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    8. UN ITINERARIO DI

    EDUCAZIONE DEI GIOVANI

    ALLA FEDE

    Riccardo Tonelli

    INDICE

    1. DAL PROGETTO ALL’ITINERARIO

    1. 1. Progetto, programmazione, itinerario

    Progetto
    Programmazione
    Itinerario

    1.2. Perché preferiamo parlare di «itinerario»

    1.3. Un itinerario «unico» per i giovani

    2. LE SCELTE DI FONDO

    2. 1. La ragione ultima delta ricerca: per I’educazione alla tede

    Una procedura globale
    Una comunità ecclesiale come soggetto
    Cosa intendiamo per educazione alla fede
    L'Incarnazione come fondamento della «passione per la vita» nella educazione alla fede

    2.2. Il contesto culturale attuale come variabile provocante

    Esistono notevoli difficoltà
    Per un progetto realistico
    Per un progetto «ermeneutico»

    2.3. Educazione alla fede e processi educativi

    Uno stretto rapporto
    Per sottolineare la distinzione
    Per sottolineare la convergenza e l’interdipendenza
    «Educazione cristiana» è educazione

    2.4. L’animazione come modo di realizzare I'educazione cristiana e I'educazione alla fede

    3. LA META ULTIMA DELL’ITINERARIO

    3. 1. Pertinenza e limiti di una riflessione sulla meta

    3.2. L’integrazione fede/vita come obiettivo

    3.3. Nella logica del «seme »

    Un'alternativa senza sbocco?
    La riformulazione della meta ultima

    3.4. Una nuova esperienza di senso

    3.5. Dall’identità al senso

    L’integrazione fede/vita tra oggettività e soggettività
    L’integrazione fede/vita tra «identità» , e «senso»
    La funzione della fede nella vita dell'uomo

    4. UN ITINERARIO FORMATIVO

    4. 1. Prima area: verso L’invocazione come fondamentale domanda di vita

    I movimenti progressivi
    Gli interventi

    4.2. Seconda area: verso l’incontro personale con Gesù il Signore della vita

    I movimenti progressivi
    Gli interventi

    4.3. Terza area: verso una vita nuova

    I movimenti progressivi
    Gli interventi

    5. L’ITINERARIO TRA ANIMAZIONE E SPIRITUALITÀ

    ^ Con questo quaderno il nostro progetto di animazione raggiunge uno dei suoi punti culminanti. Nell’elaborare infatti un itinerario di educazione alla fede sono venuti ad incrociarsi i dati dell'analisi della società e del mondo giovanile, le «scommesse» dell'animazione culturale dichiarate fin dal «credo dell'animatore (Q 1), le scelte di metodo e gli strumenti individuati nella quarta serie dei quaderni («strumenti di animazione»).
    In particolare trova qui il suo compimento la scelta di «educazione alla fede nello stile dell'animazione» (tema del Q 7). E da questo quaderno «partono» anche i tre che lo seguono:
    - il Q 9 approfondisce il «luogo» in cui avviene l'educazione alla fede: il gruppo giovanile;
    - il Q 10 riprende la parte conclusiva dell'itinerario, quando si parla di «vita nuova» del credente e di nuovo «progetto etico»
    - il Q 11 chiarisce ulteriormente quale «integrazione» è possibile tra vita dell'uomo d'oggi e esperienza cristiana, esemplificata dalla parola di Dio.

    ^ Parlare di itinerario è di attualità educativa e pastorale.
    Dopo aver appreso a elaborare «progetti»che descrivevano il «dover essere» dell'uomo e del credente e le «cose da fare» ora si arriva a precisare che il progetto diventa praticabile se si apre all'itinerario; cioè se si riesce ad individuare il cammino che il soggetto, tappa dopo tappa, è chiamato a percorrere dalla situazione in cui si trova fino al raggiungimento della «meta ultima» dell'animazione culturale e della educazione alla fede.
    Parlare di itinerario non è allora sminuire l’importanza dei progetti ma, più semplicemente, delineare maggiormente il «che fare» in concreto.

    ^ L'itinerario che presentiamo ha una pretesa: vuol essere un cammino per tutti i giovani.
    Ci spieghiamo.
    Non si vuol dire che è un itinerario adatto ai preadolescenti come ai giovani. Da questo punto di vista l'itinerario è scritto pensando alla fascia giovanile di età.
    Quello che è «trasportabile» alle fasce inferiori è la «logica di fondo» con cui l'itinerario è stato pensato.
    La pretesa è invece che venga utilizzato con tutti i giovani, a qualunque livello di esperienza umana e cristiana siano giunti. Un itinerario unico dunque, per fare un esempio, per tutti i giovani di un centro giovanile, dove alcuni si aggregano attorno allo sport, altri attorno al volontariato, altri ancora attorno ad una riflessione esplicita nella fede cristiana. Ovviamente l'itinerario può dare luogo ad attività molto diverse tra loro. Ma sempre dentro la stessa logica, dentro la stessa «meta ultima» e dentro le grandi fasi di maturazione che l'itinerario presenta. In modi diversi si compie allora un unico cammino di fede.

    ^ Accenniamo velocemente ai grossi capitoli del quaderno. Nel primo capitolo si precisa cosa si intende per itinerario e in che cosa si differenzia da un «progetto di educazione alla fede. Nel secondo capitolo vengono elencate le «scelte di fondo», in continuità con le riflessioni già offerte nel Q 7 «educare alla fede nello stile dell'animazione».
    La prima scelta è voler individuare un itinerario di fede, rifacendosi alla Incarnazione, come scoperta del fondamento ultimo alla «passione perla vita».
    La seconda scelta è di ragionare prendendo seriamente in considerazione le difficoltà dei giovani e quindi elaborando una «proposta realistica».
    La terza scelta è di elaborare l’itinerario in una è, logica educativa quasi esplicitando lo slogan: «educare evangelizzando ed evangelizzare educando».
    Nel terzo capitolo si parla della «meta ultima», alla ricerca di un obiettivo generale di educazione alla fede, praticabile anche dai «giovani poveri».
    Il quarto capitolo infine presenta più da vicino le tappe dell'itinerario e gli interventi educativi. Ne emerge una sequenza in cui essenzialmente sono rintracciabili tre «aree»:
    - «verso l’invocazione come fondamentale domanda di vita»
    - «verso l’incontro personale con Gesù il Signore della vita, fino alla condivisione appassionata della sua causa»;
    - «verso una vita nuova»


    1. DAL PROGETTO ALL’ ITINERARIO

    Oggi tutti parlano di progetti, di modelli curriculari, di obiettivi e di valutazione. Fino a pochi anni fa questi termini e i problemi relativi erano veramente lontani dalle attenzioni della maggior parte degli operatori pastorali: la pastorale andava avanti senza preoccuparsi troppo di fare programmazioni; e, quando le faceva, si affidava soprattutto alla intuizione e alla pratica spicciola.
    La cosa non meraviglia.
    Anche nell'ambito strettamente educativo c didattico le preoccupazioni di ordine tecnico erano generalmente assenti.
    In campo pastorale inoltre la fiducia nella presenza operosa dello Spirito e la consapevolezza teologica della efficacia costitutiva dei «mezzi» della salvezza hanno spesso frenato l’introduzione di ogni innovazione metodologica di sapore antropologico.
    Poi le cose sono cambiate, in un turbinio impetuoso di prospettive.
    Qualcuno e rimasto sconcertato. E ripensa con nostalgia ai bei tempi in cui i problemi sembravano tutti più semplici.
    In molti operatori pastorali, i contributi delle scienze dell'educazione, relativi ai modelli di programmazione educativa, sono invece caduti in un terreno assai disponibile, predisposto all'accoglienza dal profondo rinnovamento teologico operato dal Concilio.
    In campo pastorale, la «svolta antropologica» è diventata così anche una intensa, sofferta ricerca di corrette e aggiornate metodologie.
    Il vocabolario pastorale è cambiato: si è arricchito di una terminologia presa a prestito dalle scienze dell'educazione, dalla didattica, dalla comunicazione.
    La nostra ricerca si inserisce in queste profonde e recenti trasformazioni con tre obiettivi complementari.
    Continuando il discorso iniziato nel Q7, vogliamo prima di tutto giustificare ulteriormente l’operazione, per superare le ultime resistenze, nel nome di una intensa riscoperta della fede stessa.
    Vogliamo però sollecitare ad una utilizzazione critica di questi contributi. Molti di essi provengono da discipline che si qualificano su procedure logiche diverse da quelle costitutive della pastorale. Non si può certo ignorarle: torneremmo indietro follemente di trent'anni. Ma non possiamo neppure trasferire tutto di peso.
    Infine vogliamo fare un passo avanti: non per sconfessare quello che abbiamo faticosamente costruito, ma per ripensarlo dentro una sensibilità rinnovata.
    Per questo abbiamo intitolato il paragrafo: dal progetto all'itinerario.
    «Progetto» rappresenta la sintesi di quello che abbiamo costruito in questi anni, facendo dialogare pastorale c scienze dell'educazione.
    «Itinerario» l'aspetto di novità. Per spiegarci, precisiamo i due termini in questione.

    1.1. Progetto, programmazione, itinerario

    1.1.1. Progetto

    Progetto è un piano generale di interventi che concretizza una visione educativa e pastorale. In questo senso, il progetto:
    - segna gli obiettivi operativi adeguati ai bisogni c alle richieste delle situazioni (personali, sociali, ambientali);
    - suggerisce linee concrete e mezzi per raggiungere questi obiettivi;
    - crea ruoli e funzioni per assicurare l'efficacia delle linee e il raggiungimento degli obiettivi.
    Per comprendere bene di che cosa si tratta, dobbiamo mettere in evidenza gli elementi che compongono ogni buon progetto.
    Procediamo indicando prima l'aspetto formale, quello che risulta da ogni trattato di programmazione educativa, e suggerendo poi in che senso intendiamo riscrivere questi suggerimenti per utilizzare nell'ambito pastorale.

    I destinatari
    Destinatari sono coloro con/per i quali si fa il progetto. Vanno determinati in modo esplicito, perché «pesano» notevolmente nella definizione pratica degli altri elementi.
    Nel nostro caso, non consideriamo i destinatari solo per quello che essi dicono di sé o nei termini in cui sono descritti con approcci fenomenologici. Li «definiamo» invece come all’interno di una comprensione più vasta, che interpreta, collega, organizza, sente la necessitA di fare proposte. Assumiamo quindi una prospettiva «educativa». Per questo preferiamo parlare di «bisogni».
    Destinatari sono quindi come una rete e una trama di «esigenze educativa», di bisogni.
    Concretamente consideriamo:
    - i bisogni espressi esplicitamente:
    - il bisogno rappresentato dallo scarto esistente tra il soggetto e gli standards definibili sulle mete;
    - il bisogno rappresentato dai desideri, espressi a profondi, del soggetto;
    - il bisogno che nasce nel confronto con altre persone ed esperienze;
    - il bisogno identificabile come anticipazione di future necessità.

    Gli obiettivi
    Gli obiettivi sono determinati dalle competenze verso cui tende tutto il processo. La dizione «competenza» non è univoca. Potrebbero essere utilizzate altre formule. Usiamo questa, ma la precisiamo come la convergenza di:
    - conoscenze da acquisire (e cioè quelle strutturazioni del personale dinamismo psichico che orientano il comportamento verso un oggetto proposto);
    - i comportamenti (intesi come capacità operative).
    Nel nostro caso proponiamo una precisa articolazione degli elementi che definiscono le competenze, pensando alla esistenza cristiana e quindi all'uomo che vive nella fede:
    - competenza di fondo è la riconsegna della propria vita al Dio della vita per riprenderla nelle proprie mani in novità;
    - espressa in atteggiamenti esistenziali corrispondenti a questo orientamento di fondo (che abitualmente è definita come fede, speranza, carità);
    - posseduti e verbalizzati nelle conoscenze relative al «mistero cristiano»;
    - misurati e celebrati in situazione nei comportamenti etici.

    Il metodo
    Metodo è quella particolare selezione e organizzazione delle risorse disponibili e delle operazioni praticabili, funzionale a creare le condizioni favorevoli a far raggiungere gli obiettivi nelle diverse situazioni di partenza.
    Nel nostro caso, è da preferire non una organizzazione rigida, ma la definizione di alcuni «principi di metodo», per rispettare la centralità della persona e della località. Per esempio:
    - principio di significatività: una proposta o una scoperta risulta significativa quando essa si può collegare e di fatto viene collegata nella percezione soggettiva con i concetti, le capacità, le esperienze già possedute da una persona;
    - principio di motivazione e di perturbazione: se si vuole allargare gli interessi ed aprire a proposte diverse da quelle già possedute, rispettando nello stesso tempo il principio di significatività, e indispensabile far emergere una spinta motivazionale interiore; questa spinta ~ determinata dalla presenza di un principio perturbatore che mette in crisi la struttura precedente c sollecita a superare la destabilizzazione introdotta;
    - principio di approfondimento e di concentrazione: questo principio sottolinea la necessitA di curare la ripetizione frequente degli stessi interventi, il ritorno c la ripresa di temi e di comportamenti, nella costante preoccupazione educativa di finalizzare il tutto verso una unità direzionale;
    - principio di concretezza: con questo principio sottolineamo la necessità di operare sempre in modo concreto c rispettoso della sperimentabilità delle proposte, facendo quasi toccare con mano ciò a cui si sollecita. Potremmo esprimerlo con una formula: fare proposte facendo sempre fare esperienze.
    Per un approfondimento di questo principio di metodo rimandiamo a Q19 "La programmazione educativa”.

    La valutazione
    Valutazione è quel processo attraverso cui si verifica se e fino a che punto gli obiettivi proposti Sono stati raggiunti.
    L’operazione richiede una doppia convergente preoccupazione: bisogna da una parte verificare la praticabilià degli obiettivi rispetto agli obiettivi stessi.
    Nel nostro caso, mentre affermiamo l’importanza di attivare processi di valutazione anche nell’ambito educativo e pastorale, ricordiamo due limiti oggettivi:
    - l’imponderabilità c quindi l’inverificabilità di molte dimensioni del processo, perché attingono al mistero insondabile della libertà umana e della presenza dell'amore interpellante di Dio;
    - l’equifinalita dei processi educativi, che porta a rifiutare ogni modello di rapporto causa/effetto pensato in termini deterministici, dal momento che condizioni iniziali diverse possono produrre lo stesso risultato finale mentre condizioni iniziali uguali possono dare origine a risultati finali diversi.

    1.1.2. Programmazione

    La distribuzione in termini di personale, tempi, luoghi, degli elementi definitivi di un progetto, e la determinazione concreta e realista delle operazioni da compiere, fanno la «programmazione».
    Per questa sua dimensione di concretezza, la programmazione vive di tempi brevi e va operata sempre a livello locale, per considerare le variabili specifiche in gioco.
    La programmazione inoltre procede sempre in termini di grande realismo, commisurando in modo accorto il dover essere con le risorse effettivamente disponibili.

