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    Se anche il tuo cuore ti inquieta



    Riccardo Tonelli

    (NPG 1997-07-5)


    «Ho paura che, questa notte, mi troverò da solo, circondato soltanto dai miei nemici». È triste restare da solo, abbandonato da tutti. Ed è più sconfortante ancora scoprire che i traditori si annidano tra gli amici.
    «Questa notte mi lascerete solo. Sarò tradito da qualcuno di voi».
    Le parole di Gesù cadono, dure e impietose, tra i discepoli, radunati per mangiare la cena di festa. Restano senza voce, sconfortati e amareggiati. Possibile? Tradire Gesù? Abbandonarlo dopo tutto quello che è stato per ciascuno. «Perché dovremmo farlo?», si chiedono l’un l’altro. «Per paura», incalza Gesù. I nemici si sono organizzati. Sono decisi a tutto. Non ne possono più. Arriveranno armati fino ai denti, decisi a tutto: o questa volta o mai più.
    «Mi lascerete nelle loro mani... Anzi, qualcuno passerà persino dalla loro parte, per paura di fare la mia stessa fine».
    Pietro non ne può più. Esplode, sicuro come sempre: «Gesù, questo poi no. Io non ti tradirò mai... Sta’ certo: anche se tutti dovessero abbandonarti, io no. Non lo posso fare. Sei tutto per me. Ho lasciato tutto per stare con te... vorresti che proprio nel momento più impegnativo cambiassi parere?».
    «Pietro... anche noi... tutti. Mai e poi mai... Gesù, sta tranquillo... staremo con te anche se dovesse costarci la vita». Lo gridarono tutti, ad una sola voce.
    Gesù tace. Cambia discorso. Ritornano i toni della festa.
    Passano poche ore e i timori di Gesù si avverano puntuali.
    È solo nell’orto. Prega il Padre, affranto dalla minaccia che gli incombe. Prega e suda sangue. Gli altri, i discepoli, persino i più fedeli, dormono tranquilli, intorpiditi dalla fatica e dalle emozioni.
    Poi, all’improvviso, arrivano i soldati. Gesù è arrestato e trascinato davanti al tribunale.
    I discepoli si disperdono. La debole resistenza è controllata da Gesù stesso, pronto al perdono anche nel momento conclusivo.
    Pietro vaga un po’ disperato nella notte di Gerusalemme. Poi arriva nel cortile del tribunale. Sopra, tra urla composte, Gesù è giudicato. Sotto, attorno al fuoco, Pietro aspetta. Vuol sapere come le cose finiranno, ma non ha nessun’intenzione di farsi riconoscere. Non vuole rischiare. Incomincia già a tirarsi indietro, lui che, qualche ora prima, a parole, dichiarava di essere pronto a tutto per il suo maestro.
    Si avvicina una donna. Non ha nessuna pretesa. Sa di contare poco in quel cerchio di uomini, che stanno scaldandosi al fuoco e commentano i fatti del giorno. Lei, poverina, è persino una serva di casa. Deve stare attenta: oltre a non darle eccessivo ascolto, le possono far perdere il posto.
    Prima ascolta. Poi butta lì una costatazione. Forse è solo un po’ di curiosità o il tentativo di farsi notare. Non è certo un atto d’accusa. Per carità... non se lo può permettere davvero. «Senti, Pietro... ma tu quel Gesù che stanno condannando... lo conosci? L’hai frequentato? Che tipo era?». Pietro scatta, punto sul vivo: «Mai visto... che ti viene in mente? Che razza di domanda mi stai facendo? Per favore, siamo seri».
    La donna non è convinta. Si ferma e ascolta. Pietro si è messo a parlare, come un fiume in piena. Vuole dimostrare che non ha proprio niente da spartire con Gesù. La donna insiste: «È difficile immaginare che tu non lo conosca. Parli come lui. Hai la stessa inflessione di voce. Scommetto che siete dello stesso paese. Possibile che non lo conosca?».
    Questa volta Pietro non ne può più. La paura lo stringe alla gola. «Basta», grida, «fatela smettere. Dice solo sciocchezze. Mai visto quel Gesù lì». Lo scatto di Pietro è stato controproducente. Qualche altro sembra confermare la costatazione della donna. Pietro giura e spergiura: «Io Gesù non so chi sia. Mai visto. Lo condannino se lo merita. Lo lascino libero se non ha commesso nulla di grave. Io non lo so. Non me ne importa nulla. E smettetela... una buona volta. Mi avete infastidito». Si alza per andarsene. Vuole dimostrare che ha ragione lui. L’hanno offeso e se ne va. Ha fatto solo due passi e si trova avvolto nella disperazione della morte. «L’ho tradito. Ho tradito Gesù. L’ho tradito perché sono un vigliacco. Non mi costava nulla... e l’ho tradito. E adesso... cosa faccio? Dove posso fuggire? Ho tradito il mio Signore. L’ho condannato io alla morte».
