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     12. IL TRAPASSO CULTURALE

    E LA DIFFICILE IDENTITÀ

    DEI GIOVANI

    Giancarlo Milanesi - Franca Amione

    INDICE

    1.1. HA SENSO PARLARE DI TRAPASSO?

    1.1.1. Crisi, svolta, trapasso culturale

    1.2. ELEMENTI PER UNA VALUTAZIONE DELLE TRASFORMAZIONI STRUTTURALI

    1.2.1. Società civile e società politica

    1.3. LA STRUTTURA DELLA SOCIETÀ CIVILE IN ITALIA

    1.3.1. Le trasformazioni del sottosistema economIcoproduttivo
    1.3.2. Le trasformazioni del sottosistema formativo
    1.3.3, Le trasformazioni del sottosistema familiare
    1.3.4. L'evoluzione del ruolo dei soggetti sociali

    1.4. L’ELABORAZIONE CULTURALE ALL'INTERNO DELLA SOCIETA CIVILE

    1.4.1. La cultura contadina tradizionale
    1.4.2. La cultura della società industriale
    1.4.3. Una cultura alternativa: operala, cattolica, radicale
    1.4.4. Elementi di provenienza giovanile, femminista, marginale
    1.4.5. L'esito: un panorama culturale molto confuso

    1.5. LA SOCIETA’ POLITICA ITALIANA

    1.5.1. Elementi di analisi della società politica
    1.5.2. L'evoluzione delle culture politiche

    2.1. ALCUNE PREMESSE Di METODO

    2.1.1. Cosa si intende per giovani
    2.1.2. Lettura strutturale e lettura culturale

    2.2. LETTURA STRUTTURALE/OGGETTIVA: LA CONDIZIONE GIOVANILE

    2.2.1. La marginalità giovanile
    2.2.2. Quale potenziale innovativo nei giovani?
    2.2.3. La ipotesi della frammentarietà
    2.2.4. Vivere da giovani nella società italiana è difficile

    2.3. LETTURA CULTURALE/SOGGETTIVA: LA CULTURA GIOVANILE

    2.3.1. L'ipotesi della «cultura giovanile»
    2.3.2 La cultura del «privato»
    2.3.3. La cultura del consumo
    2.3.4. La cultura dell'irrazionalità
    2.3.5. La cultura della nuova razionalità
    2.3.6. La cultura del sacro

    2.4. CONCLUSIONI SULL'IDENTITA SOCIALE DEI GIOVANI

    Bibliografia

    3.1. INTEGRAZIONE TRA LETTURA SOCIOLOGICA E LETTURA PSICOLOGICA

    3.1.1. Variabili indipendenti e variabili dipendenti nella formazione della personalità
    3.1.2. La ricerca di identità nell'adolescente

    3.2. LA COSTRUZIONE DELL'IMMAGINE Di SÈ

    3.2.1. Meccanismi nella costruzione dell'immagine di sé
    3.2.2. Il ruolo della intelligenza
    3.2.3. Il ruolo dell'affettività
    3.2.4. Prima adolescenza: discrepanza tra desiderio e realizzazione
    3.2.5. Media adolescenza: ribellione, dipendenza, vulnerabilità
    3.2.6. Fine adolescenza: discrepanza, tensione, identità

    3.3. RICERCA DI IDENTITÀ E CONFLITTI IN FAMIGLIA

    3.3.1. La inadeguatezza della famiglia per l bisogni dell'adolescente
    3.3.2. Fattori affettivi del conflitto familiare
    3.3.3. La ricerca di identità extrafamiliare
    3.3.4. li conflitto si fa rivolta
    3.3.5. L'esito: apertura al gruppo dei coetanei

    3.4. IL GRUPPO PER PASSARE DALLA DISPERSIONE ALLA FUSIONE

    3.4.1. Il gruppo come spazio per una autonomia non distruttiva
    3.4.2. Il gruppo spontaneo tra conformismo e nuove esperienze
    3.4.3. Il cammino di fusionedispersionenuova fusione

    Bibliografla 


    Ci sono diverse modalità o angolature per leggere questo quaderno dedicato all'analisi della complessa realtà sociale in cui vivono l'adolescente ed il giovane, e ad una riflessione sulla identità degli stessi. Ne indichiamo quattro.

    - Prima angolatura: dire l'amore alla vita nella sua concretezza. Animare dice «dare vita» e prima ancora, riconoscere la vita, ovunque essa si manifesti. La scelta della vita è prioritaria per chiunque intende fare animazione.
    Ma quale vita? Non una vita astratta, astorica. Ma la vita nella sua concretezza. Animazione è passione liberatrice per «questa» vita, per la vita di «questi» giovani in «questa» società.
    Ben sapendo che ogni volta che si parta di vita subito vengono alla mente anche situazioni e immagini in cui essa è minacciata, derisa e delusa. In questo quaderno l'animatore è sollecitato a conoscere la società, ed il giovane dentro la società, come luogo in cui la vita si distende e come luogo in cui egli sente di avere un di liberazione.
    - Seconda angolatura: apprendere a leggere criticamente la realtà in «uno sguardo educativo».
    C. Nanni, nel primo quaderno, ha insistito su questo atteggiamento con cui l'animatore deve accostare la realtà. Un atteggiamento fatto di analisi scientifica, con l'aiuto delle diverse discipline descrittive interpretative come la sociologia e la psicologia, per acquisire, progressivamente, una visione di storia di uomo; è fatto di una sensibilità globale che dentro l'approccio scientifico porta, come lo stesso Nanni ricordava, a:
    a. fare attenzione al nuovo, alle tendenze, alle dimensioni e agli aspetti futuri, presenti dentro l'esistente;
    b. cogliere nel dato di fatto, e spesso nella sua ambivalenza, il valore allo stato nascente;
    c. intuire la ricerca originale di umanità da parte delle nuove generazioni. Questo quaderno, che costituisce un primo accostamento all'analisi della società e dei mondo giovani è un luogo preciso in cui esercitarsi allo «sguardo educativo».
    - La terza angolatura: consapevolezza della grandezza e povertà dell'animazione. La riflessione sugli elementi strutturali e culturali che caratterizzano la società italiana agli inizi degli anni '80 pone in evidenza, se fosse necessario, una serie di problemi non facilmente risolvibili. L'animazione nello svolgere il suo compito si scontra con questi problemi quotidianamente. Al di là della buona volontà e dei moralismo, i problemi in cui i giovani sono coinvolti sono tali l'animazione deve anzitutto riconoscere la sua inadeguatezza, la sua «povertà». Non vuole essere questo un atteggiamento passivo, ma piuttosto un riconoscere, al di là dei comportamenti alla Don Chisciotte, le difficoltà, uno stimolare l'animazione a interventi specifici coordinati con gli altri interventi educativi, formativi e politici in cui il giovane è immerso. Significa anche che gli obiettivi che l'animazione persegue devono partire da una analisi delle possibili effettive che i giovani hanno. «Il bersaglio dell'educazione, ricordava Nanni, è sulla persona: il riferimento alla realtà circostante nella sua globalità è per vedere le reali possibilità di umanizzazione che storicamente si danno».
    - La quarta angolatura: il posto di questo quaderno nel progetto globale dei quaderni. I quaderni sono divisi in quattro serie, seguendo quattro domande:
    ^ chi fa animazione (“l’identità dell'animatore”);
    ^ a chi si fa animazione («fare animazione con questi giovani»);
    ^ quali contenuti «l'animazione culturale e l'educazione alla fede»);
    ^ come fare animazione («strategie, strumenti ed interventi»).
    Questo quaderno si colloca nella seconda serie, relativa ai destinatari. Si accompagna ad altri tre quaderni nel descrivere la società oggi, i bisogni dei giovani, la ricerca di identità sociale e psicologica nei giovani, i modelli culturali con cui i giovani hanno a che fare, le varie forme di associazione ed aggregazione che essi sperimentano in ambito sociale e ecclesiale. L'ottica attraverso cui il quaderno legge questi fatti è l'analisi dei particolare momento sociale e culturale che si sta vivendo nell'Italia in questi anni, e la identità giovanile come risultante dei loro sforzo di darsi un volto e dei condizionamenti sociali che li attraversano.
    - Il quaderno comprende tre contributi.
    - Le trasformazioni strutturali e culturali in ltalia (Giancarlo Milanesi)
    - L'identità sociale dei giovani (Giancarlo Milanesi)
    - Adolescenza: gli anni della costruzione della identità personale (Franca Amione)
    - Segue il «canovaccio» per la utilizzazione del quaderno nelle scuole per giovani animatori

    1. LE TRASFORMAZIONI STRUTTURALI E CULTURALI IN ITALIA
    Giancarlo Milanesi

    1.1. Ha senso parlare di trapasso culturale?

    Il contenuto di questo contributo (e di quello seguente) riguarda sostanzialmente due argomenti:
    - il significato delle trasformazioni strutturali e culturali in atto nel paese;
    - il ruolo e la funzione che i giovani esercitano o possono esercitare all'interno di tali trasformazioni.
    Si tratta anzitutto di identificare quali sono le forze che determinano i cambiamenti più rilevanti all'interno della struttura sociale e quali sono le direzioni verso cui tali cambiamenti sospingono l'intero sistema.
    In secondo luogo si devono analizzare i modi con cui vengono prodotti e trasmessi nel paese i diversi messaggi culturali e i modi con cui essi vengono fatti propri ed elaborati da coloro che li ricevono.
    Dentro questo schema si devono collocare i giovani, che da una parte sono oggetto di tali trasformazioni e dall'altra sono o possono essere i soggetti, più o meno protagonisti, di esse. Questo discorso sui giovani tende, in definitiva, a precisare quale può essere la loro identità sociale, cioè la loro definizione (se ce n'è una) come attori sociali all'interno di un sistema che continua a trasformarsi.
    Questo modo di definire i giovani Il con cui si fa animazione» non è l'unico possibile; oltre all'analisi sociologica anche la storia, la psicologia, l'etnoantropologia, la biofisiologia, ecc., possono offrire contributi utili alla comprensione della identità complessiva dei giovani. Tuttavia il «taglio» sociologico sembra godere di una certa priorità perché fornisce una piattaforma generale su cui gli altri contributi possono inserirsi, come necessari completamenti e approfondimenti.

    1.1.1. Crisi, svolta, trapasso culturale

    Parlando di trasformazioni si impone quasi necessariamente un chiarimento di concetti, perché su questo argomento vengono usati termini alquanto ambigui, carichi di significati contrastanti quando non opposti. I più comuni sono: crisi, trapasso, svolta.
    Il termine crisi può essere inteso:
    ^ in senso marxista come una irreversibile e totale catastrofe del sistema capitalistico, sono pochi oggi i marxisti che vi credono; essi preferiscono parlare di crisi ripetute, a breve termine, non irreversibili;
    ^ in senso funzionalista: la crisi è un fatto congiunturale, un fenomeno circoscritto, transitorio, superabile.
    Al di là dei due significati occorre sottolineare che il termine è usato con accenti di pessimismo o ottimismo a seconda della concezione di vita di chi parla. In definitiva il termine va usato con molta prudenza.
    ^ Il termine trapasso sembra più neutrale di crisi. In realtà è collegato a una non dimostrata speranza di uno sviluppo lineare della società, in cui ogni stadio è più avanzato dei precedente.
    ^ Analogamente il termine svolta (antropologica) sta a indicare una fase di superamento decisivo di certi equilibri sociali raggiunti.
    Trapasso e svolta suggeriscono l'idea di una trasformazione che interessa soprattutto i valori e che comunque ha sbocchi positivi.

    1.2. Elementi per una valutazone delle trasformazioni strutturali

    Una prima pista di analisi della società italiana riguarda le trasformazioni in atto a livello strutturale. Qui per struttura si intende una rete di relazioni reciproche tra attori sociali che ha i caratteri di una relativa stabilità nel tempo e nello spazio. L come l'impalcatura fondamentale di una società, che ne regge tutti i processi e condiziona tutte le trasformazioni.
    Fare l'analisi strutturale di una società significa dunque descrivere anzitutto le posizioni che ogni attore sociale occupa in essa e i movimenti che esso può esercitare lungo le sue nervature verticali e orizzontali.

    1.2.1. Società civile e società politica

    Per procedere all'analisi strutturale è forse utile tenere presente la distinzione tra società civile e società politica.
    - La società civile è il «luogo» in cui si realizzano le relazioni sociali fondamentali che hanno come scopo quello di soddisfare i bisogni umani più importanti. È nella società civile che si sono venuti sviluppando ambiti e sfere di azione omogenee e specifiche, come quella economica, religiosa, educativa, ricreativa. culturale, ecc., ognuna delle quali è ordinata a rispondere ad una parte dei bisogni con metodi e finalità proprie.
    È all'interno della società ci che si distinguono alcuni ambiti o contesti che qualcuno chiama «vitali», perché offrono le esperienze e le ragioni che costituiscono il significato fondamentale della vita, al di là degli influssi esercitati dalle grandi articolazioni della società civile e politica. Un esempio di esse potrebbe essere l'interazione familiare, la relazione di amicizia, l'esperienza religiosa.
    - La società politica è invece una struttura di coordinamento e di comando che intende esercitare sulla società civile una funzione complessa che comprende: interpretazione ed espressione dei bisogni che la società civile manifesta, regolazione dei conflitti e armonizzazione degli interessi, soluzione dei problemi comuni, ecc. In altre parole la società politica è (o dovrebbe essere) un strumento di mediazione e di stimolo della società civile, è (o dovrebbe essere) un «luogo» promozione globale della società civile. In realtà non sempre società civile e società politica si sviluppano e si relazionano in modo armonico e complementare; spesso si verifica che l'una (in genere quella civile) ha dei ritmi di sviluppo più alti dell'altra e si producono così fratture, ritardi e disarmonie che minacciano il buon funzionamento complessivo del sistema sociale.
    Quali sono dunque le caratteristi che della società civile e politica Italia? Quali sono i processi dinamici che ne caratterizzano le trasformazioni strutturali? Quali le forze in campo? Quali le difficoltà di armonizzazione tra società civile e società politica nel nostro paese? A queste domande intendono rispondere gli appunti che seguono.