    1.1.3. Itinerario

    Itinerario è la sintesi dinamica, articolata c operativa degli elementi «programmati».
    Dire sintesi dinamica significa ricordare che:
    - gli elementi vanno montati in sequenze che siano in grado di imprimere ed esprimere un processo: gli obiettivi diventano movimenti intermedi c progressivi c il metodo si trasforma in un gioco di interventi, con tappe successive, montate in ordine logico, che spesso diventa anche cronologico;
    - la definizione della sequenza richiede la determinazione di un punto di partenza e di un punto di arrivo,,per fissare un ritmo di movimento;
    - il processo è pensato in una interdipendenza continua dei diversi elementi tra di loro.
    Per la sua struttura di sintesi dinamica, l'itinerario è un cammino che investe e attraversa tutta la fase della maturazione giovanile. Può però essere concentrato in un tempo preciso di questo lungo processo (un anno formativo) c persino può essere espresso in un'operazione educativa particolarmente forte (un corso di esercizi spirituali, per esempio).

    1.2. Perché preferiamo parlare di itinerario

    Tra «progetto» e «itinerario» non c’è poi una grande differenza.
    Spesso, le due formule sono usate come sinonimi.
    In fondo, l’itinerario assume tutti gli elementi del progetto, anche se li riscrive in una prospettiva più dinamica.
    Noi preferiamo parlare di itinerario, accentuando le diversità.
    Due sono le nostre ragioni.
    La prima l’abbiamo già accennata. L’itinerario assume una logica di progressività. Sembra quella più vicina al dinamismo della crescita umana.
    Rappresenta anche una dimensione centrale dell’esistenza credente, se questa e una decisione progressiva e crescente per Gesù Cristo, decisione che nasce come conseguenza dell'incontro con lui.
    C'è però una seconda ragione, più importante.
    L’accenno fatto ai dinamismi della crescita umana e della decisione di fede sottolinea un aspetto fondamentale, davvero qualificante. La vita umana cresce in una prospettiva di «germinazione» e non di «assemblaggio».
    Essa e come un seme: si porta dentro tutta la pianta in quel minuscolo frammento di vita in cui si esprime. Per una forza intrinseca c in presenza di condizioni favorevoli, progressivamente esplode in qualcosa di continuamente nuovo. Le foglie, il tronco, i rami non si aggiungono dall'esterno. Non sono materiali da assemblare. Sono già presenti, in germe: il seme è gia la grande pianta, anche se lo diventa giorno dopo giorno. Questa e la vita. È la vita nuova del credente, nella Chiesa, «germe» del Regno di Dio.
    L’itinerario si distingue dal progetto proprio perché opera nella logica del seme; la logica del progetto sembra maggiormente quella dell'assemblaggio.
    L’itinerario è quindi un progetto che si fa progressivamente e che in ogni fase di realizzazione possiamo considerare come già attuato, anche se non ancora pienamente.

    1.3. Un itinerario «unico» per i giovani

    Quando si passa dalle indicazioni formali alle scelte di sostanza, è necessario misurarsi con destinatari concreti.
    Nel nostro caso pensiamo ai giovani che in qualche modo girano nei nostri ambienti (oratori, associazioni, scuole, gruppi ... ); e, tra questi, a quanti sono più poveri di domande religiose, perché tutti possano sentirsi accolti e stimolati a crescere.
    Offriremo quindi un itinerario unico, e globale, sulla misura di questi giovani e pensando alla loro, maturazione nella fede.
    Certamente un itinerario così resterà ancora un poco generico.
    Sono necessarie ulteriori specificazioni e differenziazioni.
    Un operazione va condotta confrontandosi con le diverse variabili in gioco:
    - i diversi tempi dell'arco evolutivo (preadolescenti, adolescenti, giovani, giovani adulti);
    - le differenti tipologie giovanili, dal memento che oggi si sottolinea di più la «differenziazione» che la «condizione» giovanile;
    - i diversi ambienti di azione (cultura, sport, catechesi, animazione liturgica ... ) e le diverse «risorse» (sono risorse le agenzie, le persone con le diverse sensibilità, gli strumenti, le tradizioni, le strutture, gli organismi... Alcune sono collocate prevalentemente sul versante educativo, altre sono tipicamente pastorali, altre operano sul confine).
    Sulla prima variabile, pensiamo necessariamente ad itinerari differenti, anche se viene condivisa la logica di fondo di quello che proponiamo qui.
    Sulle altre due variabili, invece, non immaginiamo itinerari paralleli, come se chi intende operare nell'ambito culturale o della coltivazione degli interessi giovanili o della catechesi si dovesse fare un proprio itinerario, articolato e globale come questo.
    La cosa è evidente sulla variabile «ambienti» e «risorse».
    Per servire l’unica persona, in modo complessivo e articolato, e per affidare unitariamente la gestione della produzione della vita e della salvezza alla «grande istituzione formativa», proponiamo una convergenza sostanziale attorno a questo modello di itinerario, alle sue scelte di fondo, alle sue procedure e ai suoi movimenti concreti. Le differenti «risorse», come abbiamo chiamato gli operatori dei diversi ambiti educativi e pastorali, se «rielaborano» l'itinerario, lo fanno soprattutto per offrire concretizzazioni operative in quei livelli della proposta unitaria in cui intendono collocarsi.
    Così le risorse concentrate sul versante educativo e culturale intervengono nel processo che apre all'invocazione e nella verifica che l’evangelizzazione rappresenti una «buona notizia» dentro queste attese.
    Le risorse specializzate sul versante dell'evangelizzazione offrono il loro, contributo irrinunciabile «perché ci sia vita» e verificano i modelli educativi e culturali per renderli «aperti» alla creazione di un uomo invocante.
    Nella loro differenziazione e specializzazione concorrono al raggiungimento dell'unico obiettivo globale. E in questo convergono nell'unità, pur restando distinte.
    Se consideriamo la variabile «tipologie giovanili», può sembrare meno opportuna l’insistenza sull'unicità di itinerario.
    Certamente ogni persona ha il diritto di essere servita al livello in cui si trova la sua maturazione umana e cristiana. Non si Pub quindi ritagliare un itinerario di media; e costringere tutti ad assumerlo solo per non dover consumare troppe energie nella pluralità di proposte. Qui però m pensiamo alla prassi pastorale di una istituzione formativa. per renderla capace di dialogare con giovani diversamente stratificati, la immaginiamo attenta soprattutto ai più poveri, agli ultimi. Misurata con le loro esigenze, essa riesce a dialogare con tutti, rispettandone la diversità.
    Quando serve alcuni, giocando le sue risposte sulle loro attese, lo fa con la preoccupazione fondamentale di «piegarli» al costante servizio dei più poveri.
    Questo orientamento giustifica la nostra insistenza sull’itinerario «unico» unico, non perché teme concorrenze, ma perché chiede a tutte le altre legittime proposte di servire c sostenere questa scelta di campo.


    2. LE SCELTE DI FONDO

    A monte di tutta la nostra ricerca c delle scelte che man mano faremo, ci sono alcuni orientamenti teologici e antropologici. Rappresentano un modo di affrontare c di risolvere i problemi che incontrano coloro che intendono lavorare in campo educativo e pastorale.
    È importante evidenziarli perché, in un tempo di pluralismo come è il nostro, non sono universalmente condivisi e praticati.
    Sono quasi delle «scommesse»: hanno validissime ragioni giustificative, ma si potrebbero anche trovare differenti punti di partenza.
    Ricordiamo a veloci battute questi orientamenti, rimandando l’approfondimento alla letteratura più tecnica.
    In Q7 abbiamo già affrontato qualcuno di questi temi. Chi legge quel quaderno in contemporanea con questo, scoprirà come si richiamano reciprocamente e come si arricchiscono a vicenda.

    2.1. La ragione ultima della ricerca: per l'educazione alla fede

    La prima scelta di campo, pregiudiziale a tutte le altre, è quella relativa all'oggetto della nostra ricerca, alla sua intenzione ultima.
    Molti equivoci saranno dissipati in partenza se riusciamo a ritagliare con precisione qual è concretamente questo «oggetto».

    2.1.1. Una procedura globale

    Stiamo conducendo una ricerca di pastorale giovanile. Stiamo cioè, cercando indicazioni globali relative ai processi di educazione dei vani alla fede.
    L’educazione alla fede è un processo complesso e richiede molte attenzioni.
    Di solito sono organizzate in quattro capitoli: la catechesi e il ministero, della parola; la liturgia e le celebrazioni sacramentali; l'esperienza di comunione; il servizio di promozione dell'uomo, in prospettiva personale e collettiva.
    Noi non ci interessiamo qui in modo puntuale di queste dimensioni dell'agire pastorale, ma delle logiche che dovrebbero percorrerle, quasi per cercare una procedura globale, capace di animare e di unificare i differenti interventi.

    2.1.2. La comunità ecclesiale come soggetto

    Soggetto della nostra ricerca e un operatore credente: una comunità ecclesiale e tutti coloro che vivono l’appartenenza ad essa come responsabilità verso gli altri.
    Questo soggetto è intenzionato a diffondere l’esperienza fatta nella decisione di affidare la propria vita a Gesù Cristo, perché in questa esperienza ha trovato ragioni per vivere e per sperare. E si interroga circa le cose che potrebbe fare, per realizzare correttamente questa comunicazione di esperienze che si fanno messaggio.

    2.1.3. Cosa intendiamo per educazione alla fede

    Una intenzione generale anima tutta la ricerca. L’abbiamo indicata nella formula: educazione alla fede.
    Questo significa molte cose, su cui torneremo.
    In sintesi, educare alla fede per noi equivale a sollecitare e a sostenere una decisione personale per Gesù Cristo, l'evento ultimo e costitutivo della vita pienamente cristiana. In questa decisione, destinata a maturare progressivamente anche in consapevolezza riflessa e tematica, consiste la salvezza. Per lo stretto rapporto esistente tra Chiesa e salvezza, l'educazione alla fede comporta anche un processo di progressiva appartenenza ecclesiale.

    2.1.4. L'Incarnazione come fondamento della (( passione per la vita n nella educazione alla fede

    L’Incarnazione è un evento della storia di Gesù. Ma può essere considerata come la prospettiva da lui leggerla tutta e da cui cogliere il progetto di Dio su tutta la storia dell'uomo.
    In questo senso l’Incarnazione e «rivelazione» di chi è Dio per l’uomo e di chi è l’uomo per Dio. L'uomo quotidiano, per la solidarietà esistente con Gesù di Nazareth, è il luogo fondamentale e costitutivo della autocomunicazione di Dio. Per questo, accogliere l’uomo, amare l'uomo, aiutare l’uomo a crescere secondo la sua verità, è «decidersi per il Dio di Gesù Cristo»: ascoltare la sua proposta interpellante e rispondere al suo invito.
    L’Incarnazione ci rivela così la logica, di fondo della salvezza: se il mistero di Dio è incontrabile solo nella umanità (di Gesù e nostra), si può giungere al «contenuto» (in tutte le esperienze salvifiche) solo passando attraverso i suoi «segni» (le esperienze umane).
    Per questo crediamo alla «educabilità indiretta della fede» e delle sue manifestazioni.
    Certo, la fede si sviluppa sul piano misterioso del dialogo tra Dio e la liberta dell'uomo. A questo livello non si possono dare interventi educativi, ma solo sollecitare all'ascolto obbediente e disponibile.
    Questa immediatezza viene pero servita c sostenuta dalle mediazioni umane che hanno il compito di attivare il dialogo e di predisporre all'accoglienza.

    2.2. Il contesto culturale attuale come variabile provocante

    L’educazione alla fede è un'operazione sempre contestuale: le parole umane e i processi culturali diffusi nell’ambiente rappresentano la parola d'uomo in cui la parola di Dio si fa parola per l’uomo. Oggi il contesto si pone come variabile provocante.

    2.2.1. Esistono notevoli difficoltà

    Esistono tratti della cultura attuale che sembrano molto lontani da alcune dimensioni tradizionali dell'esperienza cristiana.
    Senza entrare in analisi lunghe e approfondite, facciamo solo qualche esempio:
    - la frammentazione che si oppone ad ogni ipotesi di organicità e coerenza;
    - la soggettivizzazione che contesta praticamente i modelli oggettivistici;
    - l'immediatezza e il presentismo, che spingono alla ricerca di esperienze dirette, di prima mano, e rifiutano ogni funzione «intermediaria»;
    - la problematicità e il relativismo, che mettono in crisi i modelli assoluti e definitivi;
    - lo stato permanente di ricerca che contesta ogni ipotesi di possesso stabile e duraturo (anche nei confronti della verità);
    - il nichilismo che critica i progetti di senso che si pretendono normativi rispetto al senso soggettivo e vissuto.

    2.2.2. Per un progetto realistico

    Questi modelli culturali sollecitano ad una disponibile e critica attenzione, se si vuole intervenire in situazione e si intende proporre qualcosa di praticabile, capace di elaborarli.
    II confronto comporta sempre il dialogo c la verifica, nella disponibilità a rivedere le proprie posizioni.

    2.2.3. Per un progetto «ermeneutico»

    Chi possiede una «coscienza ermeneutica» non si accontenta di un confronto critico con questi dati culturali. Il rapporto esistente tra fede e cultura spinge infatti a verificare se e fino a che punto questi innegabili cambi culturali non possano rappresentare possibili luoghi di riformulazione della fede stessa c della esperienza cristiana. Siamo così sollecitati a rivedere i modelli tradizionali, costruiti in dipendenza da altri contesti culturali.
    Noi ci moviamo in questa logica ermeneutica.
    Cerchiamo quindi non solo un confronto critico con il contesto culturale, per operare realisticamente, ma desideriamo verificare fino a che punto è possibile riesprimere la fede «dentro» queste provocazioni.
    Il processo ermeneutico coinvolge la fede e la cultura nello stesso tempo: la fede sostiene nella difficile ricerca di una maturità antropologica; questi modelli antropologici sollecitano la fede ad abbandonare quelli ormai superati e a riscriversi dentro gli attuali.
    In questo compito impegnativo e urgente cogliamo la sfida più drammatica dell’attuale pastorale giovanile.

    2.3. Educazione alla fede e processi educativi

    La terza scelta di campo sottolinea lo stretto rapporto esistente tra educazione c educazione alla fede. L’abbiamo già accennato e motivato nella sua ragione fontale, quando abbiamo parlato dell'Incarnazione. Il tema però è molto importante. Per questo preferiamo riprenderlo con calma.

