i giovani oggi rispetto a quelle del sec. XVII. Oppure ancora diversi saranno gli obiettivi a cui si tenderà in Italia rispetto a quelli del Senegal.
    In ciascun ambiente si potranno elaborare diverse programmazioni educative proprio perché diverso è il sistema sociale, economico e culturale. Delle differenze di educazione programmata, anche se non così marcate come per l'esempio precedente, si potranno avere a seconda che tale programmazione sia elaborata in una grande città o in un piccolo paese agricolo, nel centro della città rispetto ad una periferia.
    Ulteriori determinazioni di programmazione potranno anche aversi a seconda dell'ambito istituzionale in cui ci si colloca.
    Una programmazione educativa parrocchiale non sarà identica a quella scolastica, quella di una associazione sportiva rispetto a quella scoutistica o caritativa, quella che ha a riferimento a un fondatore ispiratore vissuto secoli passati rispetto a quella che non ha questi riferimenti, etc.
    In sintesi si può dire che una prima elaborazione di obiettivi educativi «progettuali» sarà derivata da diverse esigenze o da diverse analisi. Nella elaborazione finale diverso peso potranno avere esigenze indicate o da una antropologia o dal sistema sociale o dai riferimenti ad una tradizione storica.
    Possiamo così rappresentare un progetto educativo: nella figura 5.

    2.1.2. Opzioni fondamentali

    Tutte queste aree influenzano la determinazione di obiettivi progettuali, ma non sono le uniche. Vi sono altre determinazioni o precisazioni che derivano da altri; riferimenti che si possono definire come opzioni fondamentali; Queste possono riguardare una particolare scuola pedagogica (es.. Makarenko, Dewev, Montessori. etc.), oppure un orientamento verso il futuro rispetto a quello verso un passato o presente o viceversa, oppure una prospettiva orientata al cambio sociale o alla sua conversione (es.: rivoluzionario, apolitico, etc.), la scelta dei soggetti a cui è indirizzata l'attività' educativa (es.: sesso, età, classe sociale, etc.), il modello a cui globalmente ci si rifà pensando al rapporto tra educatore-animatore e giovani-ragazzi, oppure ancora a quale equilibrio viene scelto tra aspetti cognitivi affettivi psicomotori (es.: si pensi al diverso equilibrio che si può avere di queste tre variabili a scuola, in una associazione sportiva, nella catechesi o nella attività teatrale, etc.).

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    Un'altra variabile che può aver un notevole peso nella determinazione di una programmazione educativa è il riferimento ai valori, alla descrizione che di essi si dà, alla gerarchia con cui vengono collocati, al grado di sviluppo che viene richiesto e a quale fra tutti viene privilegiato.
    Si pensi, ad esempio, come dive può essere una programmazione educativa dove viene privilegiata come valore vertice la professionalità in una certa attività, oppure la fede, o il conseguimento di risultati sportivi, etc., oppure un'altra, dove prima fra tutte viene posta scelta religiosa e successivamente quella educativa, poi quella scolastica, poi quella sportiva o un dove tutto quest'ordine è capovolto.
    C'è infine un altro ambito che entrare in modo determinante nella redazione di un progetto educativo: i bisogni o le domande in educazione.
    I bisogni o domande in educazione sono tutti quegli obiettivi che o i giovani e ragazzi richiedono che siano raggiunti, o gli educatori, da una valutazione della situazione, ritengono importanti da essere acquisiti. Essi possono essere espliciti se proposti direttamente dai giovani, o impliciti se, non percepiti da parte dei giovani, sono però rilevati dagli educatori. Si pensi ad esempio, alla richiesta dell'obiettivo di 'aprirsi ad un dialogo tra gruppi di diversa cultura' da parte dei giovani senza sentire l'esigenza di possedere la lingua delle persone con cui si vuole entrare in dialogo o mancando della conoscenza riflessa del proprio patrimonio culturale.
    Tuttavia non si deve pensare che tutte le domande dei giovani siano sempre domande educative così come sono espresse. Certe domande educative possono identificarsi semplicemente con bisogni sociali (ad es.: domanda di una attività sportiva, o la domanda di danza aerobica). Tali domande potrebbero essere dovute solo alla mancanza di strutture sociali e la domanda non essere 'educativa', ma solo una domanda suppletiva; si dovrebbe invece pensare ad una domanda educativa qualora, attraverso una attività sportiva, si richiedesse lo sviluppo della dimensione corporea, una attività di collaborazione e di sviluppo armonioso del corpo.

    2.1.3. Finalità e obiettivi generali

    La confluenza e la sintesi di tutti questi elementi entrano nel determinare un progetto educativo molto astratto e molto generico. Come tale non è immediatamente operativo, né indica che cosa si debba fare per realizzare un'azione educativa concreta. Il suo vantaggio è quello di costruire un quadro di riferimento entro cui collocare, interpretare e unificare tanti piccoli interventi educativi, ma all'interno di tali indicazioni si possono alle volte inserire azioni che da un gruppo di educatori non sarebbero accettabili allo stesso modo come adempienti le mete che ci si prefiggono nel progetto educativo.
    Per questo motivo in una programmazione educativa è necessario, pur tenendo presente il progetto, generale, saper formulare un 'progetto più concreto' con determinazione di obiettivi più circoscritti.
    Per distinguere i diversi livelli a cui si può formulare un progetto educativo si usa anche una terminologia diversa. Si parla di finalità (inglese: aims): sono le mete e i traguardi a cui si tende ultimamente. Si riferiscono a queste quelle a cui abbiamo accennato nel discorso qui fatto. È una finalità ad esempio: `la formazione di un cittadino onesto e religioso', o 1a formazione di un giovane impegnato!
    Si parla di obiettivi generali (inglese: goals) circa gli obiettivi che non si possono raggiungere in un tempo breve, ma che costituiscono mete direzionali e unificanti al di sopra di diversi settori di intervento educativo, vale a dire con diversa possibilità di transfert. Sono quelle indicazioni che danno l'unità a diversi interventi educativi sulla stessa persona. Si pensi, ad esempio, ad un ragazzo preadolescente che in un ambiente pastorale parrocchiale frequenta l'associazione scout, quella catechistica, poi quella scolastica, e quella familiare. Egli per un motivo o per un altro passerà da un animatore ad un altro e per qualche occasione o per qualche altro ne frequenterà altri ancora. È evidente che nei settori specifici si compieranno azioni a secondo delle finalità proprie dell'associazione o dell'occasione. tuttavia si può pensare che tutto ciò che in ciascun ambiente si può fare possa e debba essere unificato dal raggiungimento degli stessi obiettivi generali: assunzione di responsabilità, di partecipazione attiva al compito da eseguire, l'agire con costanza e impegno tino al conseguimento di uno scopo, etc. Questi obiettivi che unificano diverse attività specifiche sono detti appunto obiettivi generali o pedagogici.
    Tali obiettivi sono caratterizzati dal fatto che sono espressi come atteggiamenti, cioè come una disposizione interiore che influenza le scelte e le azioni che una persona può compiere nei riguardi di persone, oggetti o avvenimenti.

    2.1.4. Gli atteggiamenti

    Molte indagini in questi ultimi anni si sono rivolte alla ricerca di una definizione più precisa di che cosa costituisca un atteggiamento. Anche se spesso lo si descrive come un comportamento o azione non si può dire che questo sia un modo esatto di definirlo. Un atteggiamento non descrive una particolare azione, quanto una certa qual categoria di azioni più o meno probabile. Per questo motivo un atteggiamento è stato descritto come 'una tendenza a rispondere a determinare situazioni o come prontezza (readness) ad affrontare qualche situazione che richiede una certa qual risposta.
    Più specificatamente per R. Gagnè un atteggiamento è 'uno stato di prontezza mentale-neurale organizzatosi attraverso l'esperienza. Esso si esprime esercitando una influenza direttiva o dinamica sulla risposta di una persona verso tutti gli oggetti e le situazioni con cui esso è relazionato'. (R.M. Gagnè, The conditions of learning, New York, Winston, 1977, pp. 231-233).
    Ulteriori ricerche sugli atteggiamenti hanno portato ad individuare come costituenti di un atteggiamento tre aspetti, indicati come: componente cognitiva, componente affettiva, componente psicomotoria.
    L'aspetto cognitivo dell'atteggiamento è rappresentato dal ciò che si sa o si conosce di una cosa, di un avvenimento o di una persona. Ad esempio, trovandosi in presenza di un pallone, io 'so' che serve a giocare, trovandomi in presenza di un prete, io 'so' che è un elemento della gerarchia ecclesiale, o 'so' che è colui che presiede la comunità di fede, etc.
    L'aspetto emotivo è quel senso di attrazione, di repulsione, di attenzione, che, quanto so di una persona, di una cosa o di un avvenimento, suscita in me. Ad esempio, la presenza di un pallone può suscitare in me, sapendo che serve per divertirsi, un desiderio di giocare, oppure un senso di indifferenza. La stessa cosa, si può dire, per quel che riguarda l'esempio precedente (presenza di un sacerdote), posso provare simpatia o repulsione a seconda di ciò che io 'so' che egli rappresenta.
    La componente psicomotoria si riferisce propriamente al comportamento che uno ha in riferimento a ciò che di una cosa o persona si 'sa' e alla emozione che per essa si prova. Così, sempre secondo, quanto si diceva prima, di fronte pallone la componente psicomotoria relativa al sapere che sere per divertirsi e all'attrazione che, esso esercita nei miei confronti, il dare un calcio, od organizzare, una partita, o giocare con esso. Lo stesso per ciò che 'so' e per l'emozione che provo di fronte ad, sacerdote attuerò un'azione psicomotoria di freddezza, di disinteresse, di stima etc.