    1.3. La struttura dela società civile in Italia

    Una prima considerazione riguarda il fatto che la società italiana è, come molte altre società che conosciamo, una società fortemente stratificata. Ciò significa che nei diversi ambiti in cui si diversifica la società civile le persone occupano posizioni più o meno influenti; che è quanto dire che esercitano un potere, cioè una forza di persuasione o coercizione sugli altri, di diversa intensità.
    Nella società civile italiana esistono persone che stanno più in su e altre che stanno più in giù nella scala sociale, che «contano» di più o di meno, che stanno al centro o alla periferia del sistema.
    - Criteri di stratificazione. Diversi sono i criteri secondo cui si possono distribuire gli italiani nella stratificazione sociale. Uno dei più usati è quello che si riferisce alla posizione economicosociale (misurata dal reddito, dalla scolarità, dalla professione esercitata, ecc.).
    Ma vi sono altre stratificazioni possibili, che molte volte rappresentano un frutto di «diversità storiche» di lunga data come la divisione tra Nord, Centro e SudIsole; o come la distinzione tra città e campagna, o come la differenza tra popolazione attiva (quella che produce reddito e ricchezza che in Italia si aggira attorno al 35% dei totale della popolazione) e popolazione non attiva (che consuma ricchezza e reddito), o quella infine che contrappone i diversi settori produttivi (attività primarie come l'agricoltura e la pesca, attività secondarie come l'industria e il commercio, attività terziarie, come l'amministrazione pubblica, i servizi, le attività dirigenziali),
    - La dinamica della stratificazione. Quello che però interessa maggiormente l'attività dell'animatore non è tanto la conoscenza dei diversi strati quanto la dinamica che attraversa la stratificazione stessa. A questo proposito si possono indicare alcune tendenze di fondo, cioè di lunga durata, attualmente all'opera nella società civile italiana.
    - Sono certamente in atto dei fenomeni di mobilità verticale ascendente, per cui una parte dei ceti proletari e sottoproletari tendono a salire la scala sociale per effetto di una più intensa scolarizzazione e di una più specifica professionalizzazione; ciò si tramuta in una più chiara coscienza delle proprie capacità e del proprio potere e perciò in una domanda crescente di protagonismo anche politico.
    - Esistono però anche fenomeni di mobilità verticale discendente, per cui una parte dei ceti medi e superiori tende a perdere potere e influsso; ciò è evidente ad esempio per il ceto artigiano e ancor più per i ceti impiegatizi dipendenti, la cui professionalità è stata svilita dalla scolarizzazione di massa (il titolo di studio, anche alto, non è più uno strumento certo di scalata sociale e di acquisto di potere).
    - Al di là dei fenomeni di mobilità verticale e in connessione con essi si sono osservati nella società civile italiana dei fenomeni (attualmente molto attenuati rispetto agli anni '50 e '60) di mobilità orizzontale sul territorio, cioè di emigrazione interna, ed esterna, secondo le direttrici cittàcampagna, SudNord, EstOvest, cioè secondo le direttrici dell'industrializzazione e della urbanizzazione. Le conseguenze di questo fenomeno sono particolarmente evidenti a livello culturale, come avremo modo di sottolineare in seguito, ma hanno anche prodotto effetti macroscopici a livello strutturale: svuotamento delle campagne, intasamenti urbani, squilibri tra settori produttivi, ecc.
    Quanto abbiamo detto avvenire a livello di stratificazione è certamente connesso, con un rapporto reciproco di causa/effetto alle trasformazioni che sono avvenute negli ultimi 3540 anni nei diversi settori della vita civile. Ne accenniamo brevemente distinguendo fra le trasformazioni delle istituzioni sociali (mondo del lavoro, famiglia, scuola) e le trasformazioni dei vari soggetti o ceti sociali.

    1.3.1. Le trasformazioni del sottosistema economico-produttivo

    Il sottosistema economico-produttivo si è venuto sviluppando secondo un modello misto che ha mitigato il fondamentale impianto capitalistico con varie forme di socializzazione dei mezzi di produzione, delle fonti di energia, dei servizi, ecc. Ciò non ha impedito che la «logica» fondamentale dello sviluppo sia quella dominata dal cerchio produzione consumi privati, che ha caratterizzato le prime fasi della industrializzazione in Italia.
    Tale logica, meno sensibile ai bisogni sociali collettivi, ha finito per premiare alcuni ceti sociali particolarmente protagonisti dello sviluppo industriale, aumentando invece l'emarginazione di altri; ciò è evidente soprattutto nei diversi livelli di consumo privato e di potere sociale complessivo che certi ceti hanno acquisito, mentre altri sono stati esclusi dalla divisione equa della torta dei benessere. Non a caso si dice che in Italia lo sviluppo economico/produttivo è stato dei tipo «a forbice», cioè è stato uno sviluppo che ha aumentato i divari tra Nord/Centro-Sud, città/campagna, agricoltura-industria-terziario. Questo tipo di logica, assommata alle difficoltà internazionali ha provocato tra l'altro:
    - l'incapacità radicale del sistema di produrre nuovi posti di lavoro (la «forza-lavoro» italiana è pressoché immutata da circa 25 anni nonostante l'aumento della popolazione,
    - l'aumento di aree di «marginalità», fonte di problemi sociali e di conflittualità permanente.
    Dall'insieme dei dati riguardanti il sottosistema economico-produttivo si può concludere che se il suo sviluppo ha portato il paese a collocarsi tra le grandi nazioni dei «Primo Mondo» ed ha aumentato considerevolmente la ricchezza disponibile, ha prodotto anche:
    - grossi squilibri sociali;
    - problemi di organizzazione sociale dei territorio (affollamento delle grandi città, speculazione edilizia, ecc.);
    - problemi di inquinamento e di degrado dell'habitat.

    1.3.2. Le trasformazioni del sottosistema formativo

    Il sottosistema formativo, soprattutto nella sua componente scolastica ha pure registrato una serie problematica di sviluppi.
    Il fenomeno più evidente è quello della scolarizzazione di massa, con l'innalzamento della scuola dell'obbligo a 14 anni (non ancora dei tutto pienamente realizzato nella pratica) e della diffusione massiccia della istruzione secondaria e superiore; tutto ciò ha provocato necessariamente delle conseguenze in parte problematiche e negative, in rapporto alla mancanza di un collegamento serio tra sistema formativo e sistema produttivo e alle carenze organizzative e strutturali della scuola stessa (la riforma delle secondarie non è ancora stata realizzata agli inizi degli anni '80).
    In particolare vanno segnalati i seguenti fenomeni:
    - l'impoverimento dei contenuti formativi e il progressivo distacco della cultura scolastica dalle esigenze della produzione e dai problemi della società,
    - la svalutazione dei titoli di studio e la loro irrilevanza ai fini dell'ottenimento di posti di lavoro proporzionati;
    - la disaffezione diffusa verso la scuola come strumento di elevazione culturale, di educazione e di promozione sociale.
    Non è fuori luogo ricordare che la scolarizzazione di massa ha di fatto provocato, in connessione con le strozzature dei sistema produttivo, più delusioni che soddisfazioni a molte famiglie e molti giovani, rivelandosi un sacrificio inutile, se non dannoso.

    1.3.3. Le trasformazioni dei sottosistema familiare

    Il sottosistema familiare ha messo in evidenza una serie di sviluppi problematici che hanno messo in crisi, pur non portandolo allo sfascio, il ruolo centrale della famiglia nei processi di socializzazione.
    Alcuni dati servono a evidenziare alcune trasformazioni avvenute nell'ambito del sottosistema familiare:
    - contrazione delle dimensioni medie della famiglia tipo (attorno a 3.1 persone per famiglia nel 1981); ciò per effetto dei progressivo abbassamento dei tassi di natalità e nuzialità;
    - riduzione dei numero delle persone attive ed aumento delle dipendenti o assistite (anziani, giovani, donne casalinghe);
    - aumento complessivo dei livelli di consumo, ma formazione di uno strato di famiglie ai limiti della povertà relativa ( 1 su 5);
    - progressivo impoverimento di funzioni e di ruoli e privatizzazione sostanziale dei rimanenti (socializzazione, equilibrio psichico, espressività);
    - rescente azione della sfera del pubblico (vedi stato assistenziale) sulla famiglia ed aumento della sua dipendenza (a livello economico: disoccupazione, prepensionamento; a livello politico: legislazione matrimoniale, divorzio, aborto); a livello socioculturale delega/scarico sulla famiglia delle funzioni di compensazione delle frustrazioni sociali).
    L'insieme di queste trasformazioni strutturali ha provocato una reazione complessa della famiglia media italiana che nell'insieme si può caratterizzare come una reazione di tipo privatistico (tratta per lo più di una privacy di rifugio e di difesa, talora egoistica e narcisistica). In definitiva la famiglia italiana tipo sembra configurarsi come:
    - una famiglia di coppia (modello della famiglia nucleare);
    - con funzioni prevalentemente espressive (cioè di tipo emotivo-affettivo) privatizzate;
    - restia ad assumersi funzioni e ruoli della sfera del pubblico ( anche in presenza di pressioni in tal senso esercitate dallo stato e da altri enti pubblici);
    - esposta al rischio di crescente patologicità, nel senso di maggiore problematicità dei rapporti interpersonali, di incertezza circa i ruoli genitoriali e filiali, di conflittualità nei rapporti con la società.

    1.3.4. L'evoluzione dei ruolo dei soggetti sociali

    Il sistema sociale ha visto modificarsi progressivamente i rapporti tra le diverse componenti della stratificazione sociale, cioè tra i vari soggetti o ceti sociali. Lo sviluppo economico produttivo degli anni '50 e '60 ha favori certamente l'allargamento dei ceti medi, che di fatto sono diventati i protagonisti e i gestori diretti del modello di sviluppo di quegli anni. L’ egemonia dei ceti medi produttivi è stata per altro sempre vivamente contestata dalla azione di ceti popolari (soprattutto quelli della fascia operaia sindacalizzata), progressivamente più coscienti delle proprie possibilità di partecipazione alla gestione del potere sociale (a tutti i livelli: politico, culturale,sindacale, ecc.).
    L'ipotesi di una radicalizzazione dei conflitto tra i due ceti preponderanti e la sua trasformazione in lotta di classe ha preso consistenza durante gli anni dello sviluppo industriale, senza per altro configurarsi come scontro violento e irreversibile.
    Se una cosa caratterizza lo sviluppo del sottosistema sociale italiano negli ultimi dieci anni è l'apparire alla ribalta di nuovi soggetti storici cioè di nuovi interlocutori, che pretendono di partecipare al confronto sociale con proprie proposte e organizzazioni.
    La stagione sessantottesca ha reso credibile per la prima volta in Italia una nuova forza rappresentata dai giovani studenti (di prevalente estrazione piccolo borghese e poi, in seguito, anche operaia),anche se la prospettiva dei «giovani come nuova classe» si è venuta rapidamente svuotando per mancanza di presupposti culturali ed organizzativi, lasciando aperta semmai l'ipotesi dei giovani come «potenziale innovativo» o come «coscienza critica della società», ma senza risvolti di classe.
    Analogo discorso, ma con accentuazioni assai diverse, si deve fare a proposito dei movimenti delle donne, che alla fine degli anni '70
    hanno avuto il grande merito di contribuire ad una più critica riflessione sui rapporti uomo-donna e in generale sui «luoghi» e sui «modi» della politica, spesso in analogia con i discorsi portati avanti dai giovani.

    1.4. L'elaborazione culturale all'interno della società civile

    Accanto all'analisi strutturale della società civile è da collocarsi quella sui dinamismi culturali che l'attraversano.
    Qui per cultura intendiamo la «configurazione totale dei prodotti mentali e degli strumenti materiali con cui un gruppo umano cerca di dare un senso alla realtà e dominarla», cioè l'insieme delle «concezioni dell'esistenza e dei prodotti materiali che essa esprime». Data questa definizione, appare abbastanza logico che in una società stratificata come quella italiana le «culture» siano più di una, anche se non mancano, come dappertutto, tratti comuni che configurano il «carattere nazionale degli italiani».
    L'esistenza di più culture, corrispondenti ai diversi gruppi umani che nella società civile (e anche in quella politica) si confrontano attorno ad un «progetto di uomo e di società», ci dice che la dinamica culturale è certamente di tipo competitivo, quando non conflittuale. Nel nostro paese la dinamica culturale è in fondo abbastanza vivace.

    1.4.1. La cultura contadina tradizionale

    È anzitutto in crisi da tempo la cultura contadina tradizionale, caratterizzata fondamentalmente dai valori del familismo (cioè da una condizione di vita in cui la famiglia è al centro delle esperienze individuali e sociali) e in larga parte sostenuta e legittimata da una concezione cristiana (popolare) dell'esistenza.
    La cultura contadina, emarginata dall'abnorme sviluppo industrialeurbano, sopravvive solo in questi contesti in cui lo sviluppo industriale non ha distrutto completamente il tessuto del territorio e dove i nuovi operai e impiegati hanno potuto continuare a mantenere i legami con la terra, come ad esempio in certe zone del Veneto, delle Marche, della Toscana, dell'Umbria, della Puglia, ecc. In questi contesti sociali è ancora possibile ritrovare alcuni valori della cultura contadina (come il senso della solidarietà comunitaria, l'ospitalità, la convivialità, la parsimonia, la pazienza, la capacità di rinviare la gratificazione, ecc.) variamente integrati con la cultura industriale.

    1.4.2. La cultura della società industriale

    Alla cultura contadina si è venuta sostituendo, specialmente nei contesti urbani, una nuova cultura, che vorrebbe esprimere i valori della società industriale; in realtà si tratta di una cultura che, gestita dai ceti medi e dai ceti popolari ascendenti, ha finito per immedesimarsi con i valori dell'ideologia borghese, di cui esprime sostanzialmente le istanze fondamentali:
    - l'idea che la felicità è un problema individuale, che consiste nel soddisfare anzitutto e soprattutto i propri bisogni individuali, che al limite si possono considerare anche semplici «desideri»;
    - l'idea che la soddisfazione dei propri bisogni individuali si può assicurare sostanzialmente attraverso i più alti livelli di consumo di beni materiali e non materiali;
    - l'idea che, dato il carattere di illimitatezza dei bisognodesiderio, il consumo (a sua volta illimitato) diventa una spinta necessaria verso i massimi livelli di produttività, anche perché lo sviluppo scientifico e tecnologico sembra giustificare il mito di un progresso senza limiti;
    - l'idea che lo stesso progresso è fonte di nuovi bisogni indotti, che ugualmente vanno soddisfatti se si vuole in qualche modo raggiungere la felicità.
    La logica introdotta dall'ideologia borghese ha finito per estendersi, in misura diversa, anche ai ceti (contadini, operai, artigiani, ecc.) che pure non sono stati i protagonisti dello sviluppo industrialeurbano, ma che ne hanno subito l'influsso preponderante. Al servizio di questa ideologia stanno infatti potenti mezzi di produzione e di diffusione della cultura (dai mass media alla scuola), che in larga misura hanno continuato a propagandare questo modello culturale come l'unica cultura possibile per una società industriale avanzata.

    1.4.3. Una cultura alternativa: operaia, cristiana, radicale

    In realtà a questa cultura, che pretende di interpretare in modo monopolistico le esigenze della società industriale, se ne sono contrapposte altre, preoccupate di salvare valori umani di maggiore rilievo e consistenza.
    - La tradizione marxista ha cercato di elaborare una cultura alternativa popolare operaia, che ha come contenuto i valori dell'ugualitarismo, della giustizia, della partecipazione e che esalta in primo luogo la necessità della soddisfazione dei bisogni collettivi.
    Questo tentativo incontra tuttora grosse difficoltà di realizzazione, sia per il fatto che il modello è fortemente minacciato dall'utopia, sia per il fatto che i soggetti destinatari/protagonisti dei progetto hanno subito fortemente l'influsso dell'ideologia borghese e sono sempre meno disposti, soprattutto in una fase di crisi generalizzata, a esprimere solidarismo e partecipazione e sempre più propensi a rifugiarsi nel particolarismo e nel corporativismo individualista.
    - Critiche altrettanto dure e proposte alternative all'ideologia borghese vengono anche dalla tradizione cristiana, che pur non possedendo un proprio modello di cultura industriale, non cessa di diffondere nel paese le istanze di un umanesimo integrale, radicato nel rispetto fondamentale della vita in tutte le sue manifestazioni. Di qui l'accusa di materialismo rivolta sia al modello borghese, sia a quello marxista, di qui anche il richiamo ai valori dei personalismo (centralità della persona rispetto ai processi sociali di produzione, gestione, consumo dei beni materiali e non materiali); di qui infine la proposta di un solidarismo universale che vada al di là della giustizia di classe e dei mito del benessere.
    - Ma anche all'interno della tradizione culturale borghese oggi si manifestano dissensi e alternative degne di nota, di cui la componente radicale cerca più di ogni altra di farsi portavoce; si tratta di riconoscere l'improponibilità di alcuni miti della società industriale (in primo luogo quello dello sviluppo illimitato dei sistemi economiciproduttivi) e di razionalizzare su basi nuove il progetto di una società industriale.