    Si ferma. Dalla scala scende qualcuno. È Gesù, circondato dai soldati, legato come un malfattore. Condannato due volte: dal giudizio perverso e dal tradimendo del suo amico. Pietro guarda Gesù. L’ultimo sguardo e poi... non gli resta che la morte del disperato.
    Gesù guarda Pietro. Uno sguardo dolce: un profondo abbraccio accogliente. Non l’aveva mai sperimentato come questa notte. Gesù gli butta le braccia al collo... a lui, a Pietro il traditore per paura?
    Gli sguardi si incrociano rapidissimi. Non c’è tempo neppure per una parola. Non riesce a gridare neppure «Gesù». I soldati lo trascinano via, a strattoni e a spinte.
    Pietro ferma il tempo. Lo sguardo di Gesù si fa parola. Sente l’eco lontana di una bellissima storia, raccontata qualche mese prima da Gesù. Allora non l’aveva capita tanto bene. Gli sembrava strana, troppo rassegnata. Adesso la riscopre tutta: è sua... la sua storia.
    «Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro le sostanze. Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. [...] Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno il pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni. Partì e si incamminò verso suo padre. Quando era ancora lontano, il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non son più degno di esser chiamato tuo figlio. Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l’anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa» (Lc 15, 11-32).
    La storia l’ha trasformato. Gli ritorna il sorriso sul volto. Non ha più paura. L’abbraccio di Gesù ha distrutto il suo peccato. È tornato quello di prima, con un’esperienza in più, che l’ha cambiato dentro e gli ha fatto toccare con mano l’amore accogliente di Dio.
    Un giorno aveva chiesto a Gesù: «Tu dici di perdonare. E sono d’accordo. Non hai detto però quante volte bisogna perdonare. Quante volte?». Gesù non propone dei numeri. Dice a Pietro: «Fai tu... mi raccomando: sii generoso. Non si sa mai». Pietro aveva tentato il massimo della generosità che gli sembrava possibile. «Gesù... sette volte... va bene?». Si aspettava da Gesù un rimprovero: «Troppo. Stringi, Pietro... Il peccato non può essere preso alla leggera».
    Gesù lo sgrida per la ragione opposta: «Troppo poco. Si perdona sempre. Tutto può essere perdonato, senza limiti di tempo e di numero. Basta fidarsi dell’amore di Dio e affidarsi a lui, come un bambino alle braccia della madre». «Ricordati», insiste Gesù, «se anche una mamma potesse dimenticare il figlio, Dio non ci dimentica mai».
    Anche in quella circostanza, Pietro era rimasto con i suoi dubbi. E se Gesù fosse un pochino esagerato?
    Adesso riscopre tutto. Il suo tradimento... altro che sette volte. Da solo vale tutti i peccati di questo mondo.
    Gesù, con uno sguardo, lo avvolge del suo amore accogliente. Con il volto ormai trasfigurato dai pugni e dagli sputi, gli dice: «Pietro, coraggio facciamo festa. Ti avevo perso e ora sei mio, per sempre».
    Pietro esce di corsa dal cortile del tribunale. Cerca i suoi amici. Li raduna. Racconta il suo tradimento tutto d’un fiato. È contento. Non sta nella pelle. Ha toccato con mano il perdono di Gesù, lui che avrebbe meritato il castigo più duro.
    Qualcuno gli raccomanda il silenzio. «Pietro, non dirlo a nessuno. Ci fai una pessima figura. Mettiamoci una pietra sopra: facciamo finta che non sia successo nulla. Ti assicuriamo anche noi il silenzio. L’avventura della Chiesa incomincerebbe male. Scusa, sai, Gesù ti ha affidato una responsabilità grossa: hai una dignità da far valere».
    Il parere di Pietro è tutto il contrario. Non riesce proprio a tacere. Lo racconta a tutti. «Ho tradito il maestro nel peggiore dei modi. E mi ha buttato le braccia al collo. Sono il ragazzo scappato di casa, che il padre sprofonda nel suo abbraccio accogliente. Lo dobbiamo dire a tutti. Ho sperimentato la più bella notizia della mia vita».
    Ha fatto tanto e ha gridato tanto che, controvoglia, hanno dovuto registrare l’accaduto nei testi del Vangelo. Era troppo importante per metterci una pietra sopra.
    Il commento più bello se l’è riservato, più tardi, Giovanni nella Lettera scritta ai cristiani tanti anni dopo la morte di Gesù: «Anche se il nostro cuore ci condanna, Dio è più grande del nostro cuore» (1 Gv 3,20).


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