    2.3.1. Uno stretto rapporto

    Il rapporto tra educazione e educazione alla fede e molto stretto.
    Almeno per tre ragioni. Le presentiamo.
    - La fede è al servizio della liberazione integrale dell'uomo: ce lo ricorda l’immagine di «salvezza» presente nella coscienza ecclesiale attuale. Essa quindi si scontra c fa i conti con le altre agenzie di liberazione: tra queste un posto importante e affidato all'educazione.
    - La coscienza ermeneutica comporta un continue, confronto della fede con modelli antropologici che essa non elabora e sui quali ha di fatto poco influsso genetico, nell'attuale, contesto sociale e culturale. Questi modelli sono generalmente il luogo dove si esprime l'educazione (e non solo essa, come è evidente). Per esercitare la sua profezia e non stemperarsi in processi solo responsoriali, che, in ultima analisi, vanificherebbero totalmente la fede stessa, essa deve attivare un confronto critico continuo con questi modelli antropologici e, di conseguenza, con le agenzie che li elaborano o li diffondono.
    - Infine, siamo tutti consapevoli ormai che anche nei processi di espansione e di celebrazione della fede stessa come sono per esempio i processi di evangelizzazione e le celebrazioni liturgiche e sacramentali), le comunità ecclesiali utilizzano necessariamente «strumenti» di natura educativa (modelli di comunicazione, riti e gesti che restano «umani»...).

    2.3.2. Per sottolineare la distinzione

    Educazione e educazione alla fede sono però processi molto differenti.
    Hanno una loro distinta consistenza e autonomia.
    L’educazione utilizza come «strumenti privilegiati» il confronto sulla cultura (per risolvere i problemi del presente verso un futuro nuovo mediante il ricco repertorio culturale del passato) e l'esercizio della razionalità critica.
    Si svolge inoltre nelle strutture gestite dalla comunità umana.
    L‘evangelizzazione viene, sempre di più compresa come quel processo complesso e differenziato attraverso cui un credente (comunità o singolo) diffonde attorno a sé «esperienze vitali», offerte e comprese come proposta di senso alla propria vita, esperienze che diventano messaggi per tutti perché sono interpretate e espresse nella Parola di Dio e nei segni linguistici della tradizione ecclesiale, sotto la guida autorevole del Magistero.
    Quando la comunità ecclesiale traduce le sue esperienze di fede in messaggi, utilizza un linguaggio tutto particolare, molto diverso da quello che abitualmente usiamo quando ci scambiamo informazioni. Si tratta infatti di un linguaggio fortemente simboliche, (perché solo attraverso simboli possiamo esprimere l’ineffabile), arcaico (perché legato a forme linguistiche del passato) e autoimplicativo (perché coinvolge vitalmente l’esperienza di chi parla e di chi ascolta).
    Per questa ragione oggi molti preferiscono utilizzare globalmente un linguaggio evocativonarrativo, più adatto di quello logicoargomentativo ad esprimere, il mistero ineffabile di Dio che si fa parola nella esperienza di Gesù e di coloro che lo riconoscono il Signore della loro vita.

    2.3.3. Per sottolineare la convergenza e l'interdipendenza

    Educazione e educazione alla fede sono nello stesso tempo dimensioni di un unico processo, collocate a differenti livelli e convergenti nella stessa finalità.
    Li unifica l’obiettivo: la grande intenzione salvifica di far nascere vita dove c'è morte, aiutando ogni giovane a sviluppare pienamente fa propria umanizzazione, fino a riconoscere in Dio fa risorsa risolutiva della sua ricerca di vita.
    Li unifica anche il richiamo reciproco e fa profonda interdipendenza.
    L’educazione svolge i suoi compiti nella autonomia e consistenza che le competono. Se aiuta fa persona a raggiungere fa ragione ultima c decisiva del processo di umanizzazione, sollecitando a riscoprire fa verità di se stessi nella esperienza di «invocazione», apre e almeno tacitamente appella alla evangelizzazione.
    L‘evangelizzazione offre una proposta di senso, nell’incontro con persone dentro fa comunità dei credenti, persone che ricollegano in una catena ininterrotta alla persona di Gesù. Si tratta però di una proposta che sollecita ad assumere nella libertà e nella responsabilità fa gestione della propria vita, rilanciando con una speranza operosa nella quotidiana e condivisa fatica di vivere da uomini.

    2.3.4. «Educazione cristiana» è educazione

    L’educazione «cristiana», in questa prospettiva, è l’educazione, nel senso in cui viene definita dalle scienze dell'educazione, quando è costruita esplicitamente all’interno di una precomprensione cristiana dell'uomo, colto nell'orizzonte della salvezza di Gesù Cristo.
    La fede della comunità ecclesiale non determina dei contenuti particolari, tali da sottrarre l'educazione cristiana alla fatica della ricerca, della sperimentazione, del confronto, di quelle dimensioni cioè che sono tipiche di ogni autocomprensione dell'educazione. Offre però indicazioni e ispirazioni che danno un senso (orizzonti, impulsi, motivi) e fa collocano di conseguenza come una proposta precisa e specifica tra altri modelli educativi.
    Concretamente questo si svolge a tre livelli:
    - per definire chi si educa: una persona salvata, costituita esistenzialmente tra peccato (= impossibilità di autoliberazione) e amore determinante di Dio (= che per dono rende capaci di autoliberarsi);
    - per definire come si educa: educare è prima di tutto «liberare la creatività», sciogliendo fa liberta personale dai legami dei vari condizionamenti, per renderla capace di esprimersi automaticamente c autonomamente in modo creativo; educare è anche però «mettere a confronto con valori», sviluppando la creatività personale verso i valori in cui ogni persona si riconosce e orientando la creatività verso l’accettazione di valori che la superano, che risultano, in qualche modo, normativi dell’essere uomo;
    - per definire verso dove si educa: l'educazione e finalizzata ad abilitare ogni uomo ad una presa di coscienza di sé, come persona moralmente responsabile: e cioè capace di «rispondere agli altri » di quello che si è, nel riconoscimento dell'altro-da-sè come misura della propria intenzionilità.

    2.4. L’animazione come modo di realizzare l'educazione cristiana e l'educazione alla fede

    Crediamo nell'educazione come o strumento privilegiato o di ogni processo promozionale. È l’ambito qualificante della nostra presenza nella trama dei problemi e nell'intreccio delle prospettive.
    «Educazione» è però ancora una espressione molto generica, perché il suo esercizio è fortemente attraversato dal pluralismo.
    Per noi educazione è «animazione»: uno stile preciso c concreto di fare educazione.
    L’animazione è perciò il nome nuovo dell'educazione e per lo stretto rapporto che abbiamo appena sottolineato, il modo più corretto di rispettare fa dimensione educativa dell'educazione alla fede.


    3. LA META ULTIMA DELL’ITINERARIO

    3.1. Pertinenza e limiti di una riflessione sulla meta

    Ci troviamo tra due esigenze. Rispettarle contemporaneamente fa nascere un grave problema.
    Da una parte, la definizione dell'itinerario comporta necessariamente la descrizione della meta a cui esso tende.
    Dall'altra, risulta incerto oggi ogni discorso sulle mete, perché abbiamo tutti il timore di scivolare in modelli deduttivi e oggettivistici: in quei modelli che definivano la meta in termini statici e aprivano la ricerca solo sui mezzi c strumenti da manipolare per arrivarvi. Esiste inoltre una sensibilità pedagogica diffusa, che contesta la pertinenza della stessa ricerca sulla meta, nel timore che questo significhi sottomettere la creatività personale a schemi rigidi, estrinseci alla persona stessa.
    Dal campo educativo queste due difficoltà trapassano facilmente anche ai processi pastorali.
    Riaffermiamo la necessità di stabilire una «meta», come orizzonte ultimo dell'azione pastorale, perché riconosciamo che la nostra ricerca deve essere realizzata all'interno di un progetto (d'uomo e di cristiano: di uomo nuovo) che supera c giudica la nostra libertà e responsabilità e si propone come modello di autorealizzazione, offerto alla libertà personale.
    Oltre tutto, una ricerca sulla educazione alla fede si colloca sempre dentro la tradizione ecclesiale; siamo quindi spinti a confrontarci con mete e progetti che altri hanno vissuto prima di noi e, in qualche modo, anche per noi.
    Per lo stretto rapporto esistente tra fede e cultura anche nella definizione di questo modello definitivo di sé, non intendiamo però costruire la meta dell'itinerario in modo conclusivo e in astratto, per misurare poi la distanza esistente tra questo obiettivo e le concrete situazioni. Al contrario, per attivare un processo ermeneutico, la meta è definita facendo interagire quello che emerge dalla tradizione pastorale con le istanze della cultura e la prassi degli operatori e dei giovani stessi.
    In questo confronto la cultura giudica l’attuale espressione della fede e questa stessa espressione misura i dati culturali, verso una riformulazione del dato della fede (l’uomo nuovo in Gesù Cristo), capace di esprimere la meta del processo pastorale nelle parole dell'uomo di oggi, senza vanificare la forza interpellante della fede.
    L’impresa non è facile.
    Ma va tentata con coraggio, disponibilità e urgenza, caricando la comunità ecclesiale di questa irrinunciabile responsabilità nei confronti dei figli che ha generato e che vuole contemporaneamente «consegnati a Gesù Cristo nella verità» e profondamente uomini di questo nostro tempo.
    In questa prospettiva conduciamo la nostra ricerca.

    3.2. L’integrazione fede-vita come obiettivo

    La comunità ecclesiale italiana ha descritto nella formula «integrazione fede/vita» la meta conclusiva di ogni processo pastorale (cf documento/1).
    Integrazione fede/vita è riorganizzazione della personalità attorno a Gesù Cristo e al suo messaggio, testimoniato nella comunità ecclesiale attuale, riorganizzazione realizzata in modo tale da considerare Gesù Cristo come il «determinante» sul piano valutativo e operativo.
    Questo obiettivo comporta precise condizioni, come ora accenniamo.
    - L’ambito globale degli interventi è dato dalla ricostruzione di una identità personale, reagendo così, anche in nome delle esigenze della esperienza cristiana, alla diffusa disintegrazione di personalità.
    - Questa organizzazione stabile di personalità va compresa come capacità soggettiva di elaborare le risorse e gli stimoli in cui siamo immersi, nel confronto con significati e valori che funzionino come «determinanti» perché diventano normativi delle personali valorizzazioni.
    - Questi valori non possono essere soltanto soggettivi, quasi che ogni persona se li potesse definire a piacimento. Essi devono rispecchiare in qualche modo i valori oggettivi dell'esistenza cristiana (il messaggio di Gesù Cristo, testimoniato nella comunità ecclesiale attuale), perché solo così Gesù Cristo è il «determinante» del personale sistema di significati.

    3.3. Nella logica del «seme»

    L'esperienza di questi anni non ci permette di concludere così la nostra riflessione.
    Le ricerche più recenti mostrano come il distacco tra fede e vita tenda generalmente ad allargarsi, nonostante la notevole crescita di sensibilità pastorale al riguardo.

    3.3.1. Un'alternativa senza sbocco?

    A guardar le cose in modo attento ci si rende conto che non tutta la responsabilità sta dalla parte dei giovani. Se confrontiamo infatti le esigenze dell'integrazione fede/ vita con i problemi che il contesto socioculturale lancia oggi ai credenti, sembra di essere di fronte a pretese impraticabili.
    Le comunità ecclesiali inoltre parlano di queste esigenze spesso quasi ignorando questi problemi: utilizzano riferimenti culturali o si insabbiano in formule vaghe e generiche.
    D'altra parte, non possiamo rinunciare ad una indicazione precisa di mete c non possiamo neppure addomesticarle solo per renderle più accessibili.
    Questi dati ci spingono a continuare la ricerca, superando il giA acquisito verso qualcosa di ulteriore.
    Se l'integrazione fede/vita fosse pensata come un sistema perfettamente organico e unitario, contrassegnato dalla accoglienza esplicita, integrale e definitiva della persona di Gesù Cristo e del suo messaggio, come sono sedimentati nei documenti della fede, si richiederebbe troppo a giovani che vivono nella frammentazione e nella soggettivizzazione. L’integrazione fede/vita (e di conseguenza la vita cristiana) sarebbe una meta praticabile solo nella maturità di quell'adulto che guarda lo scorrere impetuoso della vita dal tranquillo possesso del suo vissuto ormai conquistato.
    Siamo in una alternativa senza sbocco, costretti a scegliere tra un riferimento veritativo a Gesù Cristo che sembra di difficile praticabilità e la più facile (ma inutile) accondiscenza al presentismo e alla immediatezza dei giovani?
    Si può elaborare una via di uscita solo se possiamo individuare un progetto cui aderire personalmente che abbia tutta la carica di decisionalità oggettiva espressa nella formula «integrazione fede/ vita» e che nello stesso tempo possegga la dinamicità, la progressività, la forza soggettiva che oggi sono avvertite come esigenze irrinunciabili di ogni decisione pienamente umana.
    Crediamo, nella fede in Gesù Cristo, che questo contenuto globale possa essere rappresentato dalla «Vita»: la capacità di pronunciare un si, complessivo e articolato, alla propria vita, accogliendola come un dono impegnativo e interpellante.

    3.3.2. La riformulazione della meta ultima

    Di qui la riformulazione della meta: integrazione fede/vita e pronunciare un si pieno e impegnativo alla propria vita, fino ad accogliere il Signore della vita, celebrandolo nella comunità di coloro che lo confessano come il loro Signore.
    La decisione di fede, proprio nella sua irrinunciabile definitiva, può essere vissuta dentro la frammentarietà e la provvisorietà di ogni fatto umano, quando esso manifesta una tensione crescente di umanizzazione, quando è espressione incondizionata della vita nella sua serietà.
    Il si pronunciato a questa tensione, sofferta e progressiva, alla propria umanizzazione è già un si decisivo e definitivo (anche se iniziale e frammentato) al progetto normativo di ogni uomo, il Signore Gesù. È già quindi integrazione fede/vita.
    All’interno di questa decisione esistenziale e come ulteriore livello operativo trova posto l'incontro esplicito con Gesù Cristo, vissuto come rivelazione della verità definitiva della propria esistenza, il progressivo allargamento e consolidamento del proprio assenso di vita nella direzione della sua sequela e l'esperienza della comunità ecclesiale, come «grembo materno» in cui crescere liberamente c responsabilmente come figli di Dio.
    Questa esigenza ci porta a reagire alla soggettivizzazione, senza però fare di questo stimolo un criterio di discriminazione, ma proponendolo come un ulteriore punto di tensione: una presa di coscienza verso cui procedere con il passo incerto di ogni maturazione umana. Tutto questo va vissuto in dimensione dinamica, con uno slancio che vada dall’implicito all'esplicito e dalla decisione per Gesù Cristo ad una qualità di vita ricostruita attorno al progetto d'uomo che egli ci propone.
    In questo movimento, fede e vita dialogano in un modello responsoriale e interpellante nello stesso tempo: la fede risponde alle domande della vita mentre le provoca, perché sollecita ad un modo di essere, uomo che non nasce, dalla sapienza umana ma dalla profezia dell'evangelo.
    Riorganizzate le cose in questo modo, si comprende come la fede esercita una funzione di risignificazione e di critica profetica rispetto alla vita quotidiana.
    La fede si propone infatti come il senso ultimo e definitivo che si innesta in ogni autentica, anche se provvisoria, significazione personale. Dona così all'uomo una visione totale delta sua vita, capace di unificare una vita trascinata tra conflitti c contraddizioni.
    Nello stesso tempo la fede si propone come il criterio profetico normativo per ordinare, gerarchizzare, autenticare i personali progetti c realizzazioni.
    Nel riferimento a Gesù Cristo la vita quotidiana trova un criteri. di autovalidazione. Nella fatica quotidiana di produrre ragioni di vita, la fede consolida una speranza che supera ogni ricerca.

