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    13. I GIOVANI DELLA

    VITA QUOTIDIANA

    Franco Garelli

      

    INDICE

    LA SOCIETÀ ITALIANA: UNA SOCIETÀ COMPLESSA E DIFFERENZIATA

    1. LA SOCIETÀ INDUSTRIALE AVANZATA: COMPLESSITÀ E DIFFERENZIAZIONE

    1.1. I soggetti di fronte alla complessità sociale

    1.2. La funzione non totalizzante delle istituzioni

    2. LA COMPLESSITÀ DEL CASO ITALIANO

    2.1. Crisi dei mito dello sviluppo e delle istanze dei cambio sociale

    2.2. La stagione dei neo-corporativismo

    2.3. Mobilità sociale e atteggiamenti nei confronti dei lavoro

    2.4. Gli esiti individuali o di piccolo gruppo alla crisi

    2.5. Contraddittorietà di istanze culturali e incoerenza dei comportamenti


    LA NUOVA CULTURA GIOVANILE

    1. ASSENZA DI PROSPETTIVE GLOBALI E ATTENZIONE AL PRESENTE.

    1.1. La complessità sociale e la crisi delle idealità

    1.2. È difficile identificarsi con le mete socio-culturali

    1.3. Nessuna prospettiva di cambio sociale

    1.4. La difficoltà di costruire proposte

    1.5. Viene privilegiato il momento presente

    2. ESPANSIONE DELLA SOGGETTIVITÀ E I MODELLI CULTURALI ED ETICI

    2.1. Che cosa significa espandere la propria soggettività

    2.2. Il rifiuto dei modelli astratti e astorici

    2.3. Un nichilismo di corto respiro

    2.4. I limiti dei modello di autorealizzazione

    2.5. Il primato dell'esperienza: il soggettivo quale norma

    2.6. L'esito: la frammentazione

    3. I GIOVANI D'UN CONTESTO SOCIALE DIFFERENZIATO

    3.1. L'orientamento a non precludersi alcuna possibilità di scelta

    3.2. Ripercussioni sui giovani della pratica di differenziazione

    4. IL RAPPORTO CON LE ISTITUZIONI: DENTRO MA ESTRANEI

    4.1. Rivalutazione affettiva e atteggiamento strumentale nell'ambito della famiglia

    4.2. L'esperienza lavorativa: dal rifiuto alla ricerca di obiettivi realistici

    4.3. Nella scuola: ricerca degli aspetti che formano l'identità

    4.4. Le pretese dei partiti e il distacco dei giovani

    4.5. Davanti alla chiesa: rivalutazione con riserva

    4.6. Piccoli gruppi, lontano dalle istituzioni

    4.7. In sintesi: tolleranza e strumentalizzazione funzionale

    5. DIVERSITÈ E SINTONIA CULTURALE TRA GIOVANI E CHIESA

    5.1. Elementi di estraneità, di diversità

    5.2. Elementi di possibile «sintonia»

    6. INTERROGATIVI PER GLI ANIMATORI

    6.1. Mancano alcune condizioni soggettive per una relazione educativa

    6.2. La tendenza a realizzarsi secondo modalità differenziate

    6.3. Il primato attribuito all'esperienza 


    ^ Questo quaderno fa parte della serie dedicata all'analisi della condizione giovanile e dei contesto sociale e culturale in cui la vita dei giovani si svolge.
    Si affianca al Q12, pubblicato con i contributi di G. Milanesi e di F. Amione con il titolo: «Il trapasso culturale e la difficile identità dei giovani».
    Nella introduzione a quel quaderno avevano dato alcune angolature di lettura utili anche per queste pagine.
    Le ricordiamo velocemente:
    - assumere l'ottica di lettura dell'animazione che intende «riconoscere» e liberare la vita nella sua concretezza storica, ovunque si manifesti;
    - apprendere a leggere criticamente, sia negli aspetti strutturali che culturali, la realtà, abituandosi progressivamente a interpretarla «in uno sguardo educativo (cf l'articolo di C. Nanni in Q1);
    - rendersi consapevoli, fin dall'analisi dei problemi che i giovani vivono, della povertà e dei limiti dell'animazione in vista di un cambio sociale e, allo stesso tempo, della grandezza dei compito che intende assumersi con l'educazione dei giovani.
    ^ Il presente quaderno, preparato da Franco Garelli, è di taglio sociologico. Prosegue, in modo originale, le riflessioni di Milanesi che nel 1212 aveva prima analizzato «le trasformazioni strutturali e culturali in Italia» e subito dopo si era soffermato sulla «identità sociale dei giovani».
    La specificità dei due quaderni, oltre che nei contenuti, sta anche nel punto di osservazione sul mondo giovanile. Milanesi parlava dei giovani a partire prevalentemente dal loro rapporto con la società. Garelli invece parla dei giovani per mettere in luce, dentro ovviamente l'attuale società, i caratteri, bisogni, valori e modelli di vita che essi manifestano.
    ^ L'autore non presenta dati statistici di ricerche, ma invece una «riflessione d'insieme». I dati sono presupposti.
    Nell'offrire la sua riflessione egli sembra porsi entro un ideale triangolo, in cui entrano i giovani di oggi, quelli di qualche anno fa (con delle puntate fino al '68 e prima ancora) e gli adulti di oggi. Tra questi tre mondi viene ad istituirsi una sorta di «processo», a volte di scambio e dialogo, e a volte di giudizio reciproco che finisce per coinvolgere anche l'animatore.
    ^ Il quaderno si inserisce, come si diceva, nella serie dedicata alla condizione giovanile con il titolo «fare animazione con questi giovani».
    Proprio su questo è utile offrire una annotazione.
    La comprensione dei mondo giovanile, come dei resto di tutti i processi sociali e culturali, richiede un approccio interdisciplinare con il contributo della sociologia, psicologia, antropologia culturale filosofica, economia...
    Non era possibile, ovviamente, dare la parola a tutte le discipline. Ci siamo limitati ad una lettura sociologica della società nel suo insieme e dei giovani in particolare e ad un approccio psicologico ai problemi dei l'adolescenza.
    Sono previsti altri due quaderni: il Q14 «Immagini d'uomo negli anni '80» a cura di Carlo Nanni ed il Q15 «Aggregazione giovanile e associazionismo ecclesiale» preparato dallo stesso Garelli.
    ^ Perché «i giovani della vita quotidiana»?
    Il titolo fa riferimento a quella che viene detta la riscoperta della vita quotidiana come luogo primordiale di autorealizzazione.
    Mentre i giovani degli anni '50 e '60 definivano la loro identità sullo sfondo delle ideologie e dei grandi schemi concettuali e culturali e vivevano da vicino i grandi problemi sociali e politici, le nuove generazioni sembrano definirsi a partire dallo stile quotidiano di vita e dai piccoli problemi che il «giorno dopo giorno» comporta. È nella routine quotidiana che essi si interrogano, partecipano, si aggregano e si danno una identità.
    Non mancano, come è comprensibile, delle intuizioni stimolanti, ma anche ambivalenze e scompensi, come sottolineerà Garelli, al termine dei suo contributo, con i quali gli animatori sono chiamati a confrontarsi.
    ^ Il quaderno comprende due contributi di Franco Garelli:
    - La società italiana: una società complessa e differenziata;
    - La nuova cultura giovanile,
    ^ Segue il canovaccio con le indicazioni per la utilizzazione dei quaderno nelle scuole giovani animatori

    LA SOCIETÀ ITALIANA: UNA SOCIETÀ COMPLESSA E DIFFERENZIATA

    Si osserva un mutamento di prospettiva in quanti stanno analizzando la società contemporanea. In luogo di considerare i vari aspetti che costituiscono la società, i fenomeni parziali che compongono il mosaico dei sistema sociale, ci si applica a problemi di fondo riguardanti il funzionamento di questo tipo di società, la logica del suo sviluppo, i problemi di regolazione e di equilibrio dei sistema sociale, i meccanismi di consenso e di conflitto. Per comprendere l'attuale società, la società a capitalismo maturo, industriale avanzata, sembra importante non tanto applicarsi separatamente ai fenomeni dell'immigrazione, dell'urbanizzazione, del consumismo, della disoccupazione.... quanto considerare questi stessi fenomeni all'interno del più vasto problema dell'equilibrio dei sistema sociale, della sua possibilità e capacità di autoregolazione, delle sue dinamiche e logiche profonde.
    Questo mutamento di prospettiva, questo andare al cuore dei sistema sociale, è da attribuire al fatto che oggi ciò che fa problema è la società e il suo funzionamento, dal momento che il sistema sociale appare regolato da uno strano e instabile equilibrio, che si crea, in molti casi, al di là dell'intenzionalità e dell'azione dei soggetti collettivi (individui, gruppi, movimenti) e nei confronti del quale appare sempre più difficile intervenire con successo per modificarlo. Questa società che diventa problema a se stessa, complicata e varia, per certi versi estranea all'uomo stesso, composta da effetti di difficile valutazione e previsione, appare sempre più annebbiata nella propria identità e sempre più carente di mete socio-culturali largamente condivise.
    ^ Per descrivere questo tipo di società si è propensi a utilizzare il concetto di complessità, a chiamare complesso l'attuale sistema sociale. li concetto di complessità subentra pertanto a quello di contraddizione - di derivazione marxista - che aveva avuto ampia fortuna nel recente passato nell'indicare come dalle contraddizioni di fondo della società capitalistica fosse possibile intravedere una soluzione socialmente positiva per le classi più emarginate.
    Complessità sta invece ad indicare un'assenza di prospettiva, un venir meno della risoluzione. Si tratta quindi di un concetto direttamente collegato a quello di crisi, dal momento che la società complessa sembra avere nella crisi il suo punto di equilibrio senza una prospettiva di sbocchi e di soluzioni.
    ^ Dire che la società è complessa non significa però affermare che il sistema sociale è disintegrato, né che esso è esploso o sta per esplodere. Pur perdendo la sua identità, pur fondandosi su una situazione congenita di crisi, il sistema sociale evidenzia una certa qual integrazione e un certo qual equilibrio che risultano più nel segno della sopravvivenza, della stagnazione, dell'esplosione di interessi particolari e immediati, che non nel segno della condivisione di mete socio-culturali e di una comune identità collettiva. Si tratta pertanto di un equilibrio instabile e precario, che permette al sistema di sopravvivere anche se non crea condizioni di maggior solidarietà e di maggior partecipazione sociale.
    ^ Società complessa risulta pertanto una società in cui il conflitto tra interessi di gruppi e settori diversi produce una situazione di stallo sociale, in cui si tende più alla sopravvivenza sociale che al cambio o alla razionalizzazione del modello d1sviluppo, in cui si producono più soluzioni intermedie o immediate che soluzioni ad ampio raggio, in cui appare arduo e difficile intervenire a modificare la situazione, in cui si ottiene un consenso non per identificazione dei soggetti coi sistema sociale ma per contrattazione e sopravvivenza.
    Col concetto di società complessa intendiamo descrivere una «realtà composta da tendenze ambivalenti, che risultano tra di esse incompatibili e irriducibili; che uno stato di integrazione precaria (conseguente alla irriducibilità delle tendenze) orienta - ma meglio sarebbe dire - costringe a scelte parziali e di medio termine, caratterizzate da scarsa capacità previsiva; il cui esito sociale generale appare nel segno della non risolubilità».

    1. LA SOCIETÀ INDUSTRIALE AVANZATA: COMPLESSITÀ E DIFFERENZIAZIONE

    Alla base dell'attuale complessità dei nostro sistema sociale si possono individuare due diversi tipi di cause, uno più generale, che interessa tutte le società a capitalismo maturo, e l'altro che riguarda specificatamente il caso italiano, e che accentua in modo particolare per il nostro paese le caratteristiche generali di ogni contesto industriale avanzato.
    Consideriamo anzitutto il primo tipo di cause. Per comprendere i processi che stanno attualmente interessando il campo sociale (e in particolare alcune delle sue ambivalenze) una prospettiva teorica feconda - ancora per la verità tutta da sviluppare - è quella di considerare come la società sia caratterizzata al suo interno da quel processo di forte differenziazione che alcuni autori indicano quale carattere fondamentale della società a capitalismo maturo e come l'unica condizione di possibile equilibrio (parziale, precario, ma pur sempre equilibrio) del sistema sociale.
    Più che identificarsi in una meta collettiva o in un determinato modello di sviluppo, l'attuale sistema sociale sembra reggersi su un processo di differenziazione funzionale dei vari sottosistemi tra di loro e dei singoli sottosistemi al loro interno, il cui esito è di offrire ai soggetti una gamma di possibilità di scelta che servono a controbilanciare - pur in modo limitato - le infinite possibilità teoriche che caratterizzano l'ambiente sociale.

    1.1. I soggetti di fronte alla complessità sociale

    Nella prospettiva dei soggetti (individui e gruppi) la forte differenziazione del sistema sociale e dei suoi sottosistemi costituirebbe una sorta di mediazione tra le scelte limitate che un soggetto può effettuare e l'eccesso delle possibilità dell'ambiente in cui egli è inserito. 1 soggetti hanno così opportunità di risposte parziali e molto differenziate che riducono la complessità generale dei sistema sociale. Si determina pertanto una situazione di molteplicità di associazioni, di opportunità, di compresenza in più associazioni, di soluzioni parziali (scambi, patteggiamenti) mai risolutive, ma grazie alle quali i soggetti possono far fronte all'estrema complessità sociale. L'appartenenza a più gruppi e associazioni, la possibilità di occupare più posizioni sociali, l'eccesso di opportunità, non costituiscono necessariamente fattori in grado di rispondere adeguatamente ai bisogni dei soggetti. Anzi, da questo punto di vista si intravedono pericoli di dissociazione e di sdoppiamento delle personalità, di insoddisfazione allargata, di scetticismo... tutti elementi che esprimono la difficoltà dei soggetti di maturare attualmente un'identità sociale soddisfacente e di comporre nella propria esperienza istanze diversificate.
    Gli individui infatti sembrano insoddisfatti del ruolo che ci si aspetta che svolgano in un'associazione e dei modo in cui associazioni di ogni genere forniscono loro beni e servizi, rappresentano i loro interessi, rispondono alla loro domanda di prestazione e di solidarietà. Si determina cioè una situazione di appartenenza critica degli individui alle associazioni, di «fedeltà passiva», nel segno della non completa identificazione dei soggetti nelle varie appartenenze sociali. Prevale pertanto un parziale coinvolgimento delle persone pur in quelle scelte e appartenenze che dovrebbero rispondere alle esigenze di integrazione.

    1.2. La funzione non totalizzante delle istituzioni

    Nella prospettiva del sistema sociale siamo di fronte a un processo di settorializzazione degli interventi dei vari sottosistemi. A questo proposito si potrebbe affermare che nell'attuale società le varie istituzioni e i vari gruppi sociali rinunciano a svolgere una funzione totalizzante e si avviano sempre più a operare scelte parziali che rispondono a specifiche competenze nel rispetto dell'intervento altrui.
    In altri termini, nessun gruppo o istituzione sembra oggi in grado di agire in modo egemonico nella società (sia esso stato o partito politico o sindacato o famiglia o chiesa), di interpretare in modo totalizzante la propria funzione sociale.
    Lo stato attualmente si avvia sempre più verso una funzione di regolatore dello scambio politico ed economico. In tal modo esso esprime l'incapacità di determinare il senso della convivenza sociale, di produrre il consenso sulla base di valori politici in grado di prefigurare un preciso modello di società.
    I partiti e i sindacati . interessati dai processi di «laicizzazione» della politica e dell'azione sindacale, prendono coscienza dei carattere parziale - pur socialmente importante - del loro intervento, e della necessità di saldarlo con quelle azioni e quegli interessi che caratterizzano la sfera della riproduzione sociale.
    La chiesa stessa avverte che l'attualità della sua presenza sociale dipende dalla ridefinizione della sua identità e funzione sociale, superando pertanto la generica azione di supplenza sociale. In una società altamente differenziata anche la chiesa è costretta ad assumere un'identità o una funzione specifica, in spazi non coperti da altri sottosistemi, o anche in concorrenza - ma con particolari proposte - con altre agenzie di produzione di senso.
    Il moltiplicarsi delle associazioni in cui gli individui possono maturare diverse appartenenze, la ricerca - da parte di queste associazioni - di specifici spazi e modalità di intervento: questi e altri caratteri di una società altamente differenziata non aumentano di per sé il livello di integrazione dei sistema sociale. Senza un fulcro centrale il sistema si regge su vari equilibri che si determinano indipendentemente gli uni dagli altri, e che nell'insieme danno un esito di stabilità precaria e parziale, di integrazione difficile e complessa ma possibile. Sembra questo l'unico tipo di equilibrio che può prodursi in assenza di un consenso allargato e condiviso. Esso si forma sulla base di una parziale e precaria composizione di appartenenze sociali e di interessi assai diversi e antagonisti.