    1.4.4. Elementi di provenienza giovanile, femminista, marginale

    Su queste linee prevalenti della «produzione collettiva di senso» (cioè della cultura) si sono venuti inserendo elementi di provenienza subculturale, cioè modelli parziali di comportamento fatti propri da gruppi particolari, spesso configurabili come gruppi devianti marginali, alternativi. Abbiamo già detto che questi gruppi in qualche misura costituiscono a livello strutturale una nuova presenza storica, accanto alle classi e ai ceti tradizionali.
    Ma quali sono i loro apporti culturali specifici?
    Per quanto riguarda i giovani torneremo più avanti sul tema in modo più analitico; qui basterà dire che il '68 ha certamente costituito un momento di elaborazione di una proposta alternativa, a carattere piuttosto utopico ed eterogeneo, con elementi del modello marxista radicalizzati ma anche con molte istanze (frustrate) dell'ideologia borghese.
    Per quanto riguarda i movimenti femministi occorre dire che essi hanno seminato all'interno delle tradizioni culturali prevalenti le istanze del «privato», soprattutto i problemi del rapporto di coppia, della condizione femminile, delle difficoltà della famiglia nucleare; temi che sono ben espressi dallo slogan «il personale è politico».
    Terzo elemento molto importante, anche se meno qualificabile degli altri due, è la cultura degli emarginati: l'emarginazione infatti produce cultura, un tipo di modello di comportamento specifico. P un'area, questa, molto complessa dominata dalla cultura dell'irrazionalità di segno fondamentalmente negativo e la cui alternatività è perciò di tipo distruttivo.
    Nasce così la protesta degli emarginati, cioè di coloro che sono stati messi da parte, la cui voce e la cui protesta non sono ascoltate, la cui utopia e il cui progresso rivoluzionario sono considerati pazzia.

    1.4.5. L'esito: un panorama cultura e molto confuso

    Se questi sono i fenomeni culturali più rilevanti, occorre dire che il risultato prevalente delle diverse e contrastanti spinte socializzanti non è così chiaro da avallare l'ipotesi, alquanto semplicistica, di un pluralismo culturale ben identificabile nelle sue componenti, addirittura cristallizzato su posizioni storicamente definite e non minacciato da processi competitivi/conflittuali.
    Al contrario, il panorama culturale appare molto confuso, dal momento che in ogni persona, gruppo, strato sociale si accumulano, spesso senza arrivare a costituirsi in sistema organico, elementi culturali (cioè modelli, valori, criteri di giudizio, ecc.) provenienti dalle tradizioni culturali più eterogenee; non solo, ma questi stessi elementi sono continuamente sollecitati a mutare la loro posizione reciproca, a cambiare e a giustificarsi in modo nuovo.

    1.5. La società politica italiana

    Il discorso sulla società politica italiana è alquanto più semplice in rapporto a quello sulla società civile.

    1.5.1. Elementi di analisi strutturale della società politica

    ^ Aspetti problematici. Negli anni che sono oggetto della nostra analisi la struttura della società politica nel nostro paese non ha cambiato sostanzialmente; semmai si sono venuti accentuando alcuni aspetti problematici che da sempre sono presenti nel sistema politico. Ne ricordiamo alcuni in particolare.
    - La struttura di democrazia parlamentare, con larga divisione del potere e con notevoli possibilità teoriche di partecipazione dal basso, si è venuta sempre più caratterizzando come un sistema dominato dalla logica di potere dei partiti, scarsamente integrata dalla presenza di altre organizzazioni rappresentative (sindacati, organizzazione del padronato, quadri intermedi, coltivatori, ecc.). Ciò sembra avere provocato, a lungo andare, il rischio (già in molti casi divenuto realtà) di una progressiva separatezza della società politica dalla società civile, con risvolti negativi evidenti.
    - La cristallizzazione dei rapporti di forza tra le diverse componenti dei sistema politicopartitico non ha permesso l'allargamento progressivo della partecipazione al potere da parte dell'area marxistasocialista, provocando una situazione generalizzata di «bloccaggio» e di «ingovernabilità» della società politica.
    - La crisi di governabilità si è resa evidente soprattutto nel ritardo cronico delle riforme che avrebbero permesso alla società politica di stare al passo delle esigenze della società civile e di rispondere adeguatamente alle domande emergenti dei nuovi «soggetti storici». Esempi di questi ritardi sono la riforma della scuola secondaria, del sistema giudiziario, dei sistema fiscale, e soprattutto della costituzione.
    ^ La classe politica. Una seconda serie di considerazioni riguarda necessariamente la classe politica che della società politica è l'espressione più immediata.
    Su di essa si può annotare che:
    - si è venuta progressivamente trasformandosi in una classe di «professionisti a tempo pieno», in una specie di «casta» chiusa, a cui si può accedere solo per cooptazione dall'alto, cioè per consenso degli appartenenti;
    - allo stesso tempo la classe politica italiana si è venuta caratterizzando per alcune «pratiche» che ne hanno svuotato in gran parte la credibilità, quali la lottizzazione del potere, il clientelismo, il trasformismo. In alcuni settori si sono venuti manifestando chiari segni di prevaricazione, cioè di abuso del potere, come ampiamente dimostrano i ricorrenti casi di corruzione amministrativa e politica;
    - si è venuta approfondendo l'impressione di scarsa disponibilità al ricambio e di impermeabilità alla critica, che hanno accentuato in progressione il distacco dalle classi popolari.
    ^ Crisi di consenso. Se è indubbio che la struttura della società politica ha assicurato, pur tra molti limiti e contraddizioni, un periodo abbastanza prolungato di pace e di progresso al paese, è altrettanto vero che essa non ha fatto molto per guadagnarsi e conservare un consenso popolare diffuso, né ha accettato facilmente le istanze di rinnovamento che si sono venute manifestando soprattutto da parte dei nuovi soggetti storici emergenti.

    1.5.2. L'evoluzione delle culture politiche

    Indubbiamente la crisi della politica negli ultimi anni va ricercata anche nella crisi delle culture politiche e non solo nelle contraddizioni strutturali della società politica. Per cultura politica intendiamo qui le concezioni generali dell'uomo e della società che sostengono la prassi politica e che la orientano.
    Queste concezioni hanno subito notevoli trasformazioni negli anni. Basta pensare alle diverse culture politiche negli anni della ricostruzione, del boom economico, delle lotte operaie e studentesche, fino all'attuale periodo di crisi del politico. Per motivi di spazio, possiamo solo accennare a questa evoluzione.

    2. L'IDENTITÀ SOCIALE DEI GIOVANI
    Giancarlo Milanesi

    2.1. Alcune premesse di metodo

    È necessario precisare alcuni termini che saranno usati in questa seconda parte del fascicolo e stabilire quale sia il «taglio» secondo cui il tema sarà trattato.

    2.1.1. Cosa intendere per «giovani»

    Un primo problema riguarda la definizione di ciò che chiamiamo gioventù, giovani. A questo riguardo si possono richiamare alcune tematiche utili all'analisi.
    Il concetto di «giovane» è relativo a certe condizioni e situazioni tipiche della società in cui una persona in età evolutiva è chiamata a vivere. Si può considerare periodo della giovinezza quello che si colloca tra il raggiungimento della maturità biologica e il raggiungimento della maturità sociale (cioè della capacità di inserirsi autonomamente, con responsabilità da adulto nella società).

    2.1.2. Lettura strutturale e lettura culturale

    In questa analisi, oltre alla definizione di «gioventù» è importante stabilire quale sia il rapporto tra una lettura «strutturale» della condizione giovanile e una lettura sovrastrutturale o «culturale» di essa.
    - Per lettura strutturale intendiamo l'analisi delle condizioni obiettive entro cui si svolge l'esperienza umana dei giovani di una generazione. In altre parole si tratta delle coordinate storiche, sociali, politiche, economiche, culturali che caratterizzano un sistema sociale e soprattutto si tratta dei processi che caratterizzano tali coordinate e che investono l'esperienza umana dei giovani.
    Secondo questa prospettiva tali situazioni obiettive definiscono in prima istanza quella che noi chiamiamo la condizione giovanile; è dall'insieme di queste modalità di vita individuale e collettiva che nasce e si caratterizza in un certo modo la domanda, fondamentale, di significato che i,giovani si pongono.
    - Per lettura sovrastrutturale o culturale intendiamo l'insieme delle risposte (di o genere: dall'adattamento alla, ribellione, dalla rassegnazione acritica) che i giovani elaborano rapporto ai processi di cui sono oggetto. È tutto ciò che con al termine si chiama soggettività cultura giovanile e che in un certo senso costituisce il terreno possibile protagonismo dei giovani all'interno di una determinata società.
    La soggettività è poi articola attorno a contenuti specifici che sono ad esempio i bisogni (loro: analisi e loro soddisfazione), i valori, i progetti, gli ideali, gli atteggiamenti e le opinioni, ecc.
    Questo tipo di approccio non privilegia unilateralmente l'una o, l'altra delle due letture, ma cerca di coglierne gli influssi reciproci.

    2.2. Lettura strutturale-oggettiva della condizione giovanile

    Assumiamo il termine «condizione giovanile» con qualche riserva perché esso sembra supporre (ciò che va invece dimostrato) una certa unitaria situazione di tutti i giovani italiani entro la società di cui fanno parte. In realtà vi sono motivi per immaginare che non si può più parlare di «condizione giovanile» se non a certe condizioni e con certi limiti, perché i giovani si presentano piuttosto come una realtà frammentata che come una realtà unitaria. Si tratta di approfondire questa doppia ipotesi con argomentazioni capaci di rendere conto della complessa realtà obiettiva della gioventù italiana in questo periodo storico. Partendo dal presupposto che la condizione giovanile sia Un realtà ipoteticamente frammentata, non possiamo però escludere che qualche elemento sia comune e che permetta perciò delineare una piattaforma interpretativa minima unitaria.
    Su questa base possiamo parlare di marginalità, potenziale innovativo, frammentazione dei giovani.

    2.2.1. La marginalità giovanile

    La categoria principale che può essere usata nella lettura strutturale della condizione giovanile in Italia è quella della marginalità. Vediamo in dettaglio ciò che significa.
    Esistono processi sociali che tendono a fare dei giovani uno strato marginale, cioè escluso di fatto dalle opportunità di esercitare i dirittidoveri proporzionati alle loro effettive capacità umane.
    La condizione dì marginalità rappresenta una minaccia estesa a tutti i giovani, ma di fatto colpisce solo alcune fasce meno dotate obiettivamente e soggettivamente di possibilità di opporsi, reagire o neutralizzare i processi di emarginazione.
    I «segni» della emarginazione sono numerosi e in generale possono essere i seguenti:
    - prolungato parcheggio entro strutture formative di durata eccessiva;
    - esclusione dal lavoro legale;
    - sfruttamento nel lavoro «ner0» o comunque illegale;
    - manipolazione attraverso la socializzazione coatta dei mass media;
    - limitazione alla funzione di consumo e non di produzione;
    - limitazione ed esclusione dalle diverse forme di partecipazione protagonista e condizionamento della partecipazione subalterna.
    - la «logica» che porta alla emarginazione dei giovani è quella tipica della società neo-capitalista che già abbiamo analizzato; società del circolo «massimo di produzione per un massimo di consumo privato» che privilegia necessariamente gli «status quo» raggiunti a tutti i livelli.
    Ciò significa concretamente:
    - incapacità di creare nuovi posti di lavoro
    - necessità di sempre più lungo apprendistato sociale;
    - contenimento della forza/lavoro secondo le esigenze della massima produttività e della minima mano d'opera;
    - il concentrazione del potere direttivo in poche mani.
    È ovvio che questo meccanismo si fa molto più esigente in momenti di «crisi», proprio perché la crisi è un moltiplicatore di marginalità; in questi momenti difficili vengono espulsi o neutralizzati o emarginati gli anelli più deboli del sistema, cioè quelli che godono di minori «garanzie», come i vecchi, ì giovani, le donne, gli handicappati, i diversi, ecc.

    2.2.2. Quale potenziale innovativo nei giovani?

    Se l'ipotesi dell'emarginazione dovesse essere provata, in parte o del tutto, si tratta di vedere se ciò esclude completamente l'uso di un'altra categoria interpretativa, connotata più positivamente, quale ad esempio la categoria «potenziale innovativo».
    Questa ed altre espressioni similari (giovani come «coscienza critica della società» o più popolarmente «giovani come speranza del domani», «catalizzatori dei cambio», «anticipatori dell'alternativa», ecc.) vanno verificate accuratamente.
    Esse intanto partono dal presupposto che la giovinezza in quanto tale, cioè come potenziale biologicopsicologico intatto, ha qualche chance di giocare entro la società (qualsiasi società) un ruolo e una funzione creativa, innovativa, alternativa.
    Ma ciò è solo una pura ipotesi. In altre parole la gioventù, a prescindere dalla minacciarischio dell'emarginazione, può diventare un «potenziale d'innovazione» solo a precise condizioni.
    Su questo punto si è molto discusso durante e dopo gli anni della contestazione sessantottesca.
    Il ruolo dei giovani all'interno della dinamica complessiva della società italiana risulta in effetti modificato e limitato.
    Essi restano necessariamente esclusi dal gioco dei grandi confronti e conflitti storici tra classi e ceti, o possono partecipare a tali processi solo marginalmente e sub ordinatamente, anche se oggi molti pensano che il ruolo dei soggetti storici non configurabili in termini di classe (e, più in generale, delle forme di aggregazione più o meno istituzionalizzate presenti nella società civile) sia importante quanto quello delle organizzazioni della società politica.
    In concreto ciò significherebbe che strutturalmente lo strato di popolazione collocato tra maturità biologica e maturità sociale può giocare i ruoli di: anticipazione di modelli innovativi e di coscienza critica della società.
    Anzitutto il ruolo di anticipazione di modelli innovativi, da recepirsi poi anche dalla società adulta; è logico che sia così, proprio perché la gioventù è per definizione un periodo di transizione, in cui la sperimentazione dei nuovo è consentita da una certa paternalistica permissività e tolleranza e dal clima di generale ambivalenza che gli adulti adottano verso i giovani.
    Ed insieme il ruolo di coscienza critica della società, cioè riserva di energie mentali, da utilizzare quando è necessario ridare ai sistemi sociali la vitalità perduta o la consapevolezza delle proprie risorse inespresse. In questo contesto il ruolo di «coscienza critica della società» dovrebbe svolgersi al di fuori dell'ipotesi rivoluzionaria, perché tutto sembra indicare che lo stimolo offerto dalle nuove generazioni debba essere utilizzato solo in funzione di un'evoluzione controllabile del sistema.

    2.2.3. La ipotesi della frammentarietà

    Oltre le categorie «emarginazione» e «potenziale innovativo» poche altre sembrano godere di plausibilità nell'attuale fase di trasformazione della condizione giovanile. Il fatto è che, come abbiamo avuto modo di accennare precedentemente, i giovani non si presentano più come «condizione» unitaria, ma come strato variegato e stratificato, per il quale è difficile trovare una categoria interpretativa unitaria.
    Ma quali i motivi e le caratteristiche della ipotetica frammentazione?
    - Un dato indiscutibile è offerto dal processo di progressiva disorganizzazione della struttura e dell'eredità culturale del paese nel suo complesso.
    Il venir meno dei fattori capaci di produrre consenso e di ricostruire piattaforme unitarie di cultura e di azione, trasforma il pluralismo di fatto in un pluralismo di diritto e modifica le relazioni di confronto in relazioni di conflitto. I giovani risentono della cristallizzazione delle divisioni in atto nel paese; l'essere giovani non sembra essere più un motivo di superamento delle differenze sociali, culturali, religiose, ecc.
    - Un secondo motivo di frammentazione va ritrovato nella stessa logica della crisi che favorisce necessariamente il risorgere delle spinte corporativistiche ed individualistiche.
    La frammentazione si configura così come un procedere in tutte le direzioni (e non necessariamente in avanti) e in ordine sparso.
    Di qui si deve concludere che le stesse propensioni all'aggregazione, che pure esiste, ha una sua connotazione sostanzialmente ambigua. Aggregarsi significa, per molti giovani di questa generazione, anzitutto un antidoto la frammentazione, ma allo stesso tempo è un fenomeno che produce, e in certa misura consolida, lo stato di frammentazione Le piccole aggregazioni tendo infatti a privilegiare la logica la setta che consiste nella: esaltazione degli elementi che rendo «differenti»; tendenza all'esclusione o alla selettività verso «altri»; sollecitazione di forti dinamiche di gruppo interne; elaborazione di sistemi di significa sempre meno universali e sempre meno comunicabili; propensione a letture negativistiche della realtà esterna.
    - La frammentazione, come effetto della crisi che produce particolarismo, si sovrappone così alla frammentazione che prima traeva motivo dalle differenze di sesso, età, estrazione sociale, scolarità, livelli di professionalità, ecc.; questi motivi di differenziazione della condizione giovanile si aggiungono ai precedenti e ne moltiplicano l'effetto disgregatore.
    È ovvio che questo stato di frammentazione si ripercuote necessariamente anche a livello culturale, cioè a livello dei «sistemi di significato» che i giovani fanno propri, a questo proposito è appena necessario accennare al fatto che se la socializzazione primaria e gia per conto proprio un processo competitivo/conflittuale, non diversamente operano i processi di socializzazione secondaria, quelli cioè di cui gli adolescenti e i giovani sono in parte protagonisti. La frammentazione viene infatti rafforzata (e a sua volta incrementata) da certe pratiche di auto-socializzazione in cui i giovani Si chiudono in esperienze parziali e incomunicabili; basterebbe citare ad esempio il caso di certi gruppi religiosi (esoterici e non) o il caso di certe aggregazioni politiche di base, o di certi gruppi (bande) delinquenziali.