    3.4. Una nuova esperienza di senso

    Affermare che l’ambito dell’integrazione fede/vita è la vita quotidiana connota, come abbiamo fatto, il riconoscimento del suo valore teologico, per la solidarietà salvifica con Gesù Cristo, per cui la vita è luogo della rivelazione e della decisione di fede.
    Connota anche la definizione di una relazione motto stretta con la produzione e l’esperienza di senso.
    La vita quotidiana è infatti l’insieme delle relazioni che l’individuo apre attorno a sé, entrando in contatto con gli uomini e le cose che lo circondano. Queste relazioni hanno sempre un loro senso, perché ogni azione e «azione per». Appellano però ad un senso organizzatore che ridisegni la costellazione di sensi parziali in un senso unificante e organico: il bisogno di senso supera le manifestazioni parziali verso un senso del soggetto come tale, che confronta con la vita come unita e totalità indivisibile.
    Questo senso organizzatore, saturato o frustrato, rilancia sempre ad una domanda di senso più vasta, capace di consegnare alla speranza della definitività la produzione quotidiana di senso.
    Nell’integrazione fede/vita il senso, prodotto autonomamente dall'uomo, come principio di riorganizzazione delta sua esistenza, ritrova nell’incontro con Gesù Cristo la sua ragione di verità e di consistenza.

    3.5. Dall'identità al senso

    Se consideriamo con attenzione il cammino percorso per tentare una ridefinizione dell'integrazione fede/vita secondo modelli praticabili (nella logica del «seme» e in una prospettiva ermeneutica), ci accorgiamo di due importanti spostamenti di accento.
    Sono dei cambi così rilevanti che vanno esplicitati per sollecitare il lettore ad una revisione critica delta nostra proposta. Non vorremmo averlo condotto su una strada in ripida discesa, at volante di una macchina dai freni motto deboli.

    3.5.1. L’integrazione fede/vita tra oggettività e soggettività

    Il primo cambio è quello più evidente. 
    Siamo passati dalla tradizionale prospettiva oggettiva alla rivalutazione del soggettivo, scommettendo sulla sua capacità di veicolare l’oggettivo.
    Infatti, invece di misurare la decisione sulla accettazione o il rifiuto di Gesù Cristo e della Chiesa, l'abbiamo misurata sulla accettazione o il rifiuto della vita, consapevoli che il si alla vita e un germinate (oggettivo) sì a Gesù Cristo e alla Chiesa. 
    In questo cambio abbiamo trascritto, sul terreno operativo, la grande «passione per la vita» che è l’Incarnazione.
    Ritorna, ancora, la logica del «seme».

    3.5.2. L’integrazione fede/vita tra «identità» e «senso»

    Il secondo cambio va colto più tra le righe.
    Siamo passati da una comprensione dell'integrazione fede/vita in termini di «identità» ad una riformulazione in termini di produzione di «senso».
    Identità e senso sono due parole chiave. Hanno molti elementi in comune, anche se provengono da modelli culturali differenti. Ma c'è qualcosa di profondamente diverso. Passare da una formula all'altra significa per noi amplificare questa diversità e spingere ad una scelta di campo.
    L’identità produce differenziazione. La persona che si auto-comprende e si ricostruisce attorno a determinati significati, spontaneamente si differenzia dall'altro-da-sé.
    L’esperienza di senso richiede invece la convivialità, la compagnia. Le cose sono comuni. I gesti sono condivisi. Me li approprio solo perché li carico di un mio senso.
    L'oggetto risignificato non è così sottratto alla condivisione, anche quando viene riconquistato irripetibilmente alla soggettività.
    Certamente è importante aiutare i giovani a ricostruire una propria identità. È importante anche in vista dell’integrazione fede/vita. Questo è però un compito tipicamente educativo. La sua costituzione ha tempi e processi molto personali e soprattutto viene risolta nel gioco soggettivo delle scommesse valoriali.
    Quando si riflette sulla integrazione fede/vita ci si interroga invece sulla funzione specifica della fede.

    3.5.3. La funzione della fede nella vita dell'uomo

    Se pensiamo all’integrazione fede/vita in termini di identità, affidiamo alla fede un compito così determinante nella organizzazione di personalità da sottrarre l'esito del processo alle trame della ricerca soggettiva per collocarlo nell'ambito del «già dato». La tede mette sul tappeto contenuti propri, alternativi a quelli elaborati autonomamente dal soggetto o recuperati nel ricco repertorio della sapienza umana.
    Così, colui che vive nell'integrazione fede/vita è strutturalmente «diverso» dagli altri uomini.
    Se invece affidiamo alla fede una funzione criteriologica rispetto all'umano (di risignificazione globale e di giudizio profetico, come ricordavamo poco sopra), non c'è differenza ma «compagnia». La fede è una esperienza che inonda di luce nuova, improvvisa e abbagliante, le esperienze della vita quotidiana. Per questo le riempie di senso nuovo, senza sottrarle alla fatica di esperimentare, produrre e ricercare il senso che esse si portano dentro, da spartire con tutti, in una compagnia legata all'avventura dell'uomo. Il senso esperimentato nella fede colloca veramente in un altro mondo, perché porta a risignificare le cose che si vedono e si manipolano dal mistero che si portano dentro. Non riesce però a trascinare lontano dalle trame dell'esistenza di tutti perché il «senso dal mistero» emerge solo tra le pieghe del visibile: la vita quotidiana, appunto, che è «vita di tutti»
    Nella prospettiva del senso, la fede lascia la vita al tessuto condiviso dalla esperienza-ricerca-produzione di senso; la carica di una esperienza «ulteriore» che, mentre satura le richieste più profonde, coinvolge più intensamente in una ricerca di sensi/senso, cosi autentica da poter essere riespressa in un senso fondante donato.


    DOCUMENTO/1


    COSA SI INTENDE PER «INTEGRAZIONE FEDE/VITA»

    Si vive nella fede solo quando questa fede, nelle sue diverse dimensioni, assicura un orientamento permanente nel processo di consolidamento della struttura di personalità, che funziona come quadro di significati costante e coerente per dirigere e selezionare l'attenzione e la percezione del soggetto e per interpretare le situazioni di vita.
    Questo intenso, profondo rapporto tra salvezza e esperienze quotidiane, tra fede e vita, lo chiamiamo, con una formula riuscita, «integrazione fede- vita».

    Una definizione sintetica

    Integrare fede e vita significa lavorare educativamente per formare un'unica struttura di personalità i cui criteri valutativi e operativi (e cioè il modo di comprendere la realtà e di intervenire su di essa; in una parola: il modo di esistere come uomini) si rifanno a Gesù Cristo e al suo messaggio, vissuto e testimoniato nella Chiesa, non come ad un dato imposto dall’esterno, ma come ad esigenza e a risposta connesse con l'esperienza della vita stessa, dei valori umani che la caratterizzano.
    L’integrazione fede-vita è caratterizzata dal fatto che la persona di Gesù Cristo e il suo messaggio funzionano come principio unificatore totalizzante della struttura di personalità del giovane cristiano.

    Quando la fede è principio unificatore?

    Si può parlare di principio unificatore solo se la fede mette assieme le varie esperienze in un unico sistema organico di valori. Essa diventa il criterio valutativo che permette di organizzare i diversi valori attorno ad alcuni portanti. Si può decidere una gerarchia di valori solo dopo aver elaborato una precomprensione normativa, che ne dia i criteri. La fede e principio unificatore totalizzante perché ha il compito di fornire i criteri attorno cui organizzare tutti gli altri valori.
    In secondo luogo, la fede ò principio unificatore se ò uno schema costante e coerente non solo per interpretare le situazioni, ma, ancor prima, per dirigere e selezionare l'attenzione e le percezioni del soggetto nelle situazioni di vita.
    E, infine, compito della fede è quello di richiamare alla memoria tutto un grappolo di nozioni e di contenuti dottrinali, connesso e collegato ad una globale interpretazione della vita. Le due precedenti funzioni non sono un processo soggettivo, il cui criterio di verità è la sola decisione personale. Sono invece espressione soggettiva di contenuti oggettivi e normativi.
    I significati e i valori che la riflessione umana offre all’esistenza e quelli che essa deriva dalla fede non emergono come alternativi. Mai costringono ad una scelta preferenziale che, soprattutto a livello giovanile, si risolve spesso con la marginalizzazione o con il rifiuto della fede. Si integrano, invece, in modo da affidare alla consapevolezza della salvezza e alla fede in Gesù Cristo la radice decisiva della autenticità esistenziale di ogni umana esperienza, il suo significato più pieno e la fonte della sua responsabilizzazione totale.
    A questo livello di integrazione tra fede e vita, la fede appella alla vita per essere vissuta, la vita guarda alla fede per essere creduta.


    4. UN ITINERARIO FORMATIVO

    E siamo finalmente arrivati al centro della nostra ricerca: la proposta di un concreto itinerario formativo.
    Gli elementi disseminati lungo le pagine precedenti sono come «materiali da costruzione». Li abbiamo progressivamente catalogati e accatastati. Ora, con le maniche rimboccate, proviamo a mettere mattone su mattone.
    Sappiamo dove vogliamo arrivare: il progetto di casa l'abbiamo disegnato accuratamente definendo la meta.
    Conosciamo le logiche di fondo perché abbiamo ritagliato un modello di rapporto tra educazione e educazione alla fede.
    Siamo consapevoli di non poter agire con fretta, perché la nostra casa cresce al ritmo di maturazione di un «seme»: si porta già dentro l'albero grande, anche se lo diventa in tempi molto lunghi e richiede intense cure.
    Sappiamo molte altre cose importanti. Ed è tempo di procedere.
    Qui lavoriamo sulla carta per aiutare coloro che operano nella vita: suggeriamo solo dei movimenti e degli interventi.
    La fatica di «edificare» è l'avventura gioiosa di chi è sul campo.
    Ricordiamo brevemente alcune prospettive generali in cui collocarsi, per leggere in un'ottica corretta il nostro itinerario.
    Prima di tutto, i destinatari. Mettiamo al centro della proposta i giovani che sono presenti, a titoli diversi, negli spazi educativi gestiti dalle, comunità pastorali. Essi sono fisicamente «vicini», anche se spesso risultano «lontani» da una intensa esperienza cristiana. Un itinerario per questi giovani non è di ricerca, ma di maturazione. Non è cioè destinato ad intavolare la prima battuta del dialogo, ma vuole procedere nella direzione dell'approfondimento e della presa di consapevolezza. Questi giovani infatti hanno già compiuto il primo importante passo. Certamente non può essere considerato sufficiente; ma è innegabilmente carico di grosse prospettive. La seconda sottolineatura procede di questa constatazione.
    La comunità pastorale prende atto gioiosamente di questo primo passo: non lo giudica, non lo strumentalizza, ma lo accoglie incondizionatamente (cf documento/2). L’accoglienza è l’atteggiamento fondamentale della comunità ecclesiale nei confronti di ogni uomo, perché solo così essa è veramente segno di quell’amore accogliente di Dio, che è la persona di Gesù.
    Nella logica del seme, l’accoglienza segna tutto l’itinerario.
    Non solo la comunità pastorale riconosce che la situazione di partenza è sempre carica di speranza, perché è capace di scatenare il processo di maturazione. Essa riconosce, anche in ogni successivo livello di maturazione, qualcosa di umanamente e cristianamente grande, tanto che si esce da esso per procedere oltre, solo dopo aver gioito della sua conquista.
    Nella accettazione incondizionata è presente così un doppio ritmo: la condivisione dell’esistente e la sollecitazione a processi ulteriori.
    È importante infine considerare tutto l'itinerario in una prospettiva circolare e non lineare: il passaggio da un movimento all'altro è «logico» e non «cronologico»; un movimento si distende sull’altro e ciascuno può servire in concreto come punto di partenza dell’insieme.

    4.1. Prima area: verso l'invocazione come fondamentale domanda di vita

    Questa prima area è caratterizzata dalla esigenza di restituire ad ogni persona la propria soggettività, attraverso la percezione progressiva delle domande che la investono e la loro canalizzazione nella esperienza di «invocazione», come verità esistenziale dell'uomo maturo, responsabile della sua esistenza.
    La riappropriazione del vissuto e la stabilizzazione dell'identità avviene attorno alla «passione per la vita» e alla coscienza della sua dimensione interpellante.
    Protagonista di questa prima area e il «destinatario» del processo.
    Lo strumento privilegiato è la «cultura» e l’educazione.

    4.1.1. I movimenti progressivi

    1. Da un si alla vita soffocato e distorto, ad un si riconquistato e motivato.
    Il «si alla vita» è soffocato quando c'è disimpegno, nonsenso, esperienze di morte, riconsegna ad altri della gestione della propria vita, rassegnazione, autosufficienza.
    Il «si alla vita» riconquistato è
    - riappropriazione riflessa del personale vissuto come luogo iniziale di espressione/produzione/ricerca di senso;
    - sfondamento del vissuto nel desiderio come inespressa apertura verso l'ulteriore da sé;
    - accettazione del mistero della propria esistenza: un dato, la vita, che è un dono (non frutto del caso, né imposizione malvagia, ma espressione di un progetto d'amore), un dono che interpella;
    - riconquista della propria soggettività come evento inalienabile.

    2. Da un si alla vita alla riscoperta della responsabilità che nasce dalla «solidarietà».
    Questo movimento comporta l'acquisizione di precise competenze.
    Per esempio:
    - esperienza di una iniziale solidarietà che spinge a considerate l’altro non come un nemico da combattere o da cui difendersi o da «conquistare», ma come «ospite gradito» della propria esistenza;
    - accoglienza della risonanza personale suscitata dall'imperativo etico e dalla coscienza morale;
    - percezione della necessità di dover rispondere agli altri anche di quello che considero giustamente «mio».

    3. Dalla riconquista della soggettività alla esperienza della finitudine.
    Consiste nella consapevolezza riflessa e accettata del proprio procedere a entusiasmi e incertezze, in un progetto sognato e mai pienamente realizzato. Questo limite è «costitutivo»: esprime la verità dell'uomo, giocato così tra «morte» e «vita», proprio perché appassionato di vita. E cioè: esperienza e appropriazione riflessa dei condizionamenti in cui siamo immersi: tra «natura delle cose», malvagità dell'uomo e malvagità delle strutture; esperienza del «limite» che attraversa inesorabilmente la propria esistenza, net momenti positivi e in quelli negativi; esperienza del significato, del limite per la verità di se stessi.