    2. LA COMPLESSITÀ DEL CASO ITALIANO

    La crisi dei nostro sistema sociale non è imputabile soltanto a dinamiche proprie di tutte le società industriali avanzate, ma presenta anche particolari caratteristiche nazionali. Da questa prospettiva si può parlare di effetti dissociativi in una società altamente differenziata come quella italiana, che non ha ancora scoperto mezzi adeguati per governare la propria differenziazione o che è attraversata da tali squilibri da rendere molto difficile la sua governabilità.

    2.1. Crisi dei mito dello sviluppo e delle istanze del cambio sociale

    Tra i particolari fattori di complessità della situazione nazionale ricordiamo anzitutto la recente crisi dei due modelli sociali della mitologia dello sviluppo e dell'istanza di partecipazione nei quali si erano identificate larghe quote di popolazione. Il venir meno del potere di riferimento di tali modelli rende più appiattita e scettica la prospettiva dei soggetti che agiscono nel sociale.
    Negli anni '60 e all'inizio degli anni '70 s'è anzitutto prodotta la crisi del modello di sviluppo lineare, il fallimento di una concezione di società sempre alla ricerca di un progresso indefinito, la perdita di fiducia nei confronti della capacità di autoregolazione del sistema sociale. In altri termini, è entrato in crisi il postulato della conoscenza come potere, come dominio sulla realtà.
    Gli anni '60 sono stati dominati dal desiderio di appartenere alla società urbano-industriale, intravista come una società in grado di poter meglio soddisfare i bisogni delle persone rispetto a una società tradizionale ritenuta arretrata. Da questo punto di vista si spiegano i sacrifici che molte persone hanno sostenuto per poter far parte della società urbano-industriale. Pensiamo ai costi sociali rappresentati da fenomeni quali l'immigrazione, l'urbanizzazione, lo sgretolamento della comunità contadina o d'origine.
    Ma ben presto i soggetti hanno sperimentato che l'appartenenza alla società industriale avanzata doveva essere pagata ad elevati costi personali e sociali, e che il mito dello sviluppo non si concretizzava nella soluzione dei problemi dei servizi (casa, verde, scuole, trasporti, assistenza) e nelle riforme sociali. Pensiamo che questa disillusione sia una delle ragioni che stanno alla base dei fenomeno della contestazione e delle lotte operaie. Si è incrinato e poi è caduto in quegli anni il mito dello sviluppo, l'identificazione dei soggetti con le mete sociali e culturali che hanno ispirato gli anni della ricostruzione e dei boom economico in Italia.
    Occorre però anche riconoscere che negli anni '70 è venuta meno quella istanza di partecipazione, di lotta, di cambio del modello di sviluppo, attorno alla quale si erano focalizzate larghe masse popolari nella ricerca di una meta sociale alternativa a quella dei modello capitalistico così come si stava realizzando nel nostro paese.
    Se la contestazione e le lotte operaie hanno rappresentato un forte momento di presa di coscienza, di solidarietà, di immissione di nuovi valori e rapporti sociali nel nostro contesto, occorre però anche riconoscere che le aspettative di modifica dei modello di sviluppo e le istanze di partecipazione si sono presto attenuate, di fronte alle difficoltà reali di avviare la partecipazione e i processi di democratizzazione, e di fronte alla resistenza a piegare interessi antagonisti. S'è consumata pertanto nel corso degli anni '70 quella carica ideale che presupponeva nel «politico» il fattore essenziale per modificare la realtà. La caduta di idealità e di speranze collettive è stata determinata in parte anche dalla crisi dì quei modelli di società che - a livello internazionale - si presentavano come alternativi al sistema capitalistico.

    2.2. La stagione dei neo-corporativismo

    Un altro fattore di complessità della situazione italiana è da ritrovarsi nelle particolari condizioni in cui a livello nazionale si sta producendo un consenso sociale sempre più basato sul modello dei neo-corporativismo.
    La crisi del mito dello sviluppo e delle istanze della partecipazione - a cui s'è or ora accennato - segna il venir meno della coesione sociale basata su progetti politici globali e razionali, costruiti - pur con prospettive molto diverse - in modo che il bene collettivo risultasse superiore alle realizzazioni individuali e agli interessi particolari.
    Da un lato infatti il modello capitalistico non è più in grado oggi di garantire, attraverso la cultura dei successo meritocratico competitivo, una funzione centrale nel sistema di controllo sociale. Inoltre gli apparati di socializzazione primaria e secondaria (scuola, famiglia, gruppo dei pari, dinamica generazionale) non appaiono più in grado di garantire il consenso sociale.
    Parallelamente si sta stemperando quell'identità di classe che costituiva nei recente passato per una larga fascia di soggetti un punto di riferimento per modificare i rapporti sociali nella direzione di maggior egualitarismo sociale e di una ripresa dell'idealità politica e del senso del collettivo.
    C'è però da notare che nel nostro paese già da tempo s'è instaurato un modo di governare che non fa più riferimento all'idealità e a un progetto politico razionale capace di processi decisionali d'una certa efficacia. S'è infatti consolidata una pratica dì governo prammatico, che ricerca il consenso non tanto in base a un chiaro progetto di società ad alto senso collettivo, quanto utilizzando meccanismi di supporto che rispondono - rafforzandoli - a interessi differenziati e privatistici. Ci riferiamo a tutta quella serie di interventi di tipo assistenziale, prodotti in una logica clientelare, miranti a estendere il campo della sicurezza sociale senza creare le condizioni sociali e produttive in grado di legittimarla, attraverso i quali il potere pubblico ricercava le basi di consenso unitamente alle leggi del mercato.
    La recente crisi (economica e sociale) ha incrinato tale modello di governabilità. La carenza di risorse pubbliche, il maggior controllo di determinate forze sociali, l'acuirsi degli squilibri sociali e produttivi, rendono improponibile anche per l'attuale momento tale politica assistenziale e clientelare.
    Nella carenza di ampie prospettive politiche, nella diversificazione di interessi consolidati, nella crisi di rappresentanza dei gruppi di riferimento, il problema dei controllo sociale diventa un problema di regolazione di interessi e delle pressioni dei vari gruppi, un'opera di negoziazione che in cambio di risposte ai diversi interessi ricerca consenso sociale. È la stagione dello scambio politico, del mercato politico, dei consolidarsi dei ruolo di mediazione tra i vari interessi da parte dello stato, e dell'affermarsi di una situazione di neo-corporativismo nella quale risultano più forti i gruppi che occupano le posizioni centrali della struttura sociale e produttiva.

    2.3. Mobilità sociale e atteggiamenti nei confronti dei lavoro

    Un altro fattore di complessità si può individuare nei mutamenti intervenuti di recente nella nostra società sia nel campo della mobilità sociale che negli atteggiamenti nei confronti dei lavoro.
    Negli anni '50 e'60 s'è prodotto a livello nazionale un consistente processo di ampliamento dei ceti medi che ha avuto la funzione di polarizzare e orientare le aspettative della maggioranza della popolazione. Si guardava allora sia all'area dei ceto medio espressa dal modello dei «mettersi in proprio» che ha rappresentato un'alternativa individualistica abbastanza importante per molti italiani, e non soltanto per quelli che ci sono riusciti, sia all'area dei tecnici e dei dirigenti e in misura minore degli impiegati – figure professionali caratteristiche di una società industriale avanzata.
    Negli anni '70 sembra venir meno la tensione della popolazione verso l'una o l'altra delle due aree di ceto medio, e si accresce invece la tendenza ad appartenere a un sistema delle garanzie a cui si accede attraverso un lavoro istituzionale. In altri termini sembra estendersi la ricerca di un posto di lavoro stabile e sicuro, svolto in un ambito istituzionale, che abbia le garanzie della assistenza mutualistica e della pensionabilità, che offra un reddito adeguato a soddisfare le esigenze fondamentali della famiglia.
    Con il peggioramento relativo delle condizioni di vita (crisi petrolifere, mancata realizzazione di riforme sociali, mancanza di un allargato consenso sociale, sintomi di disgregazione sociale ... ) si attenua la rincorsa a posizioni professionali autonome e di prestigio e aumenta la tendenza ad assicurarsi una posizione lavorativa che offra ampia sicurezza di continuità di lavoro, di remunerazione e di soddisfacimento dei bisogni essenziali.
    In tale modo non sono più le inclinazioni personali o il modello di un lavoro autonomo e libero a orientare la maggioranza delle persone nella scelta professionale. Ciò che prevale è la necessità di rispondere ai bisogni dei vivere sociale di oggi e di «garantirsi» a tutti i livelli contro alcuni rischi più gravi. È chiaro che certe posizioni professionali (soprattutto quelle di nuovo ceto medio, e in particolare quello considerato in precedenza) offrono più garanzie di altre posizioni. Però tale rincorsa al sistema delle garanzie viene portata avanti in un clima di difficoltà occupazionale (in particolare quella giovanile). Per cui l'individuazione e la ricerca di garanzie sembra essere una meta ambita di per sé che si sovrappone e in parte sostituisce il ceto medio come modello e come meta di mobilità sociale verticale.
    La contrattazione sindacale ha conquistato dalla fine degli anni '60 anche per la classe operaia una certa sicurezza di vita ancorché relativa e che comunque si amplia là dove risultano maggiormente consolidate la compattezza, la combattività e l'organizzazione del movimento operaio. Parallelamente il pubblico impiego appare un'area considerevole di lavoro garantito, in quanto il modesto reddito (che per lo più in tale settore viene percepito) risulta in qualche modo compensato dalla sicurezza del posto di lavoro, in presenza di un orario ridotto di lavoro che permette eventualmente al lavoratore di offrire la propria manodopera come doppiolavorista.
    Si determina pertanto una tendenza che vede attenuarsi la polarizzazione della maggioranza degli italiani sui modelli dei ceti medi (processo rilevante negli anni '50 e '60) e la progressiva sostituzione di tale orientamento con la ricerca di un «sistema delle garanzie» che permetta una relativa sicurezza di vita in una situazione sociale di estrema precarietà e difficoltà.
    Alla fine degli anni '70 e all'inizio degli '80 il quadro subisce importanti modificazioni. Ferma restando l'esigenza di garanzia avvertita dai soggetti come condizione necessaria e indispensabile di vita, si osservano nuove tendenze - alcune di difficile decifrazione - nel mondo dei lavoro e negli atteggiamenti degli individui nei confronti dei lavoro, fatti questi che diversificano e complicano il modello di mobilità sociale centrato sulla garanzia e la concezione del lavoro che ne derivava.
    - Da questo punto di vista un primo fattore di complicazione è rappresentata dall'espansione di attività lavorative - quali il doppio e altri lavori da economia sommersa - intraprese da chi ha già un'occupazione istituzionale, il quale proprio grazie al primo lavoro usufruisce di quei vantaggi (qualificazione, affidabilità, non esigenza di garanzie previdenziali in quanto già coperto dal primo lavoro) che lo fanno preferire sul mercato della seconda attività o delle attività marginali a quanti non hanno nemmeno un'occupazione.
    Un'ampia quota di soggetti (stimata intorno al 20-30% dei lavoratori) intraprende una seconda attività più per tener elevato lo standard di vita della propria famiglia o per far fronte a spese (quali la casa, ad esempio) intraprese nel segno di una maggior sicurezza, che per soddisfare bisogni primari.
    Nella seconda attività poi una fascia di questi lavoratori recupera quella professionalità e quell'identificazione coi lavoro che sembrano venire meno nell'attività istituzionale. In alcuni casi sembrano quindi diversificarsi le logiche che spingono i lavoratori a svolgere più attività e quindi, di conseguenza, anche le diverse concezioni di lavoro.
    - Un secondo fattore di complicazione è rappresentato dal fenomeno dei lavoro rifiutato, dal fatto cioè che nel mercato dei lavoro nazionale vi sono aree di domanda e di offerta che non riescono a incontrarsi. Si creerebbe un'offerta di lavoro orientata a selezionare i posti disponibili, propria di soggetti che avendo per lo più un'attività precaria o un lavoro istituzionale di scarso gradimento, sono in ricerca di posizioni professionali più rispondenti alle aspettative, ai livelli di qualifica, e in grado di rappresentare migliori condizioni di lavoro. Per una quota dì lavoro si produce pertanto una domanda non soddisfatta, che - nel caso dei lavori più manuali - viene coperta facendo ricorso a mano d'opera di provenienza straniera.
    - Un terzo fattore di complicazione è costituito da un atteggiamento nei confronti del lavoro che si compone con la logica garantista e per certi versi la contrasta. Oltre all'istanza garantista si produrrebbe nei confronti del lavoro il rifiuto di un unico modello di impegno-dipendenza (orientamento a svolgere più attività contemporaneamente, anche istituzionali), la richiesta di flessibilità dei modulo organizzativo, la ricerca di autonomia nel determinare le condizioni lavorative; e tutto ciò anche da parte di una quota di lavoratori garantiti, che non può fare a meno di un'occupazione stabile e sicura, e che quindi compone istanze tra di loro diversificate e per certi versi contraddittorie.
    Si tratta di fenomeni e di orientamenti - quelli ricordati - che possono prefigurare importanti ripercussioni sia nella concezione dei lavoro, sia sulla politica sindacale, sia sul modello di garanzia sociale.
    Per quanto riguarda la concezione del lavoro si tenderebbe a un lavoro più funzionale alle esigenze di realizzazione della persona, alla varietà dei suoi interessi, meno costrittivo nei confronti dei lavoratore. Un diverso modo poi di organizzare le garanzie sociali (non più legate rigidamente all'unica attività istituzionale) porterebbe alla modifica del ruolo dì «garante delle garanzie» avuta in questi anni dal sindacato.