    2.2.4. Vivere da giovani nella società italiana è difficile

    Senza indulgere a ingiustificato pessimismo, sembra di poter dire che la collocazione obiettiva dei giovani entro la società italiana è effettivamente difficile. Essere giovani in questa società rappresenta, per molti, vivere nella precarietà, accettare pesanti condizionamenti economici, culturali, familiari, sociali e politici; significa soprattutto saper convivere con una prospettiva di vita limitata, che taglia le ali all'utopia e rimette continuamente i sogni nel cassetto, in attesa di tempi migliori che non vengono mai. I «privilegiati» per i quali il futuro è meno problematico appartengono a quegli strati che possono sfruttare adeguatamente la congiuntura e la crisi senza riceverne danno; in altre parole i più dotati in ogni senso.
    È naturale, dunque, che le speranze di una nuova qualità della vita per i giovani non possono venire che da una loro diversa «soggettività», cioè da un più consapevole modo di prendere coscienza dei propri problemi e di gestirli; le soluzioni radicali, quelle che vengono da un intervento politico gestito dalla società degli adulti appaiono infatti lontane e improbabili.
    Occorre dunque sapere quale sia la qualità della soggettività dei giovani di questa generazione.

    2.3. Lettura culturale-soggettiva: la cultura giovanile

    La soggettività giovanile si nutre dell'emarginazione, del limitato spazio di potenzialità innovativa, della frammentazione; allo stesso tempo è una risposta a queste realtà problematiche ed inquietanti.
    Conoscere la soggettività dei giovani significa dunque verificare se i giovani sono in grado di produrre cultura (cioè valori, progetti, ideali, ecc.) e non solo consumarla; se essi sono in grado di elaborare sistemi di significato alternativi e di immetterli efficacemente nella società; se sono capaci di trasformare la coscienza dei problemi in progetto inteso a risolverli.

    2.3.1. L'ipotesi della «cultura» giovanile

    A più riprese, ma soprattutto durante gli anni della contestazione sessantottesca, si è riproposta l'ipotesi dell'esistenza di una specifica cultura giovanile, cioè di un organico complesso di modelli ideali di comportamento (valori, atteggiamenti, opinioni, giudizi e pregiudizi) e di modelli reali di comportamento (modi di essere e di agire), originale rispetto alla cultura adulta e in certa misura capace di imporsi ad essa.
    La discussione attorno a questa ipotesi sì è praticamente conclusa con giudizio prevalentemente negativo; i giovani non sono in grado di elaborare una compiuta cultura originale se non esistono le condizioni obiettive strutturali che permettono di considerarli come un «polo» autonomo della complessa realtà sociale.
    Nella fase storica che stiamo analizzando, sembra più fondata l'ipotesi secondo cui la cultura giovanile è sostanzialmente costituita da una proposta disorganica, nel senso che essa è anzitutto poco originale (deriva in gran parte i propri contenuti dalla cultura degli adulti) ed è anche eterogenea (è un insieme di culture particolari o subculture che sono elaborate ed interiorizzate in misura e modi diversi da diversi gruppi, strati, organizzazioni, movimenti giovanili).
    La nostra ipotesi di lettura della cultura giovanile presuppone che i giovani, individualmente o per strato, aggregazione, ecc. interiorizzano un cocktail di tratti culturali, presi da diverse «subculture» presenti sul «mercato» dei sistemi di significato e variamente legittimati.
    Il concetto di subcultura si caratterizza qui come elaborazione culturale gestita da gruppi particolari di giovani (ad es.: ribelli, tossicodipendenti, contestatori, autocemarginati, impegnati politicamente, credenti) o riferita ad un aspetto particolare dell'esperienza individuale o collettiva (ad es.: il tempo libero).
    Si possono forse distinguere due criteri per classificare le diverse «subculture giovanili»:
    - le subculture per segmenti di esperienza, come la subcultura del vestito, del comportamento sessuale, del comportamento religioso, del comportamento politico, della musica, ecc.
    - le subculture dei sistemi di significato, cioè i tentativi di dare un senso complessivo alla vita, fatti propri da gruppi particolari di giovani; come ad esempio la subcultura del privato, dei consumo, dell'irrazionalità, ecc.
    In questa lettura sovrastrutturale della condizione giovanile noi adotteremo l'analisi per subculture dei sistemi di significato, perché ci sembra più idonea a comprendere la situazione attuale che è certamente di frammentazione, ma che è anche di ricerca di qualche criterio unificante più universale.

    2.3.3. La cultura del «privato»

    È nota la tematica dei «riflusso» che da anni viene riproposta come categoria interpretativa del dopo sessantotto. In realtà il termine è ambiguo e va chiarito.
    Si preferisce parlare di cultura dei privato perché entro questo ambito è possibile cogliere problematiche molto sfumate, che rendono ragione della complessità di processi che sta dietro al cosiddetto «riflusso».
    Per «cultura dei privato» qui si intende in sostanza l'attenzione precipua riservata alle tematiche che riguardano la persona singola (ciò almeno a livello di interesse immediato e primario). Ciò implica una minore attenzione alle tematiche della sfera del «pubblico» in tutte le sue componenti sociopolitiche.
    - L'oscillazione tra individualismo e personalismo. La cultura dei privato però non sembra unitaria; al suo interno si verificano accentuazioni non secondarie che ne specificano in modo divaricato i contenuti ambivalenti. C'è un privato interpretato individualisticamente ed un privato interpretato personalisticamente. In questa doppia percezione del problema giocano due momenti di ricerca tipici dell'esperienza giovanile (ma non solo di quella): l'analisi dei bisogni e l'azione intesa a soddisfarli.
    Nel caso dell'individualismo il bisogno è individuato nel «desiderio» (che ha radici non collettive e che ha componenti anche irrazionali) e richiede una soddisfazione che segue la legge dei «tutto e subito» a vantaggio dell'individuo. Nel caso dei personalismo, il bisogno è individuato in esigenze della «natura» umana e non dalle domande indotte artificiosamente dalle esigenze del ciclo produzione/consumo); i bisogni si configurano, in questa prospettiva, come fortemente gerarchizzati in una piramide che vede al vertice i bisogni di tipo esistenziale (bisogno di significato, di autorealizzazione, di inclusione, di partecipazione, ecc.).
    Prima di analizzare i contenuti specifici delle due aree in cui si articola la cultura dei privato è importante sottolineare che essa rappresenta in gran parte una reazione alla crisi delle esperienze della sfera del pubblico, in prima istanza alla crisi del «politico»; il privato si caratterizza così come un fenomeno «post-politico», che in gran parte va interpretato come un fenomeno «contro» e «senza» il politico e solo parzialmente come un «luogo di ridefinizione» del politico.
    - Verso nuove forme di aggregazione. A ciò si può aggiungere che la cultura dei privato non significa necessariamente la fine delle aggregazioni e delle forme di partecipazione; al contrario, essa favorisce un certo tipo di aggregazione dai caratteri nuovi e problematici.
    Il gruppo, in questa nuova fattispecie, è generalmente un' esperienza collettiva a basso livello di contenuto; l'aggregazione ha come scopo fondamentale quello di «star bene insieme» prima ancora che di «far qualcosa».
    Questa preferenza è spiegata dalla scarsa efficienza delle istituzioni, che venendo meno distruggono il meccanismo di regolazione delle ansie e delle tensioni individuali e sociali, il gruppo restituisce le sicurezze che il pubblico non può dare. Inoltre il gruppo a scarso contenuto ideale rappresenta una reazione alle forme di aggregazione sessantottesche, in cui prevaleva l'ideologia dell'impegno (cioè il primato del politico, l'utopia della rivoluzione strutturale, ecc.) che si è rivelata impraticabile, almeno nei termini proposti; e in cui prevaleva il carattere funzionale del gruppo verso scopi esterni (il «che fare») e la soggettività risultava scarsa, non riconosciuta, mortificata.
    - La ricerca di identità personale. In sostanza, da quanto siamo venuti dicendo si potrebbe dire che esiste, ed in certi casi è dominante, una cultura dei privato che sottolinea l'esigenza tra i giovani di assicurarsi un 'identità individuale più solida, attraverso le due ipotesi dell'individualismo e dei personalismo; nel primo caso la metodologia è quella della soddisfazione anarchica dei desideri secondo la logica asociale e irresponsabile dei «tutto e subito», nel secondo è quella della autorealizzazione in una prospettiva di apertura verso il riconoscimento del bisogno altrui e della soddisfazione contemporanea ed equilibrata dei bisogni di tutti,

    2.3.3. La cultura dei consumo

    Questo costrutto culturale è legato strettamente alla lettura individualistica del privato. Abbiamo già detto che il consumo privato rappresenta all'interno della ideologia borghese lo strumento principe della soddisfazione dei bisogni (di tutti i tipi) e perciò costituisce la chiave facile della felicità. Qui si può aggiungere che in momenti di difficoltà o di crisi dei sistema sociale il consumo diventa anche strumento di altri processi sociali che mirano a scaricare tensioni o a prevenire conflitti.
    - Il senso del consumo. In particolare, il consumo:
    - serve a rimuovere, cioè a far dimenticare i gravi problemi del momento;
    - serve a compensare delle molte frustrazioni accumulate in una società alienata;
    - serve a distogliere dalla partecipazione responsabile;
    - serve a creare fittizie sensazioni di soddisfazione profonda e di sicurezza.
    È attraverso la possibilità di maggiore consumo che si contrabbanda la possibilità di rispondere ai bisogni di significato e di identità che la crisi acuisce. 1 giovani sembrano aderire largamente al modello della cultura, dei consumo.
    - Passività e manipolazione. Dire che i giovani aderiscono largamente ad una cultura dei consumo significa affermare che nei settori indicati essi sono disposti ad accettare passivamente i MOdelli di comportamento elaborati per loro dagli adulti e che avvertono solo parzialmente e occasionalmente i rischi di manipolazione e sfruttamento insiti in questo meccanismo di «socializzazione».
    In realtà la cultura dei consumo così intesa, sembra essere stata interiorizzata anche dai giovani più impegnati, anche se non sempre essa è considerata cultura totalizzante, ma solo modello da usarsi parzialmente e subordinatamente ad altri modelli più rilevanti per il senso della vita.
    - Modello di aggregazione. L'ambiguità della cultura del consumo va tenuta presente soprattutto quando si osservano fenomeni di aggregazione giovanile prodotti da un'attività di consumo (vedi lo sport o la musica con le loro enormi capacità di mobilitazione dei giovani); si tratta in genere di forme di socializzazione estremamente labili e superficiali, in cui l'identità collettiva si coagula attorno a tematiche tipicamente effimere e non riesce a trasformarsi in progetto né per la persona, né per la collettività.
    Oggigiorno la cultura del consumo rappresenta un ambito privilegiato della soggettività giovanile, anche in rapporto al crescente rilievo che nella vita dei giovani prende il tempo libero (considerato non più tempo «secondario» rispetto allo studio e al lavoro, ma tempo forte e privilegiato per la costruzione della propria personalità) ed è certamente significativo che le possibilità offerte da un tempo libero più abbondante e più ricco di esperienze vengano minacciate o sminuite dal modello consumista.

    2.3.4. La cultura dell'irrazionalità

    Questa «lettura dei reale» nasce da molte condizioni obiettive che abbiamo già analizzato in precedenza e che si possono riassumere nel sentimento dell'impotenza e della delusione, che nascono dalla percezione dell'emarginazione e dalla deprivazione percepite come insuperabili e ineluttabili. In questa situazione, obiettivamente e soggettivamente difficile, è ovvio che i soggetti più deboli, cioè incapaci di immaginarsi protagonisti di una reazione alternativa, si orientano verso soluzioni adattative di segno negativo; a ciò inclinano ulteriormente certi «rinforzi culturali» che riesumano e diffondono ideologie della crisi, filosofie irrazionali, sensibilità nichilista.
    ^ Le forme. Le forme più diffuse di cultura irrazionalistica sono:
    - la fuga, che prende i connotati dell'apatia, dell'autoemarginazione, dell'estrancità;
    - l'aggressività, sia quella rivolta verso se stessi (ed è il meccanismo che spiega, almeno in parte, il suicidio e la tossicodipendenza) o rivolta verso gli altri (ed è la violenza in tutte le sue forme, da quella sessuale a quella politica);
    - il vitalismo e lo spontaneismo anarcoide, che rifugge da qualsiasi limite razionale imposto dall'istituzione e dalle regole della convivenza sociale.
    ^ Meccanismi perversi di una società in crisi. La cultura dell'irrazionalità costituisce oggi un grosso problema per i giovani di questa generazione, anzitutto perché è un fenomeno che a lungo andare è distruttivo per la persona stessa, prima ancora che per la società, e poi anche perché essa rivela nella sua logica profonda l'esistenza di possibili «meccanismi perversi» che una società in crisi mette in atto quasi automaticamente per difendersi in qualche modo dalla distruzione. La cultura dell'irrazionalità, infatti, non fa che facilitare la creazione di «sacche subculturali e deviante», di «ghetti», di «aree di marginalità» che diventano facilmente il capro espiatorio, il bersaglio preferito, l'oggetto privilegiato di colpevolizzazione della società.
    I giovani possono così pagare le spese delle molte contraddizioni che la società produce ma che non sa risolvere.