    2.2. Le fasi verso gli obiettivi operazionalizzati

    2.2.1. Prima fase: la selezione degli obiettivi

    Gli obiettivi che si possono derivare dalle finalità del progetto (aims) e dagli obiettivi generali derivati dalle finalità (goals) sono in genere molteplici e spesso troppo numerosi. Da qui la necessità di operare su di essi una costrizione, ovvero una riduzione. Per questo motivo l'educatorelanimatore si pane delle domande come: quali tra tutti questi obiettivi devo privilegiare? In base a quali criteri scelgo questo oppure quello? Su quali devo concentrare la mia attenzione educativa?
    L. D'Hainaut in: Des fins aux objectifs de l'éducation (Bruxelles 1477) ha cercato di elencare tutti i possibili criteri e motivi che si possono avere nel rispondere a questi interrogativi. Egli li indica in cinque grandi categorie.
    1. Un obiettivo può essere preferito ad un altro a un motivo del suo ambito.
    Un obiettivo come l'atteggiamento creativo e l'ottenimento di un atteggiamento di fiducia verso la vita e gli altri, può essere scelto a motivo del fatto che per le sue possibilità di applicazione, esso percorre trasversalmente diversi campi educativi ed esperienziali come l'associazione, la famiglia, la scuola, la parrocchia, ...mentre l'atteggiamento dì solidarietà verso i propri compagni di squadra può essere più limitato nella sua possibilità di trasferta ad altri settori.
    2. Un altro criterio può essere la durata. Ad esempio si può preferire l'obiettivo che il ragazzo mantenga un atteggiamento positivo verso l'educatore o l'associazione, invece di quello di una capacità ad affrontare il sacrificio, perché il primo è ritenuto una condizione essenziale per il proseguimento di una attività educativa. Non che si rinunci al secondo obiettivo, ma questo per un certo tempo può essere anche sospeso, perché esso potrà essere conseguito successivamente solo rimanendo presente il primo.
    3. L'accessibilità di un obiettivo. Non sempre un atteggiamento si può raggiungere direttamente. Spesso ad esso si arriva attraverso la convergenza di tanti atteggiamenti coordinati e quindi in un tempo anche molto lungo. Si pensi, ad esempio, a cosa può significare l'atteggiamento comunicativo. Si richiede una capacità di formulare con parole appropriate le informazioni e le emozioni che si hanno, la capacità di scegliere il momento opportuno per esprimersi, di sapere adeguare ciò che si comunica alla persona che deve ascoltare, si deve aver acquisito una certa interiorità per poter comunicare cose personali, etc. L'accessibilità dell'obiettivo finale è condizionata dal raggiungimento di queste fasi intermedie. Non solo: l'educatore, nella sua programmazione dell'obiettivo, proprio per la sua complessità, prima di sceglierlo deve saper valutare se le sue possibilità di interazione gli danno la possibilità di raggiungerlo. Se, ad esempio, prevede di poter avere con il giovane un incontro ogni due mesi può tranquillamente affermare che certi obiettivi gli sono pressoché inaccessibili.
    L'accessibilità può anche riguardare le possibilità personali e il gruppo. Un gruppo di ragazzi di una periferia, abbandonati dalla famiglia, con una scolarità molto bassa, senza strutture sociali di alcun genere, etc., evidentemente non possono avere l'accessibilità educativa a certi obiettivi che invece possono essere accessibili a chi questi limiti non ha.
    C'è un'accessibiltà che riguarda anche le possibilità di `risorse materiali e finanziarie'. Tutto ciò può sembrare di una ovvietà lapalissiana, tuttavia l'esperienza spesso dimostra che a questi aspetti non si dà molta importanza. Invece è fondamentale esaminare quali condizioni materiali richiedono certi obiettivi per essere raggiunti. Ad esempio. Un atteggiamento, assunto come obiettivo educativo, volto alla riflessione o all'ascolto della Parola di Dio, o alla preghiera, sembra essere in generale incompatibile con un ambiente molto disturbato con un continuo via vai di gente. Così non si può fare una riunione di preghiera in qualsiasi stanza, etc.. Con questo non si vuole dire che le condizioni materiali facciano raggiungere di per sé l'obiettivo, come alle volte si rinfaccia a qualche educatore che richiede un minimo di spazi vitali per il raggiungimento di obiettivi educativi, ma semplicemente affermare che senza le condizioni materiali adatte, il perseguimento dello scopo spesso diventa assai difficile.
    4. Un quarto criterio dì selezione, afferma ancora d'Hainaut, può riguardare il valore che viene dato ad un obiettivo.
    Per valore non si intende il suo riferimento a valori (antropologici o filosofici che siano), quanto invece il suo rapporto di subordinazione o di sovraordinazione rispetto ad altri obiettivi. Ad esempio, si può ritenere che un atteggiamento di riflessione o di ricerca siano possibili solo se si raggiunge un atteggiamento di sensibilità aì problemi o se si vive con risonanza interiore ed emotiva una contraddizione personale o sociale. Così si può ragionevolmente prevedere che un atteggiamento di preghiera sia condizionato ad un atteggiamento di fede, o che il piacere che si può provare dalla lettura di un romanzo, richieda come condizione previa il saper leggere. È evidente allora che il raggiungimento di un obiettivo possa far emergere l'importanza primaria di altri obiettivi secondari e il loro valore rispetto agli altri.
    5. L'ultimo criterio elencato da D'Hainaut circa gli obiettivi è la considerazione della loro ripercussione affettiva.
    Per ripercussione affettiva si in tende la valutazione della risonanza emotiva che un certo obiettivo può avere sui giovani e i ragazzi.
    In una programmazione educativa un animatore deve saper valutare anche questi aspetti degli obiettivi che intende scegliere. Certi obiettivi possono stimolare immediatamente una attenzione o una partecipazione dei giovani, altri molto di meno. In certi casi l'ottenimento di un atteggiamento sensibile verso i problemi del terzo mondo potrà trovare i giovani più disponibili che non quello verso i problemi ecologici o viceversa. Altri saranno più attenti ad obiettivi sportivi che a quelli culturali. A seconda dei casi l'educatore potrà scegliere l'uno o l'altro valutando l'obiettivo anche per il grado di risposta che potrà avere dai giovani.

    2.2.2. Seconda fase: determinazione degli obiettivi specifici

    Dagli obiettivi finali, si passa figli obiettivi generali o pedagogici; su questi si opera una selezione. In questa fase non si devono dimenticare gli obiettivi specifici. Essi guardano gli obiettivi in un ceri ambito più ristretto di specializzazione di intervento educativo, Questo livello di determinazìone1 facile da precisare solo che no pensiamo alla scuola. Gli obietti, che cerca di promuovere l'insegnamento dell'italiano o della matematica si può dire che siano specifici alla materia di insegnamento. Tuttavia si possono ritrovare obiettivi comuni sia all'italiano alla matematica come a tutte altre materie di insegnamento un certo ciclo didattico, per esempio quello della scuota secondaria.
    Ciò può essere evidente anche per un centro giovanile o per una parrocchia. Il gruppo teatrale ha degli obiettivi specifici che non sono quelli scoutistici o quelli della catechesi o del gruppo giovanile, etc. Gli obiettivi di ciascun gruppo caratterizzano e motivano la partecipazione associativa.
    Questo è positivo perché garantisce un pluralismo di partecipazione e di possibilità di vita associativa. Tuttavia è importante sottolineare che gli obiettivi specifici non devono diventare. né sono. un progetto educativo o un progetto di obiettivi venerali.
    Questo deve essere unico e valido per tutti i gruppi e sarà raggiunto in modo specifico da ciascun gruppo.
    Gli obiettivi specifici sono dunque più ristretti e devono, in una comunità educante, rimanere subordinati agli obiettivi generali e alle finalità. La subordinazione e differenziazione degli obiettivi specifici, devono trovare 'unità' nel progetto generale ed essere condivisi da tutti i gruppi associativi.

    2.2.3. Terza fase: l'organizzazione degli obiettivi

    Da molti ricercatori in campo pedagogico, ma soprattutto di metodologia scolastica, si è fatto un tentativo di organizzare i diversi obiettivi che si possono formulare, secondo dei criteri.
    II primo che si pose questo problema fu B.S.Bloom a seguito di un incontro informale avuto ad una `convention' dell'American Psychological Association. In questo incontro tra vari psicologi si sentì la necessità di trovare un quadro di riferimento teoretico per valutare le 'prestazioni' degli allievi agli esami e quindi se essi avevano o meno raggiunto gli obiettivi educativi che gli insegnanti si erano prefissi.
    Attraverso diversi incontri e con fronti fu scelto il criterio che organizzò gli obiettivi secondo le operazioni che essi sembravano richiedere; operazioni che intuitivamente si potevano collocare su una linea da semplici a sempre più complesse.
    Dopo Bloom sorsero e furono proposte diverse altre organizzazioni di obiettivi pedagogici oltre che del campo cognitivo anche dell'ambito emotivo-affettivo e di quello psicomotoria.
    Nei riquadri vi proponiamo la lettura della tassonomia di Blootn per la dimensione cognitiva (cf pp. 14-15), quella di De Landsheere per quella affettiva (Cf p. 16) e quella di Dave per la psico-motoria (cf p. 17).