    2.4. Gli esiti individuali o di piccolo gruppo alla crisi

    Alcune osservazioni precedentemente avanzate ci introducono ad un altro carattere dell'attuale complessità sociale, individuabile nel fatto che si allarga sempre di più tra la popolazione la tendenza a far fronte ai propri problemi (di sicurezza, di stabilità economica, di esigenza solidaristica, di identità collettiva, ecc.) in termini individuali o dì piccolo gruppo, secondo strategie adattive funzionali alle varie circostanze, situazioni, problemi.
    In seguito alla crisi delle ideologie e dei sistemi sociali di riferimento (crisi del mito dello sviluppo) delle società occidentali, a capitalismo industriale avanzato, ma anche crisi dei sistemi sociali alternativi - crisi dei modelli della sinistra, dei modello sovietico, cubano, cinese..., in seguito alle crisi socio-economiche ricorrenti, in seguito alle difficoltà di integrazione e di interazione sociali che si determinano sul territorio... appaiono velleitari i tentativi dì maturare una comune e forte identità collettiva, mentre sempre più frequenti sono i ricorsi alla sfera del privato, o del piccolo gruppo per far fronte ai problemi di senso e di identificazione sociale.
    Da questo punto di vista la situazione appare - nel nostro contesto sociale - assai problematica, come esito di squilibri tipici da un lato delle società avanzate e dall'altro lato della situazione italiana.
    In un contesto di difficile integrazione sociale (basti pensare alle aree più industrializzate, alle aree metropolitane), nei contesti in cui il mutamento socioeconomico (trasformazioni economiche e produttive, situazioni di crisi) pone ai soggetti problemi di identità e di collocazione sociale, la popolazione cerca di far fronte ai problemi emergenti coi ricorso a risorse individuali e private, di piccolo respiro, in grado di avviare a soluzione i problemi che li riguardano e di soddisfare i propri bisogni.
    Emerge in altri termini una strategia adattiva della popolazione a fronte dei rischi, dei pericoli, dei problemi che presenta il vivere in una società differenziata e pluralistica e di profonda trasformazione e di crisi di idealità politiche come l'attuale.
    Un campo in cui si produce questa strategia adattiva è quello economico. Come fanno fronte le famiglie all'aumento dell'incertezza delle condizioni di vita, individuabili nell'aumento delle situazioni di cassa integrazione, nei problemi di inserimento dei giovani e delle donne sul mercato del lavoro, nei problemi dei carovita, di riduzione dei potere d'acquisto del salario e dello stipendio?
    Questa situazione se in alcuni casi ha avuto come effetto la riduzione dei consumi, o la loro considerazione in termini di essenzialità, in altri casi ha prodotto un diverso utilizzo delle risorse per raggiungere il livello della sussistenza o per mantenere il tenore di vita precedentemente maturato. In questa linea la famiglia ha sovente fatto, potenziato e alimentato l'economia sommersa (doppio lavoro, lavoro nero, a domicilio, ecc.), affidando alle prestazioni in quest'area la risoluzione dei problemi economici che la gravavano.
    In molti casi quindi le strategie usate per uscire dalla crisi, per far fronte alla crisi, aumentano gli squilibri generali dei sistema economico, mantenendo la disoccupazione delle quote marginali sul mercato dei lavoro (giovani, donne, lavoratori non qualificati ... ), ingenerando evasioni fiscali e favorendo processi di ristrutturazione anomali.
    In sintesi la famiglia può assolvere ai suoi obiettivi economici, può mettere in atto una «razionalità» economica, a scapito dell'aumento dello squilibrio dei sistema sociale ed economico. Sovente infatti la famiglia con i propri membri offre o domanda quelle varie attività sommerse che alimentano gli squilibri occupazionali e produttivi esistenti.
    L'integrazione sulla base delle strategie individuali o di piccolo gruppo emerge anche relativamente alla presenza dei soggetti nella società. Nella difficoltà di maturare un'identità collettiva, un senso di appartenenza allargato nella società, i soggetti si realizzano per lo più in ambiti associativi ristretti, nei piccoli gruppi di amici, nelle ristrette dinamiche di vicinato, tra persone con comune condizione di vita.
    È questa ovviamente una tendenza allargata nella società attuale, in un contesto la cui complessità spinge le persone a ricercare spazi sicuri e affidabili di identificazione. In molti casi però la realizzazione in piccoli gruppi, il senso di appartenenza a ristrette realtà associative non produce, non predispone ad un senso di appartenenza allargato nella società. In molte dinamiche associative, in molte relazioni, appare infatti carente la dimensione collettiva, il senso comunitariamente allargato. Ne deriva l'assenza di una tensione sociale e collettiva allargata, la caduta della partecipazione.
    La pratica di strategie individuali e di piccolo gruppo si estende a molti altri campi oltre a quelli ricordati. Più che continuare nell'esemplificazione, qui ci preme ricordare che se attraverso di essa è possibile avviare a soluzione in modo immediato i problemi soggettivi o di piccolo gruppo, si può far fronte in qualche modo ad una situazione problematica per i soggetti, lo stesso non si può affermare relativamente ai problemi e all'equilibrio della società. Non sempre infatti l'avvio a soluzione dei problemi individuali produce conseguenze positive per la società. La complessità dell'attuale contesto sociale consiste anche nella discontinuità che si sta verificando tra soluzione delle contraddizioni individuali e soluzione dei problemi sociali.

    2.5. Contraddittorietà di istanze culturali e incoerenza dei comportamenti

    Un altro elemento di complessità sociale si può individuare nella compresenza nel nostro contesto sociale di istanze, tendenze, valori, che rivelano tra di loro caratteri contraddittori. Ci riferiamo, in particolare, all'istanza prammatica conseguente alla esigenza indifferibile per i soggetti di un «sistema delle garanzie»; alle istanze individualistiche e private di cui è portatrice la società dei consumi che induce nei soggetti - con rinnovato vigore - falsi bisogni; all'emergere di una tendenza radicale per la quale la soddisfazione personale e immediata diventa il criterio ultimo di giudizio della realtà; all'allargarsi della domanda di partecipazione sociale.
    Ciò che rende singolare il presente contesto culturale è che queste istanze che per certi versi sono tra di loro contraddittorie, risultano di fatto compresenti in molti soggetti, producendo pertanto una condizione di «incoerenza» di atteggiamenti e di comportamenti. Tale fenomeno di incoerenza si può far risalire alla scarsa predisposizione dei soggetti a riferirsi a progetti di vita e di azione sociale totalizzanti e «razionali», dal momento che nel soddisfacimento dei bisogni della vita quotidiana prevale l'orientamento a considerare quelle istanze che meglio possono soddisfare i bisogni immediati, senza considerare gli eventuali problemi di incongruenza che possono sorgere dalla composizione di tali istanze diversificate.

    Il garantismo
    Per quanto riguarda il primo aspetto, sulla linea di quanto s'è detto in precedenza, appare sempre più acuta da parte dei soggetti l'esigenza di un lavoro garantito e stabile, che non risenta dei flussi congiunturali, che offra sicurezza di vita. E in genere tale lavoro si caratterizza per l'impersonalità dei rapporti, per un orario ' ben definito, per la ' scarsa considerazione dei contenuto professionale e quindi per una scarsa identificazione del lavoratore con l'occupazione stessa. Infatti la propensione professionale nella maggior parte dei casi cede il passo alla ricerca dei lavoro che garantisca di più. Si tratta di un aspetto che ha caratterizzato gli anni '70 e che si ripercuote nelle preoccupazioni e tensioni quotidiane delle persone, delle categorie, dei gruppi sociali. Si tende a ricercare un lavoro maggiormente garantito, a rivendicare maggiori garanzie nell'ambito lavorativo e di categoria. Si assume così un atteggiamento prammatico che dal campo lavorativo si estende anche ad altre sfere della vita sociale e informa in generale il comportamento dei soggetti.

    La ripresa del consumismo
    Di fronte alla crisi dei gruppi di riferimento, all'assenza di chiare prospettive sociali e collettive, alla perdita dei potere d'acquisto della moneta (inflazione galoppante), molti soggetti si orientano a scelte intermedie tese a soddisfare le loro esigenze immediate e a realizzare una condizione di vita personalmente gratificante e soddisfacente.
    Sembra far parte di questa prospettiva il recente ritorno al consumismo dì larghe quote di popolazione che ricercano in un soddisfacente tenore di vita una risposta parziale e immediatamente appagante al bisogno di identificazione e di gratificazione sociale. li fenomeno, pur se di dimensioni contenute rispetto agli anni dei boom economico, risulta attualmente assai singolare, soprattutto in rapporto a condizioni sociali in cui si prefigurava una pratica di austerità sia per la crisi che ha investito le economie occidentali, sia per i programmi politici di alcuni partiti e di determinate forze politiche.
    La recente attualità dei consumismo sembra imputabile al fatto che esso si presenta in risposta a importanti esigenze della persona, creando nuovi bisogni il cui soddisfacimento viene ritenuto dai soggetti indifferibile ed essenziale per la loro realizzazione. Le agenzie consumistiche infatti più che il prodotto offrono determinati modelli di comportamento e di realizzazione sociale. Non si tratta ovviamente di un'offerta astratta. Si producono alcuni divi; alcuni slogans; alcune immagini sociali di emancipazione, di soddisfacimento, di autonomia, di realizzazione; alcune opinioni; alcune idee-chiavi... in grado di rappresentare immediate risposte a problemi e aspettative quotidiane. li far leva sul quotidiano è infatti un punto-forza dei consumismo, che intende così, proponendo soluzioni presentate come realistiche e plausibili, andare incontro a esigenze personali dei soggetti. Si determina quindi, a questo livello, un consenso su «valori» e istanze della sfera privata, più che in quella della partecipazione sociale e politica, più che nella sfera pubblica e collettiva.
    Nella ripresa dei consumismo appare evidente il suo carattere di flessibilità, intesa non soltanto come capacità di adeguarsi ai mutati gusti dei consumatori, ma anche di interpretare - attraverso nuove offerte - la sensibilità dell'uomo contemporaneo, fino a far leva su quelle istanze anche innovative che sono alla base della recente presa di coscienza sociale (contestazione, emancipazione femminile e giovanile, diritti civili).

    L'istanza radicale
    «A partire dagli anni '70» - per riprendere una formulazione di Baget-Bozzo si produce nella cultura contemporanea una istanza radicale che «non riconosce più un valore proprio né all'etica, né all'universalità, né alla natura. La riscoperta dell'individuo e della sua soddisfazione quale criterio ultimo di giudizio, la fissazione dell'esperienza, anzi delle esperienze quale parametro decisivo» sono le linee di fondo di tale istanza culturale.
    A formare questa istanza e sensibilità hanno senza dubbio contribuito fattori diversi tra di loro e, per certi versi, contraddittori.
    - Uno di questi fattori è rappresentato dal modello economico occidentale che pone in considerevole risalto il soddisfacimento dei consumi individuali. All'interno di tale modello, in linea con la tradizione liberale e imprenditoriale, è stata attribuita grande rilevanza all'istanza della libertà individuale e dell'autonomia personale, che non deve essere mortificata da regole o pressioni esterne.
    - In secondo luogo la considerazione e l'uso della scienza e della tecnica nell'età contemporanea ha messo in evidenza il prevalere di un carattere pragmatico nell'agire sociale, che il più delle volte diventa un criterio ultimo delle scelte sociali.
    - Ancora, molte istanze libertarie presenti nelle rivendicazioni e progettazioni alternative e contestative dell'attuale sistema sociale, erano portatrici di valori di libertà e di autonomia nei confronti dell'assetto sociale.
    Le contraddizioni dello sviluppo sociale dell'attuale sistema dominante hanno provocato tali limitazioni e condizionamenti, da far apparire l'individuo, i gruppi sociali e la loro soddisfazione in balia di processi complessi che impedivano la possibilità di determinare le condizioni della propria esistenza.
    Ciò ha innescato in molti casi la rivendicazione e la lotta per instaurare una presenza sociale che non sia solamente passiva e subordinata, ma che veda i soggetti collettivi attivi nel produrre la società.
    In sintesi, la nuova ondata di radicalismo può essere così interpretata. In un mondo e in una società che appare sempre meno a dimensione d'uomo, che appare sempre più razionale sui mezzi e sugli strumenti senza mettere in discussione le istanze ultime dello sviluppo, che conculca in forme sottili le esigenze di libertà e di autonomia, che in virtù di discorsi globali (religiosi, filosofici, politici, ideologici) favorisce il mantenimento dello status quo e il differimento nella soluzione dei problemi concreti e della situazione di dipendenza e di ingiustizia sociale... si produce una proposta neo-radicale che assume come criterio ultimo di giudizio il soddisfacimento delle aspettative dell'uomo a cominciare anzitutto da quelle sensibili. Il metro di giudizio è l'esperienza, la prassi, la possibilità effettiva di raggiungere il piacere e di fuggire il dolore, la ricerca della soddisfazione e della propria affermazione personale.
    Si tratta di un'istanza caratterizzata da forte soggettività, in quanto la prospettiva della soddisfazione individuale più che dipendere da un bene collettivo, viene per lo più considerata come obiettivo valido in se stesso, e da ottenere in termini immediati. La soddisfazione dei piacere individuale è pertanto principio dei soddisfacimento sociale.

    Il bisogno di partecipazione sociale
    In un bilancio dei recente passato non si può disconoscere che gli anni '70 in Italia, pur in mezzo a molte contraddizioni, abbiano segnato un evidente e significativo passo in avanti della democrazia.
    E ciò non solo perché a livello legislativo è stata data una maggior autonomia agli enti locali e sono stati previsti organi decentrati di partecipazione e di organizzazione sociale. Mi riferisco al riconoscimento delle comunità montane, dei comprensori, dei consigli e distretti scolastici, dei comitati di quartiere...
    Ma anche perché, al di là di tali spazi normali di partecipazione, sembra essere cresciuta dal basso un'effettiva domanda di presenza sociale che è alla base dello stesso processo di decentramento amministrativo. La contestazione e le lotte operaie (fine anni '60 e inizio '70), le battaglie per i diritti civili, l'azione di alcuni movimenti (femminista, giovanile) hanno innescato una domanda di partecipazione che nonostante la contraddittorietà e la drammaticità dei momento presente sembra perdurare e che comunque contribuisce a fissare esperienze e prese di coscienza difficilmente differibili.
    Rifiuto del principio della delega; maggior presa di coscienza della propria condizione e maggior informazione sulla realtà sociale; esigenza di controllo della cosa pubblica; smitizzazione di alcuni ruoli sociali che fissavano il dominio di alcune figure e la dipendenza di altre, ricerca di nuovi rapporti interpersonali, nuova qualità della vita... queste e altre istanze di partecipazione sono contenute non soltanto nelle domande politiche di molti soggetti, ma permeano ormai la loro vita quotidiana.

    LA NUOVA CULTURA GIOVANILE

    Si cerca di esporre, in questo contributo, un profilo del giovane d'oggi, l'identikit dei giovane medio all'inizio degli anni '80. Nell'evidenziare i caratteri e i bisogni che accomunano l'attuale condizione giovanile, si è consapevoli di correre il rischio di fare un discorso generale, che non rispecchia le differenze tra i vari tipi di giovani (lavoratori /studenti; maschi/femmine; residenti in città/campagna; residenti al nord, al centro o al sud; impegnati o non; appartenenti a famiglie operaie o del ceto medio, ecc.).
    La varietà e l'articolazione dei mondo giovanile non può essere adeguatamente rappresentata dalla descrizione di alcuni caratteri generali. Pur con questa consapevolezza si è optato per una prospettiva generale dal momento che si ritiene particolarmente necessario prendere coscienza - nell'attuale momento storico - di alcuni profondi processi di trasformazione che interessano l'area giovanile e la differenziano dal mondo degli adulti.
    L'ipotesi di fondo è che i giovani nel tempo presente esprimano un modello di socializzazione (di acquisizione di modelli di comportamento, di valori, di idee, di atteggiamenti ... ) assai diverso da quello che caratterizzava chi ha vissuto la propria giovinezza negli anni '50 o '60; in altri termini la realtà sociale e le sollecitazioni culturali attuali risulterebbero profondamente differenti rispetto a quelle di qualche decennio fa, informando anche i nuovi modi di pensare e di vivere delle giovani generazioni.
    Appare quindi importante analizzare i processi di mutamento, individuare le ripercussioni sulla condizione giovanile delle trasformazioni socio-culturali, e ciò per rilevare il significato e la direzione dello stesso cambio sociale. Questa prospettiva risulta preliminare all'obiettivo di considerare come i vari tipi di giovani vivono in modo specifico i caratteri e i bisogni tipici della loro condizione.
    Occorre ancora premettere che le affermazioni qui contenute sono avallate da dati e indicazioni emergenti da diverse indagini empiriche, di cui non si trova però riscontro nel testo.
    Ciò significa che questo lavoro non è frutto di una considerazione astratta sulla condizione giovanile, ma trae spunto da un'ampia gamma di indicazioni di ricerche che a diverso titolo e livello sono state condotte recentemente in varie parti d'Italia.

    1. ASSENZA DI PROSPETTIVE GLOBALI E ATTENZIONE AL PRESENTE

    Nei giovani d'oggi si osserva un'assenza di prospettive che si può far risalire almeno a 4 fattori: la crisi delle idealità sociali e politiche proprie d'una società complessa; la non identificazione con le mete socio-culturali dominanti che avevano esercitato una forza d'attrazione nei confronti di quanti hanno vissuto la giovinezza negli anni della ricostruzione o dei boom economico; la crisi e la difficoltà della partecipazione; l'incapacità propositiva come orientamento culturale specifico di questa generazione.

    1.1. La complessità sociale e la crisi delle idealità

    Anzitutto l'abbassamento delle aspirazioni, l'incapacità di individuare punti di riferimento positivi, sono una ripercussione nei soggetti giovanili dei clima di complessità che caratterizza l'attuale società.
    La crisi delle speranze collettive, la difficoltà a far maturare uno spirito comunitario, la consapevolezza che gli effetti imprevisti di decisioni politiche e di processi sociali superano in molti casi la possibilità di previsione e di controllo, la difficoltà a individuare la direzione di cammino di questa società... sono tutti fattori che contribuiscono a produrre nei soggetti disorientamento, coscienza di aver a che fare con realtà più grandi della propria capacità di comprensione e di intervento. Soprattutto in quanto si stanno affacciando alla società, risultano particolarmente esposti ad essere negativamente influenzati da questo clima di bassa pressione, di incertezza circa gli esiti dello sviluppo e dell'assetto sociale, da insicurezza circa le capacità e possibilità previsive e di governo dei processi sociali ed economici in atto.