    4. Dalla esperienza della finitudine alla invocazione, vissuta come esperienza e domanda che progressivamente ritesse in unità tutte le altre esperienze.
    Anche questo movimento comporta l’acquisizione di precise competenze:
    - esperienza della finitudine come riappropriazione di sé, della grandezza dell'uomo e della sua povertà;
    - la scelta dell'invocazione come «reazione» personale all'esperienza della finitudine, contro la disperazione, la rassegnazione e l'autosufficienza;
    - l’invocazione come sofferta e gioiosa esperienza di esperienze, in una globale domanda di senso.

    4.1.2. Gli interventi

    Tutto il primo «nodo» è destinato alla produzione di una progressiva «domanda di senso», globale e unificante, capace di organizzare i sensi parziali vissuti nelle concrete situazioni della vita quotidiana.
    Noi crediamo che questa «domanda di senso» possa sorgere in colui che avverte riflessamente di essere provocato dalla situazione oggettiva in cui vive.
    Per questo stimiamo importante sollecitare i giovani alla attenzione rispetto alle dimensioni problematiche dell’esistenza, alla sua ricchezza e imprevedibile positività e negatività, ai condizionamenti strutturali in cui è immersa.
    Per fare questo privilegiamo però l’esperienza concreta, e «povera» della quotidianità: scegliamo cioè l’esperienza come luogo privilegiato di questa ricerca c produzione di senso e preferiamo operare sulle esperienze della vita quotidiana (su cosa significa «fare un'esperienza» cf documento15).
    Suggeriamo di intervenire soprattutto privilegiando i seguenti processi educativi:
    - esperienze che assicurano la cooperazione tra educatori e educandi (accoglienza incondizionata e altri interventi educativi espressi all'interno di una intensa «passione per la vita»);
    - esperienze che coltivino la capacità recettiva dei giovani per abilitarli all'ascolto e alla riflessione:
    - esperienze di connessione: esperienze che funzionino come iniziale elabnorazione della frammentazione.
    In concreto:
    ^ esperienze nell'area dell'identità personale (solitudine, felicità, riappropriazione del corpo, utilizzazione delle cose ... );
    ^ esperienze nell'area della solidarietà (ospitalità, impegno per la pace, volontariato ... );
    ^ esperienze nell’area della trascendenza (perdono, lavoro gratuito, amore, fiducia, festa, senso della persona... ) .
    - processi di animazione e riconquista della funzione elaboratrice della parola, operando in modo particolare nella:
    ^ area degli interessi, da coltivare e progressivamente allargare;
    ^ area della cultura (scuola, sport, mezzi di comunicazione di massa) e dell’apprendimento del «linguaggio» come elemento strutturante
    ^ area delle esperienze di perturbazione.


    DOCUMENTO/2

    L’ACCOGLIENZA DELLE DOMANDE GIOVANILI

    Il primo intervento educativo e pastorale è l’accoglienza incondizionata delle domande giovanili.

    Le due ragioni dell'accoglienza

    Le ragioni di questa scelta sono due, la prima metodologica e la seconda teologica. Net quadro di riferimento del nostro progetto pastorale esse si richiamano reciprocamente e si integrano.
    La prima ragione è collegata at principio metodologico della significatività è possibile realizzare il dialogo con tutti i giovani solo se si parla veramente la lingua di tutti. L’unico codice linguistico veramente comune a tutti (e ai più poveri, soprattutto) sono le esperienze quotidiane. Condotto su altre prospettive, il dialogo diventa non significativo e quindi discriminante, perché richiede come pregiudiziale ciò che invece potrà essere raggiunto solo a fine percorso.
    La seconda ragione è di ordine teologico e si fonda sulla ricomprensione della salvezza. La «vita», nel suo intreccio, di fatti, di gesti, di esperienze, è il luogo teologico in cui l’uomo incontra l’evento di Dio che lo chiama e in cui egli gioca la sua decisione libera e responsabile per questo dono salvifico. Di qui l’attenzione per la vita reale dei giovani e la preoccupazione pastorale di renderli sempre più consapevoli dell'appello e delta decisionalità salvifica in essa contenuti.
    Anche se noi fatichiamo a trovare motivi per fidarci dell'uomo, dell'altro e di noi stessi, Dio in Gesù Cristo conserva una radicale fiducia nell'uomo: accogliere fiduciosamente ogni uomo è atto di fede in Dio.
    L’atteggiamento dell'accoglienza ricorda la priorità del giudizio di fede sul giudizio morale, la priorità del dono di Dio che fa nuove le persone, sulla fragile e sempre incompleta risposta dell'uomo.

    L’accoglienza come «riconoscimento»

    Questo dato teologico ci fa notare che l’accoglienza non è un ritrovato strategico. Essa è prima di tutto riconoscimento delta presenza operosa di Dio nella storia personale e collettiva, e riconoscimento che la fiducia nell'uomo è la concretizzazione delta fede in Dio che con un suo atto creativo ripone incondizionata fiducia nell'uomo.
    L’educatore non dà dignità (assumendo in considerazione) alle esperienze dei giovani per assicurarsi la loro simpatia e accondiscendenza. Riconosce una dignità che preesiste, che spesso è minacciata proprio dalla logica moralistica o discriminatrice; essa è trascendente, è fondata sull’amore di Dio in Gesù Cristo che tutto involve. L’educatore la riconosce, nella tede e nella speranza; e la testimonia nello stile educativo e pastorale che privilegia, Tutte le esperienze umane sono cariche di dignità, perché in tutte è all’opera Dio in Gesù Cristo, per autenticare, consolidare, convertire: per salvare. Tutte le esperienze hanno però bisogno di questo processo purificatore. Nel «già» di questo processo sta la loro radicale dignità il «non ancora» della salvezza ricorda che tutte hanno bisogno di essere immerse in un opera di umanizzazione piena e liberatrice.
    In altre parole, accogliere la reale domanda giovanile, senza preselezionarla, con la costante preoccupazione di aiutare ogni giovane a formulare la sua domanda in modo autentico e promozionale, significa affermare con i fatti la dignità di tutti, in Gesù Cristo.

    4.2. Seconda area: verso l'incontro personale con Gesù il Signore della vita

    L’invocazione ha molte possibili risposte.
    I credenti hanno la pretesa di trovare in Gesù Cristo la risposta più piena e determinante. Per questo sentono il bisogno di offrirla, per aiutare a vivere.
    In questa seconda area, il protagonista è come sempre il «destinatario»; diversa è però la logica di fondo. Egli si è incontrato con una «comunità» credente, che interpella, almeno tacitamente. Questo soggetto credente fa la sua offerta, consapevole che l'offerta stessa è capace di autovalidarsi e di far crescere ulteriormente la domanda. Il «destinatario» viene progressivamente coinvolto in questa esperienza credente, perché solo al suo interno la proposta di Gesù Cristo può risultare capace di accogliere e saturare l'invocazione verso una ragione «ulteriore» di senso e di vita.

    4.2.1. 1 movimenti progressivi

    1. Dalla invocazione alla esperienza di trascendenza: il si alla vita come fiducia in Dio creatore.
    Questo movimento è costruito attorno a due competenze centrali:
    - l'invocazione viene vissuta come «domanda religiosa»: religiosa è la domanda che si protende, come invocazione almeno implicita, oltre il confine dell'immanente, verso una esperienza di senso offerto come dono insperato (cf documento/3: «Quando un'esperienza è religiosa?»);
    - l'esperienza di trascendenza connota la riconsegna della propria invocazione ad un Dio personale, riscoperto come esistente in un profondo atteggiamento di creaturalità.
    Come si nota, i due movimenti Sono progressivi solo in prospettiva di passaggio dall’implicito all’esplicito. La stessa invocazione è contemporaneamente «domanda religiosa» e «esperienza di trascendenza». Nella progressiva presa di consapevolezza soggettiva viene riconquistata come domanda religiosa c come esperienza di trascendenza, accogliendone tutto lo spessore.

    2. Dall’invocazione all’incontro con Gesù, narrato da una comunità di gente che lo riconosce il Signore della vita.
    L’esperienza di trascendenza è ancora «invocazione»: attesa, ricerca, speranza di ragioni di vita. Questa domanda si incontra con una esperienza che testimonia un evento: ci sono degli uomini (una comunità ecclesiale vicina e affascinante, un gruppo ecclesiale, una comunità educativa, alcuni credenti ... ) che con la loro vita narrano che Gesù è il Signore di questa stessa vita.
    In questa testimonianza il giovane invocante si apre all'incontro personale con il «segno» concreto c sconvolgente del progetto di Dio sull'uomo: Gesù di Nazaret, il Cristo.
    Affidandosi a lui, in un incontro che progressivamente coinvolge tutta l'esistenza, si fa esperienza di una saturazione inedita e insperata della personale invocazione. La comunità che offre questa esperienza, opera come da «grembo materno» dell'incontro: lo sollecita, lo sostiene, lo aiuta a maturare.
    Nell’incontro con Gesù Cristo viene vissuta una «proposta di riconciliazione» con sé, con gli altri e con Dio, che travolge la domanda stessa e si propone come esperienza piena e rassicurante di Vita.

    3. Dall’incontro personale con Gesù Cristo alla scoperta delta chiesa, il «popolo», che cammina nella sequela di Gesù Cristo, accoglie il suo messaggio e celebra la speranza nella sua attesa.
    L’incontro e la decisione per Gesù Cristo non sono realizzati nell’isolamento, ma nella solidarietà. Non c'è solo la solidarietà con la «piccola» comunità che ha sostenuto l'incontro, ma ci si scopre in tanti a riconoscere Gesù come il Signore: un popolo di soggetti con ruoli diversificati, un popolo «ordinato», che cammina nell'unità.
    L’incontro con Gesù porta così alla scoperta della Chiesa, sperimentata come il luogo in cui vivere come «popolo» l’esperienza dell’incontro. La scoperta della Chiesa sollecita ad una «vita ecclesiale»: celebrazioni liturgiche e sacramentali, preghiera personale e comunitaria, senso di appartenenza, riferimento alle dimensioni istituzionali, accettazione del ministero magisteriale, assunzione di impegni missionari...

    4. Dall'incontro personale e comunitario con Gesù Cristo alla accoglienza del suo messaggio su Dio: il Dio di Gesù e un è Padre buono e accogliente.
    Gesù è fa «parola», unica e definitiva, su Dio: il vero volto di Dio. L’incontro con lui porta a ricomprendere «chi» è Dio, aiuta a passare da una conoscenza «filosofica» di Dio (di cui abbiamo parlato nel primo movimento) alla accoglienza del Dio di Gesù Cristo.
    La prassi e il messaggio di Gesù dicono infatti chi è Dio per noi.

    5. Dal sì esplicito a Gesù e al suo messaggio alla condivisione appassionata del progetto di Gesù Cristo per la vita di ogni uomo: il Regno di Dio.
    L’incontro con Gesù Cristo e la vita nella Chiesa rappresentano una «esperienza», nuova nell’esistenza personale: una esperienza di fede. La verità di questo incontro connota però fa condivisione della causa di Gesù: fa sua passione per fare il regno di Dio. In questo senso il movimento richiama fa traduzione della esperienza di fede nella consapevolezza di «operare per il Regno», in una solidarietà che si allarga dalla Chiesa verso tutti coloro che sono impegnati per il Regno di Dio, anche fuori delle strutture ecclesiali.

    4.2.2. Gli interventi

    Una premessa
    Prima di richiamare alcuni interventi, desideriamo sottolineare il ritmo che ha assunto globalmente il processo. Esso è diverso da quello tradizionalmente praticato nell'azione pastorale. Richiede perciò una verifica esplicita.
    Ripensiamo alla sequenza dei cinque movimenti: Dio creatore/Gesù/Chiesa/Dio di Gesù Cristo/ Regno di Dio. Alla base sta l'iniziale riferimento ad un Dio personale, come «luogo», dove esperimentare pienamente la riappropriazione soggettiva della «vita». Solo chi pronuncia un si pieno, anche se incerto e invocante, alla propria vita, capace di accogliere Dio.
    L’incontro con Dio si concretizza nell’incontro con il «segno», la «parola» di Dio: Gesù di Nazareth. Egli «rivela» chi è Dio: riporta quindi in modo nuovo verso il Dio creatore. In Gesù si opera il passaggio importantissimo dal «Dio dei filosofi» al «Dio di Gesù Cristo» (il Dio della Bibbia).
    Anche nel rapporto Gesù/Chiesa c'è un cambio di prospettiva importante. L’incontro con Gesù diventa la scoperta della Chiesa e della «vita ecclesiale».
    Preferiamo questa ipotesi a quella tradizionale, espressa nella formula «la Chiesa porta a Gesù Cristo», per collocare più adeguatamente la Chiesa tra i contenuti della fede cristiana, dal momento che in un tempo come il nostro riesce davvero difficile affidarle una funzione di «garante».
    Analizzando bene la logica di questa seconda area ci si accorge però che la funzione della Chiesa non è ridotta solo a generale contenuto della fede, come potrebbe sembrare da questi accenni. Essa al contrario propone quelle «esperienze» che, diventate messaggio, sono capaci di saturare l’invocazione. La Chiesa. è così restituita alla sua funzione di testimone privilegiato dell'evangelo.
    Ma questa Chiesa è quella vicina, concreta, significativa: alcuni credenti, il gruppo ecclesiale, una comunità che celebra la sua fede.
    La «grande» Chiesa istituzionale viene ritrovata «dopo», come esito del processo di maturazione nella fede del Dio, di Gesù Cristo.
    La Chiesa è così l’esperienza che si fa messaggio e il messaggio di questa esperienza.
    Tutto il processo si conclude nuovamente nella «vita»: questa è la causa di Gesù. Chi lo ha incontrato, misura la sua fede non sulla «appartenenza», ma sulla «passione per il Regno», e ciò come dicevamo, sulla «vita».

