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    Regole per costruire un buon racconto



    Narrare per la speranza /6

    Riccardo Tonelli

    (NPG 2007-03-70)


    Una buona evangelizzazione non solo sa scegliere «fatti» capaci di diventare «fatti salvifici» e li sa organizzare in una storia che assomigli veramente alla struttura fondamentale dei vangeli, come storia a tre storie. Non si accontenta di un rapporto innovativo tra esegesi e comunicazione narrativa. Inventa persino una nuova lingua che sia capace di condividere più accuratamente frammenti forti della propria esperienza.
    Si richiede anche la ricostruzione di una trama narrativa che aiuti a scoprire il dono di unità che i diversi contributi offrono. Rifletteremo, tra un momento, sulle tre parabole della bontà misericordiosa di Dio, che Luca ci narra al cap. 15 del suo Vangelo, con la pretesa di essere «una sola» parabola», narrata da Gesù per giustificare la sua simpatia nei confronti dei peccatori. Quando l’evangelizzazione distrugge questa trama unitaria, con tutta la buona volontà di questo mondo, sfigura il volto di Dio che Gesù ci consegna.
    Si richiede inoltre di saper centrare il racconto sul personaggio che davvero sta al suo centro, evitando le tentazioni, oggi facili, di perdersi in una folla anonima di personaggi o, peggio, accogliendo modelli che sono dispersivi rispetto alla buona notizia annunciata. L’esempio, su cui ritornerò con forza, della vecchia abitudine di riferire la pagina commovente di Gesù che si fa vicino ad ogni persona che lo ricerca, come… parabola del «figlio prodigo» rappresenta uno dei peggior esempi di una cattiva ricostruzione.
    Le due regole studiate in questo contributo ci consegnano compiti di grosso respiro.

    La trama del racconto

    Ogni racconto esige una trama. Senza trama non c’è racconto. La trama offre il tessuto connettivo al racconto, introducendo un rapporto di consequenzialità e di causalità, che mostra esiti possibili e livelli di coinvolgimento raccomandati.
    Trama è la struttura unificante che collega le diverse peripezie del racconto e le organizza in una storia continua e logica. In questo, dà senso al racconto e offre unità d’azione ai diversi elementi. La cronaca elenca i fatti. La trama li organizza in una sequenza giocata tra cause ed effetti. Produce così coinvolgimento là dove la descrizione assicurava solo informazioni. Il destinatario del racconto percepisce, in ciò che viene riferito, qualcosa di diverso dal semplice agglomerato di fatti. Per questo, si sente maggiormente coinvolto e più decisamente sollecitato a prendere posizione personale.
    L’evangelizzazione è un intreccio di fatti raccontati. Ciascuno e tutti nell’armonia dell’insieme, hanno bisogno di una trama, forte e speciale, orientata a rendere attuale il messaggio e ad assicurare la contemporaneità tra gli eventi narrati e le storie del narratore e di coloro cui la narrazione è offerta.
    Questa trama, tessuto connettivo prezioso per le informazioni che diventano messaggio, non è prima di tutto da inventare. Al contrario, va scoperta.
    La fonte è, come sempre, il dato normativo dell’esperienza cristiana, quei contenuti che fanno autentica la proposta e, più concretamente, le fonti che li ispirano e ce li consegnano.
    Faccio qualche esempio, per dire la regola comunicativa che sto suggerendo, da una sua applicazione.
    È molto interessante riflettere su come il Vangelo di Luca introduce le tre parabole della pecorella smarrita, della moneta persa in casa e del padre che accoglie nel suo abbraccio il figlio che torna a casa, dopo le tristi avventure in terra lontana (si veda il cap. 15 del Vangelo di Luca). Ciascuna di queste tre storie ha una sua trama. Il Vangelo però le collega… in una specie di racconto unico, che dà senso globale a tutte le tre storie. Nel testo di Luca, infatti, le tre parabole sono presentate come un’unica parabola, una specie di unico grande racconto, capace di collocare storie diverse in una trama unificante: gli elementi diversi funzionano come tessere originali per un mosaico affascinante. «Gli esattori delle tasse e altre persone di cattiva reputazione si avvicinavo a Gesù per ascoltarlo. Ma i farisei e i maestri della legge lo criticavano per questo. Dicevano: Quest’uomo tratta bene la gente di cattiva reputazione e va a mangiare con loro. Allora Gesù raccontò questa parabola» (Lc 15, 1-3). I tre racconti, letti all’interno di questo tessuto connettivo, assumono un significato tutto speciale. La storia raccontata non è solo il resoconto poetico dei gesti di un pastore preoccupato della sua pecora e neppure quella, commovente, del padre che aspetta con ansia il ritorno del figlio ingrato e trasforma il giusto rimprovero in un invito alla festa. Dentro la trama offerta dal testo evangelico diventano segni narrativi di chi è Dio per noi, del suo atteggiamento nei nostri confronti, di una vicinanza che si fa accoglienza incondizionata, come strumento privilegiato per invitare alla conversione.
    Tutto questo spinge a leggere (e a riproporre) i racconti come modalità unica per cogliere tratti concreti del volto di Dio, che cerca, si preoccupa, accoglie ciascuno di noi. Una lettura che privilegia aspetti parziali rispetto all’insieme o che utilizza in modo strumentale qualche particolare funzionale, tradisce la pagina del Vangelo e quindi, in qualche modo, deprime l’autenticità della evangelizzazione.
    La stessa citazione del Vangelo di Luca ci suggerisce un altro esempio.
    Nel racconto del padre misericordioso (Lc 15) uno spazio ampio è riservato per il fratello che si rifiuta di entrare in casa per gelosia.
    Su questa figura ci possiamo scatenare nell’invenzione di approfondimenti e analisi. Stanno tutti dalla parte del fratello, del suo mugugno, delle parole pesanti con cui parla del fratello (che si vergogna a identificare come fratello suo…). Qualche evangelizzatore propone persino una conclusione al racconto che proprio non c’è.
    Una trama di questo tipo, utile di certo per dare spessore al racconto, introduce però una pericolosa vena di moralismo. Non dà speranza, ma solo qualche buon consiglio che ha poco della forza del Vangelo.
    Anche il richiamo al fratello del ragazzo scappato di casa serve a Gesù per rilanciare l’amore accogliente del padre, dando quindi un volto commovente a Dio. È bello immaginarlo disposto ad interrompere la cena di festa per correre incontro a chi si è rifiutato di entrare in casa solo per ripicca.
    Così dà speranza e fa scoprire, dal concreto del racconto, che «qualunque cosa il nostro cuore ci rimproveri, Dio è più grande del nostro cuore (1Gv 3, 20).
    Questa regola comunicativa ci consegna la necessità di utilizzare in modo corretto la trama narrativa, ricostruendola a partire dalle fonti originali.