    1.2. È difficile identificarsi con le mete socio-culturali

    La crisi di prospettive è poi dovuta anche al fatto che i giovani non si identificano più - in generale - con le mete socio-culturali attualmente predominanti o prevalenti nel recente passato, per cui si constata che molti valori attorno a cui i giovani degli anni '50 e '60 avevano costruito la loro esistenza non rappresentano più un punto di riferimento positivo per i giovani d'oggi.
    Esemplificando, i giovani non sembrano più fare nella loro vita esperienza di quella consequenzialità sforzi-risultati che aveva portato i giovani di 2030 anni fa a identificarsi coi sistema sociale, in quanto attraverso le posizioni sociali acquisite difendevano anche la loro identità. Nel tempo presente i giovani non avvertono più una rispondenza tra tensione e realizzazione, una continuità tra sforzi e possibilità di raggiungere le mete intraviste, una corrispondenza tra impegno e conseguimento dei risultati. Possono pertanto venir meno anche i valori di laboriosità, di onestà, e accrescersi invece il senso dei condizionamento sociale e della passività individuale.
    Oltre a questi valori sembrano venir meno nell'area giovanile anche quelli attorno a cui molte persone hanno costruito il rapporto di coppia o la vita familiare. Sembra infatti lontano dalla sensibilità giovanile - come vedremo anche più avanti - il modo di vivere il rapporto di coppia basato su una rigida divisione di ruoli tra maschi e femmine e sul prevalente ruolo di soddisfazione dei bisogni dei nucleo familiare da parte della donna e di prevalente realizzazione extrafamiliare dell'uomo.
    Gli esempi si potrebbero moltiplicare, ma starebbero tutti ad indicare che i giovani non fanno più esperienza - nel tempo presente - dei valori che appaiono prevalenti tra gli adulti, in rapporto ai quali risultano quindi scollegati.

    1.3. Nessuna prospettiva di cambio sociale

    Del resto però i giovani risultano anche sradicati dalle prospettive di cambio sociale, di lotta e di partecipazione, espresse dalle lotte operaie e dalla contestazione. Anche in questo caso essi hanno maturato un'esperienza diversa da quella della. generazione della contestazione, nel senso che rispecchiano nei loro modelli di comportamento e nei loro atteggiamenti più la realtà della crisi che le prospettive del cambio sociale. Più che identificarsi in un impegno sociale che non può prescindere da una forte identità, i giovani d'oggi sembrano alle prese coi problema dell'identità, ripiegati quindi sui problemi personali, sulle istanze di soddisfacimento dei propri bisogni.

    1.4. La difficoltà di costruire proposte

    Ma un'altra spiegazione dell'assenza di prospettiva dei giovani è da trovarsi nella loro fisiologica (proprio perché giovani e quindi in molti casi con nessuna o scarsa autonomia di vita) incapacità di essere propositivi, di passare cioè dal momento della negazione o di rifiuto di modelli tradizionali, propri di un tipo di socializzazione diversa dalla loro, al momento costruttivo della proposta e traduzione di modelli diversi, che più esprimano la propria sensibilità.
    Si potrebbe ancora dire che i giovani non desiderano essere propositivi, nel senso che per essi è bene che ognuno decida da sé senza ingerenze altrui. Lo spirito di «missionarietà» sembra aver perso cittadinanza nella condizione giovanile.
    Carenza di prospettive significa pertanto che il giovane ha nella sua sensibilità intravisto modelli di realizzazione personale diversi da quelli esistenti, ma che non ha le risorse, la capacità di attuarli. E’ comunque un momento di trasformazione, di cambio, di nascita di sensibilità diverse: un momento che esprime - a livello giovanile - il processo e le dinamiche del mutamento sociale.

    1.5. Viene privilegiato il momento presente

    La carenza di prospettive toglie poi alle persone la possibilità di dare un senso ai problemi del presente inglobandoli nella prospettiva del futuro, della meta da raggiungere, dell'obiettivo da conseguire. Per cui sì ha a che fare con giovani che vivono in modo molto più acuto le contraddizioni del momento presente, che vivono in modo intenso l'esperienza presente, ripiegati sul momento attuale, proprio perché l'assenza di prospettiva, di mete sociali e personali molto coinvolgenti, fa privilegiare l'attenzione dei momento presente come unico momento significativo di vita.
    Stiamo descrivendo qui un processo che appare assai diverso da quello che caratterizzava quanti hanno vissuto la loro giovinezza negli anni '50 e '60. Allora ciò che predominava era il raggiungimento di un obiettivo, il seguire una prospettiva di meta sociale e personale, per cui il momento presente (gli anni giovani) veniva considerato come supporto dei futuro, come rito di passaggio e momento di mediazione che trovava il suo senso nel permettere o facilitare il raggiungimento della meta prefissata. Con la conseguenza che se da un lato non si avvertivano le incertezze e le frustrazioni dei momento presente proprio perché l'obiettivo dava un senso ad esse, dall'altro si era portati a non vivere in modo pieno gli anni giovani, a metterli tra parentesi o a considerarli strumentali al raggiungimento di un obiettivo capace di polarizzare le proprie energie e aspettative.

    2. ESPANSIONE DELLA SOGGETTIVITÀ E I MODELLI CULTURALI ED ETICI

    Un altro carattere che sembra accomunare la maggior parte degli attuali giovani è rappresentato dalla espansione della soggettività.

    2.1. Che cosa significa espandere la propria soggettività

    Con tale termine si intende in primo luogo indicare che la prospettiva degli individui è centrata soprattutto sul soddisfacimento dei propri bisogni, sull'importanza di avviare a soluzione i propri problemi, di non procrastinare attese ed aspirazioni: in altri termini, sulla centralità dell'autorealizzazione.
    L'obiettivo primario a cui i soggetti tendono la loro ricerca, è di condizioni umanamente soddisfacenti per la propria vita, è di soluzione dei problemi, è di appagamento dei bisogni e delle esigenze, La prospettiva dei soggetti appare così fortemente polarizzata sulla propria biografia, sulla valorizzazione positiva delle risorse ed opportunità a disposizione, sulla possibilità di evitare anticipatamente elementi e condizioni negative.
    In secondo luogo affermazione della soggettività significa attenzione alla sfera dei sentimenti e dei desideri, dell'affettività e dell'eros, della riappropriazione del corpo e dei divertimento: in sintesi, all'esigenza di felicità. In questa linea la prospettiva dell'uomo contemporaneo è quella di trovare soddisfazione a partire soprattutto dalle esigenze sensibili, dalla sfera delle relazioni e degli affetti, dalla ricerca di condizioni che favoriscono il raggiungimento dei piacere e l'eliminazione dei dolore.
    In terzo luogo l'affermazione della soggettività assume il carattere di immediatezza. Le esigenze di autorealizzazione e di risposta ai problemi, di soddisfacimento dei bisogni risultano per i soggetti non differibili, non procrastinabili, da affrontare in termini immediati, da risolvere nella dinamica dei qui-ora. Emerge pertanto un atteggiamento di ricerca immediata di realizzazione, di immediato avvio e soluzione dei problemi e delle esigenze.

    2.2. Il rifiuto dei modelli astratti e astorici

    È indubbio che il modello della centralità soggettiva indica lo scollamento indiretto - e per lo più inconsapevole - degli attuali attori sociali dai modelli etici e culturali caratterizzati da forte progettualità e oggettività e dal modo con cui questi modelli risultano concretizzati storicamente. In particolare il distacco appare accentuato sia nei confronti dei modelli etici - come quello dei cristianesimo - che comprimono la soggettività umana in rapporto ad una natura che ad essa pre-esiste e che non è riducibile ad essa, sia nei confronti di quei modelli - a base ideologica e politica - che subordinano le esigenze della soggettività ad un progetto di realizzazione futura. E La critica indiretta che si produce nei confronti di questi modelli è anzitutto quella di essere astratti e astorici rispetto alle concrete situazioni di vita, rispetto alle contraddizioni dei tempo presente, rispetto alla capacità di avviare a soluzione i bisogni impellenti dell'uomo. Il loro riferimento a realtà ultime o a realizzazioni future («storiche») appare insignificante per le concrete situazioni di vita Ii loro carattere eccessivamente escatologico, la loro progettualità a lungo termine, sembra disattendere l'indifferibile esigenza di risposta ai problemi immediati.
    Inoltre tali modelli sembrano essere attenti soltanto alla sfera della razionalità, dell'idealità, del senso ultimo dell'esistenza, mentre non tengono presente o comprimono o mortificano le esigenze affettive e sensibili. In molti casi la sfera dei sentimenti e dei desideri, la sfera dei bisogni e delle urgenze, la dimensione del piacere e della felicità sembrano essere considerate da questi modelli in termini di regressione o di marginalità.
    In altri termini tali modelli sembrano non tener presente l'esigenza di globalità dei soggetti, la totalità della persona, operando una distinzione tra elementi «razionali» ed elementi ritenuti «irrazionali». La loro razionalità sui valori e sugli obiettivi non sembra tener conto di tutti i bisogni dell'uomo e soprattutto di quelli che abbiamo definito «sensibili».

    2.3. Un nichilismo di corto respiro

    La tendenza di fondo è di abbandonare le grandi questioni dei senso, i grandi riferimenti ideali, gli apparati normativi e oggettivi dotati di alta razionalità e progettualità, le risposte totalizzanti e omnicomprensive per affidarsi ad una ricerca di senso che non esca dai confini della quotidianità, ad una tensione che nel momento stesso in cui appare più vicina alle concrete situazioni storiche risulta anche umanamente più praticabile.
    Saremmo di fronte a quell'orientamento definito da alcuni come nichilismo di corto respiro, pratico, di debole intensità, che non ha più il pessimismo irreversibile nei confronti della realtà che caratterizzava quello classico: in questo caso una sorta di realismo e di fatalismo preclude ai soggetti la ricerca di grandi tensioni ed idealità, ma non impedisce loro di ricercare significati per la vita quotidiana, per ritrovare a questo livello uno spazio di umana emancipazione e condizioni di vita soddisfacenti.
    In questa linea i criteri di orientamento dell'esistenza risiedono non al di fuori della prospettiva dei soggetti, ma nelle concrete situazioni di vita, nell'esperienza quotidiana. Si attribuisce così valore a quelle esperienze, istanze, aspetti, realtà in grado di avviare a soluzione i propri problemi, le proprie esigenze, di ridurre l'incertezza e l'insicurezza, di produrre identificazione e stabilità.
    Ora, se i criteri di giudizio dell'azione e dell'affermazione dei valori sono i bisogni da soddisfare e gli interessi da perseguire, è chiaro che la vita dei soggetti apparirà chiaramente determinata da istanze immediate, disancorata da progetti di ampio respiro e da mete sociali di rilievo.

    2.4. I limiti dei modello di autorealizzazione

    Dalla descrizione di questo quadro appaiono evidenti i limiti e i rischi - accanto ad alcuni aspetti interessante - insiti nel modello di autorealizzazione, dell'espansione della soggettività: scarsa considerazione degli aspetti del dover essere, della dimensione normativa; prospettiva individualistica di realizzazione; frammentarietà dell'esistenza e centralità dei tempo presente, proprio di chi appare carente di progettualità.
    Si tratta di aspetti largamente riscontrabili nell'attuale condizione giovanile.
    Si osserva infatti nel giovane d'oggi l'impossibilità di elaborare e di tendere ad un disegno coerente di vita, di concepire la vita come un processo coerente di crescita, di vivere da protagonista importanti aspetti e momenti della propria esistenza.
    Questa carenza di ampia progettualità deriva al giovane anzitutto dall'esperienza che egli fa nella società contemporanea. Qui egli scopre che è difficile essere protagonista della propria storia, che il suo campo decisionale è ridotto, che è al di fuori della propria possibilità il conseguimento di determinati obiettivi.
    Il non riuscire a trovare lavoro in linea con i propri studi; la difficoltà di trovare casa; la constatazione che al riconoscimento sociale della propria maturità (voto ai 18 anni, attenzioni della società consumistica, attenzioni dei partiti politici al momento elettorale ... ) non fanno seguito concrete possibilità di essere autonomi e indipendenti: sono tutte esperienze che fanno prendere coscienza al giovane che la sua vita deve fare i conti con la complessità dei problemi e dei condizionamenti sociali, e che l'esercizio della progettualità appare per lo più Fine a se stesso, incapace di produrre risultati soddisfacenti.
    È soprattutto da queste esperienze che il giovane interiorizza l'instabilità, la precarietà, il vivere alla giornata. Sono pertanto i fatti, le situazioni, le esperienze, a non abituare i giovani a ricercare il progetto, a rifiutare disegni di ampio respiro per la propria esistenza. Dalle concrete situazioni di vita si produce una scarsa abitudine alla «razionalità», alla progettualità.

    2.5. Il primato dell'esperienza: il soggettivo quale norma

    Oltre alla carenza di progettualità, è assai allargata nei giovani l'assunzione di criteri soggettivi di comportamento, l'attribuzione dei primato all'esperienza nel suo orientarsi nella società.
    Il giovane d'oggi, più che dare importanza alle norme, ai progetti di vita, agli ideali, sembra orientato prevalentemente a vivere la propria vita, a fare esperienze, e a verificare alla luce della propria esperienza la bontà e l'efficacia di proposte di vita e di modelli di comportamento. Si esprime in tal modo l'accentuazione del primato dell'esperienza, a scapito della norma, dell'idealità, del progetto, di un quadro teorico e normativo di riferimento.
    In altri termini ci si trova di fronte a soggetti presi soprattutto dall'esigenza di vivere, di sperimentare, di condurre in concreto la propria esistenza, e che tendono a porre in secondo piano i problemi della razionalità della propria vita, dei senso ultimo della propria esistenza, delle norme sociali e ideali a cui ancorare la propria esperienza.
    Si potrebbe affermare che la classica bipolarità teoria-prassi, norma-prassi, si risolva nel giovane d'oggi prevalentemente a vantaggio della seconda, e che la dimensione normativa abbia perso di efficacia dialettica nell'esperienza giovanile.
    Con ciò ovviamente non si vuole affermare che il giovane d'oggi non esprime valori nelle scelte che lo contraddistinguono, né che la sua esistenza si riduca ad una pura istintualità. Ciò che si vuoi sottolineare è che il giovane è portato istintivamente a vivere, più che a porsi problemi, a sperimentare più che a chiedersi se le azioni che egli compie rientrano in qualche codice morale o sono coerenti con determinati modelli di comportamento presenti nel contesto sociale; a fare della prassi il modo concreto di valutare la bontà di un'idea, di un obiettivo, di una scelta.
    Anche questo primato dell'esperienza, della prassi, ha radici sociali, in quanto in un contesto di caduta delle speranze collettive, di crisi dei modelli sociali di riferimento, di pluralismo di proposte e stili di vita, i giovani sono portati a riconoscere che non esistono «valori» assoluti, a guardare in modo scettico le varie istanze sociali, a considerare che sono legittime tutte le scelte e i comportamenti dei soggetti a patto che non pretendano di vincolare la vita degli altri. In tal modo il giovane ricerca la verità per sé, diventa egli stesso il criterio di valutazione di determinate proposte ed istanze, attribuisce «valore» a ciò che lo aiuta nel soddifacimento dei suoi bisogni.
    In molti casi primato dell'esperienza significa - come è stato ricordato - attenzione alle finalità immediate, esigenza di rispondere a bisogni impellenti, rifiuto di progetti o di modelli che appaiono irraggiungibili o astratti, perdita di significato dei progetti e delle norme che esprimono finalità ultime, perdita di idealità. E parallelamente primato dell'esperienza significa anche considerazione di tutti i bisogni dell'uomo; rifiuto di modelli di vita che nella loro razionalità non rispondono all'esigenza della totalità della persona, esigenza di globalità.

    2.6. L'esito: la frammentazione

    In generale quindi si può affermare che i giovani tendono a non riconoscere l'esigenza d'un progetto globale o di una morale universalmente valida per ogni individuo, in grado di informare tutte le situazioni di vita, di dare ad essa coerenza ed unilateralità. Per la propria realizzazione appare non indispensabile riferirsi ad un progetto, tendere all'unitarietà dei comportamenti, delle azioni e delle pratiche di vita.
    In questa linea sembra prevalere nei giovani una situazione di frammentarietà, proprio di chi - oltre a essere a ciò orientato anche dalle condizioni di vita - non si preoccupa di individuare un filo conduttore unitario alla propria esistenza, dal momento che l'obiettivo che si pone è quello dell'autorealizzazione, non quello della congruenza dei comportamenti. Ciò che quindi viene oggi particolarmente messo in discussione dai giovani è il concetto di forte progettualità, come d'una realtà in grado di dare senso, significato a tutta l'esistenza.
    Con ciò non si intende affermare che i giovani oggi rinuncino completamente alla progettualità, ad organizzare la propria esistenza attorno ad alcune idee e valori, a far ordine nella propria vita quotidiana. Per lo meno come tensione i giovani sono alla ricerca di rapporti umanamente gratificanti, di spazi e momenti vivibili e significativi per la loro esistenza. Nel presente momento storico essi ricercano nel piccolo gruppo d'amici, nelle relazioni interpersonali, nelle piccole pieghe della vita quotidiana, nella strategia adattiva, una risposta a quel problema del significato che sembra irrisolvibile a livello dei macro-sistemi, delle ideologie, delle idealità sociali e politiche.
    Più che il rifiuto della progettualità tout-court, dei principi morali, i giovani sembrano prevalentemente negare una forte progettualità, un disegno fortemente coerente di vita, in quanto fanno fronte al problema della realizzazione personale in termini accentuatamente soggettivi, determinando autonomamente ciò che è significativo.