    2.2.4. Quarta fase: gli obiettivi operazionalizzati

    La necessità di essere sempre pi precisi e non equivoci nell'inter. vento educativo che coinvolge diverse persone impegnate alla realizzazione di un progetto educativo, ha spinto i pedagogisti dell'orientamento 'programmatico' a passare dal livello degli obiettivi astratti e generali ad una descrizione più 'concreta', meno ambigua. Tale tentativo è stato chiamato 'operazionalizzazione degli obiettivi'.
    Ciò è stato fatto seguendo due possibili strade: descrivere obiettivo attraverso le capacità deve saper dimostrare un certo ragazzo o giovane (vale a dire competenza che deve avere (inglese- competence), oppure delineare il comportamento che de saper eseguire (inglese: performance).
    Cerchiamo di capire meglio cosa intenda per competenza e comportamento.
    Partiamo da un esempio: supponiamo di dover giudicare se Antonio ha una capacità comunicativa (competente). Un giorno incontriamo Antonio che sta conversando con Andrea. Dal dialogo che i due intrattengono noi ci accorgiamo che Antonio si esprime con parole appropriate, proposizioni precise in cui è facile inferiore il messaggio che egli vuole trasmettere. D'altro canto Andrea per il modo con cui Antonio interviene e si esprime, gli lascia spazio per intervenire, per il modo con cui dimostra di ascoltare e apprezzare quanto egli dice, etc., trova piacevole intrattenersi con Antonio. Si passa da un argomento all'altro con facilità e in tutti Antonio dimostra profondità e acutezza. Da tutto ciò ci è facile pensare che, con molta probabilità, Antonio abbia una capacità (= competenza) comunicativa. In altre parole, noi gli attribuiamo una disponibilità che gli riconosciamo in modo stabile e di cui Antonio è in grado di servirsi in tante circostanze simili e diverse da quella avuta con Andrea. Dall'esempio possiamo inoltre rilevare che la competenza non è un atteggiamento che possiamo immediatamente costatare, quanto invece qualcosa che intuiamo essere presente in Antonio a motivo di attività specifiche e puntuali che egli ha saputo mettere in esecuzione (= performance). Tutte queste attività concrete che rivelano una competenza sono chiamate comportamento nel senso di = performance. La possibilità di definire un atteggiamento attraverso il suo modo di manifestarsi e di concretizzarsi è molto importante perché dà la possibilità agli educatori di uscire fuori dal generico e dall'astratto, di indirizzare verso qualcosa di molto specifico la propria attività educativa e di poter aprire un confronto su ciò che essi effettivamente intendano con certe parole ed obiettivi. Possiamo allora definire la competenza come un'abilità e capacità che ha una certa stabilità e una grande possibilità di tranfert in tante altre situazioni. La competenza è la capacità che una persona ha di poter fare qualcosa, anche se non sempre in concreto la esercita.
    La descrizione di un obiettivo pedagogico in termini di competenza dà la possibilità di definire un atteggiamento che è difficile concretizzare in termini comportamentali tuttavia lascia aperta la possibilità di interpretazioni non univoche, ambigue e indefinite.
    Per comportamento (nel senso di performance) si intenderà la descrizione di un obiettivo in modo determinato, concreto e circoscritto visto nella concreta applicazione e attuazione della competenza. Ciò può essere in una programmazione educativa assai difficile da trovare, tuttavia libera da incertezze sulle attese circa le capacità che un certo ragazzo o giovane dovrà saper dimostrare.
    Così operazionalizzare un obiettivo significa trasporre un concetto di atteggiamento astratto o generico sul piano della sua manifestazione, del suo concreto esplicarsi o della sua diretta applicazione.
    R. Manager ha fornito cinque criteri utili al compimento di questa operazione di concretizzazione di un obiettivo atteggiamentale. Si tratta di determinare:
    1. Chi produrrà il comportamento desiderato.
    2. Quale comportamento osservabile dimostrerà che I'obiettivo è stato raggiunto.
    3. Quale sarà il prodotto di questo comportamento (prestazione).
    4. In quali condizioni (materiali e psicologiche) il comportamento dovrà aver luogo.
    5. Quali criteri (qualitativi e quantitativi) sono indicati per determinare se il prodotto è soddisfacente. (R. Mager, L'analisi degli obiettivi, Teramo, Giunti-Lisciani, 1983-5)
    Mentre per gli obiettivi generali 'ìn genere' sì usa la forma: `la capacità di...', per determinare le operazioni si usa la forma verbale attiva. Così invece di dire 'educare alla capacità critica si dirà ' valuta con riferimento a criteri linguistici il seguente brano di letteratura; oppure, invece dì dire 'educare alla capacità di invocazione' sì dirà; `rivolge a Dio in una situazione problematica la sua domanda di senso trovando in Lui una risposta alla sua richiesta', etc. Anche qui a titolo di documentazione riportiamo delle proposte esemplicatrici con cui le tassonomie di Bloom e di De Landsheere sono state tradotte in termini operativi. Di esse la lettura va fatta soprattutto a riguardo dei verbi usati per operazionalizzare gli obiettivi generali indicati nella prima colonna.

    TASSONOMIA DI BLOOM PER LA DIMENSIONE COGNITIVA DEGLI OBIETTIVI EDUCATIVI

    La conoscenza

    1.00. Acquisizione delle conoscenze. La conoscenza com'è definita qui, presuppone la capacità di richiamare alla memoria dei fatti particolari e generali, dei metodi e dei processi, oppure un modello, una struttura, un ordine. Per quanto riguarda la misura delle conoscenze, il comportamento di richiamare alla memoria non esige altro che di rievocare il materiale immagazzinato nella memoria.
    1.10. Conoscenza dei dati particolari.
    1.11. Conoscenza della terminologia. Esempio: conoscere il significato di una serie di sinonimi.
    1.12. Conoscenza dei fatti particolari. Conoscenza di date, avvenimenti, persone, luoghi ecc,
    1.20. Conoscenza dei mezzi che permettono l'utilizzazione dei dati particolari.
    1.21. Conoscenza delle convenzioni. In ogni campo sono stati adottati gli usi, il linguaggio, le forme e i metodi che meglio rispondono alle esigenze comuni e/o convengono di più ai fenomeni studiati. Queste forme o convenzioni si fondano per lo più su basi arbitrarie fortuite o sull'autorità degli esperti, ma facilitano le comunicazioni e assicurano un minimo di coerenza.
    1.22. Conoscenza delle tendenze e delle sequenze. Conoscenza dell'evoluzione dei fenomeni che si svolgono nel tempo.
    1.23. Conoscenza delle classificazioni.
    1.24. Conoscenza dei criteri. Conoscenza dei criteri secondo i quali vengono giudicati o verificati i fatti, i principi, le opinioni, come pure il comportamento.
    1.25. Conoscenza dei metodi,
    1.30. Conoscenza delle rappresentazioni astratte.
    1.31. Conoscenza dei principi e delle leggi.
    1.32. Conoscenza delle teorie.

    Le abilità e capacità intellettuali

    Gli obiettivi presi in considerazione in questo paragrafo mettono l'accento sui processi mentali della preparazione e della riorganizzazione del materiale per ottenere un risultato particolare.
    2.00. Comprensione. Si tratta del livello più elementare del capire. Questo modo di capire o apprensione intellettuale permette all'alunno di conoscere quel che viene comunicato senza stabilire necessariamente un rapporto fra questo materiale e un altro, oppure coglierne tutto il significato.
    2.10. Trasposizione. Esempi: abilità nel rendere, in linguaggio corrente, delle espressioni stilistiche: metafore, simboli, ironia o iperbole; capacità di trasformare del materiale matematico verbale in enunciati simbolici e viceversa.
    2.20. Interpretazione. Spiegazione o riassunto di una comunicazione. Mentre la trasposizione equivale a rendere obiettivamente il senso letterale di una comunicazione, l'interpretazione equivale a presentare il materiale, sia in una disposizione o in un ordine differenti, sia da un nuovo punto di vista.
    2.30. Estrapolazione. Estensione delle correnti e delle tendenze al di là dei dati presentati, allo scopo di determinare la portata, le conseguenze, i corollari, gli influssi ecc., che corrispondono alle condizioni descritte nella comunicazione originale.
    3.00. Applicazione. Utilizzazione delle rappresentazioni astratte in casi particolari e concreti. Queste rappresentazioni possono prendere la forma sia di idee generali, di regole di procedimento o di metodi largamente diffusi, sia di principi, di idee, di teorie che si devono riconoscere e applicare. Esempio: Abilità nel prevedere l'effetto probabile della modificiazione di un fattore in uno stato di equilibrio biologico.
    4.00. Analisi. Separazione degli elementi o parti costitutive di una comunicazione in modo da rendere chiara la gerarchia relativa delle idee e/o i rapporti fra le idee espresse.
    4.10. Ricerca degli elementi. Esempio: abilità nel distinguere i fatti dalle ipotesi.
    4.20. Ricerca delle relazioni.
    4.30. Ricerca dei principi d'organizzazione.
    5.00. Sintesi.
    La riunione di elementi e di parti allo scopo di formare un tutto. Questa operazione consiste nel disporre e combinare i frammenti, parti, elementi ecc. in modo da formare un piano o una struttura che prima non si distingueva chiaramente.
    5.10. Produzione di un'opera personale. Esempio: facilità nel raccontare un'esperienza personale in maniera interessante.
    5.20. Elaborazione di un piano d'azione. Esempio: abilità nel proporre dei metodi di verifica di ipotesi.
    5.30. Derivazione da un insieme di relazioni astratte.. Esempio: capacità di fare delle scoperte e delle generalizzazioni matematiche.
    6.00. Valutazione. Formulazione di giudizi sul valore del materiale e dei metodi utilizzati per uno scopo preciso. Giudizi qualitativi o quantitativi che stabiliscono fino a che punto il materiale e i metodi corrispondono ai criteri. Uso di una norma di apprezzamento. I criteri possono essere o proposti all'alunno o stabiliti da lui.
    6.10. Criteri interni. Valutazione dell'esattezza di una comunicazione sulla base di elementi come il rigore, la coerenza e altri criteri interni. Esempio: capacità di scoprire i sofismi nelle discussioni.
    6.20. Criteri esterni. Valutazione del materiale sulla base di criteri dati o di cui ci si ricorda. Esempio: capacità di confrontare un'opera con altre opere di cui sia noto il valore.