    I personaggi: alla scoperta del «protagonista» autentico

    La trama funziona come l’intelaiatura per un ombrello: senza intelaiatura l’ombrello non si regge, ma con la sola intelaiatura ci si ripara davvero poco dalla pioggia. L’ombrello ha bisogno di un rivestimento per funzionare come ombrello. I personaggi sono il rivestimento della trama.
    I personaggi vestono il racconto; gli danno colore, vivacità, contemporaneità. I personaggi sono il lato visibile della trama. Senza essi la trama è ridotta allo stato di scheletro. Trama e personaggi fanno il racconto.
    I personaggi sono tanto decisivi, come la tela per l’intelaiatura dell’ombrello, che spesso il racconto viene designato con il nome dei personaggi. La storia del ragazzo che scappa di casa e, quando decide di tornare, ritrova l’abbraccio accogliente del padre, la possiamo intitolare la storia del «figlio prodigo», se ci piace accentuare la cattiveria del figlio (chissà poi per quale ragione lo definiamo «prodigo»… riducendo a ben poco la sua responsabilità); la possiamo intitolare invece la storia del «padre misericordioso» se ci sta a cuore riportare l’attenzione sull’amore sconfinato del padre.
    L’esempio non è scelto a caso.
    I personaggi sono tanto decisivi rispetto al racconto, alla sua attualizzazione e al suo significato salvifico, da risultare di grande importanza la loro scelta e il peso che ad essi viene affidato nelle narrazioni evangeliche. Quando, infatti, il racconto vuole solo avvincere e un poco sedurre, l’enfasi cade su alcuni personaggi a scapito di altri. Non solo la storia diventa quella del «figlio prodigo», ma ci si sofferma in particolari poco rilevanti, immaginando luoghi e avventure di questo ragazzo in terra lontana, con la speranza di assicurare meglio l’attualizzazione perché si usano i toni forti. Se il racconto mira, come ha fatto Gesù, a far sperimentare l’abbraccio accogliente di Dio, senza misura e senza inutili rendiconti, il personaggio centrale resta lui, il padre che attende, che esce di casa, che butta le braccia al collo al figlio (e persino al fratello maggiore), che ordina la festa nonostante il realismo del tradimento.
    La regola comunicativa che stiamo studiando ci chiede un doppio convergente lavoro.
    Dobbiamo prima di tutto, decifrare quali sono i personaggi principali nel testo evangelico che serve da riferimento alla nostra narrazione. In un secondo momento, siamo sollecitati a costruire narrazioni che sappiano rimettere al centro le figure che riproducono anche oggi gli stessi personaggi.
    L’impresa non è facile. Ma è irrinunciabile. Lo sappiamo bene: nella nostra cultura l’attenzione alla centralità di determinati personaggi rappresenta un gioco multimediale raffinato, molto più eloquente delle parole che vengono scambiate. Li rivestiamo di fascino, gestito ad arte, proprio per rendere più convincente la loro proposta. Una evangelizzazione orientata verso la speranza capovolge spesso queste logiche.
    Ritorno ancora all’esempio del «figlio prodigo». Se accentuo la sua figura o se mi concentro su quella triste del fratello, invidioso e casalingo, costruisco una proposta che di speranza ne consegna davvero poca a chi si trova immerso nella trama della quotidiana disperazione. L’incontro con un padre, disposto a tutto, accogliente in un amore gratuito, diventa invece una forte esperienza di speranza, appena decidiamo di rimetterci in cammino verso casa.
    Davvero, una prospettiva è tanto diversa dall’altra.
    La risonanza salvifica richiede il passaggio, facile e spontaneo, tra i personaggi del racconto e le situazioni che hanno a che fare con le persone e gli avvenimenti che conosciamo d’esperienza diretta. I personaggi sono quelli della storia evangelica, resi tanto vivi da diventare nostri contemporanei; oppure sono quelli che noi conosciamo nella trama dell’oggi, carichi di logiche e di prospettive che ci riportano, quasi in filigrana, ai personaggi del tempo lontano. Tra questi personaggi si inserisce l’unico nome in cui avere vita e speranza: è presente in prima persona, quando il gioco dei personaggi è quello evangelico; è egualmente presente, anche se evocato e nascosto, quando il racconto riferisce di una storia contemporanea.


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