    3. I GIOVANI D'UN CONTESTO SOCIALE DIFFERENZIATO

    I giovani d'oggi esprimono nelle loro esperienze, istanze, sensibilità, la caratteristica di estrema differenziazione dei nostro sistema sociale. Essi non confinano la loro vita prevalentemente all'interno di istituzioni alle quali era ufficialmente demandata nel passato la funzione formativa (come potevano essere la famiglia e la scuola), né attribuiscono a tutte le loro esperienze ed appartenenze un significato prevalentemente unitario. Oltre che nella famiglia o nella scuola o nel mondo del lavoro, essi fanno parte del gruppo dei pari (gruppo amicale), hanno molteplici interessi, moltiplicano i luoghi e le occasioni d'incontro, fanno esperienze diverse (alle quali attribuiscono grande importanza per il loro personale arricchimento), appartengono - in molti casi - a gruppi e movimenti organizzati.
    Abbiamo pertanto a che fare con un giovane che risponde alla complessità sociale (all'estrema differenziazione del sistema sociale) con il moltiplicare le appartenenze, le esperienze, le iniziative, gli interessi, con un giovane che in luogo di confinare la sua esperienza in ambiti ristretti e ufficialmente riconosciuti tende a sperimentare e a conoscere in modo autonomo, nel tentativo di essere attivo nel determinare la propria vita quotidiana, quanto è nella sfera della proprie possibilità.
    Il giovane, in altri termini, vive una socializzazione «differenziata». Appartenendo a diversi ambiti sociali, effettuando diverse esperienze, occupando molteplici posizioni nella società, egli viene in contatto con valori, istanze, concezioni di vita, modelli di comportamento, assai diversi tra di loro e in molti casi discordanti. In altri termini egli fa esperienza della pluralità culturale e della differenziazione sociale. Appare quindi evidente come l'acquisizione dei valori, la formazione della personalità, l'interiorizzazione delle mete sociali avvengano nel giovane più all'insegna della differenziazione che dell'unitarietà.

    3.1. L'orientamento a non precludersi alcuna possibilità di scelta

    La pratica della differenziazione sociale produce nei giovani l'orientamento a non precludersi alcuna possibilità di scelta. Un campo infatti in cui si misurano gli effetti della esposizione dei giovani ad un contesto culturale e sociale fortemente differenziato è quello delle scelte e delle opzioni di vita.
    La scelta, soprattutto se risulta assai importante (come l'opzione fondamentale), viene intravista e percepita dal giovane come una tappa che comporta molti abbandoni, che preclude esperienze e possibilità, che incanala l'esistenza in ambiti ristretti. C'è quindi l'orientamento a ritardare l'assunzione di scelte importanti, a considerare più le preclusioni che scaturiscono da eventuali scelte che gli aspetti positivi che ne conseguono. Più che disponibilità a scelte che vincolano in modo decisivo la propria esperienza, si è disposti a impegni a tempo determinato, a vincoli e legami che non abbiano il carattere di definitività.
    L'esigenza di garantire una libertà di fondo alla propria vita deriva dal valore attribuito dai giovani alle varie esperienze che essi possono fare, alle possibilità di relazioni, di impegni, di stimoli che essi intravvedono. li poter fare più esperienze, il non limitare la propria vita a poche ed essenziali espressioni, viene considerato un valore assai positivo, un segno di completezza della persona, un modo di maggior realizzazione.
    Ovviamente anche in questo caso si può far riferimento al contesto socio-culturale per individuare quanto esso non predisponga i soggetti a scelte importanti e decisive, ad opzioni fondamentali. Il clima di relativismo sociale e culturale, la crisi delle ideologie, le difficoltà ad attuare riforme e partecipazione, la pluralità di esperienze e di diversità di modi di vita che caratterizzano la nostra società fanno sì che i giovani sentano come negativa - per la propria personale realizzazione - un'assunzione di responsabilità e la maturazione di decisioni che preclude loro di fatto altre possibilità di vita e altre esperienze.
    Si può a questo proposito ipotizzare che la mancanza da parte dei giovani di un orientamento professionale in grado di coinvolgere la vita dei soggetto (nel quale cioè il soggetto trovi un motivo di identificazione) possa predisporre a decisioni e scelte che abbiano uno scarso vincolo anche nella vita privata.

    3.2. Ripercussioni sui giovani della pratica di differenziazione

    Quali ripercussioni ha questa pratica di differenziazione sociale, questa esposizione a modelli culturali molteplici, nell'orientamento culturale delle giovani generazioni?
    Una prima generale conseguenza riguarda la refrattarietà dei giovani a identificarsi con le appartenenze piti impegnative e nei modelli culturali caratterizzati da elevata progettualità. Oggi più che mai si ha la coscienza del relativismo delle scelte, delle preclusioni a cui si va incontro operando determinate scelte. Si espande così, sempre di più, la vocazione ad essere «cani sciolti», senza collare, in modo da poter girovagare liberi qua e là in virtù dell'appartenenza a se stessi. C'è il timore che la scelta di campo, l'etichettamento, possano rappresentare più un vincolo che un arricchimento, più un condizionamento che un vantaggio culturale o esperienziale.
    Una seconda conseguenza è individuabile nel fatto che sovente i giovani hanno difficoltà a ridefinire la loro identità in rapporto alle diverse appartenenze e ambienti in cui sono inseriti, ai diversi riferimenti culturali con sui vengono in contatto.
    Nell'affacciarsi a contesti sociali e culturali molteplici e diversi, il giovane si espone al rischio della dissociazione, alla difficoltà di comporre istanze e valori eterogenei, se non opposti. Sovente più che la logica della composizione prevale l'atteggiamento eclettico, proprio di chi in luogo di avvertire l'esigenza di ordinare le varie esperienze e i vari modelli culturali, tende a modellarsi diversamente a seconda degli ambienti e delle circostanze.

    4. IL RAPPORTO CON LE ISTITUZIONI: DENTRO MA ESTRANEI

    La difficoltà dei giovani ad identificarsi con le mete socioculturali dominanti si osserva anche dal rapporto che essi hanno nei confronti delle istituzioni. Stato, famiglia, scuola, partiti, e per certi versi anche la chiesa, sono istituzioni nelle quali il giovane non si identifica anche se sta all'interno di alcune di esse, anche se nei riguardi di esse non è più caratterizzato - come avveniva per i giovani di 10-12 anni fa - da atteggiamenti contestativi. Il rapporto che i giovani sembrano avere con queste realtà non è di piena identificazione, ma nemmeno di marcato rifiuto. Emerge una posizione intermedia, più flessibile e duttile a seconda delle varie circostanze, più attenta a considerare positivamente gli aspetti istituzionali che possono recare un apporto positivo alla soluzione dei propri problemi e a tralasciare gli altri nel segno della tolleranza.
    Si delinea quindi un giovane realista nel suo stare all'interno delle istituzioni, che sa distinguere gli aspetti interessanti dai problematici, che sa far leva sugli elementi positivi per avviare a soluzione le proprie contraddizioni, senza mai rompere o identificarsi del tutto. In altri termini prevale un atteggiamento strumentale nei confronti della realtà istituzionale, che è proprio di chi rivaluta aspetti e istituzioni nelle quali deve per forza di cose stare e che possono essere funzionali alla formazione della propria identità, e avvolge nell'oblio altre istituzioni avvertite maggiormente estranee rispetto alle proprie esigenze e alla propria sensibilità.

    4.1. Rivalutazione affettiva e atteggiamento strumentale nell'ambito della famiglia

    Esemplificando, si può osservare come oggi il giovane tenda a rimanere all'interno dei nucleo familiare d'origine, sia perché esso appare il luogo più economico per vivere (il costo della vita al di fuori dei nucleo familiare risulta infatti assai elevato), sia perché l'età dell'effettiva autonomia di vita per il giovane tende sempre più a procrastinarsi. Ma oltre a ciò molte ricerche attestano una certa qual rivalutazione «affettiva» della famiglia da parte del giovane. Interrogati sul rapporto in famiglia la maggior parte dei giovani risponde che tra genitori e figli vi sono opinioni diverse, ma che queste non costituiscono un impedimento al «volersi bene», all'affetto. Non si tratta di divergenze di poco conto, dal momento che interessano per lo più aspetti essenziali quali il modo di concepire il rapporto di coppia, la concezione dei denaro, l'educazione dei figli, la concezione e l'organizzazione della famiglia. La dimensione affettiva sembra però superare le reali divergenze di opinione, il distacco generazionale tra padri e figli dovuta ad una socializzazione profondamente differente.
    In un contesto sociale come l'attuale caratterizzato da profonda incertezza, da insicurezze, il giovane può rivalutare l'ambito familiare per la risposta che a questo livello tale ambito può assicurare. La famiglia permette comunque al giovane di maturare un'identificazione, accetta per lo più il giovane, risulta con lui tollerante, gli offre quella sicurezza che in molti casi egli non ha rispetto al futuro e al suo sbocco occupazionale, la famiglia inoltre
    può rappresentare uno spazio e una possibilità di continuità che controbilancia in qualche modo la forte discontinuità di esperienze ed appartenenze a cui il giovane si espone in una società pluralistica e differenziata.
    La considerazione «affettiva» della famiglia da parte dei giovani può determinarsi anche in rapporto al fatto che la famiglia d'oggi risulta più permissiva rispetto a qualche anno fa, e inoltre perché essa rappresenta soltanto uno dei vari spazi-ambienti, luoghi di appartenenza, tra i quali il giovane scandisce la sua vita quotidiana.
    Nel primo caso la diminuzione del controllo della famiglia sembra essere dovuta per lo più all'incapacità propositiva dei genitori, i quali optano per il recupero «affettivo» dei figli avendo difficoltà a ridefinire il proprio ruolo educativo in rapporto alle mutate circostanze socioculturali. In questa linea il recupero «affettivo» sembra rappresentare il riconoscimento d'uno scacco, l'incapacità di ridefinire la propria identità e il proprio ruolo familiare.
    Nel secondo caso sembra estendersi anche alle relazioni familiari l'atteggiamento positivo che caratterizza quanti vivono una socializzazione in molteplici ambienti, per cui la molteplicità delle esposizioni e la non univocità di appartenenza li rende più tolleranti e rende meno conflittuali i rapporti che essi instaurano nei vari ambienti.
    In sintesi la considerazione «affettiva» non significa rivalutazione tout court della famiglia da parte dei giovani, dal momento che in questi ultimi sembra prevalente un atteggiamento strumentale più che dì identificazione con l'ambito familiare. In altri termini la famiglia non sembra in grado di affermare nel tempo presente la funzione di incontro dialettico e di confronto tra generazioni diverse, tra persone di socializzazione diversa. Non si innescherebbe cioè quella dinamica tra generazioni, tra i vari membri della famiglia, che può arricchire le reciproche esperienze o che aiuta il giovane - insieme alla dimensione affettiva - a maturare una propria identità e a inserirsi gradualmente e criticamente nel contesto sociale.
    Se quanto detto vale per la maggioranza dei giovani, altri vivono invece l'ambiente familiare come uno spazio in cui si celebra il silenzio, in cui si consuma l'impermeabilità dei rapporti, in cui domina l'indifferenza tra genitori e figli, in cui prevale la conflittualità.

    4.2. L'esperienza lavorativa: dal rifiuto alla ricerca di obiettivi realistici

    L'atteggiamento di attenzione e nello stesso tempo di non piena identificazione che caratterizza i giovani nel loro inserimento in famiglia si ritrova anche nella concezione ed esperienza lavorativa.
    Le recenti ricerche in questo settore hanno sconfessato l'immagine del giovane che rifiuta il lavoro. Il giovane oggi è alla ricerca del lavoro e ciò anzitutto perché ne ha necessità. Senza il lavoro infatti non è possibile risolvere il problema dell'autonomia di vita, si è costretti alla dipendenza a vita, si è confinati in una situazione adolescenziale.
    Ma questa esigenza dei lavoro non si accompagna nel giovane ad una identificazione nel modello del lavoro come valore, dal momento che emerge anche nei confronti dei lavoro un atteggiamento prevalentemente strumentale. L'obiettivo non è tanto quello di recare un contributo alla società, di migliorare il proprio status sociale, di identificarsi col sistema, di modificare l'organizzazione del lavoro quanto di ritrovare nel lavoro una possibilità di personale realizzazione.
    Questa possibilità risulta diversa a seconda della differente occupazione dei giovani. Gli studenti - ancora velleitari - guardano al lavoro con forti aspettative circa il contenuto concreto dei lavoro (un lavoro che interessi, di utilità sociale, di un certo livello di qualificazione); i lavoratori - più realisti in quanto già inseriti nell'ambiente - mirano per lo più ad essere in un ambiente umano e fisico «vivibile», caratterizzato pertanto da un lato da rapporti umanamente soddisfacenti e dall'altro lato non nocivo.
    Questo orientamento non indica che i giovani degli anni '80 risultino per lo più insensibili ai problemi sociali, siano così centrati sulla propria condizione da perdere di vista i fattori di alienazione presente nella divisione e organizzazione attuale dei lavoro o da scarsamente considerare i problemi occupazionali, presentino una carenza di riflessività rispetto al contesto in cui sono inseriti, non abbiano più la coscienza dei condizionamenti sociali.
    Ma soltanto che essi avvertono che i problemi sociali sono più complessi e ingovernabili della propria capacità di comprensione e di intervento, e che il cambio delle condizioni strutturali del lavoro appare «remoto» rispetto alle loro possibilità e prospettive. Uno stato d'animo di impotenza sociale e politica sembra produrre nei giovani la tendenza a ricercare negli ambienti in cui vivono obiettivi realistici, che possano avviare a soluzione i problemi che la vita quotidiana loro pone. La tensione utopica sembra lasciare il posto ad un realismo che non impedisce la ricerca dì condizioni per un senso nella vita quotidiana. Si tratta però sempre più di un senso a piccolo cabotaggio, ravvicinato, quasi che le contraddizioni personali siano cosi indifferibili da richiedere una risposta immediata.
    Ciò spiega perché i giovani all'inizio degli anni '80 non siano mobilitati su quelle mete collettive in cui si riconosceva la maggioranza dei giovani alla fine degli anni '60 e all'inizio degli anni '70, e perché essi siano orientati a ricercare una soluzione ai propri problemi negli spazi in cui possono autonomamente determinare la propria condizione.

    4.3. Nella scuola: ricerca degli aspetti che formano l'identità

    Un'attenzione analoga si riscontra anche a proposito della scuola.
    Molte ricerche attestano che rispetto a quanti hanno vissuto la loro giovinezza all'inizio degli anni '70, gli attuali giovani appaiono meno conflittuali anche nei confronti della scuola, riscoprono il valore dello studio, dimostrano una maggior disponibilità all'apprendimento, presentano una minor contestazione dei ruolo degli insegnanti e dei contenuti dello studio.
    Questa disponibilità nei confronti della scuola e dello studio non indica però che i giovani non siano disincantati verso l'istituzione scuola o la formazione loro impartita. Anche gli attuali giovani sembrano aver coscienza della funzione di parcheggio della scuola, dello scollamento tra titolo di studio e possibilità di trovare un lavoro con esso congruente, della separatezza che si determina in molti casi tra scuola e vita quotidiana, tra scuola ed esperienza sociale.
    Di fatto però le minori alternative sociali e politiche sembrano spingere i giovani a ricercare anche in termini scolastici quegli aspetti che più possono favorire la formazione della loro personalità, che più li aiutano a ridefinire la loro identità, senza attendersi che lo stare in quest'istituzione risolva i loro problemi di autonomia e di inserimento nella società.
    Occorre ancora osservare che l'atteggiamento di disincanto che i giovani maturano nei confronti della scuola (anche in rapporto alla difficoltà degli sbocchi occupazionali, e allo scarso peso che in questo senso caratterizza il titolo di studio) risulta per lo più riconducibile ai problemi di identità e di funzione della scuola nella società contemporanea, la quale scuola appare divisa tra due istanze di fondo che si elidono a vicenda: l'una relativa al fare della scuola un'area di formazione della personalità, l'altra relativa a farne un luogo di preparazione professionale. Questa ambiguità di fondo si riscopre nelle attese che le famiglie e gli stessi studenti hanno nei confronti di questa istituzione.
    Un altro elemento di scetticismo dei giovani nei confronti della scuola è individuabile nella difficoltà dell'esperienza della partecipazione scolastica, nella burocrazia dei decreti delegati, nello scontro tra gruppi politici e gruppi ideologici all'interno.