    (B. S. Bloom, Tassonomia degli obiettivi educativi, Giunti-Lisciani, Teramo, 1983)

    TASSONOMIA DI KRATHWOOL-DE LANDSHEERE PER LA DIMENSIONE AFFETTIVA DEGLI OBIETTIVI EDUCATIVI

    I. L'individuo risponde a uno stimolo esterno

    1. È semplicemente ricettivo. È una specie di stato affettivo amorfo in cui il soggetto percepisce ciò che è bello, ciò che è brutto, i diversi sentimenti, senza reagire - un po' come uno specchio che non riflette l'immagine.
    Questo comportamento è difficile da distinguere dalla semplice cognizione, che precede la facoltà di conservare nella memoria. Si osserva soltanto un certo risveglio dell'attenzione.
    Esempio: ascolta la musica, ascolta parlare gli altri.
    2. Riceve e reagisce. L'individuo reagisce apertamente, sia con l'obbedienza, sia manifestando piacere, con la parola, con il gesto e con l'atteggiamento. A questo stadio non si osserva ancora un rifiuto esplicito, che indicherebbe una scelta deliberata. Per il professore di letteratura, è il momento in cui gli alunni non hanno ancora il gusto abbastanza formato per poter fare una scelta personale, in cui la loro sensibilità non è ancora abbastanza raffinata perché siano in grado di fare da soli delle scoperte, ma in cui, messi in presenza di opere di valore, incominciano a sentirne la grandezza.
    3. Riceve e reagisce accettando o rifiutando. Ora l'individuo sa quel che vuole, o quel che gli piace, a condizione di essere messo in presenza delle persone o delle cose; s'impegna.

    II. L'individuo prende l'iniziativa

    4. Cerca spontaneamente di capire, di giudicare, di farsi delle idee personali. L'individuo prova dell'interesse, della curiosità, e quindi si istruisce senza bisogno di essere stimolato; ha sufficiente sensibilità per poter prendere una iniziativa sentimentale, o anche, ha scoperto sufficientemente il significato dei valori, per scegliersi una filosofia o una religione.

    5. Agisce secondo le proprie opzioni. È lo stadio psicologicamente adulto, come l'ha definito P. Osterrieth.
    Per esempio, l'individuo vive in funzione delle proprie opzioni morali, sentimentali, estetiche, ma è capace anche di cambiare il suo comportamento alla luce di prove, di argomenti convincenti. Quest'ultima tappa dell'ascesa affettiva corrisponde alla valutazione nel campo cognitivo.

    (V. De Landsheere - G. De Landsheere, Definire gli obiettivi dell'educazione, Firenze, La Nuova Italia, 1979).

    LA TASSONOMIA DI DAVE PER LA DIMENSIONE PSICOMOTORIA DEGLI OBIETTIVI EDUCATIVI

    II principio che regge la gerarchia proposta da Dave è il grado di coordinazione. L'azione educativa dovrebbe condurre ad una cordinazione sempre più fine e più sicura, non soltanto tra i movimenti considerati in se stessi, ma anche tra l'attività psichica e l'attività motoria.
    1.0. Imitazione.
    1.1. Tendenza spontanea all'imitazione. Tentativo di imitazione interiore di un'azione. L'imitazione sarebbe il punto di partenza dello sviluppo delle capacità psicomotorie.
    1.2. Imitazione osservabile.
    Ripetizione di un'azione osservata, ma la coordinazione neuromuscolare è scarsa. Dunque, imitazione approssimativa.
    2.0. Manipolazione.
    2.1. Seguire delle istruzioni.
    Non si tratta dunque di una semplice imitazione spontanea.
    2.2. Selezione.
    I movimenti si differenziano progressivamente e si incomincia a scegliere il comportamento adeguato.
    Si arriva ad una certa abilità nel maneggiare certi oggetti.
    2.3. Precisazione di uno schema d'azioni.
    Si può osservare a questo stadio una certa sicurezza dei movimenti, una certa facilità, ma non si arriva ancora all'automatismo e alla grande rapidità.
    3.0. Precisione.
    3.1. Riproduzione. In questo caso, esattezza, precisione.
    3.2. Direzione.
    Si può riprodurre un'azione in assenza del modello.
    Si può modificare la propria azione, modificarne la velocità di esecuzione, in funzione della situazione.
    4.0. Strutturazione dell'azione.
    4.1. Sequenza.
    Coordinazione di una serie d'azioni. Fa appello a più parti del corpo.
    4.2. Armonia.
    Regola la velocità, la durata e gli altri fattori in modo che le azioni si articolino bene.
    5.0. Naturalezza.
    5.1. Automatizzazione. Dunque utilizzazione di un minimum di energia psichica. Incoscienza, seconda natura.
    5.2. Interiorizzazione.

    (da: V. De Landsheere - G. De Landsheere. o.c. ).

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    3. SECONDO MOMENTO: ANALISI DELLA SITUAZIONE

    Quando l'educatore-animatore ha definito gli obiettivi educativi che intende raggiungere, non passa immediatamente all'azione. Egli deve ancora cercare di comprendere la realtà sulla quale intende operare. In altre parole, deve essere in grado di formulare giudizi articolati a diverso livello.
    Egli deve saper esprimere ad un livello macrosociologico, le coordinate generali che definiscono la grande società nella quale egli e il giovane si collocano. Nel caso che qui più ci interessa può essere utile, ad esempio, avere alcune coordinate strutturali o sovrastrutturali della condizione giovanile. Per questo argomento rimando ai quaderni dell'animatore nn. 12-13 (cfr. G. Milanesi, 11 trapasso culturale e la difficile identità dei giovani, F. Garelli, 1 giovani della vita quotidiana). A livello microsociologico l'educatore deve saper dare una descrizione della situazione della città, del paese o del quartiere dove opera.
    Le indicazioni che si possono trarre dalle precedenti analisi non sono però ancora sufficienti. Quasi mai il gruppo è una rappresentazione degli universi prima considerati. Dalle precedenti considerazioni dovrà pertanto passare a delle valutazioni della situazione del gruppo e degli individui che lo costituiscono. Occorrerà così che alle informazioni precedenti egli aggiunga quelle che si riferiscono, ad esempio, alla storia del gruppo, alla dinamica interna, al livello di motivazione in cui si trovano, il loro livello culturale o indirizzo di studio, etc.
    Su questo momento non mi fermo di più. II lettore interessato potrà leggere o rileggere proficuamente i quaderni che abbiamo appena indicato o rileggere articoli di Note di pastorale giovanile che su questo aspetto sono particolarmente ricchi e puntuali. Passiamo invece ad accennare ad un altro momento della programmazione educativa: il metodo.


    4. TERZO MOMENTO: IL METODO

    Come per gli altri argomenti fin qui trattati si possono dare molte definizioni di metodo. Genericamente lo definisco come `il modo con cui l'educatore cerca di far sì che si compia l'incontro tra la struttura psichica di un giovane e qualcosa che l'educatore-animatore desidera che egli apprenda'. Nel dire `metodo' intendo quindi il tentativo di adeguazione dell'educatore-animatore al giovane e di questo a lui in modo che tra i due vi sia una comunicazione significativa di informazioni e da parte del giovane una assunzione e assimilazione di quanto gli viene proposto sia nei contenuti che nelle intenzioni. Se si è d'accordo nel ritenere che un obiettivo educativo ha tre componenti (cognitivo-affettivo-psicomotorio) un buon metodo che voglia educare a degli atteggiamenti, non dovrà mai solo limitarsi ad un aspetto ma cercare sempre di individuare che le tre componenti siano coordinate.Se, ad esempio, ci riferiamo ad un obiettivo cognitivo, secondo Bloom, della comprensione, si dovrà anche trovare a quale livello di interesse ci si intende collocare nella tassonomia di De Landsheere, e se si tratta di collegare alla comprensione di qualcosa anche un'attività psicomotoria si dovrà anche stabilire a quale livello di naturalezza si vorrà che tale atteggiamento sia raggiunto. Ciò è importante da ricordare perché nell'elaborare un metodo educativo non si perda l'ottica da cui ci siamo messi: quella di far apprendere al giovane degli atteggiamenti e non solo dei contenuti informativi.

    4.1. Principi di metodo

    Affermato questo si potrebbe dire che qualsiasi metodo che raggiunga gli scopi prefissati può dirsi valido. Tuttavia credo anche si possa (lire, che non tutti i metodi sono indifferentemente adeguati. per questo è opportuno che in una programmazione educativa si determinino dei principi generali e orientatisi di metodo.
    In questo campo non esistono tassonomie da proporre, ma esistono tanti metodi. È impossibile essere completi ed esaustivi, proporremo pertanto alcuni principi che secondo noi possono essere una indicazione di riferimento sia per elaborare un metodo sia per giudicarne altri.