    2.3.5. La cultura della nuova razionalità

    Se esistono dei meccanismi di adattamento alla realtà che risultano sostanzialmente evasivi e inadatti, esistono presso i giovani anche reazioni costruttive che complessivamente potremmo chiamare «cultura della nuova razionalità».
    Questo atteggiamento si può caratterizzare come tentativo di progettare una qualità della vita possibile entro una società attraversata da tante contraddizioni. Le radici ideologiche di questa cultura sono molteplici e le elaborazioni che ne derivano rispecchiano le diverse sensibilità e tradizioni che convergono verso questa volontà comune di restituire senso ad un'esperienza umana quanto mai difficile.
    Al di là delle diversità, la cultura della nuova razionalità sembra privilegiare alcune tematiche comuni.
    - La «pubblicazione dei privato». Emerge anzitutto il superamento di una concezione totalizzante del politico e il tentativo di ripensarlo in termini nuovi, cioè come «strumento» e non «fine», corno espressione di un'etica e di una cultura e non come prassi assoluta e autogiustificata, come perseguimento di mete concrete e limitate e non come realizzazione di grandi progetti storici al limite dell'utopia. In una parola ciò significa non tanto la privatizzazione del «politico», quanto la «pubblicazione del privato», il tentativo cioè di riportare entro la sfera dei politico i problemi della quotidianità e della persona nella loro immediatezza e privatezza.
    - Il «comunitario». Sembra consolidarsi poi la riscoperta dei privato in termini di «personale» e cioè corno luogo privilegiato non unico della propria realizzazione totale e corno fondamento della propria identità individuale.
    In questa prospettiva, la cultura del privato viene reinterpretata come premessa per la riscoperta di nuovi rapporti interpersonali, il «comunitario» ridiventa l'ambito entro cui è possibile esprimere il bisogno di socialità. In questa ottica si sottolinea l'importanza delle tematiche della coppia, dell'amicizia, dei piccolo gruppo, della famiglia.
    - Concretezza nell'azione. Si impone anche sempre più la relativizzazione delle ideologie e la reimpostazione del problema del senso della vita su basi più realistiche, con più spiccato senso dei limite, con progettualità più limitata e con contenuti più consapevoli delle difficoltà obiettive in cui si è chiamati a vivere.
    In questa linea si incontrano le spiccato sensibilità di certe fasce giovanili per i problemi ecologici, per il grande terna della pace, per i diritti degli uomini, per il problema dell'emarginazione. In questa linea viene riscoperto il valore della partecipazione e della testimonianza, al servizio di obiettivi sociali concreti e urgenti, come dimostra ampiamente il rinnovato successo del volontariato.
    - L'aggregazione su «proposte identità». Una parola a parte merita infine il tema dell'aggregazione o dell'associazionismo. In questo periodo breve non tutte le forme di aggregazione giovanile no il medesimo successo. Questa cultura della nuova razionalità sembra privilegiare le proposte di aggregazione che sono portatrici di Proposte specifiche e che perciò sembrano rispondere più immediatamente al bisogno di identità. Non ci si può nascondere che tara questa preferenza nasconde esigenza di risposte sicure e definitive che esentino dalla fatica e dalla ricerca personale (e perciò in certa misura rivelano la propensione alla dipendenza e sfociano nell'integrismo); ma, al di là di questi rischi, appare evidente che il bisogno di aggregazione appare, entro questa cultura, canalizzato più verso le tematiche dell'essere che verso quelle dell'agire; non ci si associa principalmente per cambiare il mondo, ma per cambiare se stessi, non si mira principalmente alla liberazione dei mondo ma alla liberazione di se stessi (condizione previa per la liberazione collettiva). Gli elementi che abbiamo individuato suggeriscono che la cultura della nuova razionalità è quasi necessariamente destinata ad essere appannaggio di pochi giovani, particolarmente sensibili e preparati.

    2.3.6. La cultura del sacro

    Quest'ultima componente della cultura giovanile meriterebbe più ampio svolgimento, se non altro Perché si è molto parlato recentemente di una «ripresa dei sacro» tra i giovani, cioè di un rinnovato interesse e coinvolgimento dei giovani per i problemi religiosi.
    Le indagini che abbiamo a disposizione sembrano smentire che sia in atto una più ampia diffusione della domanda di religione tra i giovani di questa generazione.
    La dimensione religiosa come esperienza di vita che dà significato profondo all'esistenza (cioè come esperienza di fede e non come generica adesione o comportamento religioso) era e resta una scelta di pochi.
    Tuttavia questa «cultura» è rilevante per la sua qualità che sotto molti punti di vista appare degna di attenzione. Indichiamo alcune forme.
    Consumismo religioso. Non si può negare che in rapporto a tratti specifici della cultura del privato, dei consumo e della irrazionalità certe esperienze religiose giovanili si esauriscono in forme di puro consumismo religioso, in misticismo sentimentale, in folklore emotivo. Sono i tratti di una religiosità che in sostanza serve come meccanismo di evasione e che perciò moltiplica l'eventuale livello di alienazione giovanile.
    Atteggiamenti integristi. Non sono estranei a certe esperienze religiose le propensioni integristiche che già abbiamo visto emergere nella domanda di significato e nel bisogno di affiliazione/aggregazione che molti giovani pur sensibili mettono in evidenza.
    Protagonismo religioso. Il nucleo più interessante, tuttavia, è rappresentato da coloro che vivono la propria scelta religiosa in termini di «protagonismo n ciò significa che questi giovani chiedono di essere dei creativi costruttori di un significato religioso per la vita, da elaborare a partire dalle proposte che vengono emanate dalle chiese e dai gruppi religiosi. Ciò implica un diverso rapporto con le istituzioni religiose, che non sono più oggetto di una critica indiscriminata, ma piuttosto di attenzione selettiva; ciò esige infine un contesto esperienziale intenso e vivace, quale solo può dare una associazione, un gruppo, una comunità.
    È questa particolare propensione al protagonismo non integrista che sembra assicurare un corretto collegamento tra fede e cultura, tra fede ed etica, tra fede e politica, cioè tra tutto ciò che è storia e significato trascendente di essa.

    2.4. Conclusioni sull'identità sociale dei giovani

    Il compito di definire la specifica identità dei giovani entro una società in trasformazione appare oggi estremamente difficile. Non si tratta solo di prendere atto della frammentazione del mondo o universo giovanile, ma anche delle dinamiche tipiche di una società complessa, nella quale spesse volte è necessario assumere più di un'identità e giocare più di un ruolo contemporaneamente.
    Ridurre la realtà giovanile ad una sola categoria interpretativa significa mortificare l'effettiva diversità di posizioni o collaborazioni obiettive dei giovani e la non meno articolata soggettività. il potenziale innovativo rappresentato dai giovani nella società italiana costituisce più che altro una speranza da verificare. Se entro la problematica frammentazione dell'universo giovanile prevarrà una cultura razionale, capace di dialogare con la fede e si creeranno spazi di crescita e di partecipazione per i giovani, tale potenziale potrà esprimersi; diversamente, nei tempi brevi, la frammentazione è destinata ad essere puro specchio della disgregazione in atto nella società.
    La svolta che il «trapasso» può provocare o registrare vedrà protagonisti i giovani solo a condizione di un netto miglioramento del quadro strutturale della società italiana e di una più compiuta coscientizzazione degli stessi giovani.


    BIBLIOGRAFIA

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    3. ADOLESCENZA: GLI ANNI DELLA COSTRUZIONE DELL'IDENTITÀ PERSONALE
    Franca Amione


    3.1. Integrazione tra lettura sociologica e lettura psicologica

    Vi possono essere diversi modi di procedere alla individuazione dei «bisogni» degli adolescenti (1l-18 anni) dal punto di vista psicologico. Quello che mi è sembrato più adatto passa attraverso lo sforzo di collocazione dell'adolescenza nella società oggi (cf il contributo di G. Milanesi in questo «quaderno») e della conseguente condizione dell'«essere adolescente», oggetto del mio intervento.
    Mi rendo conto che a volte gli educatori e gli stessi animatori optano per una lettura sociologica che non lascia spazio alla integrazione con i dati della lettura psicologica, oppure optano per una lettura psicologica basata su considerazioni generiche e astratte, da manuale di psicologia.

    3.1.1. Variabili indipendenti e variabili dipendenti nello sviluppo della personalità

    Vorrei fare, come ho detto, una scelta diversa. Parto dal contributo sociologico di Milanesi e intendo collocarmi in quel quadro. Questo mi obbliga a evidenziare alcune connotazioni dell'adolescenza piuttosto che altre e comporta, soprattutto, un nuovo equilibrio tra lettura individualistica (a cui tende la psicologia) e lettura più globale (a cui tende la sociologia), che si sforza di collocare l'individuo dentro una società in evoluzione.
    Il mio contributo parte quindi da due presupposti basilari.
    Il primo è che esistono processi psicologici che caratterizzano l'adolescenza e che, entro certi limiti, sono delle variabili indipendenti dello sviluppo della personalità. Sono i processi attraverso cui si determina il passaggio dalla situazione infantile a quella adulta durante appunto l'adolescenza.
    Il secondo è che la dinamica interna a questi stessi processi, i comportamenti che ne derivano, i contenuti dei conflitti, i meccanismi e le fasi attraverso cui si esce dall'adolescenza di fatto si modificano nello spazio e nel tempo, in quanto possono considerarsi variabili dipendenti dall'impatto dell'adolescente con il contesto storicoculturale in cui è immerso.
    Per contesto storicoculturale si intende:
    - il sistema di relazioni a dimensione microsociale in cui l'adolescente vive, come, ad esempio, la famiglia ed il gruppo dei coetanei,
    - il sistema dei rapporti sociali e delle comunicazioni di massa che lo caratterizzano;
    - il sistema dei valori vigenti in quella data società, espressi dalla ideologia della cultura dominate...

    3.1.2. La ricerca di identità dell'adolescente

    Definire pertanto le caratteristiche dell'adolescenza oggi è un compito complesso, che è ambito di un lavoro interdisciplinare in cui entrano la sociologia, la psicologia, l'antropologia culturale...
    Mi limiterò quindi a considerare i fenomeni che succedono all'interno di ciascuna persona (questo è il punto di vista prettamente psicologico) che stia attraversando questo periodo, pur nelle differenze individuali, e che possono andare sotto il tema della ricerca di identità.
    Cosa si intende per identità personale (o per personalità)?
    La identità personale (o personalità) è l'insieme delle caratteristiche e modalità di comportamento individuali che, nella loro organizzazione e strutturazione spiegano l'adattamento unico dell'individuo al suo ambiente nella totalità (Hilgard).
    Anche Milanesi ha parlato di identità, ma in termini di identità sociale. lo invece parlerò della maturazione della identità psicologica dell'adolescente. Bisogna anche tener conto dei fatto che mentre Milanesi parlando identità sociale ha parlato mondo giovanile (al di sopra dei 18 anni) io verrò a parlare della identità psicologica che in genera matura verso i 17/19 anni, anche se il cammino per arrivarci comincia con la pubertà, a partire quindi dagli 11 anni.
    Questo diverso livello di età tra l'analisi del sociologo e quella dello psicologo non deve far meraviglia perché la maturità psicologica è condizione per un naturale inserimento nella società. Spesso, del resto, la maturazione della identità sociale è complicata dalla crisi di identità psicologica.
    La identità personale viene ad essere il luogo di sintesi di una triplice integrazione:
    - rapporto tra corpo e mente che porta alla integrazione spaziale: l'adolescente la raggiunge quando si percepisce non più come fatto di parti divise e staccate tra loro, ma come un tutto, un organismo vivente;
    - rapporto tra passatopresente-futuro che porta alla integrazione temporale: si raggiunge quando l'adolescente accetta le cose fatte in passato (quando era bambino) come sue, accetta il presente, anche se in mezzo a difficoltà, e sa vivere nell'attesa dei futuro;
    - rapporto tra l'io personale e la famiglia, il gruppo che porta alla integrazione sociale: si raggiunge quando l'adolescente sa vivere bene con se stesso, la famiglia ed il gruppo.
    Se la assumiamo come il cammino non lineare, nell'ambito del Processo evolutivo individuale, verso l'identità dell'Io (inteso come persona) possiamo sintetizzare cos'è l'adolescenza con E. Erickson dicendo che è: «un drammatico abbandono
    - di una modalità di essere infantile (a')
    - di un sistema di relazioni familiari (b')
    - e di valori di dipendenza (c') per arrivare
    - alla modalità di essere adulto (a")
    - con nuove relazioni (b'')
    - e un nuovo sistema di valori (c'')».
    Questo processo, anche se non Inno enfatizzate precise cesure, ha una durata con un inizio ed un esito relativamente variabili. Delimitare nel tempo queste date è difficile, in quanto il processo adolescenziale è soggetto a notevoli variazioni, in dipendenza sia da fattori individuali, sia da fattori atropo-culturali, sia da fattori storico-sociali.
    Non è mia intenzione presentare un panorama completo dell'adolescenza. Non solo lo spazio a disposizione è poco. Mi limito a tre nuclei legati alla formazione della identità, nella speranza che il loro approfondimento possa illuminare vaste zone dei quadro psicologico dell'adolescenza.
    Suddivido il mio intervento in tre parti:
    - la costruzione dell'immagine di sé nell'adolescenza;
    - la ristrutturazione del ruolo familiare;
    - il riferimento al gruppo dei coetanei.

    3.2. La costruzione dell'immagine di sé

    Uno dei compiti principali dell'adolescente è la costruzione dell'immagine di sé, che è una componente essenziale della più grande costruzione dell'identità personale, in cui oltre alla immagine di sé, entrano i rapporti interpersonali e strutturali con la realtà sociale e culturale.
    Per «sé» e per immagine di sé si intende la personalità individuale come è percepita dal soggetto. In altre parole: come l'individuo, nel nostro caso l'adolescente, vede se stesso.
    Quello che ci interessa è come si forma l'immagine di sé, o, meglio ancora, quali sono i fattori che influiscono nella sua formazione e, di conseguenza, sulla costruzione dell'identità personale.

    3.2.1. Meccanismi nella costruzione dell'immagine di sé

    La formazione dell'immagine di sé coinvolge l'adolescente nella sua globalità: il «corpo» e, in concreto, le sue modificazioni a partire dalla pubertà (cf più avanti al paragrafo 3.2.4. e seguenti) e la «testa», dove per testa si intende sia l'intelligenza (cfr al paragrafo 3.2.2.) che l'affettività (cfr al paragrafo 3.2.1) e la loro evoluzione durante l'adolescenza.
    L'intelligenza è la capacità di pensare, di comprendere in termini logici il mondo circostante. L'affettività (tutta la parte degli affetti e delle emozioni) è quella parte della vita mentale dell'individuo che riguarda i vissuti e le fantasie.
    Ancora una precisazione su questi termini psicologici. Per vissuti non si intende ciò che concretamente si è fatto nel passato, ma quanto di quel passato si è «messo dentro» e come lo si è messo dentro o introiettato. Per fantasie invece si intende non il fantasticare su questo o quest'altro, ma il come io mi vedo e mi sogno, come io mi proietto.

    3.2.2. Il ruolo della intelligenza

    L'immagine di sé che l'adolescente costruisce progressivamente dipende anzitutto dalla maturazione della «testa», cioè dallo sviluppo psicoaffettivo e da quello intellettivo. Vediamo come l'evoluzione della intelligenza influenza tale immagine. Il punto di partenza è l'ampliarsi della possibilità della intelligenza come strumento per entrare in contatto con la realtà. Il «filosofeggiare», una disputa appassionata, interminabili discussioni e affermazioni perentorie sono segnale di nuova capacità di fare ragionamenti appena acquisite. E l'adulto, che in mezzo a questo entusiasmo travolgente perde un poco dei proprio equilibrio, facilmente non si renderà conto che quelli che egli considera inutili riferimenti o sterili ripensamenti di vecchi logori problemi, equivalgono in realtà, per il ragazzo, a utili esplorazioni e autentiche scoperte. Ma la cosa che il ragazzo ricerca e scopre soprattutto, in questa disordinata e caotica esplorazione, è se stesso nel processo evolutivo del pensiero, il proprio mondo interiore. Mediamente la fuga dal concreto, mediante il ragionamento, mediante il «concentrarsi in se stesso», mediante tentativi ed ipotesi, egli realizza l'incontro con se stesso. Il ragionare è per l'adolescente un bisogno ed un piacere insieme: ragiona sempre sui temi che sono i più irreali e i più lontani dalla sua esperienza. Tale evoluzione non prende in considerazione solo l'interesse che i giovani mostrano nella discussione, ma anche la loro attrazione verso problemi generali, artistici, scientifici, politici, sociali. La capacità di ragionamento raggiunta permette di scavare all'interno dei sistemi di rappresentazione collettiva che l'ambiente culturale in cui cresce gli offre e di ricavarne i propri modelli. Siamo all'incontro con il sistema dei valori e con la cultura e all'integrazione sociale, attraverso le energie che l'intelligenza mette a disposizione a quest'età.