    4.4. Le pretese dei partiti e il distacco dei giovani

    Per quanto riguarda i partiti politici appare evidente come essi siano nel tempo presente al centro d'una crisi di rappresentanza politica e come in particolare i giovani non riconoscano che i partiti esprimono i loro interessi e bisogni.
    Per lo più gli attuali grandi partiti di massa chiedono ai giovani di gestire una crisi che essi non hanno contribuito a determinare. Si è di fronte ad una richiesta che appare ai giovani paradossale, in quanto essi risultano «culturalmente» lontani dal gestire una crisi, essendo per lo più polarizzati a rispondere alle proprie esigenze, a trovare spazi e momenti di identificazione.
    La vita dei giovani all'interno dei partiti appare inoltre assai difficile, in quanto queste strutture pretendono che i giovani abbiano già maturato scelte definitive in campi ideologici e politici nei quali i giovani evidenziano l'atteggiamento della non definitività e del relativismo delle scelte e della difficoltà d'orientamento. I partiti politici chiedono ai giovani una militanza che appare consequenziale ad un preciso orientamento ideologico e ad una opzione di fondo. Ma attualmente è proprio questa opzione e questo orientamento a far problema ai giovani, in quanto viene percepito come riduttivo rispetto all'istanza di allargare il proprio ambito di esperienza e di non precludersi alcuna possibilità.
    Uno dei limiti quindi del modo di trattare la questione giovanile da parte dei partiti è quello di considerare i giovani come se già fossero adulti, e non invece come soggetti in formazione, al centro d'un processo di identificazione sociale e personale.

    4.5. Davanti alla chiesa: rivalutazione con riserva

    L'atteggiamento ad un tempo di considerazione e di distacco caratterizza anche il rapporto degli attuali giovani con l'istituzione ecclesiale.
    Anche la chiesa non è più oggetto di contestazione da parte dei giovani, come invece avveniva circa un decennio or sono. I giovani sembrano essersi svestiti dei «pregiudizi» nei confronti della chiesa e rivalutare l'azione che la chiesa può svolgere per la salvaguardia della pace e della giustizia nella società, per l'aiuto ai più poveri, per la funzione di integrazione della collettività.
    Di fatto però mentre rivalutano soprattutto il dover essere della chiesa, mentre risultano disponibili ad accettare una funzione sociale della chiesa in campi che appaiono scoperti dall'azione e dalle strutture laiche, i giovani condannano con forza il modo con cui la chiesa esprime la sua azione nella società, e il contenuto del magistero ecclesiale soprattutto nel campo della morale sessuale e familiare. In sintesi i giovani riconoscono plausibile per la chiesa più una funzione sociale che quelle di magistero e di educazione, più il dover essere che il dato di fatto, più l'azione sociale che quella religiosa.
    Questo atteggiamento di distinzione si riscontra in molte pieghe dell'esistenza giovanile. Così essi possono prestare attenzione all'istituzione chiesa e nello stesso tempo essere tiepidi verso specifiche azioni della chiesa, possono essere attratti dal papa per ciò che egli rappresenta in termini di visibilità sociale e nello stesso tempo risultare refrattari al messaggio che egli enuncia; possono esprimere una domanda religiosa e nello stesso tempo rifiutare la funzione di mediazione religiosa da parte dell'istituzione ecclesiale, possono essere ben disposti nei confronti di alcune figure sacerdotali o religiose e verso alcune esperienze di chiesa e indifferenti verso la chiesa in generale.
    In altri termini anche in rapporto alla chiesa i giovani possono sottolineare alcuni aspetti di interesse, che appaiono congruenti con le loro aspettative, e tralasciare altre realtà su cui la distanza di mondo culturale appare più pronunciata.

    4.6. Piccoli gruppi, lontano dalle istituzioni

    Dal rapporto impermeabile con le istituzioni tradizionali, i giovani passano invece a forme di elevata identificazione con i propri coetanei, con i pari, all'interno dei piccoli gruppi.
    Nel fenomeno della proliferazione dei piccoli gruppi i giovani riscoprono quell'area in cui è possibile identificarsi e interagire con altri giovani che hanno gli stessi problemi, in cui si formano e sperimentano idee, valori, modelli di comportamento, atteggiamenti, in cui vivere in modo identificato e coinvolto il processo di socializzazione.
    Il piccolo gruppo appare quindi un luogo di elevata identificazione dei giovane, un'occasione che egli ha di maturare la propria identità personale e sociale, in quanto al suo interno il giovane trova sicurezza, stabilità affettiva, condivisione di valori e di esperienze, confronto e dialettica.
    Il forte grado di coinvolgimento nel gruppo può far sì che il giovane senta l'appartenenza al piccolo gruppo come costitutiva dell'appartenenza alla società in generale. Se quindi da un lato il piccolo gruppo permette al giovane di rispondere a quel bisogno di integrazione della personalità che non trovava risposta nel contesto sociale allargato, dall'altro questa esperienza aggregativa risponde anche all'esigenza di autonomia del giovane rispetto alla società e al mondo degli adulti, alla difficoltà di identificazione con il sistema sociale.
    Da tale prospettiva appare importante comprendere la funzione sociale di questi piccoli gruppi e del tipo di socializzazione che avviene al loro interno.
    Occorre sottolineare infatti che in queste realtà i giovani si orientano più ad atteggiamenti di distinzione, distacco, indifferenza, autosufficienza, contrapposizione rispetto al sistema sociale, che non alla predisposizione ad interagire socialmente. Questi gruppi, in altri termini, non sono momenti preparatori dell'inserimento attivo dei giovani nel contesto sociale, non sono spazi che favoriscono la partecipazione dei giovani nella società.
    In termini pertanto di consenso sociale e di costruzione di atteggiamenti, questi gruppi sembrano carenti dei valori del dialogo, del confronto, della dialettica costruttiva, della ricerca, della tolleranza.
    Nel trattare dell'autonomia dei giovani (un'autonomia che per lo più si esprime anche a livello del piccolo gruppo dei pari) occorre tener presente che si tratta più di un fatto legato all'età giovanile, al momento cioè della socializzazione giovanile (formazione dei valori, assunzione di modelli, ecc.) che non di un effettivo carattere in grado di contrapporsi al sistema sociale e di produrre effettivamente atteggiamenti «contro» la società, in grado cioè di mutare i rapporti sociali.

    4.7. In sintesi: tolleranza e strumentalizzazione funzionale

    In sintesi emerge che una sorta di benevola attenzione e considerazione viene dai giovani riservata alle istituzioni nelle quali più di altre conducono la loro esistenza, che più scandiscono la loro vita quotidiana. Questa benevola attenzione è il frutto dell'atteggiamento di maggior tolleranza che caratterizza giovani che hanno molteplici poli di riferimento, in grado di assorbire anche ripercussioni negative nei loro rapporti istituzionali in quanto hanno altri ambienti in cui esprimere la loro vitalità e i loro interessi.
    La tolleranza maschera poi un atteggiamento strumentale: lo stare all'interno delle istituzioni risulta funzionale al principio di realizzazione- , in altri termini si assume nella presenza istituzionale quanto può favorire la ridefinizione della propria identità e il soddisfacimento della propria esigenza immediata.

    5. DIVERSITÀ E SINTONIA CULTURALE TRA GIOVANI E CHIESA

    Alcune riflessioni su giovani e chiesa.
    Si è già accennato al rapporto tra giovani e chiesa vista come struttura ed istituzione tra altre strutture e istituzioni.
    A queste riflessioni, per precisare ulteriormente tale rapporto, ne vanno aggiunte altre sul rapporto tra sensibilità culturale e religiosa dei giovani e proposta ecclesiale. L'ipotesi di fondo è che tra la sensibilità giovanile, fatta di aspettative, di domande, di bisogni, di modi di porsi nella società, di concezione della propria realizzazione, e il mondo culturale della chiesa (modo di proporre il messaggio religioso, concezione e priorità data ai valori, concezione della società) vi sia per certi versi una distanza e per altri versi una continuità, una convergenza.
    Cogliere questa connessione, sia nelle sue valenze di estraneità che in quelle di eventuali convergenze, può essere un passo avanti per una reciproca conoscenza tra giovani e chiesa e per un confronto dialettico.

    5.1. Elementi di estraneità, di diversità

    Consideriamo anzitutto gli elementi di estraneità, di diversità.

    La normatività fa problema
    Il modo di procedere della chiesa, di presentarsi alla società, di effettuare l'annuncio dei messaggio religioso risponde alle dimensioni della normatività e dell'oggettività. La chiesa è intrisa, per sua natura, di dimensione oggettiva.
    È logico che a fronte di queste certezze, verità, dati oggettivi, la chiesa si ponga in termini normativi, per essere fedele alla sua identità, ai valori di cui è depositaria, ai fatti di cui è memoria storica, che non deve disperdere e sui quali deve «vegliare». Dei resto lo stesso messaggio religioso che la chiesa annuncia contiene una serie di imperativi etici che il credente deve far propri.
    Emerge qui la dimensione della progettualità che è affine alla «cultura» ecclesiale.
    Il riconoscimento dell'oggettività, il primato della dimensione normativa appaiono oggi assai «lontani» dalla sensibilità della maggioranza dei giovani, dal momento che essi vivono una condizione prevalentemente centrata sull'esperienza dove non si dà risalto agli ordini oggettivi, dove predomina la ricerca di significatività personale, dove si accettano aspetti che siano verificabili nella propria esistenza. Analogamente la maggioranza dei giovani d'oggi avvertono come estranea la dimensione della progettualità, in quanto la loro esistenza rispecchia più una situazione di frammentarietà, è scandita più dal vivere alla giornata, che non dalla progettualità.
    Normatività, progettualità, oggettività possono rappresentare pertanto elementi di «estraneità» tra il mondo culturale dei giovani e quello della chiesa. Che la chiesa sia depositaria della verità, della parola di Dio, della vera identità per l'uomo, tutto ciò non costituisce per i giovani una carta dì credito nei confronti della chiesa. I giovani, in altri termini, non riconoscono verità per sé, senza un personale riscontro, ciò che può essere una verità oggettiva, ciò che la chiesa dichiara di essere.
    Anzi, proprio il preteso possesso della verità, il richiamo alla progettualità, l'aspetto normativo, possono rappresentare un ostacolo nella comunicazione con la condizione giovanile, come d'un linguaggio diverso e, per certi versi, opposto.

    Soggettività, essenzialità, immediatezza nell'esperienza religiosa
    Ciò non vale soltanto per la maggioranza dei giovani, ma anche per i giovani «orientati religiosamente», per quanti cioè sono inseriti nei gruppi-movimenti ecclesiali ed hanno avuto una socializzazione religiosa tuttora valida. I giovani orientati religiosamente sono sempre più interessati da un processo che potremmo definire di ricerca di significatività «soggettiva» della religione; fanno sempre più ricorso, nella propria esperienza religiosa, al principio di significatività.
    I giovani mettono l'accento su un nucleo essenziale di valori religiosi, ma non si identificano più con il modello tradizionale di vita cristiana. Nucleo essenziale significa individuare nel vangelo gli elementi di fondo che permettono o rendono plausibile una vita personale religiosa: i giovani non accettano più al limite i valori derivati dalla tradizione, mentre fanno un discorso di radicalità, di povertà, di semplicità. Essi cercano una identità religiosa come risposta a una serie di interrogativi personali e vogliono anche essere ancorati a un passato, far parte di una tradizione, ma in senso innovativo. Questa è l'essenzialità.
    E poi l'immediatezza: intendono il riferimento religioso come un qualcosa a loro portata, per il quale non è necessaria una mediazione ecclesiale. Pensano ci possa essere benissimo un filo diretto con Dio che è un qualcosa da sperimentare immediatamente, non da vivere in termini di (mysterium tremendum et fascinosum». E quello che si può chiamare bisogno di una religione concreta, dove concretezza implica ripresa dei simboli, ma di simboli che a loro interessino, ripresa dei rituale, ma rituale che a loro interessi, mentre se analizziamo i processi di mutamento della religione contemporanea, vediamo una religione più formalizzata, intellettuale, astratta, dove non c'è un'esperienza concreta.
    E ancora è una religione che dice qualcosa alla vita quotidiana, che dà un senso, di cui fanno esperienza, in un sacro immediatamente coglibile.

    5.2. Elementi di possibile «sintonia»

    A fianco di elementi problematici si riscontrano aspetti di possibile sintonia tra i giovani e la chiesa.

    Convergenza nella ricerca di identità
    Uno di questi (in cui rientrano anche altri) è rappresentato dalla ricerca di identità, nel senso che la chiesa in questi anni si sta proponendo come uno degli ambiti più adeguati per una risposta ai problemi di identità dei giovani. In generale, la ripresa di vitalità di manifestazioni religiose di massa, la ripresa di visibilità sociale dei papato; la ripresa della capacità aggregativa dell'area religioso-ecclesiale sono processi che testimoniano lo sforzo della chiesa di rispondere all'esigenza di identificazione e di appartenenza sociale.
    Se si passa dal piano generale ad un'analisi più specifica dei rapporto chiesa-giovani, si scopre che la buona salute che gode l'associazionismo giovanile ecclesiale dalla seconda metà degli anni '70 in qua è dovuta alla capacità della chiesa, e specificatamente di alcuni movimenti giovanili, di interpretare le esigenze e le istanze dei giovani.
    Per quali motivi nella seconda metà degli anni '70 si determina l'espansione dell'associazionismo giovanile ecclesiale, mentre il resto dell'associazionismo (politico, culturale ... ) è attraversato da profonda crisi? Che cosa provoca l'espansione dei movimenti a specifica finalità educativa in anni di forte crisi di tutte le proposte e istituzioni educative?

    La disponibilità al «fare esperienza»
    Ciò è stato possibile perché i gruppi-movimenti giovanili religiosi hanno rivisitato, aggiornato, contestualizzato l'ordinaria caratteristica di risposta ai problemi del significato e dell'identità umana propri dell'esperienza religiosa in generale. li coinvolgimento attuale dei giovani da parte dell'area religioso-ecclesiale non viene effettuato sul terreno dell'azione sociale, né dei generali problemi esistenziali, né in quello della supplenza sociale, ma nel campo dell'identità sociale e dei significato dell'esistenza come risposta al bisogno di sicurezza.
    Emerge a questo livello l'ampia flessibilità di una struttura come quella ecclesiale nel ridefinire il messaggio religioso e nella capacità aggregativa. E significativo infatti che l'aumento riguardi i gruppi-movimenti che più di altri sono in grado di rappresentare per i giovani un contesto in cui essi possano ridefinire la loro identità. Sono i gruppi a specifica identità quelli oggi caratterizzati da maggiore espansione, non tanto i gruppi dei dissenso né quelli di azione sociale.
    La struttura e i gruppi giovanili ecclesiali sembrano essersi pertanto ridefiniti in modo tale da presentare condizioni e valori che rispondono alle esigenze di molti individui e gruppi sociali.
    Indubbiamente l'esperienza religiosa ha sempre tentato una risposta ai problemi del personale, della morte, della penuria, dei significato dell'esistenza, dell'ingiustizia... (e questo è un altro elemento di possibile convergenza tra giovani e chiesa). Ma il fatto singolare è che tale risposta non avviene solo sul piano della razionalità, o se vogliamo sul piano delle credenze, ma coinvolge anche il piano dell'esperienza. Anche a questo livello si riscontra una sintonia di linguaggio (quello esperienziale tra giovani e chiesa). 1 soggetti trovano nel gruppo-movimento religioso un'esperienza di solidarietà, di identificazione, che coinvolge globalmente ed integra la loro personalità dando risposta ai bisogni di espressione, di partecipazione, di conferma collettiva delle proprie credenze.
    Questo primato accordato all'esperienza riveste per i giovani particolare credibilità in un momento di crisi dei modelli sociali di riferimento, nel quale si allarga lo scetticismo e il relativismo di fronte alla molteplicità delle proposte culturali e di sistemi di significato che si offrono come totalizzanti.