    4.1.1. Primo principio

    Primo principio. distinguere tra “ciò” e 'come', o meglio tra ciò che si vuol far apprendere (=un atteggiamento nelle sue varie componenti) e il modo con cui farlo apprendere (=esperienza di apprendimento).
    Secondo quanto abbiamo appena detto, una interazione educativa non è solo una comunicazione informativa da parte dall'educatore, ma la capacità di saper adeguare ciò che si vuole fare apprendere alle capacità, possibilità e tempi di apprendimento del ragazzo o giovane.
    Ciò significa che l'educatore-animatore deve saper distinguere ira quello che ha da “dire” e “il modo” e “i tempi” attraverso cui egli pensa di promuovere l'acquisizione. Le due cose non coincidono.
    Nel cercare il 'modo', non è giusto rifarsi alle proprie esperienze di apprendimento poiché niente assicura che le stesse modalità possano avere la stessa efficacia in altri. Questo non significa affermare che ciò che un educatore possiede come un valore non abbia una giustificazione, ma che le modalità educative per raggiungere lo stesso obiettivo possono essere diverse. Come fare allora a cercare un 'modo".>.
    Riguardo a ciò che si vuol far apprendere, un educatore deve saper distinguere tra significatività potenziale di qualche cosa, significatività psicologica che ha o può avere per chi deve ricevere e idoneità ricettiva.
    La prima (significatività potenziale) è il giudizio di valore oggettivo e logico che si riesce a dare di qualche cosa. È cioè, ciò che con ragione si pensa debba essere comunicato ad un giovane e si ritiene importante che egli lo assimili e apprenda.
    Con la significatività psicologica si valuta come ciò che si vuole comunicare (= significatività potenziale) può essere recepito, valorizzato, vissuto da parte del ricevente.
    Quanto all'ultima (= idoneità del ricevente) il giudizio si svolge invece alle reali possibilità che ha un giovane di inserire significativamente quanto a lui viene proposto nel proprio sistema cognitivo.
    È a partire da queste tre valutazioni che ciò deve essere comunicato dovrà essere riformulato in modo da ottenere una significatività psicologica e un adattamento alle possibilità di apprendimento (cf. figura 6).
    Quanto detto è molto importante perché con questo noi affermiamo che non ciò che è logico è anche facilmente apprendibile e assimilabile; né ciò che è significativo è anche qualcosa di vero.Questa triplice relazione che giudica ciò che un educatore deve proporre. indica anche che un buon educatore non è solo colui che 'sa' (cioè ha una significatività logica). né colui che sa rendere gradevole ciò che dice (cioè ha una significatività, psicologica). né colui che sa rendersi semplice (cioè ha una capacità di addattarsi all'età e capacità del giovane e ragazzo). ma tutte e tre insieme.
    Estremizzando or l'uno or l'altro. nel primo caso avremmo (più che un educatore) uno scienziato o un filosofo. nel secondo più un simpaticone e un giocherellone, nel terzo caso più un semplicione e bambinone. L'educatore-animatore è invece uno che sa far una sintesi personale di tutti e tre.

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    4.1.2. Secondo principio

    Secondo principio: partire dalle informazioni (= idee, conoscenze, capacità, possibilità, sensibilità, interessi, motivazioni, esperienze,...) dei giovani invece che dalle informazioni (= idee, conoscenze, capacità,...) ritenute dall'educatore vere e oggettive.
    Questo principio è in continuità con quello asserito precedentemente. Dal momento che non si riesce ad apprendere qualcosa di nuovo, se questo non ha per noi una significatività psicologica, il nuovo deve essere il proseguimento dell'acquisito e deve essere innestato sul già posseduto. In questo modo non è affatto detto che la 'verità logica ed oggettiva di qualche cosa debba essere anche il primo anello della catena che permette l'inserimento di un nuovo contenuto nella struttura del giovane. Può infatti verificarsi, e questo è il caso più ordinario, che il contenuto da proporre o l'obiettivo da raggiungere siano un punto di arrivo che segue molti passi intermedi. t da pensare che rimanga vanificato qualsiasi tentativo che cerchi di collegare immediatamente il punto di partenza con l'imposizione (perché non di altro si tratterebbe) del punto di arrivo (= verità logica).
    Tutto questo indica che un metodo che non tiene conto del principio dinamico della progressività, ma ricorre troppo semplicisticamente al principio della immediatezza e della chiarezza logica, molto facilmente può mancare l'obiettivo di una trasmissione educativa significativa.

    4.1.3. Terzo principio

    Terzo principio: tener conto della pluralità degli accessi. Mentre il principio della verità logica trascritto ìn metodo può risultare assai bene identificabile, dato che per questo basta solo sapere bene quello che si vuole trasmettere, il principio della significatività psicologica risulta molto problematico dal momento che si può asserire che ogni individuo esprime una sua “significatività”.
    Secondo questo dato di fatto si dovrebbe giustamente dire che il miglior metodo è quello 'individualizzato', quello che risponde ai bisogni, ai tempi e alle modalità che ciascun individuo esprime.
    Pur sembrando questa un'esagerazione non sono mancati, in campo soprattutto della istruzione programmata, proposte di metodi di apprendimento individualizzato. Ma non entro in merito a queste proposte.
    Credo invece nell'importanza e insostituibilità di una interazione diretta tra educatore ed educando, purché lo stile (= metodo) dell'educatore sia tale da saper proporre modalità pluriformi e diverse che consentano nel gruppo di trovare le possibilità di accesso ai contenuti nel modo ad ognuno più confacente. ,
    In questo senso sarà quindi migliore il metodo che al suo interno: - esprime diverse modalità (es:linguistiche e espressive, logiche e intuitive, razionali e simboliche, esperienziali e riflesse, ricettive e di scoperta, etc.);
    - esprime una progressività da elementi semplici ad organizzazioni più articolate e complesse (da componenti semantici semplici ad altri più articolati e complessi come dai fonemi al lessico, dal lessico alla frase, dalla frase al testo), o viceversa una progressività che va dalla sintesi all'analisi;
    - esprime un algoritmo di sequenze (dal problema alla ricerca della soluzione, dalla comprensione di un principio alle sue possibilità di applicazione, dal soggettivo all'oggettivo dal parziale al totale, dalla comprensione alla riformulazione, da una ricezione passiva ad una assunzione attiva, da un approccio ad una pluridirezionalità dì prospettive; etc.);
    - rispetta il più possibile i tempi della maggioranza del gruppo e dà possibilità di recupero anche agli ultimi;
    - sa articolare momenti di gruppo con altri di lavoro individuale e viceversa;
    - è flessibile rispetto alle necessità e alle modificazioni che intervengono nel cammino dell'esperienza di apprendimento.

    4.2. L'itinerario

    Proprio a motivo del fatto che l'apprendimento di una competenza non è un fatto istantaneo e del fatto che si assume il principio della progressività (= da ciò che è a ciò che deve essere) e tutto questo avviene attraverso una molteplicità di interventi ed obiettivi intermedi finalizzati, si parla di itinerario.
    La parola “itinerario” è diventata molto comune in questi ultimi anni soprattutto in campo pastorale (in ambito scolastico si chiama 'curricolo') ed esprime il cammino di trasformazione e di crescita che compie un soggetto a seguito di un intervento educativo.
    In altro modo, con itinerario si esprime la pianificazione operativa che l'educatore-animatore formula per il conseguimento di tutti quegli obiettivi che sono stati formulati nel momento del progetto.
    Potremmo esprimere graficamente lo spazio dell'itinerario: come nella figura 7.

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    Senza un itinerario una programmazione educativa risulta non solo incompleta, ma anche irreale. Senza l'ipotesi di cammino che contempli contenuti e mete intermedie qualsiasi progettazione educativa non solo risulterà fallimentare ma anche astratta e inutile.

    4.2.1. La sequenzialità

    Un itinerario si distingue da un progetto per il fatto che gli obiettivi non sono indicati come finali, ma come indicazioni di transito verso quelli finali. Esprime il progetto in termini di progressività, specificato in contenuti, esperienze, tempi... La sequenzialità e le unità di percorso sono le caratteristiche fondamentali.
    La sequenzialità esprime un ordine gerarchico e temporale di obiettivi; ma di sequenzialità si possono dare molte immagini. Vediamone alcune.
    - Sequenzialità rigida: questa successione di obiettivi esprime la necessità che un certo obiettivo `n' non può essere raggiunto se non secondo un ordine successivo di obiettivi intermedi.

    q19 23b
    - Sequenzialità gerarchica: esprime l'ipotesi che un obiettivo finale 'n' non sia qualcosa di 'semplice' ma la descrizione di una complessità di altri obiettivi. Per questo il suo raggiungimento sarebbe possibile solo attraverso il raggiungimento di moltissimi altri obiettivi. Si pensi, ad esempio, all'obiettivo di un atteggiamento di capacità comunicativa.

    q19 23c
    - Sequenzialità a spirale: è un procedere caratterizzato da una partenza e da passi successivi sempre collegati con quanto è stato fatto precedentemente.Qualcosa del nuovo si sovrappone sempre al vecchio con un ampliamento.

    q19 23d
    - Sequenzialità sistemica: i diversi obiettivi hanno una loro connessione però non logico-sequenziale (se non nel momento dell'attuazione). L'obiettivo finale è raggiunto avendo presente una pluralità di obiettivi e lavorando contemporaneamente sull'uno e sull'altro avendo di mira l'obiettivo globale più che l'ordine successivo.

    q19 23e
    Realisticamente in un itinerario educativo è molto probabile che nella globalità degli interventi ci si ispiri ad una pluralità di modelli di sequenzialità portando avanti molti itinerari. Si pensi, ad esempio, ad un ragazzo che frequenta la catechesi, che partecipa al gruppo sportivo e scoutistico, che partecipa alla preparazione di attività programmate durante l'arco dell'anno scolastico... È indubbio che egli sarà sottomesso a diversi itinerari specifici a secondo del settore o ambiente a cui partecipa. In una programmazione indubbiamente l'obiettivo orienta e unifica tutta una attività educativa; tuttavia un obiettivo non è generalmente raggiungibile in un istante. Occorre tempo e spesso anche dei tempi lunghissimi. Perciò è necessario non solo programmare degli obiettivi finali, intermedi e operazionalizzare i diversi scopi che si vogliono raggiungere, ma anche indicare attraverso quali `unità di percorso' si intende arrivare alle mete finali.