    Quattro aree di intervento
    All’interno di questo processo, trovano adeguata collocazione gli interventi che suggeriamo. Li raccogliamo attorno a quattro aree.
    - È importante dare consistenza alla «domanda religiosa». Come si sa, una domanda religiosa quando resta domanda bruciante anche dopo aver operato un confronto disponibile con tutte le possibili risposte, suggerite dalla scienza e dalla sapienza dell’uomo. In questo è eccellente il procedimento suggerito dalla prima parte del «catechismo dei giovani». La domanda religiosa comporta inoltre il coinvolgimento esistenziale del domandante: egli è prima di tutto «domanda a se stesso». In questo senso funziona come da «tessuto connettivo» di tutte le esperienze e domande che attraversano l’esistenza di una persona.
    - Un ruolo importante va assegnato anche alla riscoperta dell'apologetica, vissuta come «esperienza di schiudimento», per arrivare alla scoperta di un Dio personale, superando il fideismo e il razionalismo.
    - L’incontro, con Gesù va inoltre sostenuto e provocato attraverso momenti di evangelizzazione esplicita. L’esperienza di questi anni ci porta infatti a costatare che il processo o domanda di senso/offerta di senso o non può essere considerato come un modello lineare, con un prima e un poi cronologico.
    È necessario invece scegliere un modello circolare, «scommettendo» sulla forza interpellante dell’evangelo stesso, come luogo di scatenamento di tutto il processo relativo alla esperienza/produzione di senso, se esso è offerto attraverso corretti momenti di evangelizzazione.
    A queste, proposito, sottolineiamo due esigenze.
    ^ In primo luogo ricordiamo il movimento logico (che spesse, diventa anche cronologico) attraverso cui «evangelizzare Gesù Cristo»:
    * la storia di Gesù di Nazaret;
    * è interessante;
    * la mia storia, perché ci sono coinvolto dentro;
    * questo Gesù è il Cristo;
    * Gesù è il volto di Dio: il Dio di Gesù Cristo è il Dio, a cui credere. (Sui «contenuti» della evangelizzazione, organizzati secondo la logica ora detta, cf documento/4: «La storia di Gesù Cristo»).
    ^ In secondo luogo vogliamo raccomandare l’utilizzazione prevalente dello stile «narrativo». L’abbiamo già ricordato come quello più capace di rispettare le esigenze costitutive del linguaggio, religioso. Questo è il contesto dove mettere in pratica quelle raccomandazioni.
    - Sia per «narrare, l'evangelo,» che per sollecitare alla condivisione della causa di Gesù, lo strumento linguistico da privilegiare sono le «esperienze che si fanno messaggio».
    In questo senso sono «strumenti di evangelizzazione»:
    * i credenti come testimoni, che narrano un modo di vivere da credenti con la loro, vita, espressa in una «spiritualità»;
    * il gruppo ecclesiale, come luogo di esperienza diretta di quello che viene narrato;
    * le celebrazioni liturgiche e sacramentali, come modo concreto di narrare l'evangelo di Gesù e di far esperimentare la riconciliazione;
    * alcune «esperienze etiche» particolarmente forti: l’incontro, con persone, il silenzio, il lavoro, gratuito per i poveri, il volontariato, le esperienze simbolo del vissuto...


    DOCUMENTO/3

    QUANDO UN’ESPERIENZA È RELIGIOSA?

    Una prima annotazione riguarda lo stesso termine usato: esperienza (o domanda emergente da una esperienza) «religiosa».
    L’espressione può risultare equivoca, perché si usa il termine <, religioso con accezioni motto diverse. In questo contesto vogliamo utilizzarlo in senso ristretto: sono religiose le esperienze e le domande che sono vissute come «invocazione» almeno implicita, at trascendente.

    Dove nasce la domanda religiosa?

    L’esperienza umana è attraversata da un profondo bisogno di senso. Questo è un dato costitutivo dell’essere dell'uomo. Gli interventi di educazione liberatrice suggeriti nelle pagine precedenti sono finalizzati appunto a rendere ogni giovane consapevole di questa fondamentale esigenza di umanità matura e responsabile.
    Nella ricerca personale e nel confronto con la sapienza elaborata dall'uomo, queste domande vengono normalmente saturate. Alla domanda corrisponde una possibile risposta. E se la responsorialità non è ancora stata assicurata, tutto dipende solo dal fatto che non si è ancora cercato a sufficienza tra le risposte suggerite dalla lunga e attenta meditazione dell'uomo sulla sua avventura umana.
    Ci sono però delle domande che restano aperte e brucianti anche dopo il confronto con tutte le risposte a disposizione dell’uomo. Le risposte utilizzate sono interessanti e importanti; ma non si possono pretendere conclusive.
    Esse spalancano ulteriormente la domanda.
    In questo caso, le domande sono fondamentalmente «invocazione» ad un di più di senso: sono frecce lanciate verso un qualcosa (di indefinito, forse), capace di dare saturazione a questa ricerca di significati profondi e decisivi, che si vive all’interno della quotidiana esperienza di vita.
    Queste invocazioni rappresentano, le «domande religiose» le esperienze vitali da cui hanno origine sono «esperienze religiose».
    In questo caso, il religioso, non si connota sulla risposta ottenuta o vissuta, ma sul carattere della domanda. Religiosa è la domanda che si protende, come domanda, oltre il confine dell’immanente, verso quel senso offerto in dono che travolge l'invocazione stessa.
    Questa sottolineatura è importante, perché ci permette di identificare la dimensione religiosa delle domande giovanili non sugli indicatori delta loro fruizione di religione e neppure sulla consapevolezza esplicita che il religioso, testimoniato dalle chiese, può assolvere la funzione di saturazione delle loro domande.
    Religioso è lo sguardo sulla propria vita, quando esso ne desidera il senso e costata il limite dei significati elaborati dalla sapienza dell'uomo. Per questa esperienza, l'uomo si apre verso l’ulteriore in atteggiamento invocante.

    L’esperienza religiosa come esperienza-di-esperienze

    Bisogna aggiungere che l’esperienza religiosa e la domanda che emerge da questa esperienza non possono essere concepite come una delle tante esperienze che riempiono la vita di una persona. Non è una esperienza «regionale» rispetto alle altre esperienze di vita.
    Queste domande, «invocazione di salvezza, invocazione appunto delta salvezza dall’assurdo, invocazione di quel senso assoluto delta vita che da soli non riusciamo a costruire», conducono verso una nuova più profonda esperienza che interpreta, come in prospettiva, tutte le precedenti.
    Essa rappresenta quasi il tessuto connettivo di tutte le esperienze di vita.
    Da ogni esperienza emerge una domanda di significato; esse restano aperte a molte interpretazioni e a diverse decisioni esistenziali. Queste differenti domande si ricollegano però in una più intensa domanda che attinge le soglie profonde dell’esistenza: essa le esprime tutte come domanda di fondo, come soglia ulteriore delle iniziali domande di significato emergenti in ogni esperienza esistenziale. Su questa invocazione (e sulla saturazione eventuale di questa invocazione nella esperienza di religiosità) le diverse esperienze di vita trovano la loro ragione, di essere e il supporto che le giustifica e le orienta.
    In questo senso, l’esperienza e la domanda religiosa sono una esperienzadiesperienze: quasi una nuova radicale esperienza che interpreta e integra le esperienze quotidiane, in un qualcosa di nuovo, fatto di ulteriorità cosciente e interpellante.

    La vita quotidiana è il luogo della domanda religiosa

    Per il loro, carattere di invocazione, le domande religiose hanno nella vita quotidiana il loro luogo naturale, di attuazione. Esso è costituito dal tragico dialogo tra positività e negatività, il cui intreccio forma appunto il quotidiano.
    In primo, luogo, perciò, l’appello at trascendente può affiorare delta dimensione di positività, di autenticità di cui molte esperienze sono cariche. Esse hanno in sé una vivacità umana cosi ricca, cosi nuova da diventare , come frecce o segni di un senso ultimo e totale delta vita umana ,. Ci offrono una modalità di essere uomini che ci rilancia più a qualcosa che ci supera e ci è stato donato, che alla nostra responsabilità e autosufficienza.
    Il «religioso» affiora anche delta costatazione che l'esperienza umana è continuamente minacciata dallo scacco. La ricerca di significato, l'attesa ansiosa di valori, si fa grido di salvezza. Ogni giorno tocchiamo con mano la minaccia di inquinamento (personale o sociale) verso cui sono trascinate le nostre esperienze, anche le più affascinanti. Da questa costatazione nasce un desiderio di liberazione, un fremito di speranza, che spinge oltre, al di là dei confini angusti dell’esperienza quotidiana.
    Del positivo e dal negativo assieme emerge così l'attenzione verso il «qualcosa», capace di dare conto di questa significatività «nonostante tutto», che è «toccata in sorte al mondo in virtù della creazione».


    DOCUMENTO 4

    LA STORIA DI GESÙ CRISTO

    L'oggetto del racconto salvifico della comunità ecclesiale è la storia di Gesù il Vivente.
    Alle domande religiose che emergono dalle esperienze quotidiane quando sono comprese nella loro profondità, la risposta della fede è la persona di Gesù Cristo. In Gesù conosciamo il Padre e lo Spirito; nella sue persona incontriamo i contenuti della nostra fede. Per questo, oggetto delta nostra fede è Gesù Cristo e solo in lui, unificate e vivificate nella sue persona, la comunità ecclesiale evangelizza le dimensioni dottrinali e morali della esistenza cristiana.
    Come presentare Gesù Cristo, perché l’incontro con lui sia veramente confessione dell’evento di salvezza che il Padre ci dona?
    La riflessione cristologica attuale offre risposte non sempre omogenee a questa domanda cruciale. Noi preferiamo seguire l'approccio offerto del documento dei vescovi italiani «Il rinnovamento della catechesi» (RdC), per il suo esplicito riferimento pastorale. Lo ricordiamo attraverso alcune citazioni.

    A partire dal fascino di Gesù di Nazareth

    Il confronto e l’incontro avviene normalmente nel fascino che promana da Gesù di Nazareth, «l’Uomo perfetto, che ha lavorato con mani d'uomo, ha pensato con mente d'uomo, ha agito con volontà d'uomo, ha amato con cuore d'uomo. «Nessun uomo ha mai parlato come parla costui», con autorità, con libertà e dolcezza, indicando le vie dell’amore, delta giustizia, della sincerità. Nessuno ha parlato del mistero di Dio, come lui, rendendo possibile un'alta esperienza del Padre, che è nel segreto e vede nel segreto, che è pronto alla misericordia .. (RdC 59).
    Contro ogni riduzionismo, si afferma il nesso inscindibile tra il Gesù terreno, il Gesù risorto e il Gesù testimoniato dalla comunità dei credenti.
    L’incontro con l’umanità storica di Gesù, con la sua persona ricca ed affascinante può avvenire in molti modi. È importante mettere «particolarmente in luce i lineamenti delta personalità di Gesù Cristo che meglio lo rivelano all'uomo del nostro tempo: la sua squisita attenzione alla sofferenza umana, la povertà della sua vita, il suo amore per i poveri, i malati, i peccatori, la sua capacità di scrutare i cuori, la sua lotta contro la doppiezza farisaica, il suo fascino di capo e di amico, la potenza sconvolgitrice del suo messaggio, la sua professione di pace e di servizio, la sua obbedienza alla volontà del Padre, il carattere profondamente spirituale delta sua religiosità». (RdC 60).

    Gesù è il Signore

    L’incontro con l'uomo Gesù di Nazareth deve però condurre a professare che questo Gesù è il Signore, per «far entrare nella pienezza delta sua divinità». Si incontra con verità Gesù solo quando, nella fede, si confessa che egli è il Cristo, il Figlio di Dio. «Questo Gesù, infatti, Dio lo ha costituito Signore. Egli stesso si è proclama il Figlio di Dio e si è appropriato il nome di Dio. è il «Figlio proprio» di Dio, l'immagine del Dio invisibile; inibita in lui corporalmente tutta la pienezza della divinità. è il Verbo di Dio che si è fatto carne e che abitò tra noi; è il Dio unigenito che ci ha fatto conoscere il Padre». (RdC 62)
    «Gesù Cristo ci introduce nel mistero di Dio, Padre e Figlio e Spirito Santo. Rivelandosi come il Messia, il Figlio di Dio, Egli ha rivelato, nello stesso tempo, il Padre e lo Spirito Santo». (RdC 82) Quest'ultima citazione ricorda una dimensione importante della confessione di Gesù Cristo: in Gesù Ci abbiamo conosciuto il padre, egli è la rivelazione di Dio. Gesù non solamente dà un volto umano a Dio, come se gli prestasse un’esistenza storica, ma è il volto umano di Dio; in altri termini ciò che esprime Dio nella nostra condizione. Non è possibile fare a meno di questo volto, ignorarlo. è in questo volto che Dio diventa manifesto. Il Dio di Gesù distrugge spesso l'immagine deturpata che noi ci facciamo di Dio: una immagine che è la protezione dei nostri sogni e delle nostre paure. Confessare che Gesù è il Signore significa perciò adorare il vero volto di Dio che Gesù ci ha rivelato, rifiutando le immagini idolatriche di Dio.

    Gesù vivente nella Chiesa oggi

    L’evento di salvezza che è Gesù Cristo è mistero presente nella Chiesa, oggi l'incontro con Gesù avviene oggi attraverso le mediazioni storiche: la comunità ecclesiale, soprattutto nella celebrazione eucaristica, gli avvenimenti della storia, il fratello, il povero e l'emarginato...
    Si confessa che Gesù è il Signore quando si interpretano queste mediazioni una lettura di fede, riconoscendo in esse e soprattutto nella celebrazione eucaristica, «il momento più importante» di questo incontro (RdC 72) che il Signore Gesù, vivente nella storia, «è sempre il medesimo, ieri, oggi e in eterno» (RdC 58).

    4.3. Terza area: verso una vita nuova

    L’incontro con Gesù Cristo e la condivisione della sua causa hanno suscitato una «esperienza di fede»: ricomprensione della vita quotidiana dalla prospettiva dell'offerta di senso espressa nell'evangelo di Gesù.
    Il credente ridice questa esperienza di fede nella direzione di una «esperienza etica».
    Al centro di questa area ritorna cos! la vita quotidiana, riconsegnata alla fatica di definire il suo senso unitario c organizzatore, nel dialogo e nel confronto, «dentro» il senso ulteriore offerto dalla fede, come principio di riorganizzazione.

    4.3.1. I movimenti progressivi

    1. Dall’esperienza di fede alla ricostruzione di un progetto di sé capace di dare «ragione» del senso cristiano della vita.
    L’esperienza di fede si esprime in un modo rinnovato di vivere la «passione per la vita».
    La vita quotidiana diventa quindi pienamente integrazione fede/ vita.
    Questo comporta:
    - orientamento progressivo dell’identità personale in una «spiritualità»; verso una esperienza riflessa e tematizzata dall'integrazione fede/vita;
    - progressiva «imitazione da adulti» dell'Uomo nuovo Gesù Cristo, che si propone come normativo di un progetto di umanizzazione nelle scelte e decisioni della vita quotidiana;
    - celebrazione nei simboli liturgicosacramentali del «dono o della vita nuova, per riconoscere la grazia della salvezza e la sua presenza anche nei limiti delle esperienze quotidiane;
    - capacità di vivere la finitudine nella riconciliazione.

    2. Da un progetto costruito nella dipendenza alle norme, alla responsabilità etica, vissuta come riprogettazione della vita nella «liberta del cristiano».
    Una dimensione importante della «Vita nuova», che nasce dalla esperienza di fede, e determinata dal modo in cui il cristiano si rapporta alle «norme» etiche. Esse sono vissute come «offerta di valori», come criteri decisivi di azione, come . verità della vita»: non come costrizione, che sollecita ad una dipendenza passiva e rassegnata.
    La «vita nuova» è così segnata dalla libertà: vivere è «inventare» la vita. In questa prospettiva la frammentazione viene progressivamente elaborata in una rinnovata coerenza etica.