    6. INTERROGATIVI PER GLI ANIMATORI

    Dall'analisi della condizione giovanile, così come è stata esposta in questo contributo, è possibile individuare alcune aree problematiche, alcuni interrogativi, in rapporto ai quali quanti si pongono in una prospettiva educativa possono trarre spunti per mettere in discussione e ridefinire il loro intervento con i giovani.

    6.1. Mancano alcune condizioni soggettive per una relazione educativa

    Uno di questi aspetti è rappresentato dal venir meno nei giovani d'oggi di alcune condizioni soggettive che appaiono indispensabili per prestare attenzione ad una proposta educativa, per costituire un polo di una relazione educativa.
    Gli esempi in questo caso possono essere molteplici.
    S'è detto anzitutto che il giovane scandisce la sua vita prevalentemente in modo frammentario, senza avvertire la necessità di dare unitarietà alle sue condotte ed esperienze, ricercando nel vivere alla giornata una risposta immediata ai propri problemi ed esigenze.
    La frammentarietà di condizione indica lo scollamento dei giovane da prospettive, modelli di realizzazione, concezioni caratterizzate da forte progettualità, basate su un'idealità in grado di dare senso unitario all'esistenza.
    Come è possibile da parte di giovani che scandiscono la loro vita quotidiana all'insegna della frammentarietà, comprendere ed avvicinarsi ad un discorso educativo che per definizione si fonda o prevede una forte progettualità?
    Un altro esempio è individuabile nell'orientamento dei soggetti di fronte alle scelte ed opzioni fondamentali. S'è detto che il giovane tende a procrastinare scelte importanti, a rimandare opzioni di vita decisive. A questo proposito qualche osservatore ha descritto l'attuale condizione giovanile come orientata a mettere in atto solo scelte reversibili, che si possono rimettere in discussione, che permettano di riguadagnare le condizioni di partenza. La prospettiva della sperimentazione delle condizioni, delle possibilità, delle chances, risulta per i giovani più attraente che il privilegiare una sola opportunità, che realizzarsi in modo prevalente o totalizzante in un'unica direzione.
    Come è possibile da parte di giovani per lo più orientati a sperimentare le diverse opportunità, attenti a non precludersi possibilità, capire e raccordarsi al linguaggio educativo, alla proposta educativa, che fa leva su opzioni fondamentali, su scelte rilevanti e significative, su orientamenti e decisioni di fondo per favorire il processo di maturazione personale e comunitario dei soggetti?
    Gli esempi riportati stanno ad indicare che l'attuale condizione giovanìle si caratterizza prevalentemente per un orientamento culturale per certi versi estraneo e antitetico al linguaggio e alla prospettiva educativa. Si avverte, in altri termini, una distanza culturale tra la sensibilità, l'orientamento, la concezione di realizzazione, le pratiche di vita dell'attuale condizione giovanile e la prospettiva educativa che si presenta costitutivamente scandita da opzioni di fondo, da scelte decisive, da dialettica tra idealità e realtà, dal potere di richiamo di alcuni specifici punti di riferimento.

    6.2. La tendenza a realizzarsi secondo modalità differenziate

    Un altro spunto di riflessione educativa può essere individuato nella tendenza - che appare tipica nei giovani d'oggi - a realizzarsi secondo modalità differenziate. A questo proposito è stato ripetuto che nel considerare che ogni ambito di realizzazione, ogni momento della vita quotidiana ha una sua plausibilità, reca un apporto positivo al proprio modo di vivere, il giovane sembra più incline a realizzarsi in termini differenziati che unitari.
    Dall'orientamento e dalla pratica della differenziazione sociale emerge un giovane particolarmente esposto ad esiti dissociativi. Le esperienze in campi diversi, l'eccesso delle opportunità a disposizione, l'appartenenza a diversi gruppi sociali, il pluralismo dei sistemi di significato: tutti questi fattori possono produrre nei giovani istanze diversificate di difficile composizione.
    Nasce qui per i giovani il problema dell'incoerenza.
    Il giovane appare per certi versi travolto dalle istanze culturali diversificate e contraddittorie presenti nel sistema sociale, senza essere in grado e - potremmo dire - senza l'intenzionalità di «ordinare» le varie esperienze ed istanze se non facendo ricorso a criteri legati al soddisfacimento dei suoi bisogni.
    Si delinea così un giovane eclettico; flessibile tra la molteplicità, la diversità e l'opposizione dei riferimenti culturali presenti nella vita quotidiana; che prende da ognuno ciò che può soddisfare le proprie esigenze.
    Qual è l'atteggiamento di questo giovane di fronte alle proposte educative?
    L'ipotesi di fondo è che la flessibilità, la duttilità d'atteggiamento, si riversi anche nei confronti delle proposte e degli ambienti educativi. Emergere anche in questo caso quella disponibilità d'attenzione che accompagna il giovane nella sua esposizione sociale, nella sua presenza istituzionale. Di fatto però questo atteggiamento benevolo lascia trasparire da un lato l'orientamento alla selettività e dall'altro lato la pluralità degli ambienti di appartenenza e dei riferimenti.
    La selettività sta ad indicare che il giovane può essere presente negli ambienti educativi, prestare attenzione alla proposta educativa, senza per questo identificarsi pienamente con essa. In luogo di ciò prevale un atteggiamento che assume anche a questo livello quanto può essere utile alle proprie esigenze, e che tralascia ciò che è ritenuto problematico o non significativo, nel segno della tolleranza.
    La molteplicità delle appartenenze e dei riferimenti indica l'orientamento da parte dei giovane a modellarsi secondo i criteri di vita e di realizzazione dominanti nei vari ambienti che scandiscono la sua vita quotidiana, senza avvertire la non congruenza o l'estraneità dei diversi modelli culturali. Ciò significa, ad esempio, che nel gruppo amicale o nel tempo libero il giovane può esprimere un modello culturale estraneo o diverso rispetto a quello che informa la sua vita in famiglia o in un gruppo organizzato.
    Come è possibile far fronte in termini educativi a questa duttilità e flessibilità di posizioni, di orientamento, di riferimento, da parte dei giovani? Come evitare che il giovane con un atteggiamento «selettivo» abbia a privare la relazione educativa della sua specificità, smussando gli aspetti meno in linea con la propria sensibilità e prospettiva?

    6.3. Il primato attribuito all'esperienza

    Un terzo punto di riflessione - tra i tanti - può essere individuato nel primato che i giovani attribuiscono all'esperienza. S'è detto che i giovani sono orientati a vivere più che a porsi problemi, a sperimentare più che a interrogarsi circa la congruenza dei loro comportamenti. Il giovane disilluso delle ideologie, scettico nei confronti delle molteplici istanze culturali, privilegia nel suo orizzonte di vita quelle esperienze in grado di avviare a soluzione i problemi e le esigenze.
    Quanto gli educatori, le comunità educative, hanno compreso la singolare potenzialità contenuta nell'istanza esperienziale dei giovani? Quanto gli educatori privilegiano il linguaggio esperienziale nel loro rapporto con i giovani? Linguaggio esperienziale significa che i giovani appaiono più disponibili a realizzare esperienze per loro significative, che ad assimilare contenuti, che a prestare attenzione alle istanze e proposte culturali.
    Il problema educativo di fondo, quindi, è di creare le condizioni perché i giovani facciano esperienze caratterizzate da alcuni specifici contenuti; è di tradurre i contenuti in quel linguaggio dell'esperienza che appare particolarmente «vicino» alla sensibilità dell'attuale condizione giovanile. a Anche in questo caso non manca l'ambiguità. Come essere fedeli alle attese giovanili, al linguaggio dei giovani, senza sconfessare la propria identità di educatori e la «novità» e singolarità del messaggio e della proposta di cui si è portatori? Come parlare il linguaggio dei giovani senza rimanere imbrigliati dalle loro attese, e dai loro bisogni?

    IL CANOVACCIO

    PER UNA SCUOLA DI GIOVANI ANIMATORI

    Franco Floris - Domenico Sigalini


    Gli obiettivi di questo quaderno sono complementari a quelli del Q12 dal titolo «II trapasso culturale e la difficile identità dei giovani». Rispetto a tale quaderno in queste pagine:

    - si approfondisce la intelaiatura concettuale necessaria per una lettura della realtà, destreggiandosi con maggior facilità sia tra i vocaboli usuali della letteratura sociologica sui giovani, sia nella giusta collocazione di una analisi della realtà dentro un progetto di pastorale giovanile;
    - si concretizza la conoscenza dell'ambiente giovanile in cui si agisce a partire dalle linee interpretative offerte da Garelli, operando, fin dove è possibile, una diversificazione di giovani a seconda dell'età;
    - si delineano con ulteriore chiarezza gli «imperativi» che ne derivano per l'animazione, sia ipotizzando spazi per un intervento educativo-pastorale, sia operando approfondimenti di motivazioni personali.

    APPROFONDIMENTO DEL VOCABOLARIO

    Il primo obiettivo è condurre gli animatori, attraverso lo studio dei Q 12 e del Q 13, ad arricchire il loro bagaglio culturale di alcuni concetti-base.

    A titolo esemplificativo indichiamo, per il presente Q 13, i seguenti:
    - per una analisi della società: complessità, differenziazione, neocorporativismo, consenso sociale, sistema di garanzie e garantismo, strategia adattiva, prammatismo politico...
    - per una analisi del mondo giovanile: assenza di prospettive, espansione della soggettività, primato della esperienza, nichilismo debole, piccole domande di senso, bisogno = valore, socializzazione differenziata, identità personale eclettica, tolleranza giovanile, assenza di dover essere...
    Veniamo ad un esercizio in proposito. Si scrivono su un foglio alcune delle voci più importanti riportate qui sopra e per ognuna si riportano a fianco fatti della propria esperienza o conoscenza che confermano concretamente le osservazioni di Garelli. Sarà difficile che ognuno possa dire un fatto o una esperienza o un esempio per ogni voce, però, se si ha il mandato di concretizzare solo quattro o cinque voci a scelta, confrontando alla fine il lavoro in assemblea si ottiene un quadro discreto con tre risultati:
    - riuscire a riportare a concretezza una analisi sociologica,
    - verificare quanto è stato assimilato dei contributo di Garelli;
    - valutare la corrispondenza con l'esperienza di ciascuno, facendo notare, ad esempio, che molti dei problemi che riguardano il gruppo riguardano anche il suo animatore.

    COME E PERCHÉ: IL VISSUTO GIOVANILE

    Una seconda pista di lavoro può essere la verifica in concreto delle analisi offerte da Garelli e dallo stesso Milanesi (nel Q12). Indichiamo alcuni strumenti.

    Raccogliere alcune «storie di vita» tra i giovani

    Leggere la propria realtà raccogliendo informazioni sul mondo giovanile attraverso il metodo delle «storie di vita».
    Per un corretto uso di questo strumento si legga in gruppo l'introduzione alla Appendice 1 del volume Il di Milanesi, Oggi credono così, LDC Torino 1981, pp. 223 ss., in particolare le pp. 225-226.
    Nel nostro caso lo scopo della raccolta delle storie di vita è, in termini più generali, la conoscenza della mentalità giovanile, e «domande guida» possono essere le seguenti: torni a studiare? sei dentro la famiglia, ma estraneo? credi di essere consumista? vivi alla giornata o hai dei progetti e quali? sei anche tu tra i disaffezionati dal sociale, dai partiti, dal politico, dall'impegno? hai una tua morale? quali sono i principi morali in cui ti riconosci? felicità: una illusione? sei disoccupato: cosa comporta per la tua vita di ogni giorno?
    Diamo velocemente alcune indicazioni di tipo metodologico, utilizzando le pagine appena indicate e alle quali rimandiamo.
    La raccolta delle storie di vita avviene attraverso una intervista al registratore per la quale occorre fare attenzione a:
    - chiarire bene lo scopo della intervista, prima a se stessi e poi all'intervistato,
    - dare all'intervistato, fin dall'inizio, motivazioni sufficienti per cui si senta responsabilizzato a rispondere;
    - offrire una griglia di contenuti in modo che l'intervistato sappia che deve toccare alcuni punti obbligatori; lasciare però a lui di muoversi come preferisce tra le varie domande:
    - tecnica della intervista: massima libertà di parola; uso del registratore concordato con l'intervistato; un luogo che favorisca concentrazione e raccoglimento:
    - l'intervistato dovrebbe parlare fino a far emergere la sua «presa di coscienza» sui fatti che lo riguardano: convincimenti, atteggiamenti, chiodi fissi, sentendosi dei tutto libero di dire quello che vuole:
    - l'intervistatore dovrebbe: ascoltare anzitutto con molta calma, in modo da mettere l'altro a suo agio; focalizzare con brevi provocazioni o domande la concentrazione dei l'intervistato sui punti nodali dell'intervista; non interrompere le pause e momenti di silenzio...
    Da notare che questo esercizio, oltre naturalmente ad un concreto approccio con la realtà dei giovani, serve per abituare l'animatore ad un incontro senza pregiudizi con le varie situazioni, ad un rispetto per le varie visioni di vita, ad una partecipazione empatica alla vita delle persone.
    Il lavoro più impegnativo comincia al momento della sbobinatura e dei confronto tra le varie storie di vita. Bisogna essere attenti a non pretendere di catalogare con troppa fretta le diverse posizioni, linguaggi, esperienze.
    Da ricordare che il lavoro sulle storie di vita deve terminare nel confronto con l'analisi offerta nel Q12 e nel Q13.

    Una analisi attenta alle fasce di età

    Dopo aver studiato l'analisi generale di Garelli, dopo aver confrontato l'analisi con le storie di vita, oppure (ma la cosa è troppo a buon senso) riferendosi alla esperienza personale, compilare il quadro sinottico che segue, ricercando, per quanto è possibile, una differenziazione dentro il mondo adolescenziale e giovanile.
    È meglio suddividere i presenti in sottogruppi, ad ognuno dei quali si affida una colonna, cioè legge in particolare una fascia di età precisando il tipico comportamento e atteggiamento verso la scuola, gli amici, se stessi...
    Al termine si procede ad una sintesi comparata in assemblea in cui va, fra l'altro, sottolineato che l'obiettivo dell'esercizio era abituare gli animatori ad una lettura del mondo giovanile attento alle varie fasce d'età.

    q12 60

    IMPERATIVI PER L'ANIMAZIONE

    A questo punto è necessario avviare ad una lettura in chiave di animazione della ricerca sociologica di Garelli, come già di quella Milanesi per la parte sociologica e di Amione per la parte psicologica.
    È un passaggio delicato che esige correttezza, cioè rispetto della autonomia e modo di progredire di ogni disciplina e scienza, ma anche non confusione, nel nostro caso, tra dati sociologici ed obiettivi dell'animazione. Al momento di fare un progetto di animazione, infatti, non devono intervenire solo i dati provenienti dalle scienze che analizzano la realtà, ma anche quelli delle scienze che si interrogano sulle diverse possibilità di essere per il futuro e sui criteri etici filosofici, religiosi alla luce dei quali progettare il futuro anche delle nuove generazioni.
    Su questo tema abbiamo insistito più volte nei «canovacci» dei quaderni Q1 e Q12 *
    Vogliamo ritornarci ancora per consigliare, dopo che è stata studiata con gli animatori la condizione e la cultura giovanile nella attuale società (in concreto il Q 12 ed il Q13), di rileggere l'articolo di Carlo Nanni nel primo quaderno dove egli insisteva su due grossi temi che ora interessano da vicino:
    - il primo tema è la acquisizione da parte dell'animatore di un atteggiamento e comportamento, prima che di una capacità intellettuale di interdisciplinarità e transdisciplinarità;
    - il secondo tema è la acquisizione di una «logica educativa», vista come modo di organizzare il pensiero e l'azione, come un «punto di vista» a partire dal quale organizzare le informazioni della sociologia, psicologia, antropologia...
    È utile la rilettura delle pagine 26-27 del Q1 in cui vengono svolte queste riflessioni.