    3.2.3. Il ruolo dell'affettività

    Quanto detto finora della intelligenza non deve però fare dimenticare un fatto importante, cioè che nella costruzione dell'immagine di sé la spinta maggiore non viene dalle componenti intellettive, ma da quelle psicoaffettive, orientate alla costruzione dell'immagine corporea.
    In altre parole l'affettività, con i suoi vissuti e le sue fantasie, è maggiormente decisiva nella formazione dell'immagine di sé. Entro certi limiti si deve anzi aggiungere che la stessa intelligenza a quest'età è a servizio della maturazione affettiva, quasi uno strumento per costruirla e per difenderla.
    Il contributo dell'affettività è legato, come si diceva, alla formazione della immagine corporea, che non è il corpo in se stesso ma «l'immagine mentale che noi ci creiamo del nostro corpo, il modo con cui il nostro corpo appare a noi stessi», ai nostri vissuti, alle nostre fantasie.
    Ciascuno di noi porta con sé un'immagine mentale del proprio aspetto fisico esteriore che è qualcosa di più di quanto non sia l'immagine riflessa dello specchio, e che può essere più o meno vicina al nostro aspetto.
    La costruzione dell'immagine corporea è particolarmente intensa nella adolescenza a causa dei radicali cambiamenti fisici che avvengono, nella accresciuta capacità di introspezione (= capacità intellettiva a guardarsi dentro), dei grande rilievo attorno alle caratteristiche fisiche da parte del gruppo dei coetanei.
    In realtà la struttura interna dell'immagine corporea, sebbene questa sia essenzialmente un fenomeno psicologico, è data dalla convergenza di quattro diversi apporti o fattori.
    Il primo fattore è la percezione oggettiva del proprio corpo, del proprio aspetto fisico e dell'adeguatezza delle proprie funzioni fisiologiche (= percezione corporea).
    Il secondo fattore è costituito da elementi psicologici introiettati soggettivamente. Ad esempio, mi sento alto e, di conseguenza, mi sento sicuro, spigliato... = concezione corporea).
    Il terzo fattore è legato ai dati sociologici. Le preoccupazioni eccessive dei genitori, per fare un esempio, per lo stato di salute o il peso del figlio portano l'adolescente ad una tensione che accresce il suo senso di inadeguatezza. Ne deriva senso di inferiorità, paura, ansia, A quest'età però, più degli stessi genitori, influisce il giudizio dei coetanei, in particolare di quello del proprio gruppo.
    Il quarto fattore è costituito infine dalla immagine corporea ideale, che viene formulata dall'adolescente sulla base delle proprie esperienze e della identificazione con altre persone, reali o immaginarie che esse siano. È l'età in cui si identifica in un leader, in un cantante, in un'attrice... L'immagine corporea ideale non è data dunque dal come uno si sente, ma come sente che dovrebbe essere. Essa fornisce un modello al quale l'individuo confronta il suo comportamento e le sue realizzazioni.

    3.2.4. Prima adolescenza: le discrepanze tra desiderio e realizzazione

    Dopo aver parlato della influenza della affettività e intelligenza nella costruzione della immagine di sé, veniamo ora a parlare della influenza dei «corpo». In realtà del corpo abbiamo già parlato ora per la sua influenza, attraverso la «concezione corporea», nella formazione della «immagine corporea», nell'ambito della affettività.
    Tuttavia il corpo, durante l'adolescenza, a causa dei forti cambiamenti fisici e della maturazione sessuale, influenza anche per altre strade la costruzione della immagine di sé,
    Cominciamo dalle caratteristiche della prima adolescenza (11-13 anni).
    Caratteristica della prima adolescenza o pubertà è la domanda: «che cosa accade al mio corpo», accompagnata da una serie dì angosce, desideri, contraddizioni e tensioni.
    La figura familiare che emerge in questa fase, sia per il ragazzo che per la ragazza, è quella paterna. Il ragazzo vive un forte ridimensionamento dell'immagine dei padre che fino ad allora aveva idealizzato: si accorge che il padre (e più generale l'adulto) non è così grande e perfetto come aveva creduto nell'infanzia.
    Per la ragazza invece al ridimensionamento dell'immagine ideale dell'adulto si accompagna la cosiddetta seduzione del padre. È su di lui infatti che esercita le prime arti seduttrici.
    In questo periodo i genitori, tutt'altro che sottrarsi al proprio ruolo dietro le critiche, devono rassicurare l'adolescente sui mutamenti in atto e aiutarli a vivere la fase di passaggio come fatto positivo.
    Tipico è anche il modo di strutturarsi tra pari. Mentre la ragazza va generalmente in coppia con una amica, il ragazzo preferisce riunirsi in gruppo, anche per sottrarsi alla critica e riprovazione per il rapporto di tipo omosessuale che verrebbe a crearsi.
    Tali mutamenti fisici influiscono sulla situazione di passaggio, che da un lato rappresenta un arricchimento, in termini psichici, intellettivi (= capacità di comprensione), in termini di forza corporea; dall'altro determina una serie di scompensazioni, di discrepanze tra «immagine di sé» e realtà. Ad un livello c'è la forza che l'adolescente pensa e sente di avere, ad un altro sta la realizzazione pratica di queste sue capacità.
    Questa scissione tra possibilità soggettive («mi sento forte, capisco e possibilità oggettive (essere ancora dipendenti dalla struttura familiare, non essere inseriti in una realtà lavorativa) acuisce la discrepanza tra desiderio e realizzazione del desiderio, tra pensabile e praticabile, tra autonomia e dipendenza, con conseguente idea da parte degli adulti che l'adolescente sia immaturo e goffo.

    3.2.5. Media adolescenza: ribellione, dipendenza e vulnerabilità

    Nella media adolescenza (14-16 anni) la domanda di fondo si sposta da «cosa mi sta succedendo» a «chi sono io». La domanda si interiorizza e si avvia a porsi come prima domanda sulla identità personale.
    La connotazione più tipica di questa fase è la ribellione ai genitori.
    I legami familiari sono stati fino a questo punto così stretti che per uscirne e modificarli occorre un grosso dispendio di energia, fino appunto all'urto violento. Del resto l'urto non riguarda solo il controllo esterno dei genitori quanto quel controllo profondo, interiorizzato, che egli scopre di aver vissuto negli anni precedenti.
    I legami affettivi e sessuali preferenziali vanno nella direzione figlio/madre e figlia/padre.
    Tutto questo non viene vissuto in modo facile, ma piuttosto con momenti di intensa ribellione da una parte e forte fragilità dall'altra.
    La intensificazione della motivazione sessuale fa sentire, più vivamente che non nella infanzia, le frustrazioni causate dalle limitazioni poste alle manifestazioni sessuali.
    Per coloro che accettano questi limiti qualsiasi forma di interesse sessuale (anche le sole fantasie) comporta l'insorgenza di timori, associato con l'esperienza del proibito.
    In queste condizioni il sesso diviene, per l'adolescente, fonte di conflitti, anche se le esigenze biologiche di per sé non li renderebbero certo inevitabili.
    Anche questo influisce nella costruzione del sé.
    L'immagine corporea infatti non è solo la risultante delle percezioni provenienti direttamente dal corpo, e dalle valutazioni che ogni modificazione provoca nell’adolescente, essa include anche la percezione e la valutazione degli altri al cospetto del proprio corpo, ed essendo egli incerto dell'obiettività della propria valutazione diviene largamente dipendente e vulnerabile da quelle degli adulti.
    La dipendenza e la vulnerabilità vengono accentuate dal comportamento dei genitori (e degli educatori) che tendono a riproporre acriticamente le soluzioni ai problemi che loro hanno elaborato in passato.
    Proprio per questo richiamo a soluzioni prefabbricate e astratte la vita dell'adolescente, che ancora, benché ribelle, vive un rapporto dì dipendenza dall'adulto, si complica.
    Gli adulti devono invece rendersi conto della importanza che egli sperimenti personalmente le soluzioni ai problemi. Solo in quel modo diventerà maturo.
    Del resto neppure il comportamento dei genitori e degli adulti è, facile, anche perché l'adolescente stesso, nei momenti di crisi, tende, a causa dell'angoscia e della paura, ad abdicare alla responsabilità. Egli oscilla, in effetti, tra la assoluta mancanza di responsabilità e la consapevolezza di re grande e responsabile.
    Egli vive una forte ambivalenza da una parte tende ad appropriarsi in modo geloso della autonomia e dall'altra tende delegare all'adulto la responsabilità. Un continuo regresso e progresso lungo la strada che infanzia conduce alla maturità. La soluzione non è mai la rottura traumatica dei rapporti familiari ma piuttosto la sostituzione di questi con i rapporti tra coetanei e con quelli di coppia. Se il problema è il distacco dalla famiglia, solitamente il problema si supera, aprendosi all'esterno del sistema parentale, appunto al gruppo, e alla coppia.

    3.2.6. Fine adolescenza: discrepanza, tensione, identità

    L'adolescenza finisce quando si compie il cammino che parte dall'abbandono, per rifarci allo schema di E. Erickson, delle modalità di essere infantili, delle relazioni familiari, dei valori della dipendenza per arrivare alla modalità del comportamento tipico dell'adulto, a nuove relazioni, ad un nuovo sistema di valori.
    Si comprende come la costruzione dell'immagine di sé di cui finora si è parlato non è che un aspetto della grande e delicata costruzione dell'identità, che oltre agli aspetti intrapsichici appena visti, passa attraverso i processi di identificazione con la microsocietà (la famiglia) e la macrosocietà (l'ambiente sociale). Come vedremo nelle pagine seguenti.
    La conquista della identità non avviene, come ben si comprende, di colpo. È invece un cammino lento, che prevede prima una fase di identità precaria, sostenuta ancora magari dalla famiglia e dall'adulto.
    Proprio in questa fase della identità precaria si acuisce la discrepanza e la relativa tensione.
    L'aver acquisito degli strumenti intellettivi nuovi e delle nuove possibilità emotive (un bambino non si innamora, un adolescente si innamora), la nuova consapevolezza circa la propria struttura corporea, quindi anche circa i propri aspetti sessuali, le proprie fantasie, la propria immagine di uomo o donna forte (cioè autonomo, non dipendente da altri), determinano nell'adolescente una situazione di forte tensione.
    Da una parte egli infatti desidera sperimentare immediatamente queste nuove acquisizioni, dall'altra si rende conto che queste nuove acquisizioni sono ancora deboli, per cui l'entrare nel mondo solo con quel bagaglio e con quegli strumenti gli sembra qualcosa di pericoloso.
    Esistono, di conseguenza, adolescenti che vivono profonde crisi riguardo alla vita e manifestano paura della morte, talvolta molto più di persone anziane, che, almeno cronologicamente, sono più vicine alla morte. Questo perché, per l'adolescente, la morte implica, a livello di fantasia, il significato di perdita di qualche cosa, per acquisire qualche altra cosa, della quale non sa bene di che si tratti.
    E per l'adolescente il futuro è l'età adulta, e quindi arrivare ad una piena autonomia, ma perdendo tutta una serie di vantaggi e posizioni emotivamente conosciute, come la protezione della famiglia e del gruppo dì riferimento dei coetanei.
    Quel che una volta viveva a livello di fantasia come qualcosa di importante ma distante, ora si avvicina, è concretizzabile e arreca tensione.
    Da questa situazione di discrepanza l'adolescente cerca di uscire spesso con atteggiamenti (atteggiamento: modo di essere) e comportamenti (comportamento: modo di fare) che sono conflittuali, il che determina spesso negli adulti (non solo nei genitori, ma anche negli educatori ed animatori) che hanno a che fare con loro una reazione estremamente rigida e di fastidio.

    3.3. Ricerca di identità e conflitti in famiglia

    L'emancipazione dalla autorità parentali e dalla dipendenza emotiva dai genitori inizia nell'infanzia, ma il processo si accelera molto nel corso dell'adolescenza.
    La facilità del passaggio ad una indipendenza più completa nella tarda adolescenza dipende, in larga misura, dall'atteggiamento assunto dai genitori negli anni precedenti.
    Se questi hanno esercitato sul bambino uno stretto controllo, lo vorranno mantenere anche nel corso dell'adolescenza. Risultato probabile è. per il ragazzo, il perdurare di una sottomissione e dipendenza infantili, per cui anche da adulto non conseguirà la piena maturità.
    I rapporti dei genitori con i figli adolescenti possono creare problemi sia agli uni che agli altri. La differenza di età e le circostanze della propria giovinezza che ì genitori ricordano, fanno sì che essi sembrino «antiquati» ai loro figli.
    L'ondeggiare dell'adolescente tra la dipendenza infantile e il desiderio di autonomia rende arduo ai genitori, e agli educatori in genere, decidere il modo con cui debbono trattare i loro figli nei vari momenti. L'emancipazione dalla famiglia non si realizza di colpo, e la difficoltà del passaggio può disorientare sia i genitori che i figli.

    3.3.1. La inadeguatezza della famiglia per i bisogni dell'adolescente

    Da tempo la famiglia è cambiata nella sua struttura, ma al mutamento oggettivo non ha fatto riscontro né una presa di coscienza soggettiva dei suoi membri adulti, né una ridefinizione del ruolo sociale della famiglia stessa, premessa per una ridefinizione dei ruoli dei singoli membri nella dinamica interna dei nucleo.
    L'affievolimento della forza di attrazione identificatoria delle figure parentali, la povertà di interessi comuni e sintonici con il nucleo familiare e, dei resto, l'attesa di alternative, ma soprattutto la percezione di sintonia nei sentimenti e negli interessi con i coetanei determinano via via lo spostamento delle sedi e dei modi di socializzazione dell'adolescente.
    Alla famiglia, come centro dei processi di socializzazione, si è andato progressivamente sostituendo una struttura policentrica, di cui la scuola e le diverse forme di aggregazione costituiscono gli elementi portanti.
    È utile vedere quale rapporto si instaura tra la famiglia e l'adolescente, in che modo questo è differente da quello che esiste tra il bambino e la famiglia. Ed è utile vedere a quali bisogni dell'adolescente la famiglia è in grado di rispondere e quali non riesce a soddisfare.
    Infatti anche in una famiglia in cui la coppia dei genitori è perfetta, anche in questi casi, la famiglia come struttura, come insieme sia di esperienze che di relazioni emotive, diventa un guscio inadeguato a contenere tutta una nuova serie di bisogni che l'adolescente sta sperimentando.
    Il bisogno essenziale dell'adolescente è quello di autonomia, cioè fare esperienze del tutto personali, lontano dai genitori, ai quali si sente tuttavia legato, dove possa rischiare di persona, senza essere condizionato o protetto proprio dai legami con i familiari.

    3.3.2. Fattori affettivi del conflitto familiare

    Possono verificarsi alcuni conflitti prevedibili all'interno del nucleo familiare allorché l'adolescente si sforza di vincere lo stato di dipendenza infantile e di elaborare un'identità distinta, tutta sua.
    Dicevamo che una fonte di difficoltà nell'adolescente sta nel fatto che egli deve abbandonare la sicurezza della «tana» familiare della infanzia, prima di aver sviluppato la sicurezza alternativa di una identità adulta stabile. Egli può tentare di colmare questa lacuna avvalendosi del sostegno dei gruppo dei coetanei che aveva cominciato a costruire nella preadolescenza, ma nei periodi di tensione questo non può essere sufficiente. t possibile allora che egli desideri ritornare temporaneamente al calore e alla sicurezza che gli procurava il legame familiare nell'infanzia.
    Purtroppo questo impulso viene a trovarsi in conflitto con il desiderio prepotente di libertà e di completo affidamento a se stesso, che spesso lo spinge aggressivamente a cercare dei difetti nei genitori e a svalorizzarli.
    L'adolescente ha bisogno che i genitori innalzino argini consistenti contro cui egli possa lottare nel tentativo di spezzare i suoi legami.
    Se questi vengono a mancare, spesso l'adolescente si sente negletto e non amato. Per quanto si ribelli a loro, egli continua a sentirli come modelli fondamentalmente validi.
    La sua identità definitiva viene molto influenzata dalla identificazione con loro, cosicché la stima di sé che egli avrà da adulto sarà legata alla stima oggettiva che egli aveva dei genitori, indipendentemente da quanto nella sua immaginazione o nelle fasi di ribellione possa svalorizzarli.
    L'adolescente incontra una particolare difficoltà quando scopre, talvolta come intensa esperienza traumatica, che il genitore nella realtà merita una minore considerazione.
    Spesso modi di comportamento distorti dell'adolescente sono prodotti da atteggiamenti di difesa dei genitori ed educatori contro problemi simili esistenti nella loro personalità.