    3. Da una vita «posseduta», come un tesoro da nascondere, ad una vita vissuta come tesoro da far fruttificare, come dono (la vocazione e le vocazioni).
    Un atteggiamento fondamentale segna il progetto di sé e lo definisce come «vocazione»: vivere la propria vita perché tutti abbiano, vita in abbondanza.
    E cioè:
    - collocazione personale dalla parte della vita, sempre e per tutti;
    - attraverso scelte concrete a risonanza professionale e politica;
    - continuando a narrare, con fatti (testimonianza) e con le parole (annuncio), la storia del Signore della vita.

    4. Verso la riconsegna progressiva della propria vita alla logica della «vita» nuova.
    La vita nuova è quella espressa nella vita dell'uomo nuovo, fino alla capacità di riconoscere non solo che la vita nasce dalla morte (dal dare cioè la vita per amore), ma che è veramente e pienamente vita anche la morte (e cioè il dolore, la sofferenza, il fallimento, la perdita della propria vita).
    Il credente riscrive così il suo rapporto con la morte: posseduto dalla morte nel primo germe di vita, in Cristo sa possedere la morte. In questa esperienza si apre verso la «casa del Padre» (il Paradiso), approdo definitivo di ogni speranza, quando l’incontro con Dio in Gesù Cristo esploderà in tutta la sua sconvolgente luminosità.

    4.3.2. Gli interventi

    Riassumiamo gli interventi attorno a tre prospettive, destinate a sostenere il processo in modo complementare e convergente.

    ^ In primo luogo si richiede una capacità rinnovata e concreta di «proporre» modelli di «vita nuova». Insistiamo qui sul «modo» di questa proposta,
    Vediamo cosa questo comporta nella nostra ipotesi.
    - Riscoprire la funzione dell'adulto come di colui che «nomina i valori», raccontando una storia (fare proposte in modo narrativo), in cui si intrecciano «tre storie»:
    * gli imperativi delta vita nuova (espressi nella storia dell'Uomo nuovo e di coloro che hanno riempito la loro vita delta scelta di lui);
    * l'esperienza testimoniante di chi narra;
    * le attese, le speranze, i bisogni di coloro che si intende servire e amare.
    - Fare esperienza dei valori delta vita nuova in una comunità che anticipa nel «piccolo» i segni delta nuova qualità di vita che promette e annuncia per il «grande» (funzione del gruppo, delle comunità di esperienza ... ).

    ^ In secondo luogo, è necessario ripensare anche ai «contenuti» della vita nuova, costruendo un organico progetto di vita, capace di determinare quella «imitazione da adulti» di cui abbiamo fatto cenno tra i movimenti.
    A questo proposito, facciamo nostra la proposta interessante di G. Piana nel Q 11, Una proposta morale per un tempo di desiderio e di frammentazione. La ricordiamo a tratti veloci, riprendendone la suddivisione nelle tre aree.
    - Dall'isolamento alla solitudine: sviluppo di una vita interiore; at di IA del rifiuto o delta banalizzazione delta corporeità e della sessualità;
    * l'accoglienza di sé come premessa di ascolto e recettività dell'altro;
    * vivere la solitudine dentro l'esperienza di «vocazione».
    - Dall'ostilità alla ospitalità:
    * vivere la riconciliazione elaborando la conflittualià;
    * la povertà come modo di rapportarsi agli altri e alle cose;
    * verso una società conviviale;
    * vivere l'ospitalità come «carità» cristiana.
    - Dall’illusione all'attesa impegnata:
    * la militanza e la partecipazione nel vivo della quotidianità;
    * contro l'efficientismo, la creatività, il gioco, la contemplazione.,
    * la «speranza» come attesa impegnata nella trasformazione delta realtà.

    ^ Si richiede infine il ripensamento profondo delle dimensioni tipiche della esperienza cristiana, per determinare uno stile di «integrazione di fede e vita», corretto c significativo. Nella logica di questo stile globale vanno poi ridefinite le diverse celebrazioni della comunità ecclesiale, riempite di vita e di fede, per essere la celebrazione nella fede di una vita concreta.
    In altri contesti abbiamo intitolato questa ricerca con la formula: una spiritualità giovanile.
    Non allunghiamo perciò il discorso con nuove indicazioni; citiamo solo del materiale già elaborato, perché su questo tema la nostra ricerca è già abbastanza avanzata.
    Rimandiamo a due testi:
    - per i giovani: Un manifesto per la spiritualità giovanile salesiana (NPG 1982/1, 65 ss);
    - per gli educatori: Per una spiritualità dell’incarnazione (NPG 1983/5, 5 ss) e il Q 3, La spiritualità dell'animatore.
    Queste pagine nell'insieme contengono un progetto conclusivo di giovane cristiano: come una rassegna di «competenze» per definire il profilo di un giovane che vive nell’integrazione fede e vita.

    5. L’ITINERARIO TRA ANIMAZIONE E SPIRITUALITÀ

    Il lettore affezionato dei «quaderni» ha trovato molte cose familiari lungo lo sviluppo dell'itinerario. Tre indicazioni sono state poi riprese esplicitamente: gruppo, spiritualità c animazione. Viene logico chiedersi: quale «filo rosso» lega queste formule? Sono prospettive integrate c coordinate o fioriscono sotto l’urgenza dei problemi e delle speranze di coloro che sanno le difficoltà di un lavoro in ambito di pastorale giovanile? Scorrendo lo sviluppo dell'itinerario, abbiamo tentato di far emergere il coordinamento esistente. Lo riprendiamo a conclusione, per suggerire quasi una chiave di lettura generale.
    Il gruppo è il luogo educativo dove si svolgono i processi e prendono corpo gli interventi.
    La proposta di una «spiritualità» per il giovane animatore cristiano ritaglia il punto d'arrivo ottimale del processo e, nello stesso tempo, serve quasi da precomprensione orientativa di tutta la ricerca. Le sue scelte di fondo, infatti, orientano quelle concrete e spicciole che si rincorrono nell'itinerario. Si pensi, per esempio, alla «passione per la vita», come importante per una «spiritualità del quotidiano», alla funzione della comunità ecclesiale e delle sue celebrazioni, alla dimensione di impegno concreto, alla festa, alla «logica del seme».
    L’animazione rappresenta la grande intenzione educativa, lo spirito con cui l’operatore assicura la messa in opera dell'itinerario, per raggiungere la meta della «spiritualità». Si confrontano, ancora per fare qualche esempio, gli obiettivi dell'animazione, le linee centrali del modello antropologico, soggiacente, le sue strategie fondamentali, con le scarne indicazioni contenute nell'itinerario (nei «movimenti» e negli «interventi»): è facile verificare la consonanza e scoprire come le proposte dell'animazione arricchiscono e concretizzano queste dell'itinerario.
    L’itinerario è tutto giocato tra animazione e spiritualità.
    Suggerisce l’operazionalizzazione di questi modelli e prospetta gli orientamenti metodologici globali.
    Per questo i temi affrontati smarginano un poco reciprocamente: unici sono il soggetto-agente e il soggetto-destinatario; unica soprattutto è la passione educativa con cui vogliamo servire la crescita della vita.

    IL CANOVACCIO

    Per una scuola di giovani animatori

    Franco Floris - Domenico Sigalini


    IL PUNTO DI PARTENZA: QUAL È IL PROBLEMA

    Si tratta anzitutto di sollevare, soprattutto con giovani animatori il problema: che fare per educare i giovani alla fede?
    Non sempre infatti l'educazione alla. fede è un problema per gli animatori, i quali possono scartarlo o delegarlo al sacerdote o alla suora. Indichiamo una pista di lavoro.

    1. Si può partire da alcune storie di vita: qualcuna di giovani che non credono pia, altre degli stessi giovani animatori che riflettono nel loro cammino di fede.

    Intervista a giovani non credenti.
    Anche ai giovani animatori fanno problema quelli che abbandonano il gruppo o il centro giovanile. Ci soffrono e si chiedono il perché.
    Una riflessione sull’educazione alla fede può cominciare da qui, andando a intervistare quei giovani che «prima» erano credenti ed ora non lo sono più.
    A loro, si chiede una storia di vita, individuando le fasi evolutive del loro cammino religioso. Perché se ne sono andati? Cosa non trovavano più nel gruppo? Cosa cercavano uscendo e abbandonando il gruppo? Come si sono evoluti i loro rapporti con Dio e i loro rapporti con la chiesa? Dove si sono «scandalizzati»?

    Una storia della fede personale. Contemporaneamente si pub chiedere ai giovani animatori di stendere una «storia della propria fede». Quando hanno deciso di credere? Che cosa ha influito nella loro scelta? Quali sono le principali fasi della loro evoluzione? Che cosa vuol dire oggi per loro credere in Gesù Cristo? Si sentono parte della chiesa e come esprimono questa appartenenza?

    2. Una volta raccolte le due serie di storie di vita le si fa avere a tutti per interpretarle alla luce di una griglia, in cui dovrebbero essere presenti almeno queste «attenzioni»:
    - «credere da cristiani»: cosa comporta?
    - fattori che hanno contribuito alla crescita o alla «morte» (se cosi si può dire) della fede personale;
    - le tappe significative nella «morte» o nella maturazione della fede;
    - le scelte operative necessarie per garantire ai giovani un cammino di fede.

    MA POSSONO I GIOVANI D’OGGI CREDERE?

    Questo interrogativo sviluppa un aspetto della o ricerca >> del paragrafo precedente.
    Obiettivo: problematizzare il fatto che tra esigenza della fede cristiana e situazione giovanile attuale l’«accordo» non è poi cosi facile.
    Vediamo come si può organizzare il lavoro.

    1. Ci si divide in due gruppi.
    Il primo gruppo approfondisce cosa comporta «credere in Gesù Cristo», oggi: quale modo di vivere, quali conoscenze fare proprie, quale appartenenza alla chiesa sviluppare, quali pratiche di vita sono determinanti...
    Ovviamente questo gruppo lavora sul «dover essere» del cristiano. Ne verrà fuori un quadro ideale e, entro certi limiti, astratto... Si dirà, ad esempio, che per credere bisogna far parte della chiesa, partecipare alla messa, accettare il vangelo, amare gli altri...
    Il secondo gruppo risponde all’interrogativo: «i giovani d'oggi possono credere?».
    A loro si chiedono le «difficoltà» personali che i giovani incontrano nel credere. Il punto di vista, in altre parole, è quello di un giovane che , vorrebbe credere, ma...».
    L’attenzione va posta non tanto sui problemi «strutturali», quanto su quelli che emergono dalla cultura giovanile: frammentazione, ricerca di soggettività, primato dell’esperienza, rifiuto di modelli etici prefabbricati...

    2. A questo punto dopo che i due gruppi hanno steso su un grande cartellone il loro elaborato, si pone di nuovo la domanda: possono davvero i giovani d’oggi essere cristiani?
    Dalla discussione emergerà facilmente che un certo tipo di proposta di fede (basata sul dover essere, sul «prendere o lasciare» ... ) non «praticabile» dalla maggioranza dei giovani.
    Allora che fare? «Arrendersi» non ha senso per chi sente di voler arricchire i giovani con l’esperienza di fede.
    D'altra parte non si può «mutilare» la fede... abbassando le sue pretese.
    Per evidenziare il problema si può ricorrere a delle immagini.
    Ne suggeriamo una: la casa:
    - se si definisce la fede in astratto e in modo oggettivo... si può pensare all’educazione alla fede come a un castello secolare in cui uno entra e deve cominciare a vivere «adattandosi»;
    - se si guarda ai giovani si deve riconoscere non solo che non interessa entrare nel castello, ma neppure mettersi a costruire una casa in proprio. Almeno a prima vista, non interessa costruire una casa e tanto meno costruirla «da cristiani».
    C'è ancora spazio di azione? È uno degli interrogativi centrali del quaderno (ef il paragrafo 3.2. del quaderno).
    La via di uscita, praticabile ma senza abbassare le attese della fede, sembra essere quella di aiutare i giovani a costruire la loro casa, ma in modo che lo «stile» con cui costruirla sia, fin dalle fondamenta, capace di esprimersi come cristiano.
    Quando allora un giovane d'oggi nel costruire la sua «casa», la costruisce, anche se implicitamente, da cristiano?
    Come trovare, in altre parole, qualcosa che interessi davvero il giovane e sia, allo stesso tempo, fondamentalmente cristiano?
    Siamo alla riflessione sull'«obiettivo» dell'educazione alla fede ripensato con questi giovani.
    È facile a questo punto proporre e discutere le affermazioni del quaderno e verificarle alla luce dei problemi affrontati ora (nel paragrafo terzo: «La meta ultima dell'itinerario»).

    3. Una domanda ulteriore: una casa in costruzione oppure un seme che diventa pianta?
    È necessario far riflettere su un aspetto del lavoro fin qui svolto.
    Se la crescita della fede è come la costruzione di una casa... allora si e credenti solo quando la casa è finita? È facile esemplificare giocando sull'immagine. Ci si può chiedere: l’immagine della casa non va forse abbandonata (superata) perché insufficiente?
    Con quale altra immagine può essere sostituita o per lo meno arricchita? Alcuni esempi: un bambino che si fa adulto ma che lungo tutte le fasi è già uomo; la stesura di un libro da parte di uno scrittore; il pittore che abbozza un quadro e che fin dalla prima linea si esprime per intero; un seme che cresce e si fa pianta; un alpinista che si arrampica e che fin dai primi passi «vive» in pieno la sua avventura...
    Una volta individuate alcune immagini, le si discute alla luce delle riflessioni utilizzate da Tonelli attorno all'immagine del «seme» che si fa pianta.