    4.2.2. Le unità di percorso un itinerario

    Le unità di percorso sono degli interventi educativi orientati e giustificati dalle mete finali o dagli obiettivi intermedi, ma che da soli non sono in grado di raggiungerli. Potrebbero essere una giornata di ritiro, l'incontro di una serata, un incontro di riflessione e di approfondimento, etc.
    Anche se parliamo di esse come di unità tuttavia non sono qualcosa di monolitico, ma un insieme finalizzato di varie attività tra loro coordinate che chiamiamo 'algoritmo'. Proprio perché si tratta di coordinare diverse attività esse rientrano in una attività programmativa finalizzata, razionale, e prevista. Ne indichiamo sommariamente le varie fasi.

    Prima fase: determinare la significatività potenziale di ciò che si vuole proporre.
    Non basta ritenere che una certa iniziativa, contenuto od obiettivo abbia una significatività logica ed oggettiva o che stia particolarmente a cuore all'istituzione e all'animatore. Di ciò che si vuole realizzare, l'abbiamo già detto, si devono formulare tre giudizi: determinare la significatività oggettiva e potenziale, darne un giudizio di significatività psicologica e una valutazione di accessibilità.
    II primo giudizio si dà rispondendo alle domande: che valore di verità e di importanza ha quanto voglio comunicare? Come si articola il suo contenuto? Di quali elementi e argomenti semantici è costituito? II secondo giudizio deve rispondere a domande come: che interesse può suscitare nei ragazzi? Quali motivazioni possono avere per giudicare positivamente la proposta? Quale situazione stanno vivendo? Ci sono domande esplicite nel senso di quanto intendo proporre?
    Quanto al terzo giudizio le domande potrebbero essere: quali esperienze devono aver già vissuto i ragazzi? Quali operazioni cognitive devono essere in grado di poter fare? Quanto tempo è loro richiesto e quale essi sono disposti a dare?

    Seconda fase: determinare le fasi dell'algoritmo.
    Per la determinazione delle singole fasi non esistono regole precise, tuttavia si possono grosso modo dare delle indicazioni conformi ai principi di metodo precedentemente riferiti.
    ^ Momento iniziale. Aggancio alle esperienze, informazioni e interessi già presenti o supposti nei ragazzi e nei giovani. Questo può essere fatto in tantissimi modi: attraverso sondaggi, pretest, strumenti fotolinguistici, mimi, esperienzeproblema che esigono una risposta personale o immediata, testi simbolici o letterari, etc.. L'obiettivo è sondare qual è la struttura o quali sono le esperienze di riferimento -che i giovani hanno nella comprensione di concetti, di parole, quali sono le ipotesi sulla realtà che loro si intende proporre, quale soluzione essi pensano di dare ad un certo problema. Se dovessimo riportare in miniatura quello che abbiamo fin qui detto a proposito della programmazione per tempi molto lunghi, si potrebbe dire che questo momento iniziale corrisponde all'analisi della situazione fatta, però, non in termini generali, né ipotetici, ma concreti.
    Se il richiamo (obiettivo di questo primo momento) risultasse inefficace l'animatore dovrà chiedersi se ciò avviene perché lo stimolo è inadeguato o perché manca nei giovani la sufficiente motivazione o interesse, oppure se è basso il livello di accoglienza che l'educatore/animatore ha nel gruppo. In caso di risposta affermativa nell'organizzazione dell'algoritmo egli dovrà prima conquistare un obiettivo precedente: quello di una sua accettazione come animatore ed educatore da parte del gruppo oppure quello di un interesse o di una motivazione.
    ^ Momento problematico. Poiché sembra che non avvenga alcuna nuova acquisizione se non c'è una domanda o un problema, al rilevamento del dato di partenza deve succedere (o deve essere provocato qualora ce ne sia bisogno) uno stato problematico. Se quindi si vuole ampliare ciò che già i giovani sanno, si dovrà farne costatare i limiti e la parzialità; se si dovrà promuovere una modifica di qualche parte, si dovrà far vedere e provare la incongruità di questa con il resto; se si dovrà far abbandonare una prospettiva o una soluzione ad un problema si dovrà con esperienze e confronti farne costatare la non-plausibilità e contraddittorietà rispetto alle proprie assunzioni.
    Nel provocare una dissonanza cognitiva non si deve né eccedere né rimanere al di sotto di un certo livello. L'obiettivo ottimale è quello che suscita il desiderio di trovare una risposta agli interrogativi che si sono evidenziati senza allontanarli o perché ritenuti troppo marginali o troppo sconvolgenti.
    Si deve inoltre ricordare che tale obiettivo di problematizzazione non è da ritenere che sia conseguibile solo in termini cognitivi astratti, ma anche in termini esperienziali concreti, oppure attraverso l'uso di audiovisi o cogliere la casualità di un fatto che può essere vissuto con particolare risonanza.
    ^ Momento di ristrutturazione di una nuova acquisizione. Sollecitata la motivazione, l'interesse e la domanda, si può dire che il soggetto è disponibile ad una ristrutturazione profonda di sé sia a livello cognitivo-affettivo, sia comportamentale, ricordando che a ciascun livello si possono avere accentuazioni diverse.
    Quanto invece alla proposta di un nuovo equilibrio da trovare, I'educatore-animatore dovrà determinare o scegliere quale obiettivo vorrà raggiungere.
    Per questo potranno essere utili le tassonomie su accennate, ricordando che ci possono essere diversi obiettivi. Per fare esempi:
    - un obiettivo può riguardare una prima sensibilizzazione attorno ad un concetto di forma sostanziale, ma linguisticamente e riflessamente ancora impreciso, insufficiente (= prelinguistico);
    - un obiettivo può pretiggersi la capacità di saper definire qualche contenuto in termini semanticamente condivisi (= linguistici);
    - un obiettivo può voler ottenere una memorizzazione e disponibilità operativa di un certo concetto o principio;
    - un altro obiettivo può essere quello di assicurare una nuova informazione alla struttura cognitiva.
    Diversamente quindi si dovrà operare a secondo che si desidererà conseguire l'obiettivo di una capacità di estendere tali conoscenze ad altre aree e settori della vita da come si può operare per ottenere una semplice comprensione di ciò che si vuole comunicare.
    Non ci fermiamo in particolare su tutte queste diversità di obiettivi. Ci porterebbe troppo lontano e ci basta qui averlo fatto intuire. Il lettore interessato potrà approfondire meglio l'argomento con letture appropriate.
    ^ Momento conclusivo: Come una programmazione educativa ha termine con la realizzazione del progetto, così una unità di percorso ha termine con il raggiungimento dell'obiettivo prefissato. Ciò però ci introduce nell'ultimo momento di una programmazione educativa: la valutazione.


    5. QUARTO MOMENTO: LA VALUTAZIONE

    Anche questa fase della programmazione si riferisce sostanzialmente ad un concetto informativo e precisamente a quello di `feedback' (= retroazione). Attraverso una risposta di feed-back, la macchina informa l'operatore che agisce su di essa circa gli effetti che una sua azione ha prodotto. In questo modo l'operatore è in condizione di valutare l'efficacia o gli errori o le eventuali modifiche che egli deve apportare a quanto ha fatto.
    Questa analogia tra operare del calcolatore e attività educativa forse potrà non piacere molto a qualcuno, ma tale analogia non è da prendere nel senso che noi ci dobbiamo adattare all'agire di un calcolatore, quanto invece scoprire che esso agisce in modo assai simile a noi. È vero infatti che anche noi continuamente in modo conscio o inconscio emettiamo giudizi di controllo circa quel che facciamo, per verificare se possiamo proseguire o se dobbiamo interrompere ciò che stiamo facendo o a che punto siamo del nostro cammino. Non meraviglierà allora che dobbiamo fare la stessa cosa anche in una attività educativa.