    Due documenti per proseguire la riflessione

    L'argomento è delicato, come si diceva. Occorre approfondirlo.
    Abbiamo pertanto riportato fuori testo due «documenti» che, da punti di vista diversi ma dentro una stessa logica, si chiedono come un pedagogista (nel primo documento) o un operatore di pastorale giovanile (nel secondo documento) possono utilizzare in modo corretto i dati della sociologia, della psicologia, della filosofia e di tutte le altre discipline scientifiche che si interessano a fatti connessi con l'educazione e la pastorale giovanile.
    Sono pagine un poco difficili, ma fondamentali per la maturazione di una «mentalità da animatore».
    Una loro lettura in gruppo richiede diverse tappe.
    - La prima tappa è motivare la stessa lettura, indicando i possibili errori nell'animazione sia di una ignoranza dei problemi dei giovani, sia di una deduzione della terapia educativa dai dati delle scienze descrittive.
    - La seconda tappa è la lettura o lo studio a gruppi dei due documenti, per assimilare il filo sotterraneo che li percorre e in fondo li collega.
    - La terza tappa può essere l'applicazione ad alcuni casi ipotetici del metodo di lavoro indicato dai due documenti. Per fare un esempio: «gli adolescenti del gruppo sono annoiati, provano interesse per niente; come interpretare e che fare?». Un uso degli studi di Milanesi e Amione (Q12) e di Garelli può permettere anzitutto di comprendere alla luce di fenomeni sociali e culturali quello che succede nel gruppo. Rimane sempre un margine tuttavia in cui l'animatore è chiamato a ragionare sul «qui-ora». Potranno servirgli le informazioni delle diverse discipline, ma quali concretamente utilizzare rientra nella sua capacità di educatore.
    Lo stesso discorso si può fare nel momento in cui si progetta una proposta di intervento. Qui si possono rileggere gli «atteggiamenti» di cui parlava Nanni nel Q1 alla pag. 28. Subito dopo si può far osservare alcuni rischi nella fase di progettazione, alla luce dei due documenti appena letti e studiati:
    - la settorialità e parzialità di chi utilizza una sola disciplina (ad esempio, la sociologia o la psicologia) per «progettare» gli interventi educativi;
    - la deduttività di chi vede il lavoro educativo come sviluppo di una situazione senza alcun appello a valori o a scommesse esistenziali che hanno il potere di dare una svolta allo sviluppo, di far fare un salto di qualità insperato alla situazione educativa...

    ANIMATORI ALLO SPECCHIO

    Teniamo presente che stiamo lavorando con giovani animatori per i quali la lettura sociologica è coinvolgente perché li descrive, li chiama in causa, li aiuta a conoscersi, li può mettere in crisi. Si rilegga a questo proposito quanto scritto in Q I nell'articolo di Sigalini a proposito degli interrogativi «personali» dell'animatore.
    Per aiutare questa «presa di coscienza» sulla propria identità che prelude allo studio sulla «maturità umana dell'animatore» (cf Q2, di prossima pubblicazione) si riprenda la tabella di pag. 28 ed in un lavoro a due o tre, possibilmente di età ed esperienze diverse, si faccia un elenco delle situazioni più problematiche, delle insicurezze e dei disagi che ciascuno vive dentro la sua situazione giovanile. Tale elenco, che è già stato oggetto di confronto nel gruppettino a due o tre, può essere completato e discusso in assemblea.
    Obiettivo di questo esercizio cominciare a chiamare per nome le proprie istanze di maturazione senza pretendere immediatamente una risposta o soluzione. i un esercizio che si aggiunge a quanto suggerito in Q 12, alla pag. 31, e con quello andrà rilanciato e recuperato nel momento in cui si parlerà di maturità dell'animatore.

    ANNOTAZIONE: GLI ESERCIZI DEL Q12

    Se il gruppo degli animatori no ha ancora approfondito il Q12 e soprattutto non ha eseguito nessuno degli esercizi là suggeriti, è bene che ne affronti preliminarmente qualcuno, sia per porre una attenzione particolare al mondo degli adolescenti (campo preponderante di attività degli animatori), sia per trovare esercizi propedeutici a quelli segnalati in questo quaderno.

    DOCUMENTO 1

    IL DIALOGO TRA PEDAGOGIA E DISCIPLINE Di BASE

    Le discipline di base come lettura settoriale

    L'educazione è oggetto di studio di tutte le discipline che, potendola assumere come oggetto, possono creare intorno ad essa un discorso ragionevole. Una parte del rapporto educativo scolastico, chiamata insegnante, è oggetto di un discorso filosofico in Agostino di Ippona e in Tommaso d’Aquino, mentre rientra nell'analisi psicologica di un discorso behaviorista o gestaltista.
    Fino a questo punto il rapporto con la pedagogia «non» esiste, e ciascuna disciplina ha il diritto-dovere di ritenersi autonoma nella sua conduzione, ed ogni cultore di ciascuna disciplina ha il diritto/dovere di dire ciò che, sulla base della coerenza del proprio discorso, ritiene di poter affermare.
    Stabilito che la filosofia dell'educazione impiega la logica filosofica, che la statistica dell'educazione usa strumenti statistici che la psicologia dell'educazione ricerca in questa gli oggetti suoi propri (comportamenti, motivazioni, aggressività, anticipazioni, ecc.), si deduce che ogni disciplina coglie nel tutto dell'evento educativo che storicamente avviene ciò che essa può elaborare, ed elabora ciò che essa intende cogliere. Ma è comunque un tipo di lettura settoriale. Se tutte le letture settoriali, cumulativamente considerate, potessero essere accostate, rimarrebbero sempre dei punti di vista funzionalmente legati alle logiche che le hanno prodotte.

    Indispensabilità e indipendenza delle discipline di base in pedagogia

    Per contro, senza la trattazione concettuale delle discipline di base, senza il raffinato trattamento cui ogni elemento può esser sottoposto, il pedagogista non avrebbe che il suo rozzo quadro d'insieme. Ogni disciplina produce i suoi risultati, né lì offre né li vieta ad alcuno: li produce e basta. Il pedagogista avverte che gli elementi che compongono il suo quadro non sono primitivi se non nella propria ignoranza, mentre altrove hanno ricevuto una elaborazione concettuale meritevole di considerazione.
    Lo studioso della disciplina settoriale è, dunque, per il pedagogista, contemporaneamente indispensabile ed indipendente.
    È indispensabile, perché soltanto tale studioso è autorizzato e titolato per illuminare concettualmente gli aspetti settoriali in cui si scompone analiticamente il rapporto educativo: e se il pedagogista ritenesse di compiere a proprio titolo tali ricerche, quello sarebbe un titolo personale ma non scientifico, in quanto il pedagogista smetterebbe di esser tale per trasformarsi per l'occasione in studioso settoriale.
    È indipendente, perché tale studioso fa il suo mestiere, usa le proprie logiche, segue i propri ritmi mentali, stabilisce le proprie distanze scientifiche, ricerca nei campi chegli ritiene confacenti, non deve dipendere da alcuno.

    Il rischio delle discipline di base: sostituirci alla pedagogia

    Ciò che però si chiede allo studioso di una disciplina di base è di riconoscere che egli sta facendo soltanto il suo mestiere, usa solo il proprio schema di riferimento, inquadra soltanto la sua unità d' indagine. E, per quanto riguarda l'educazione, egli riesce a metter in luce concettuale soltanto un aspetto, quello che può diventare l'unità di indagine per le strutture concettuali operanti con il suo schema di riferimento. Se un fisico studia l'educazione non può ridurre tutto l'evento educativo al peso degli operatori. Se un fisiologo studia l'educazione non può ridurre l'educazione a buona o cattiva digestione. Ma il discorso vale anche per lo psicologo od il sociologo: l'aver preso qualche esempio paradossale è per poter illuminare, attraverso una analogia cruda, quanto metodologicamente fuori strada sia l'atteggiamento riduzionista di quegli psicologi che prescrivono un comportamento educativo (l'orientamento professionale, il curriculum scolastico, il rapporto con il genitore) sulla base dei propri ritrovati settoriali. Eppure che cosa ha fatto Skinner, o addirittura J. Piaget?
    E ciò che si dice degli scienziati non si può tacere dei filosofi, i quali addirittura ricadono al di là delle osservazioni empiriche per elaborare principi universali. Diceva un importante pedagogista: «Probabilmente almeno i filosofi sono così estromessi da esser abbastanza innocui. Il guaio avviene quando imperversano gli scienziati. Quelli parlano, e basta. Questi sono prossimamente operativi».

    Modi di impiego delle discipline di base

    Una disciplina organizza una teoria per conoscere un aspetto dell'educazione, e perciò è selettiva e settoriale, la pedagogia va ad attingere conoscenze presso altre discipline per razionalizzare una classe di eventi educativi. I risultati delle altre discipline, fino a quando non vengono coordinati nell'unità formale del discorso pedagogico, che si riferisce alla propria unità di indagine, non sono ancora pedagogia. Si incomincia a parlare di pedagogia quando, in vista di un impiego esplicativo di una classe di eventi, i risultati raccoltisi trovano collocati in una sequenza logica.
    Un esempio: «In un determinato Paese si è notato un forte incremento di notizie e nel contempo si è visto che la scuola è rimasta ferma nelle sue strutture fondamentali. La scuola è divenuta incapace di trasmettere le notizie fatte più numerose, anche perché non si tratta solo di un problema quantitativo ma di strutturazione. Tale strutturazione comporta delle modalità di apprendimento diverse da parte dell'alunno, e conseguentemente il cambiamento dei significato di promozione».
    Come si può notare, nell'esempio citato si è avuto un pescaggio pedagogico (in vista dell'unità del problema e delle sequenze procedurali con cui dev'essere risolto), per cui c'è una ricerca sociologica sullo status del patrimonio culturale, intervengono concetti psicologici come l'apprendimento individuale che ha le sue leggi di sviluppo, si elaborano concetti economici come l'ampliamento delle scuole e delle strutture scolastiche, infine il concetto di promozione perde la sua caratterizzazione giuridica (passaggio da un corso scolastico all'altro) per assumere una qualificazione psicologica (capacità nuova di operare).
    Si possono dunque avere «i risultati» ancora nelle diverse discipline: è la loro coordinazione in un discorso educativo che li trasforma in termini pedagogici. Fino a che erano fuori della sintassi pedagogica, anche se sommati od accostati, non erano che termini appartenenti a sistemi conoscitivi, concettualizzazioni a sé stanti: ora sono diventati strumenti coordinati per un'altra attività, che decide il loro impiego, ed un certo tioo di impiego, per cui possono essere finalizzati in modo differente rispetto a quello per cui erano stati preparati.
    (Sergio De Giacinto, Educazione come sistema, La Scuola 1977, pp. 201-201; 223-224)

    DOCUMENTO 2

    UNA LETTURA PASTORALE Di DATI SOCIOLOGICI

    Attraverso la pubblicazione di due grossi volumi, l'editrice Elle Di Ci ha offerto agli studiosi della condizione giovanile e alla comunità ecclesiale italiana i risultati di una importante ricerca sociologica, condotta da una équipe interdisciplinare, guidata da G.C. Milanesi, sotto la responsabilità dell'Istituto di Sociologia dell'Università Pontificia Salesiana di Roma.
    Questa ricerca ha mosso i suoi primi passi ponendosi come ipotesi lo studio della «domanda religiosa» dei giovani italiani degli anni '80. Molto presto, però, l'approccio sociologico si è giudicato inadeguato a misurare una domanda religiosa. Non era facile infatti nell'ambito della letteratura sociologica e psicologica sull'argomento individuare delle costanti, capaci di salvare le esigenze di uno studio interdisciplinare del problema; ma soprattutto si trattava di un dato difficilmente quantificabile e quindi non rilevabile con gli strumenti a disposizione. La ricerca si è quindi spostata sul versante delle risposte giovanili: «l'analisi della religiosità giovanile dovrà vertere non tanto sulla domanda religiosa dei giovani (soggetto di una ricerca piuttosto evanescente e improduttiva) quanto sulle risposte religiose da essi fornite (quando e se) al bisogno più generale di elaborare un sistema di significato, individuale e collettivo» (G.C. Milanesi).

    Il punto di vista dell'operatore pastorale

    All'operatore pastorale il tema della «domanda religiosa» invece, interessa molto, soprattutto se pensa, come spesso ricorda la rivista, che sul campo della domanda religiosa si possa giocare il difficile dialogo giovani-religione-fede.
    Mi sono quindi messo a studiare tutti i dati da questa preoccupazione, per verificare se con un approccio formalmente pastorale è possibile far parlare tabelle e interpretazioni sociologiche quasi in una nuova lingua, complementare a quella utilizzata per elaborare la ricerca stessa.
    Certamente, non posso far dire alla ricerca cose di cui i progettatori non hanno voluto interessarsi. Posso però riprendere in mano gli stessi dati da un'ottica eventualmente diversa.
    Prima di procedere è necessario indicare come si caratterizza un approccio pastorale e giustificarne la correttezza epistemologica. li tipo di approccio che intendo utilizzare in queste riflessioni l'ho già descritto genericamente come «pastorale». La pastorale, in quanto scienza, possiede uno statuto epistemologico che la distingue dalle altre discipline di cui necessariamente si serve nello sviluppo delle sue proposte.
    Essa ha bisogno, per esempio, dei contributi offerti dalle scienze sociologiche, per conoscere la realtà e per percepirne i meccanismi che la muovono.

    La rigida consequenzialità non ha sento

    Questi dati, però, non possono servire come unica premessa del processo educativo, quasi che si potesse instaurare una rigida consequenzialità discendente dalle tabelle al progetto. La realtà, così come è descritta, non può pretendere di pronunciare la parola decisiva anche in ordine al suo dover-essere; si richiedono invece ulteriori criteri valutativi. Un simile modello ripete, con segno opposto, quella dipendenza gerarchica di una scienza dall'altra, da cui giustamente le scienze umane si sono affrancate da tempo.
    Lo schema della dipendenza viene attivato sicuramente quando, per esempio, la pastorale può lavorare solo sulle conclusioni di questa ricerca, senza poter rileggere tutto da ottiche diverse. Se le scienze sociologiche dicessero «non si può ricercare la domanda religiosa, quindi non è corretto porsi un problema del genere», la collaborazione tra scienze sociologiche e pastorale non sarebbe alla pari. Questo modo di fare svuota l'educazione di un suo riferimento metafisico. O, peggio, essa viene costretta surrettiziamente ad assumere quello inconsapevolmente utilizzato nelle interpretazioni sociologiche o psicologiche.

    I rischi di un approccio selettivo e strumentale

    Non è però praticabile neppure un approccio selettivo e strumentale. Chiamo approccio selettivo quello in cui la pastorale si autorizza a selezionare tra i dati che esprimono una radiografia articolata di uno spaccato giovanile, solo quelli che interessano i suoi problemi, lasciando ad altri l'utilizzazione complessiva. Una disciplina che si pretenda globale deve costruirsi su una accoglienza globale (e non selettiva) della realtà,
    L'approccio è invece strumentale quando l'operatore pastorale chiede al sociologo una descrizione della realtà e poi la colloca fuori campo, per farsi le sue interpretazioni e per tirare le sue conclusioni quasi che le scienze sociologiche fossero incompetenti su questi problemi.

    Verso una alternativa

    Esiste un'alternativa?
    Suggerisco quella che condivido e da cui prendo le mosse per queste mie riflessioni.
    La pastorale, come dicevo, ha bisogno delle scienze sociologiche per conoscere la realtà; essa non possiede alcuno strumento proprio in ordine a questo obiettivo.
    Sui dati offerti dalle scienze sociologiche essa interviene però da una sua precomprensione globale, di natura teologico-pastorale, qualificata nel progetto che intende perseguire. Legge così la realtà, provocata da alcune «domande» (di portata metafisica) di cui già possiede una sua iniziale risposta.
    In questo, d'altronde, non è lontana dal modo di fare delle altre scienze. Ogni ricerca, per esempio, è sorretta da alcune ipotesi (che sono sempre di natura largamente metafisica, quasi una scommessa sul reale).
    Con questa precomprensione, la pastorale reinterroga dati e interpretazioni in modo nuovamente globale. Non pretende di verificare le ipotesi sociologiche, perché riconosce la sua radicale incompetenza in materia.
    Essa cerca soltanto di verificare le sue ipotesi, quelle che sono relative al suo progetto. Nel confronto disponibile con la realtà, vengono saturate le sue ipotesi. Nello stesso tempo essa mette in luce quelle dimensioni della realtà che sono rilevanti per il suo progetto e che le sfuggirebbero se il discorso pastorale restasse sul dover-essere. Può definire cosi (in un nuovo dialogo interdisciplinare) le strategie più utili da adottare, per consolidare il progetto cosi come è stato ricompreso in situazione.
    (Riccardo Tonelli, I giovani italiani hanno domande religiose? in "Note di pastorale giovanile" 1981, pp. 43-45))


    T e r z a
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