    ELABORARE UN ITINERARIO DI FEDE

    Quali sono, a questo punto, le fasi principali di sviluppo dei «seme?» Siamo al discorso dell'itinerario, dopo aver rintracciato l'obiettivo generale o meta ultima. Vediamo come procedere.
    Si tratta in primo luogo di precisare cosa si intende per itinerario, una volta definito il «soggetto in cammino» (il giovane di oggi) e l'obiettivo del cammino.
    L'immagine di itinerario sviluppa da sola il discorso delle tappe e della loro successione logica.
    Ora si può procedere con un lavoro a gruppi, per elaborare un «itinerario».
    Su una parete si prepara un grande cartellone (3 metri di lunghezza, uno di altezza).
    Dopo aver spiegato che attraverso il contributo di tutti si delineerà l'itinerario, si chiede ad ognuno di provare personalmente (o a piccoli gruppi di tre) a tracciare su un foglio di quaderno quelle che, a suo parere, sono le tappe principali dell'itinerario.
    li lavoro dovrà essere svolto seriamente occupando da 30 a 45 minuti. Solo nei primi minuti l'animatore darà spiegazioni, in modo da avviare il lavoro, precisare che devono immaginare un giovane in cammino e indicargli come in una strada i passi che deve fare per diventare cristiano.
    Si consiglia di lavorare con schemi, frecce, riquadri, rifacendo da capo il lavoro se necessario.
    Scaduto il tempo di lavoro personale (o dei gruppi di tre) ci si siede davanti al cartellone, in modo che tutti siano in grado di leggere, quel che si scriverà.
    Si pongono a disposizione dei pennarelli e si invita chi desidera a scrivere sul cartellone le fasi che ha individuato.
    Queste le indicazioni di lavoro:
    - l'itinerario inizia alla sinistra dei foglio e termina alla destra (si può tracciare una freccia che attraversa tutto il foglio);
    - ci si esprime attraverso «parole chiave» che individuano la tappa o fase;
    - chi scrive colloca la sua fase nella parte del cartellone che meglio gli sembra rispettare il luogo che ha nell'itinerario;
    - ognuno si preoccupa non di riportare il suo schema, ma di arricchire (o correggere, ma senza cancellare niente) lo schema comune che viene a delinearsi nel cartellone; in questo modo si passa dai singoli itinerari a un itinerario costruito insieme.
    Quando il grande cartellone è ormai ultimato, si chiede quali sono le «fasi» principali in cui si può dividerlo.
    Una volta arrivati a dividere in senso verticale il cartellone nelle fasi principali (da due a quattro al massimo; nella proposta del quaderno sono tre: invocazione, incontro con Gesù, vita nuova), si esaminano le fasi una per una per descriverne globalmente il contenuto e per cogliere i movimenti interni.
    È da notare che, facilmente, in questo lavoro si confonderanno i «movimenti», gli interventi educativi, le esperienze da fare... t meglio per ora non farci caso, per concentrarsi sulla individuazione delle fasi.
    Durante la discussione l'animatore metterà man mano a fuoco alcuni «punti fermi», riprendendoli dall'itinerario dei quaderno, con l'intenzione di valorizzare e arricchire il lavoro di gruppo. li servizio Più importante che egli fa al gruppo è aiutarlo a «dare un nome» alle fasi e a cogliere la logica dei vari movimenti e il loro coordinamento.

    STUDIO DELL'ITINERARIO DEL «QUADERNO»

    Finora si è proceduto con un lavoro dal basso, cioè attraverso la ricerca e il dialogo tra i presenti.
    Si può fare un passo avanti e presentare, attraverso «lezione» magari con l'aiuto di cartelloni e schemi, l'itinerario dei quaderno alle pp. 15-25, limitandosi ai soli «movimenti», senza quindi entrare in merito agli interventi educativi.
    L'esposizione dovrà essere sufficientemente ampia, preoccupata di far cogliere le tre grandi fasi e i movimenti al loro interno.
    Dopo inizia il lavoro di gruppo; indichiamo due compiti.

    1. Il primo è un confronto sul vocabolario, per verificare il contenuto di termini come: invocazione, trascendenza, finitudine, soggettività, domanda di senso., apologetica...

    Si può chiedere ai presenti di fare in silenzio l'elenco dei termini su un cartellone... Quando l'elenco è ultimato chi vuole può «spiegare» agli altri qualcuno dei termini scritti... Su quelli più controversi può intervenire l'animatore, oppure si può lavorare a piccoli gruppi.

    q8 29

    2. Veniamo al secondo compito: verifica e arricchimento dell'itinerario proposto.

    ^ Si distribuiscono ai presenti tre schede, una per «fase», sul modello di quella riportata sotto. Si lavora a gruppi di 10/12 soggetti (a piccoli gruppi risulterebbe un lavoro troppo difficile).
    Come si può notare, nella scheda sono scritti solo i «movimenti» della fase. Lavorando in gruppo si deve: correggere, se si vuole,
    - la formulazione dei movimenti
    - esprimere «in sintesi» il cammino che il giovane è chiamato a fare; e, soprattutto, indicare attraverso quali «interventi» (esperienze, in particolare) l'animatore aiuta il gruppo a crescere...
    Se l'individuazione degli interventi per ogni movimento risultasse difficoltosa, si può lavorare più in generale per la fase nel suo insieme. Toccherà all'animatore, in questo caso, sottolineare come l'intervento riguardi i singoli movimenti... il lavoro di gruppo non può durare meno di 90 minuti.
    Nella «finestra» a parte offriamo un abbozzo di lavoro, peraltro da organizzare, relativamente alla terza area «verso una vita nuova» a pagina 30.
    ^ Ci si raduna in assemblea, dopo aver lasciato il tempo ai capigruppo di preparare un cartellone riassuntivo del loro lavoro.
    Segue confronto tra i vari cartelloni, ricerca delle convergenze principali, individuazione di alcuni problemi, lettura delle pagine corrispondenti dei quaderno.
    ^ Questo lavoro si ripete per le tre fasi. È un poco «noioso», ma utile per l'apprendimento.
    Al termine si può chiedere di rappresentare con delle immagini la caratteristica di fondo di ognuna delle tre fasi.
    Ad esempio: il punto interrogativo o il cercatore d'oro (fase dell'invocazione); l'incontro a due o il raccontare in gruppo (fase dell'incontro con Gesù; il progetto di una costruzione o uno spartito musicale senza le note (fase della vita nuova).

    COSA C'ENTRA L'ANIMAZIONE?

    Anche a questa domanda va data una risposta esplicita, altrimenti si viene ad avere una separazione tra animazione ed educazione alla fede.
    Ecco alcuni «punti di sutura» tra l'animazione e l'itinerario.
    - L'itinerario è stato pensato in una «logica educativa», preoccupati di abilitare il soggetto concreto a vivere la fede, più che di tracciare un quadro oggettivamente perfetto di cosa è fede cristiana (cf sulla «logica educativa» il Q 1, pp. 27-28).
    - L'obiettivo dell'itinerario è stato pensato in termini ermeneutici, facendo propria una scelta tipica della animazione; di più, nel precisarlo, si è assunta la riflessione dell'animazione a proposito dei rapporto identità-senso e lo si è definito a partire dalla riscoperta del senso della vita (cf Q 6, pp. 69).
    - La logica educativa la si ritrova anche nella suddivisione dell'itinerario in tre fasi:
    * rispetto alla prima fase, si è accolta tutta la riflessione tipica dell'animazione quando si parla di «liberare la trascendenza nascosta nell'esperienza quotidiana dell'uomo» (cf Q 6, pp. 21-27);
    * rispetto alla seconda fase, si è assunto il principio dell'animazione secondo cui non c'è crescita dei giovani senza uno «scambio» tra la loro esperienza e quella delle generazioni (credenti) che li hanno preceduti. Perché il senso della vita, prima che costruzione personale, è dono «che ti precede e quindi va accolto». L'animazione si conferma così come un'educazione che non ha paura di «fare proposte» (Q 5, pp. 20-23);
    * rispetto alla terza fase, l'animazione si ritrova nell'idea di «vita da inventare» dopo che si sono acquisiti con serietà gli «strumenti» culturali e religiosi per farlo. L'animazione, si diceva, non ha un suo progetto, ma fornisce gli «strumenti» per progettare e realizzare (cf Q 5, p. 20).

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    ALCUNI APPROFONDIMENTI

    Indichiamo velocemente alcuni approfondimenti necessari dopo aver delineato l'itinerario.

    ^ Come e dove i giovani . manifestano «domande religiose»?
    Lungo l'itinerario si è accennato al movimento che porta dalla invocazione alla «domanda religiosa». In che consiste una domanda religiosa è stato accennato in quel contesto. Si possono però fare due approfondimenti.
    Primo: quando una domanda sulla vita è religiosa. Per questo approfondimento rimandiamo al docu.mento13, a pag. 19.
    Secondo: dove o come si manifestano le domande religiose dei giovani. Rimandiamo alla ricerca di G. Milanesi e altri, Oggi credono così, LDC 1981. In particolare: vol. 1, pp. 361ss e la riflessione di Riccardo Tonelli, nel volume 11, pp. 197-218
    ^ «Fare proposte facendo fare esperienza». L'espressione ritorna più volte lungo il quaderno. Si è parlato, in particolare, della esperienza come modalità privilegiata di intervento educativo. Ci si è anche soffermati sui tipi diversi di esperienza lungo le fasi dell'itinerario. Ora la domanda è: quando un'attività educativa e pastorale diventa un'esperienza? a quali condizioni un'esperienza è «riuscita?».
    Nel documento15 di pag. 31 Tonelli offre una risposta. Per lavorare al corso animatori si può isolare una singola esperienza» (ad es. una settimana di campo-scuola, un ritiro spirituale, una gita, un recital, un paio di giorni a Taizè ) e ci si chiede in base a che cosa lo si dice. Poi ci si confronta con la chiarificazione offerta da Tonelli.
    ^ Quali sono i grandi contenuti della «narrazione» su Gesù Cristo ?
    Si può ripartire dal Q 7 (pp. 2223) dove si presenta la narrazione come un racconto di una storia a tre storie (la storia di Gesù, la storia di chi narra, la storia di colui che accoglie la narrazione) per poi chiedere: quali sono i grandi contenuti della narrazione di Gesù Cristo? Che cosa, in altre parole, si vuote annunciare attraverso tale narrazione?
    Anche qui si può lavorare a gruppi. Poi ci si verifica con la proposta del docuniento14 di pag. 21,
    ^ Dove sono «nascoste» la catechesi, la liturgia, la comunità e il servizio?
    Normalmente quando si parla di cammino di fede, lo si struttura secondo queste quattro dimensioni: catechesi, liturgia, comunità, servizio.
    L'itinerario di Tonelli non procede secondo le quattro dimensioni che ovviamente sono però presenti, anche se nascoste. Dove sono collocate e in che modo, in quali fasi dell'itinerario?
    Senza questo approfondimento si rimane a disagio, anche perché spesso gli itinerari di fede sono solo degli itinerari catechistici, intendendo con questo termine una presentazione articolata della fede cristiana.
    Allo stesso modo, se non si pensa il ruolo della preghiera e della liturgia, c'è il rischio di far sembrare che siamo di fronte ad un itinerario dove si fa calcolo solo sulle forze umane.
    ^ Il confronto con altri «itinerari di fede».
    Un ulteriore approfondimento potrebbe venire dal confronto con altri itinerari di educazione alla fede. l~ importante sceglierli fra quelli che esprimono modelli diversi di pastorale giovanile.

    UN'OCCASIONE DI CRESCITA PER GLI ANIMATORI

    Dato che «il canovaccio» fa riferimento a una scuola per giovani animatori, bisogna aggiungere che una riflessione sull'itinerario di fede non può essere svolta in modo asettico e neutrale, ma deve coinvolgerli per una verifica sulla fede personale.
    Concretizziamo una proposta. Una volta «studiato» l'itinerario dei quaderno, è utile una giornata di ritiro (o un corso di esercizi spirituali) in cui far emergere la «storia della propria fede» fino a quel momento, cogliere la ricchezza e la povertà di tale storia, individuare le svolte necessarie per una ulteriore crescita.
    La giornata (o gli esercizi) va vissuta con due attenzioni:
    - incoraggiare gli animatori a individuare le «tappe» che devono concretamente percorrere per crescere da cristiani;
    - verificare se la personale esperienza di fede è così ricca da sentire il bisogno di testimoniarla, comunicarla agli altri, in particolare al gruppo dove si fa da animatori.


    DOCUMENTO/5

    COSA SIGNIFICA «FARE ESPERIENZA»

    «Esperienza» e «fare esperienza» sono espressioni ormai inflazionate. Quando si ricorre a queste formule, lo si fa spesso più per giustificare l'isolamento della propria autonomia che per aprirsi verso nuove domande.
    Dobbiamo precisarne l'ambito. Possiamo dire, in sintesi, che si fa esperienza quando si costruisce un incontro tra realtà, pensiero e linguaggio.
    L'esperienza comporta prima di tutto un contatto vitale con la realtà, nella sua resistenza non manipolabile. In ogni esperienza si cela un'offerta di realtà: il nostro pensiero si piega a «testimone» accoliente di uomini e cose diversiva sé.
    In questo confronto disponibile, che giudica implacabilmente la nostra soggettività, ci viene dischiusa la possibilità di prospettive sorprendenti, nuove e promozionali.
    Questo contatto, però, non è solo fredda oggettività. Esso viene sempre riempito dai ricordi, dalle sensazioni e dai progetti di colui che fa esperienza. Esperienza è quindi interpretazione soggettiva di dati oggettivi. Interpretando (operando cioè sul reale attraverso il nostro pensiero), noi identifichiamo ciò di cui abbiamo fatto esperienza.
    Da una parte, infatti, raccogliamo ed evidenziamo gli elementi di interpretazione che trovano la loro ragione e fonte netta realtà esperimentata, che il nostro pensiero rende trasparente; dall'altra, colmiamo questa realtà della nostra soggettività, fino al punto che attraverso il nostro pensiero interpretante noi abitiamo in un mondo diverso da quello abitato da persone che hanno fatto esperienze differenti dalle nostre. Soprattutto questo avviene quando si fanno esperienze di totalità, come sono, per esempio, le esperienze religiose.
    È importante sottolineare che questa interpretazione del vissuto non è un fatto di ordine puramente razionale, ma coinvolge tutta la persona, anche se richiede un momento di riflessione sull'interpretazione esistenziale (dunque un momento a più larga risonanza razionale), per favorire l'integrazione riflessa e tematica del vissuto.
    Infine, chi ha fatto esperienza sente il bisogno di comunicarla, a sé e agli altri. Racconta quanto gli è capitato e tale narrazione pone in movimento qualcosa di nuovo.
    Per raccontare serve un linguaggio. Può essere utilizzato l'insieme dei segni linguistici accumulati nello sviluppo della tradizione, oppure ci si può sentire sollecitati a produrre nuovi sistemi simbolici, perché si costatato l'insufficienza di quella già posseduti.
    Come sempre, parliamo di linguaggio in senso globale, perché pensiamo a sistemi simbolici verbali e nonverbali (parole e gesti), anche se riserviamo un compito importante alla parola, soprattutto nel momento riflessivo, come atto di metacomunicazione dell'esperienza stessa.
    Facendo così allacciamo profondamente parola, gesto e vissuto.
    Troppo spesso abbiamo invece contrapposto parola e esperienza. E così la parola e rimasta vuota rincorsa di suoni, senza agganci con l'esistenza, e il fare esperienza è diventato una ragione in più di incomunicabilità.
    È urgente superare questi limiti, per le gravi conseguenze che hanno in campo educativo e pastorale. Bisogna ridare ai segni linguistici il sapore della vita e trasformare le esperienze in nuovi segni linguistici, carichi di espressività allargata e condivisa. Per raggiungere questi obiettivi si richiede, da una parte, di privilegiare il momento esperienziale.


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