    5.1. Che cosa e quando valutare

    Se è abbastanza facile dire che nella programmazione educativa ci deve essere un momento valutativo, molto più difficile è precisare a che punto deve essere posto, delimitare il suo ambito, dare dei criteri e dei modelli che permettano una valutazione almeno abbastanza oggettiva.
    Diamo anche qui solo delle indicazioni generali.
    Ammesso e accettato che si deve fare una valutazione della propria attività educativa, si dovranno innanzitutto distinguere diverse possibilità.
    C'è una valutazione che riguarda il tempo in cui è compiuta (fig. 8):
    - valutazione in situazione di partenza (detta anche diagnostica); - valutazione che si compie durante l'attività e il processo educativo (detta anche formativa);
    - valutazione che si compie al termine di una attività prolungata (detta anche sommatoria o complessiva).
    C'è poi una valutazione che riguarda l'oggetto o il che cosa a cui ci si riferisce o che si vuole valutare (fig. 9):
    - valutazione sugli obiettivi da conseguire o conseguiti;
    - valutazione dei metodi (da impiegare o usati, loro efficacia previsionale e loro inefficacia reale; - valutazione dei contenuti da proporre o proposti e effettivamente acquisiti;
    - valutazione circa gli strumenti da utilizzare nella valutazione (prove oggettive o qualitative).
    Rappresentando graficamente le due diverse modalità così potremmo descriverle come nelle figure 8 e 9.

    q19 26

    5.2. Le fasi della valutazione 

    Non ci dilunghiamo in modo analitico a descrivere ciascun tipo di valutazione che si può compiere. Ci fermiamo invece a descrivere quattro diverse fasi che si devono compiere in una valutazione: decidere che cosa valutare, decidere quando e come raccogliere i dati di informazione, decidere come fare l'interpretazione della rilevazione dei dati, compiere una valutazione di feed-back sulla programmazione educativa che si era inizialmente fatta.

    5.2.1. Prima fase: decidere che cosa valutare

    Gli anglosassoni (area pedagogica dove maggiormente si è sviluppato il discorso della programmazione educativa) chiamano questa fase: accertamento (inglese: assessment) o misurazione. In questo momento ci si riferisce alla pura e semplice attività di raccolta e registrazione di informazioni, naturalmente in base a criteri predeterminati e definiti.
    Fare un rilevamento di informazioni non è facile, ed esistono tante modalità. Genericamente suggeriamo che il che cosa sia contemporaneamente di tipo oggettivo e di quantitativo, di tipo soggettivo e qualitativo. Ad esempio, per valutare t'uso di strumenti audiovisivi non sarà sufficiente sapere se è stato usato, ma anche il modo e il momento in cui è stato usato. Per valutare se un contenuto è stato acquisito non basta sapere se il soggetto interessato lo ricorda, ma anche se lo ha appreso in modo significativo e ciò influenza altre aree della sua vita, etc. Oppure non basta sapere i
    dati, ma anche le cause che possono aver determinato una certa situazione o risultato, etc.

    5.2.2. Seconda fase: decidere quando e come raccogliere le informazioni

    È importante decidere come e quando raccogliere informazioni circa i risultati del proprio operare, poiché queste condizioni conferiscono il criterio di affidabilità ai giudizi che ulteriormente saranno formulati.
    Anche qui non ci sono delle regole facili da stabilire, dipendendo questo dalle circostanze o dalle cose che devono essere valutate. A seconda dei casi si potrà fare una valutazione dopo un incontro, ma anche dopo un trimestre o dopo un anno di attività. Una cosa è la valutazione che si può dare in una scuola o in un gruppo di catechesi istituzionalizzato e un altro quello che si può dare in riferimento ad un gruppo giovanile informale. Quali potrebbero essere per le diverse situazioni lasciamo ai lettori individuarli.

    5.2.3. Terza fase: Interpretazione

    Alla raccolta dei dati che vengono ritenuti significativi per la valutazione segue una riflessione valutativa su di essi.

    Dire di poter arrivare ad un giudizio oggettivo e vero può essere troppo presuntuoso, ma altrettanto rifiutarsi di dare un giudizio può essere altrettanto pericoloso e nocivo.
    Molto del giudizio positivo, insufficiente o negativo dipende dalle attese che si hanno. La posizione più equilibrata sembra essere quella di chi assume delle indicazioni di interpretazioni 'provvisorie' come suscettibili di avere una ulteriore conferma o disconferma, in altre parole come orientamento che fa pensare su ciò che si è fatto, su ciò che si è raggiunto, sui metodi che si sono usati.

    5.2.4. Quarta fase: la valutazione come feed-back sulla programmazione educativa

    La valutazione non è fine a se stessa, né deve essere un atto di gratificazione per ciò che si è fatto, né deve provocare - un abbattimento o delusione se si deve costatare un fallimento.
    La valutazione è semplicemente uno strumento di verifica di ciò che si fa o si è fatto. Dall'educatore deve essere vissuta con soddisfazione o con trepidazione, ma anche con la necessaria freddezza e oggettività che gli permette di vedere con realismo le cose.
    Essa coinvolge non solo i risultati ottenuti, ma tutto il processo educativo: la determinazione degli obiettivi, la preparazione delle attività, la scelta dei criteri di valutazione la realizzazione concreta.
    Così in sintesi la descrive D'Hainaut (cf figura 11).
    In una programmazione educativa innanzitutto si determinano gli obiettivi finali, generali-pedagogici e li si operazionalizza (1). Questo primo momento suggerisce anche i criteri su cui poi si compirà una valutazione che gli obiettivi prefissati sono stati raggiunti (2)
    A partire dagli obiettivi, principi di metodo che vengono assunti e del confronto con la situazione concreta, l'educatore-animatore formula una ipotesi di itinerario (3) che comprende mete intermedie, iniziative, attività, scelta dei contenuti, esperienze, incontri... Dopo questa ipotesi di lavoro, si comincia la realizzazione dell'itinerario (4) per raggiungere gli scopi stabiliti. O durante la realizzazione dell'itinerario o al termine di un periodo lungo di attività si confrontano (6) i risultati ottenuti (5) con i criteri di valutazione assunti (2) (valutazione formale o sommatoria).
    Da questo confronto scaturisce un effetto di feed-back o di retroazione sia sugli obiettivi, sia sul metodo, sia sui criteri che sono stati assunti per verificare gli obiettivi, sia sull'intero itinerario (7)

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    5.3. Conclusione

    Forse chi da anni fa l'educatore-animatore troverà il discorso difficile e complicato. Forse dirà che ha sempre educato anche senza pensare a tutte queste cose e che tanti giovani sono cresciuti formati e maturi anche senza conoscere la programmazione educativa.
    Chi per la prima volta si affaccia a questo problema forse avrà l'impressione che questo impegno è troppo carico di responsabilità per essere svolto adeguatamente.
    Ai primi vorremmo ricordare che quanto si è detto della programmazione educativa non intende escludere o mettere in discussione ciò che da tempo essi hanno messo in opera con entusiasmo e sacrificio. Solo desidereremmo che tutto ciò li rendesse più coscienti e più efficienti in quello che essi proficuamente già fanno.
    A chi sta iniziando questo cammino o vuol assumere questa responsabilità ciò che abbiamo detto potrà servirgli per accelerare l'acquisizione di qualità e competenze professionali. Egli dovrà assimilare nel suo operare il quadro di riferimento che gli abbiamo sinteticamente offerto fino al punto che gli sia connaturale e spontaneo agire in questo modo (si veda la tassonomia di Dave). È evidente che quello che qui abbiamo riferito non è che una sintesi introduttoria e orientativa. Sarà pertanto opportuno che lentamente l'educatore-animatore completi con letture opportune quanto abbiamo proposto in modo molto schematico. 


    BIBLIOGRAFIA

    L. Von BERTALANFFY, Teoria generale dei sistemi, Milano, Mondadori, 1983.
    G. TAYLOR, Tecnologia dell'educazione, Teramo, Giunti-Lisciani, 19832.
    B.S. BLOOM, Tassonomia degli obiettivi educativi, Teramo, Giunti-Lisciani, 1983.
    R.F. MAGER, L'analisi degli obiettivi, Teramo, Giunti-Lisciani, 1978.
    V. DE LANDSHEERE - G. DE LANDSHEERE, Definire gli obiettivi dell'educazione, Firenze, la Nuova Italia, 19791.
    A. & H. NICHOLLS, Guida pratica all'elaborazione di un curricolo, Milano, Feltrinelli, 19785.
    L. STENHOUSE, Dalla scuola del programma alla scuola del curricolo, Roma, Armando, 1977.
    R. LAPORTA - C. PONTECORVO - R. SIMONE - L. TORNATORE, Curricolo e scuola, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1978.
    C. BIRZEA, Gli obiettivi nella programmazione, Torino, Loescher, 1981.
    M. PELLEREY, Progettazione didattica, Torino, SEI, 1979.

    IL CANOVACCIO

    Per una scuola di giovani animatori

    Mario Comoglio

    Nel canovaccio vi indichiamo delle cose molto concrete. Esse non sono proposte in un modo organico come cose da fare prima e cose da fare dopo. Possono essere prese come attività da realizzare come un gruppo meglio crede ritrovando l'organicità e la completezza da una lettura successiva del testo.
    II principio che si suggerisce è quello induttivo: dall'esperienza alla teorizzazione per migliorare successivamente la prassi educativa programmandola con più organicità e precisione.
    Ecco alcune attività.