    3.3.3. La ricerca di una identità extrafamiliare

    Finora abbiamo trattato il rapporto adolescentefamiglia a livello di relazione intersociale a partire dal bisogno di autonomia intersociale.
    Ritengo sia però utile approfondire l'evoluzione intrapsichica (ciò che avviene dentro l'adolescente) per avviarci poi a motivare la necessità dell'esperienza dei gruppo a livello di relazioni primarie.
    All'inizio della pubertà la vita del ragazzo ha ancora il suo fulcro nella famiglia.
    L'adolescenza, per contro, implica la scoperta di una identità come individuo al di fuori dal. l'ambito familiare.
    Molta parte della preparazione critica all'adolescenza avviene durante il periodo della cosiddetta latenza (6 10 anni), allorché il ragazzo comincia a uscire dai confini dalla cerchia familiare. Egli entra a far parte di un gruppo paritetico in scuola c/o fuori in cui, nonostante la giovane età, viene considerato un individuo, e fa il suo ingresso nel sistema sociale scolastico dove viene giudicato sempre più in base ai risultati che ottiene, anziché apure e semplici attribuzioni acritiche (la capacità di giocare, per es.).
    Di norma stabilisce anche un rapporto di profonda amicizia con un ragazzo dello stesso sesso: il suo primo travolgente investimento affettivo di un pari, di una persona al di fuori dell'ambito familiare immediato.
    Il suo orizzonte si allarga, il suo orientamento incentrato sulla famiglia va scemando, ed egli comincia a fare propri i valori e giudizi morali dei gruppo dei pari.
    Senza questo spostamento all'interno del gruppo paritetico nel gioco e nella vita scolastica è probabile che nel corso dell'adolescenza sorgano serie difficoltà.
    Occorre però notare come il senso di sicurezza derivante al ragazzo dal periodo di latenza si colloca all'interno del nucleo familiare ed egli ha ancora bisogno di sentire che continuerà ad essere oggetto di approvazione ed affetto nel momento in cui comincia a collaudare le sue capacità.
    L'equilibrio stabilitosi tra il ragazzo e la famiglia durante la latenza è quasi inevitabilmente turbato dai fenomeni della pubertà, e molte delle difficoltà che ne derivano dal fatto che il ragazzo deve ora cominciare ad uscire dal rifugio della famiglia che ha sempre provveduto alla sua sicurezza essenziale e ad allontanarsi dai genitori che hanno costituito il cardine dei suoi rapporti interpersonali.
    Consideriamo i mutamenti della prima adolescenza e il motivo per cui questi comportano un nuovo orientamento nei rapporti del figlio con la famiglia e alla ricerca di una identità extrafamiliare.
    L'incremento rapido della crescita nel periodo prepuberale presuppone che il ragazzo riorienti se stesso verso il proprio corpo e gli altri. Non appena comincia ad assumere proporzioni fisiche vicine a quelle degli adulti non può continuare a mantenere con loro rapporti di tipo infantile. In quel momento l'insorgere di una sessualità adulta (genitale), con le sue sensazioni ed i suoi impulsi sconosciuti, diventa il pensiero dominante e ciò richiede il potenziamento del controllo dell'Io per contenerli.
    - Il potenziale per il controllo dell'Io sugli impulsi viene accresciuto dai mutamenti qualitativi delle possibilità conoscitive, che rendono l'adolescente capace di concettualizzare e di porsi, lo dicevo quando si parlava di sviluppo intellettivo, ad operare a livello astratto. Gli sviluppi conoscitivi rafforzano le capacità di autorientamento dell'Io, ampliano il raggio dell'immaginazione e portano ad aderire a correnti di pensiero e ideologie. Anche la struttura morale dell'adolescente si ristruttura, ed egli è in grado di fare meno affidamento sulle imposizioni dei genitori e maggiore affidamento sulle proprie idee e sulle ideologie che abbraccia.
    - Altre trasformazioni sono necessarie per orientare la parte adulta, piuttosto che quella infantile, del comportamento nell'adolescente. Il ragazzo deve capovolgere la propria posizione nei confronti della donna: se precedentemente era in una situazione di dipendenza dalla madre, ora si prepara ad avere una donna, con la quale instaurerà un rapporto paritetico e quindi crescerà. La ragazza invece, completa ora la rottura del proprio attaccamento edipico. In precedenza ha superato il primitivo attaccamento alla madre tipico dell'infanzia, ma ha scoperto nel padre un nuovo «oggetto d'amore» all'interno della famiglia. Con l'inizio della pubertà la innata vergogna nei confronti del sesso opposto la porta ad allontanarsi dal padre e ricercare nuovi «oggetti d'amore».

    3.3.4. Il conflitto si fa rivolta

    Può accadere che un ragazzo mantenga un comportamento tranquillo e rispettoso verso i genitori, ma di solito l'adolescenza è il momento della rivolta.
    La violenza della ribellione è spesso una misura dello strappo necessario per rompere i legami con i genitori, più che un'indicazione dell'ostilità del ragazzo nei loro confronti. Emanciparsi dai genitori, abbandonare gli attaccamenti affettivi e pulsionali verso di loro, e passare da una morale eteronoma ad una morale autonoma, benché costituiscano in larga misura compiti intrapsichici, si attuano di solito attraverso modificazioni del comportamento verso i genitori, le cui direttive sono state le sorgenti prime per una fondazione autonoma della morale.
    Le norme, i valori e gli interessi dei genitori vengono screditati in quanto obsoleti, stupidi e irrazionali.
    A contribuire ancora più al conflitto intrafamiliare c'è la svalorizzazione dei genitori stessi, complicata dal senso di colpa provato dal giovane per i propri sentimenti di ostilità verso i genitori: ha paura delle punizioni e si angoscia per la sua incapacità di amministrare l'indipendenza che va cercata.
    Il compito dei genitori non è facile...
    Una illustre studiosa di problemi dell'età evolutiva Anna Freud ha scritto: «Mentre un adolescente persiste nel suo atteggiamento incoerente e imprevedibile, può darsi che egli soffra, ma non ritengo che abbia bisogno di un trattamento terapeutico: ritengo che gli si dovrebbe dare il tempo e la possibilità di ricercare da sé la soluzione dei propri problemi. Piuttosto potrebbe darsi che fossero proprio i genitori ad avere bisogno di aiuto e di guida, per imparare ad essere pazienti con lui. Nella vita vi sono poche situazioni più difficili da affrontare di quella di un figlio o di una figlia adolescenti che stanno tentando di affrancare se stessi».
    L'adolescenza è fonte di discordie intrafamiliari di vario tipo, ma in un nucleo familiare ben amalgamato, con genitori ragionevolmente duttili, i guai cominciano a scemare quando nella tarda adolescenza il ragazzo capisce che il periodo di prova sta per chiudersi e che deve affrontare il problema di trovare un suo modo di vivere. Il suo modo di concepire il mondo diviene meno egocentrico ed egli comincia a considerare i genitori come individui con una vita propria.
    Comincia anche a vedere i genitori come soggetti alla realtà e delimitati; di qui la necessità di definire anche i suoi limiti in uno spazio esistenziale reale e limitato e va in cerca dì una persona agli occhi della quale possa rappresentare tutto, che sostituisca i genitori che sta lasciando.

    3.3.5. L'esito: apertura al gruppo dei coetanei

    Prima di concludere questo excursus sulla relazione adolescentefamiglia a livello intersociale e intrapsichico, non possiamo tralasciare alcuni spunti di apertura al discorso sociologico attuale che hanno influenzato, pur non modificando completamente, la dinamica della relazione suddetta.
    Dicevo prima che «alla famiglia come centro si è andata progressivamente sostituendo una struttura policentrica...» per cui si osserva che, nella misura in cui «medium» della socializzazione diventano soprattutto la scuola ed il tessuto associativo, ad una trasmissione di tipo «verticale» dai padri ai figli, da generazione a generazione tende a sostituirsi un altro tipo di trasmissione, che procede per linee orizzontali, da una leva giovanile all'altra. Anzi, più che di trasmissione, a questo punto occorrerebbe parlare di interazione: il fatto che la trasmissione avvenga lungo linee orizzontali, in cui prevalgono le relazioni tra i pari, porta a enfatizzare ulteriormente la funzione del gruppo.

    3.4. Il gruppo per passare dalla dispersione alla fusione

    3.4.1. Il gruppo come spazio per una autonomia non distruttiva

    Se è vero che l'adolescente ha bisogno di fare esperienze fuori dalla famiglia, in un contesto più ampio, è anche vero che il contesto più ampio che egli si trova davanti è la società nella sua interezza, complessità, frammentarietà.
    Ora da una situazione di grosso «contenimento», come è la famiglia dove tutti i rapporti sono conosciuti, dove tutti gli affetti possono essere messi in gioco ed espressi, dove ci si conosce tutti e molto bene, non si può bruscamente passare ad una esperienza di autonomia in una società così vasta, così frammentata e così contraddittoria.
    L'adolescente, già frammentato dentro di sé, ha bisogno di trovare uno spazio intermedio, il gruppo, che è anzitutto uno spazio intermedio in senso emotivo. Per l'adolescente il gruppo è lo spazio dentro cui può sperimentare e cercare di soddisfare, in termini più autonomi di quanto non potesse o possa attualmente in famiglia, i propri bisogni. Nel gruppo egli, pur di soddisfare i bisogni, è pronto anche a correre alcuni rischi a cui prima non andava incontro, perché in famiglia si può tentare di tutto, tanto si casca sempre in piedi! Nel gruppo se fai un passo falso qualcuno te lo fa notare, può toglierti la sua amicizia, può brigare per espellerti dal giro. In conclusione, il gruppo per l'adolescente è un originale spazio emotivo dove egli può consolidare progressivamente esperienze di autonomia dei proprio io, e dove può giocare anche tutta una serie di insicurezze che la famiglia gli risparmia proteggendolo.

    3.4.2. Il gruppo spontaneo tra conformismo e nuove esperienze

    Se l'adolescente riesce a stabilire solide relazioni con i coetanei, potrà più facilmente emanciparsi dai vincoli familiari.
    Gli adolescenti attribuiscono grande importanza al fatto di essere accettati dal loro gruppo.
    Una prova evidente di tale bisogno è fornita dal loro puntiglioso conformismo di gruppo, che fa da controaltare all'estrema oppositività nei confronti della famiglia, luogo nel quale sanno di essere accettati in ogni caso. Sottrarsi al conformismo, differenziarsi significherebbe correre il rischio di venire criticati e respinti dai coetanei. Il bisogno di sicurezza, garantita dall'appartenenza ad un gruppo determina la formazione gruppi esclusivi, come le bande fra i maschi e le consorterie tra le femmine. Ciascun membro di tale gruppo si sente particolarmente vicino agli altri che vi appartengono,ed ha una consapevolezza acutissima della distinzione fra coloro che sono «dentro» e coloro cherestano «fuori», fra chi fa parte del gruppo e chi ne è escluso. La natura di questi gruppi strettamente uniti dipende in larga misura dalle possibilità offerte dall'ambiente. Per l'adolescente è indispensabile un intimo rapporto di amicizia con un numero ristretto di suoi compagni, e il ragazzo isolato soffre realmente., L'adolescente arriva al gruppo partendo dal primo agente di socializzazione che è la famiglia; ma, prima ancora di arrivare gruppo spontaneo, un'altra esperienza di gruppo viene fatta dal ragazzo. Esiste infatti un altro tipo di gruppo, che ha una connotazione più rigida: il gruppo scolastico.
    L'obbligatorietà, la conduzione «rigida», istituzionale da parte degli insegnanti, lo spazio ristretto offerto alla componente affettiva, sono lo specifico di questo tipo di gruppo; inoltre la prestazione ne fa un gruppo effìcientsta. È importante tener presente cosa gli adolescenti cercano di recuperare nel gruppo spontaneo, che non è l'unico veicolo di socializzazione; primo di tutti è la scuola, anche se con le limitazioni di cui si diceva. Innanzitutto i gruppi istituzionalizzati finiscono per essere insufficienti a rispondere ai bisogni espressi dell'adolescente: tale inadeguatezza è dovuta più che altro a motivi strutturali.
    In questi tipi di gruppo spesso i punti di riferimento, ed i parametri in base a cui avviene l'accettazione e il rifiuto, sono il successo e l'insuccesso.
    Contrapposto a ciò, il gruppo spontaneo, che si propone non un modello effiicientista, ma di integrazione ed in cui l'attenzione è rivolta più alle persone che alla produttività, permette all'adolescente di decolpevolizzarsi dell'eventuale insuccesso scolastico e di riequilibrare l'immagine di un sé vittorioso o sconfitto, che sta sperimentando parallelamente nel contesto scolastico.
    A questo punto è un problema per l'animatore cercare di ribaltare, o quanto meno far vedere, come nel gruppo spontaneo i parametri importanti non sono solo quelli dei successo e dell'insuccesso, ma possono sussistere altri parametri in una vita sociale, in una vita di gruppo. Basare le propria crescita soltanto sul successo o sull'insuccesso efficientista non fa altro che far permanere una Persona a livelli emotivi adolescenziali.

    3.4.3. Il cammino di fusione dispersione nuova fusione

    L'adolescenza è stata finora presentata, in prevalenza, in termini di «uscire da...». In realtà non è meno forte il bisogno di «entrare in...».
    Egli, in effetti, sperimenta questa fase della vita come emigrazione e immigrazione: deve emigrare dalla vita familiare che ha conosciuto da piccolo ed immigrare non solo nel mondo degli adulti, ma nel sistema sociale della società dei coetanei.
    Tale paragone dell'adolescente. Con il quadro sintomatico legato al fenomeno della emigrazione immigrazione può consentire preziose indicazioni sulla funzione del gruppo.
    Basti dire come nella vera e propria emigrazione o immigrazione gruppo abbia una parte di prima importanza in entrambe le prospettive. Si sa bene quale aiuto il «senso di essere integrato nel proprio gruppo» offra nell'affrontare lo shock della lotta per l'adattamento. In che modo questa sensazione, per tutta la durata di una simile esperienza, possa oscillare dall'offerta di un temporaneo senso di accettazione da parte del gruppo dei pari, all'immergere se stesso in qualcosa di simile al grembo del gruppo è stato accennato sopra. Talora il gruppo sembra avere la funzione di assolvere il compito di covo da cui partire per compiere scorrerie, e talvolta azioni di pirateria, nei territori di conquistare (il mondo degli adulti).
    Mi sembra utile, a questo punto, dare una definizione operativa di gruppo, come luogo in cui l'adolescente trova la risposta ai bisogni di cui sopra.
    Parlando di gruppo abbiamo presente un insieme di fenomeni che sono abbastanza in interazione dinamica. Cosa significa?
    Si intende che un gruppo è un insieme di persone che non coabitano semplicemente, ma che intessono tra di loro relazioni reciprocamente significative.
    Il gruppo si costituisce così per salvare dalla dispersione che l'adolescente sperimenta quando abbandona la situazione di fusione familiare, e fargli sperimentare, proprio nel gruppo, una nuova fusione.
    La dispersione implica che ci siano singole unità parallele, che non hanno una interazione, che non vivono un rapporto significativo gli uni verso gli altri. La fusione implica invece che esista una circolarità, cioè un flusso di comunicazioni, informazioni, emozioni tra quanti compongono il gruppo.
    Spesso accade che la fusione rischi di diventare annullamento delle singole individualità, specie nella adolescenza in cui la pressione al conformismo è molto forte. Il fenomeno di intossicazione da psicologia di gruppo è abbastanza conosciuto.
    In realtà che l'Io vada facilmente soggetto a un collasso sotto l'influsso di condizioni del genere è naturale; perfino l'Io più efficiente dei miglior adolescente si trova totalmente indifeso in simili condizioni psicologiche di gruppo.
    Il gruppo, per la definizione che abbiamo dato, cioè come un momento di passaggio dalla dispersione alla fusione, permette all'adolescente di vivere in un'area più protetta di quanto non sia la società nella sua globalità. Gli permette la prima esperienza di fusione non soltanto più con le immagini parentali, cioè con la coppia dei genitori o qualche parente vicino, ma anche con sconosciuti e semisconosciuti, persone che si sono sempre conosciute, che sono cresciute insieme e che ad un certo punto instaurano dei rapporti significativi in termini più rassicurativi.