    Le nostre opinioni dell'educazione

    Prima di interrogarci su che cosa si intenda per programmazione educativa proviamo ad individuare quali sono le nostre opinioni sull'educazione.
    Ognuno avrà certamente delle sue idee. Chi crederà che tutto dipende dall'educazione data o ricevuta, chi crede che non essendo il soggetto educando sotto lo stimolo di un solo educatore (scuola, genitori, televisione, letture, amici...). gli sforzi di un educatore per la crescita e lo sviluppo di una persona siano pressocché inutili o improgrammabili. Chi penserà che il programma «biopsichico» abbia tempi e sue modalità assolutamente sconosciute che rendono impossibile poter progettare un intervento educativo. Chi penserà altro...
    Proviamo allora a . verificarci sui nostri orientamenti di fondo. Immaginiamo tre polarità di un sistema: società - educazione - persona.
    Nel gruppo di animatori ognuno ha a disposizione 10 punti da distribuire sulle tre componenti. Si assegni intuitivamente un valore che esprime i rapporti di forza tra le tre componenti. Poi in base alle unità attribuite si cerchi di esplicitare come si vede il sistema e come potrebbe essere modificato.

    q19 29

    Selezione e organizzazione di atteggiamenti

    Si trovi o si dia un elenco di atteggiamenti a cui un educatore dovrebbe educare dei ragazzi o dei giovani. Mettendo la condizione che non si può educarli a tutti ma se ne devono scegliere solo alcuni, si dica in ordine gerarchico quali il gruppo sceglierebbe e per quale motivo.
    Noi proponiamo alcuni esempi:
    - un atteggiamento di tolleranza verso gli altri;
    - un atteggiamento creativo;
    - un atteggiamento di fiducia verso gli altri;
    - un atteggiamento di fede profonda;
    - una capacità comunicativa;
    - un atteggiamento di riflessione;
    - un atteggiamento positivo alla collaborazione;
    - un atteggiamento critico;
    - un atteggiamento di fiducia verso la vita;
    - una capacità a vivere nel provvisorio;
    - una capacità ad assumersi delle responsabilità e a portarle fino in fondo;
    - un atteggiamento di rispetto dell'ambiente, della natura, e degli altri...
    Dopo aver determinato la scelta (di 12 sceglierne solo 6), esplicitare perché questi sono stati ritenuti più importanti e più fondamentali degli altri. In base a quali criteri è stata operata la scelta?

    Dall'astratto al concreto: la operazionalizzazione degli atteggiamenti

    - Quando si stabilisce un obiettivo è facile che si cerchi di definirlo per che cosa è e non per che cosa lo esprime. La capacità di un educatore/animatore spesso si vede proprio dall'essere capace di tradurre l'astratto in concreto. Presentiamo un esercizio in proposito nella tavola riportata a pag. 29.
    Dopo aver dato a un atteggiamento (o a un obiettivo) un valore sulla scala della concretezza o della genericità, discutete in gruppo il motivo del vostro giudizio.
    - Se ci si può suddividere in gruppi si prenda un atteggiamento per gruppo, e se si è in meno, ognuno scelga (magari a sorte) un atteggiamento. Ogni gruppo (od ogni individuo) ha a disposizione dieci minuti per preparare un mimo nel quale egli dovrà rappresentare agli altri (senza l'uso di parole) come si comporta un individuo che ha l'atteggiamento avuto come compito di rappresentare. Gli spettatori dovranno dalla rappresentazione individuare di quale atteggiamento si tratta, dire se condividono i comportamenti che gli sono attribuiti ed eventualmente suggerire delle integrazioni o precisazioni.

    q19 30a

    Organizzazione degli obiettivi secondo livelli diversi di competenza

    • È ormai dimostrato che in stessi obiettivi si possono raggiungere livelli specificatamente diversi, corrispondenti a competenze diverse.
    Se dobbiamo semplicemente ricordare una conoscenza, basterà che noi ripetiamo più volte quello che dobbiamo mandare in memoria. Se dobbiamo invece comprendere la stessa conoscenza di cui siamo informati leggendo o ascoltando un testo, dobbiamo saper mettere in opera procedure complesse di riassunto, di collegamento, di traduzione di ciò che ascoltiamo. Se dobbiamo invece rassicurarci di tale 'conoscenza', dobbiamo collegarla ad altre che ci sono certe e sicure, ecc.
    Lo stesso si può dire, per la stessa conoscenza, in un altro campo come quello della partecipazione affettiva.
    Si può apprendere 'qualcosa' con un grande senso di noia, passività e disinteresse. Si può invece apprenderla con intensa partecipazione poichè ciò che veniamo progressivamente conoscendo ci apre nuove prospettive o nuovi orizzonti e possibilità di soluzione di problemi.
    Ma la stessa cosa che apprendiamo può arrivare fino ad interessarci con una grande carica motivazionale interna. Di essa vorremmo sapere sempre più e siamo pronti ad aumentare l'impegno per essa. Quando poi si deve apprendere una competenza nuova, all'inizio non si agisce con spontaneità ed immediatezza. Si comincia con difficoltà ad imitare qualcuno che già agisce in modo naturale. Si prova e riprova, si procede per gradi spezzando il comportamento completo in parti, unendo delle parti apprese ad altre parti che si aggiungono, si ripetono parti già apprese ad altre nuove, etc.

    q19 30b
    E veniamo ad un esercizio a riguardo.
    Prendendo come riferimento la scala di gradualità nel riquadro riportato a pagina 30, scegliete un atteggiamento (ad esempio: un atteggiamento di coscienza responsabile oppure un atteggiamento di impegno nella vita) centrale di determinare quello che si richiede ai diversi livelli indicati nel campo cognitivo, in quello affettivo e in quello psicomotorio.
    Per una maggior comprensione dei livelli potete ricorrere alle tavole riportate nel testo del quaderno relative alle tassonomie di Bloom, di De Landsheere e di Dave.

    q19 31

    Le fasi della programmazione

    Si distribuisca o ad ogni individuo o ad ogni gruppo una stringa con le seguenti parole: progetto - valutazione - metodo - obiettivi - situazione - atteggiamento - comportamento. Il gruppo ha cinque minuti per ordinare in un ordine logico le diverse parole e alcuni minuti in più per dare una definizione di ciascuna di esse. Dopo aver eseguito il compito, si discute nel gruppo più grande quanto è stato pensato ed elaborato.
    Immaginiamo di dover preparare qualcosa con un gruppo di ragazzi o per un gruppo di giovani o per il centro giovanile. Può trattarsi di una festa, una celebrazione, un incontro, il carnevale, un'opera di beneficenza...
    Se si è in pochi si potrà pensare di dare uno di questi compiti a ciascuno, se si è in molti si può pensare di dare un'attività a ciascun gruppo.
    Attribuito il compito, si dovranno prendere nota di tutte le domande che nel gruppo si pongono per risolvere l'obiettivo prefissato.
    Se l'attività si svolge in gruppo, si potrà dividere l'attività in due. Alcuni discutono liberamente sui modi di organizzare il raggiungimento dell'obiettivo, mentre altri (due o tre all'insaputa degli altri e, naturalmente, sapendo che non parteciperanno alla discussione sui contenuti del lavoro di gruppo) prenderanno nota di tutte le «domande» esplicite o implicite che il gruppo si è posto per raggiungere lo scopo che è stato dato al gruppo.
    Le domande saranno collocate a seconda del loro contenuto o riferimento in uno schema o griglia come quello qui sotto indicato.
    Dopo la discussone, qualora delle caselle siano rimaste vuote, il gruppo sarà messo a conoscenza della griglia e sarà invitato a formulare quali domande ci si deve porre in una programmazione relativa ai vuoti manifestati. Per capire alcune caselle sarà opportuno o che l'animatore principale dia delle spiegazioni o che il gruppo sia invitato a leggere dal quaderno le spiegazioni richieste.
    Al termine si rediga una griglia di domande e interrogativi che un animatore deve formularsi nella organizzazione della sua attività educativa.

    q19 32

    Studio di progetti educativi

    Si reperiscano alcuni testi di programmazione educativa (es. Progetto e metodo dell'Azione Cattolica, un programma dei Ministero della Pubblica Istruzione per la scuola media, un progetto educativo dell'AGESCI, un progetto educativo di centro giovanile o oratorio o istituto scolastico) e se ne faccia una lettura comparata. Alcuni rileveranno le indicazioni di mete ideali, altri di metodo, altri per l'analisi che ciascuno compie della situazione contemporanea, della condizione giovanile. Per questa attività si modificherà lo schema precedente.
    Come nella tavola a pag. 31.

    Verso un progetto educativo

    Ora in gruppo si provi a tentare l'elaborazione di mini-progetto educativo. Se il gruppo del corso animatori è numeroso e di varia provenienza ci si divida per gruppi a seconda degli interessi o delle responsabilità che già si hanno, cioè in animatori sportivi, animatori della catechesi, animatori liturgici, animatori del gruppo preadolescenti, del gruppo adolescenti, ecc. Ognuno cercherà di delineare entro quale progetto educativo intende operare.
    Se il gruppo della scuola animatori appartiene ad una medesima unità locale (parrocchia, centro giovanile, oratorio, ecc.), prima si formulino le linee generali entro le quali devono convenire tutti i gruppi e le attività, poi si trovinmo le specificità di ciascun gruppo.
    Si scelga un atteggiamento (o più atteggiamenti se vi sono più gruppi). Ognuno dovrà mimare il modo con cui questo atteggiamento si esprime a diverse età: tra i 12-13 anni, tra i 14-15 e tra i 1618,
    In questo modo si tratteggeranno delle linee di continuità e nello stesso tempo di progressività a cui si dovrà educare un ragazzo fino a quando lo si penserà giovane,
    Si prenda ad esempio l'atteggiamento di fede e si provi ad esaminarlo su due variabili: comportamenti e conoscenze come nella tabella.


    T e r z a
    p a g i n A


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