    BIBLIOGRAFIA

    l. Aa.Vv., Psicopatologia dell'adolescenza, Quaderni di Psicoterapia infantile, voi. 1, Boria, Roma, 1979.
    2. Capian G. Lebovici S., Problemi psicosociali dell'adolescenza, Boringhieri, Torino, 1973.
    3. Foni A. Kanizsan S. Becchi E. Soliani Mayer A., Esperienze scolastiche nel preadolescente, F. Angeli Ed., Milano, 1972.
    4. Freud A., L'adolescenza come disturbo evolutivo, in Id., Opere, Vol. III, Boringhieri, Torino, 1979.
    5. Freud A., Normalità e patologia nell'età evolutiva, Boringhieri, Torino, 1971.
    6. Hiigard E.R., Psicologia, Giunti & Barbera, Bologna, 1971.
    7. Lapassade G., L'analisi istituzionale, ISEDI, Milano, 1974.

    IL CANOVACCIO

    Per una scuola di giovani animatori

    Franco Floris - Domenico Sigalini


    Il quaderno si propone tre obiettivi:

    - far prender atto della importanza, per un animatore, di una attenta lettura della realtà, e, prima ancora, di una intelaiatura concettuale non solo per leggere oggi, ma per essere capace di leggere anche domani;
    - offrire concretamente una lettura della odierna realtà sociale e giovanile, con l'aiuto di due discipline come la sociologia e la psicologia;
    - sollecitare l'animatore a muoversi nella «logica dell'educazione» (cf l'articolo di Carlo Nanni nel Q 1) fin da quando si studia la realtà.

    UNA INTELAIATURA CONCETTUALE

    Il primo obiettivo è sollecitare, in chi fa o vuole fare animazione, una presa di coscienza: l'animazione è al crocevia di socializzazione inculturazione educazione e quindi chi fa l'animazione non deve solo conoscere «il giovane» ma anche il complesso sistema sociale e culturale in cui questi è immerso. Per realizzare questo deve possedere una buona «intelaiatura concettuale» per leggere e rileggere continuamente la realtà in evoluzione.
    Consideriamo due tappe intermedie.

    1. Liberarsi da alcuni pregiudizi nel leggere la realtà
    L'animatore deve, nel leggere la realtà liberarsi da alcuni pregiudizi che compromettono la obiettività e serietà della lettura. Ne indichiamo, a titolo esemplificativo, tre: il moralismo, il volontarismo, l'ideologismo. Se ne possono individuare altri.
    2. Motivare l'importanza di una intelaiatura concettuale nella lettura della realtà
    - Il quaderno non offre dei flashes a effetto, ma uno «schema di base» con cui accostare in termini scientifici la realtà sociale e giovanile: questa è già una scelta con cui confrontarsi.
    - In concreto il quaderno propone un vocabolario sul quale è importante riflettere senza darlo troppo per scontato, pena il genericismo. Cosa intendere, ad esempio, per svolta e trapasso culturale, cultura dei privato, frammentarietà giovanile, innovazione giovanile...

    UNA INTERPRETAZIONE E UNA VERIFICA

    Il secondo obiettivo del quaderno è invitare a confrontarsi concretamente con la interpretazione proposta da G. Milanesi e F. Amione e verificarla alla luce della propria esperienza.
    Tre tappe intermedie.
    1. G. Milanesi e F. Amione hanno offerto una loro interpretazione e, prima ancora, un loro schema concettuale per leggere la realtà. Occorre anzitutto prenderne visione e, come si dice, studiare la loro analisi.
    2. In un secondo momento, alla luce della propria esperienza, è importante chiedersi:
    - si condivide lo schema concettuale di base? si può arricchirlo? si possono utilizzare altri schemi?
    - si condividono le analisi che ne risultano? sono sufficienti? rispondono alla realtà? ci sono aspetti rimasti in ombra?
    3. Primi passi verso la interdisciplinarità (cf l'articolo di C. Nanni nel Q1)
    - come si completano la lettura sociologica e quella psicologica? qual è il contributo specifico delle due discipline?
    - quale altra disciplina sarebbe utile (e opportuno) utilizzare per capire la attuale situazione sociale e giovanile?

    IMPERATIVI PER L'ANIMAZIONE

    Il terzo obiettivo è sollecitare l'animatore a muoversi nella logica dell'educazione anche quando studia la realtà.
    Tre tappe di lavoro.

    Una analisi della realtà non «neutrale»

    L'animatore legge con una ottica originale, che non è quella dello psicologo o dei sociologo. Se poi l'animatore è un credente, alla logica dell'educazione viene ad integrarsi quella della «lettura di fede».
    Come caratterizzare questa ottica dell'animatore nel leggere la realtà attraverso le scienze sociologiche, psicologiche, filosoficoculturali? Si veda, sempre nell'articolo citato di C. Nanni, la riflessione sulla interdisciplinarità e transdisciplinarità.

    Istanze ed imperativi per l'animazione

    Dallo studio della dimensione strutturale e culturale della società e dei giovani possono derivare alcune «istanze» ed «imperativi», che non indicano cosa deve essere l'animazione, ma di che cosa deve seriamente tener conto. In concreto:
    - quali istanze educative si possono ricavare dal quadro strutturale e culturale della società delineato da G. Milanesi?
    - quali istanze educative ricavare dal quadro della identità sociale dei giovani tracciato dallo stesso Milanesi?
    - quali istanze educative si possono ricavare dal quadro della identità psicologica dei giovani oggi offerto da F. Amione?

    Alcuni atteggiamenti che l'animatore come persona deve acquisire

    Ci sono alcuni atteggiamenti che l'animatore, alla luce degli spunti offerti dal quaderno, deve progressivamente acquisire come persona. Quali?
    Si possono anche vedere nel Q1 alcuni atteggiamenti suggeriti da C. Nanni alla pagina 28.

    PER LO STUDIO DELLE IDEE DI BASE

    È importante, come si diceva, insistere sull'apprendimento critico dei vocabolario di base del quaderno. Indichiamo alcune possibili piste di lavoro.

    Studio formale per acquisire la terminologia di base

    In concreto il lavoro può organizzarsi così:
    - leggere a gruppetti l'articolo di Milanesi (o quello di Amione); stilare, in ogni gruppetto, un piccolo vocabolario, fissando un numero minimo di termini che si intende spiegare;
    - confrontare il proprio vocabolario con quello degli altri gruppetti.

    Studio contenutistico per un quadro d'insieme

    In concreto:
    - mettere in una tabella comparata le voci più importanti dell'articolo in esame; ad esempio: sottosistema, cultura, sottocultura, lettura culturale...
    - descrivere, dentro le caselle della tabella, le qualità di ogni termine e poi valutarne le differenze o le convergenze.

    Apprendere a leggere un testo, delle tabelle, dei grafici

    - È importante che chi fa animazione prenda gusto ad uno studio critico dei testi che analizzano la realtà.
    Indichiamo un «esercizio» che lo sollecita in questa direzione.
    Si prende in analisi una tabella o un grafico (ad esempio, il grafico sul rapporto giovani e politica in G. Milanesi, Oggi credono così, LDC 1982, voi. 1, pag. 227); si fa una personale interpretazione della tabella o grafico; infine, la si confronta con la interpretazione dell'autore (per l'esempio indicato si veda Milanesi).
    In concreto:
    - fotocopiare una tabella ed esaminarla in gruppo;
    - formulare delle ipotesi di ricerca;
    - alienarsi ad una lettura interpretativa;
    - confrontare la propria interpretazione con quella dell'autore; risalire alle ipotesi della ricerca leggendole nel testo;
    - confrontare queste ipotesi con quelle elaborate dal gruppo. a Indichiamo altre tavole utili per questo lavoro.
    Nel testo di Milanesi si possono vedere le seguenti tavole o grafici e le loro corrispondenti interpretazioni dell'autore, oltre che le domande dei «questionario» che fa da base alla tabella o grafico:
    - grafico n. 1: i bisogni più urgenti (vol. 1, pag. 111);
    - grafico n. 2: valori, progetti di vita (voi. 1, pag. 115);
    - tavola n. 3: ostacoli che impediscono la realizzazione dei propri obiettivi e progetti (vol. 1, pag. 117).
    Questi grafici e tabelle vanno confrontate, oltre che con la interpretazione che se ne dà nelle pagine vicine, con le domande del questionario (voi. Il, pag. 303 e seguenti).

    PER UNO STUDIO DEL PROPRIO AMBIENTE GIOVANILE

    Alla luce di quanto si è appreso dai contenuti dei quaderno, è utile provare subito ad analizzare il mondo giovanile del proprio ambiente. Senza grandi pretese, evidentemente.
    - Una possibilità è mettere in cantiere una piccola indagine attraverso un questionario. Richiede tempo, metodo, collaborazione, progressiva competenza, verifica con qualche esperto... Più che il risultato può contare lo stesso lavoro che si è svolto.
    - Un'altra pista di lavoro può essere elencare alcuni problemi che sembrano insolubili per l'animazione del proprio ambiente e poi riflettervi alla luce degli schemi di fondo offerti da Milanesi e Amione.
    Facciamo esempi: l'allontanamento degli adolescenti dai gruppi ecclesiali dopo la cresima, la difficoltà ad allargare il giro dei proprio gruppo ad altri adolescenti e giovani, lo scarso impegno giovanile nella parrocchia e nel quartiere, la esistenza di massicce fasce di giovani marginali nella propria zona...
    - Sui risultati, sia della piccola indagine che della riflessione sui problemi dei proprio ambiente alla luce degli articoli di Milanesi e Amione, si può organizzare una tavola rotonda a cui invitare qualche esperto, membri della amministrazione comunale o di quartiere, qualcuno del consiglio pastorale parrocchiale...
    - Un ulteriore esercizio è provare a ipotizzare, senza la pretesa che di avviarsi ad un atteggiamento educativo verso la realtà, vie di uscita ai vari problemi. Si può verificare anche queste in una tavola rotonda o in un incontro con un esperto appositamente invitato.

    APPROFONDIMENTO DELLA LETTURA PSICOLOGICA

    Per una utilizzazione delle pagine di Franca Amione sembra si possano fissare tre piste di lavoro con i relativi strumenti, oltre alle indicazioni offerte finora.
    - approfondimento della terminologia e della chiave di lettura psicologica del mondo giovanile;
    - stimolare l'animatore a una verifica sulla sua maturità psicologica, visto che è contemporaneamente giovane e animatore,
    - fornire indicazioni per un approfondimento con gli adolescenti delle loro problematiche psicologiche.
    Indichiamo ora alcuni strumenti di lavoro per i tre obiettivi.

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    Approfondimento della chiave di lettura psicologica

    1 . Compilare un vocabolario preciso per abilitarsi all'uso dei termini più correnti della psicologia dell'età evolutiva.
    Si può distribuire al gruppo degli animatori un foglio ciclostilato con le parole che seguono, dopo aver ascoltato una relazione sul tema. I termini principali sono: identità personale (p. 18); immagine di sé (p. 20), intelligenza e affettività (p. 20); vissuti e fantasie (p. 20); immagine corporea, percezione corporea, concezione corporea (p. 20); atteggiamento e comportamento (p. 23).
    2. Descrivere in parallelo le tre fasi della formazione dell'immagine di sé (pp. 21 23).
    La tabella riportata al fondo della pagina può essere fornita agli animatori durante la relazione sul tema, così che serva da schema per gli appunti e per eventuali verifiche e approfondimenti in gruppo.
    3. Sulla tematica «adolescenti/famiglia» è possibile organizzare una tavola rotonda con uno psicologo, un padre e una madre (anche se non della stessa coppia), un insegnante e un animatore di gruppo.
    A ciascuno si dia un breve traccia su cui dire la propria esperienza. In precedenza, il gruppo degli animatori che vuol approfondire questo tema si può preparare come segue.
    Si suddivide in gruppetti di tre o quattro persone, ogni gruppetto sceglie un punto di vista, una dimensione del problema o una preoccupazione da cui ascoltare la tavola rotonda e in base a questa ottica rivolge le domande ai relatori dopo la loro esposizione. Un esempio. Un gruppetto può fare attenzione soprattutto al dialogo tra genitori e figli; un altro alla incidenza del lavoro, della scuola, del tempo libero nei rapporti familiari; un altro ancora all'influsso dei mass media in famiglia, oppure alle iniziative della comunità cristiana che viene a trovarsi tra i genitori da una parte ed i figli dall'altra...
    Preparata in questo modo, la tavola rotonda permette di allargare l'attenzione a tutto il problema, senza abbandonarsi a reazioni improvvisate o emotive a ciò che i relatori diranno.
    Per approfondire la conoscenza del comportamento degli «adolescentiingruppo» (cf pp. 26 28) anche a partire dalla esperienza che gli animatori già stanno facendo, si può far compilare loro la tabella che segue, dapprima in gruppetti poi insieme.
    Se questo lavoro precede la relazione su alcune tematiche psicologiche dell'adolescenza si ha il vantaggio di avere a disposizione una fotografia aggiornata dei comportamenti su cui la relazione deve fare da chiave interpretativa psicologica.

    Verifica nella maturità psicologica dell'animatore

    - Per aiutare gli animatori a mettersi in discussione nella ricerca di una propria maturità psicologica (dato che a questo punto dei nostro ipotetico corso i giovani animatori si sono ormai affiatati) è utile qualche esercizio di relazione interpersonale.
    Indichiamo alcuni esempi, riprendendoli da B. Grom, Metodi per l'insegnamento della religione, la pastorale giovanile e la formazione degli adulti, LDC, Torino 1982.
    - Esperienza Riconoscersi (Grom, p. 73, n. 37) per abituarsi a sentirsi valutati e per non diventare facili giudici degli altri, in particolare degli adolescenti dei proprio gruppo.
    - Esperienza Fare la valigia (Grom, p. 70, n. 35) con le eventuali divertenti varianti.
    - Esperienza di gruppo Coniugazione irregolare (Crom, p. 68, n. 34a) che nel testo significa «tendenza a valutare negativamente». Questo esercizio serve all'animatore per riscoprire in se stesso alcuni atteggiamenti adolescenziali e accorgersi quanto gli stessi vengano esaltati nel gruppo degli adolescenti.
    - Molti animatori hanno 18-20 anni, un'età che si può collegare a quella di cui parla l'articolo di F. Amione (cf p. 23) come «fine adolescenza». Si possono approfondire quegli accenni alla luce del proprio vissuto.

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    Per un approfondimento con gli adolescenti

    Se proponiamo alcuni semplici tests che l'animatore può utilizzare per conoscere meglio gli adolescenti e per aiutarli a leggere dentro di sé, non è certo per stemperare la vita di gruppo in una serie di test inconcludenti, che alimentano attese che verranno comunque frustrate... Indichiamo, più semplicemente, dei «giochi» psicologici che possono essere distribuiti lungo il cammino annuale e in qualche camposcuola, secondo l'occorrenza, senza fare dei gruppo un luogo di facile cura terapeutica:
    - La presentazione di sé secondo una immagine (cf Q1, p. 30), al fine di accrescere il desiderio di comunicazione tra i presenti. Nella stessa direzione tutti gli esercizi proposti in Q1 alla p. 30.
    - il Gioco Nasa (Grom, p. 52, n. 22) per amalgamare il gruppo.
    - Il Dialogo controllato (Grom, p. 60, n. 27) per sollecitare l'adolescente all'uso della razionalità.


    T e r z a
    p a g i n A


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