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    Il «nodo» dell'impegno politico nella pastorale giovanile



    Riccardo Tonelli

    (NPG 1975-03-17)


    Abbiamo l'impressione che il tema «fede-politica-storia» sia oggi, per molti giovani, il «nodo» della pastorale giovanile, quel punto cruciale in cui si gioca la verità dell'integrazione tra fede e vita. Sono molti i giovani e i gruppi ecclesiali passati dall'impegno politico all'ateismo e alla irrilevanza religiosa. Troppi per pensare che si tratti di scelte casuali. Perché? Fa veramente problema costatare come a questo tavolo di verifica saltino le costruzioni educative e pastorali elaborate con tanta cura. È tempo di fare marcia indietro? È tempo di rilanciare alla sola età adulta la dimensione storico-politica della fede, scoprendo, per la pastorale giovanile, nuove aree in cui parcheggiare l'entusiasmo e la sensibilità dei giovani? Qualche educatore lo pensa. E non pochi lo stanno, forse, sognando.
    Noi crediamo, a partire dalla fede, alla necessità di un impegno storico. Il progetto di pastorale giovanile che la rivista ha elaborato in questi anni, connota un preciso coinvolgimento politico.
    Non vogliamo ritrattare nessuna delle molte affermazioni, teoriche e pratiche, che hanno percorso le pagine precedenti.
    Anzi, ci pare che la crisi di fede in cui sbocca qualche volta l'impegno politico possa ricondursi proprio ad una non matura comprensione e interiorizzazione di quelle posizioni.
    Su questa ipotesi vogliamo aggiungere un contributo di riflessione, indicando, tra i motivi della crisi, la conseguenza di una parziale comprensione del ruolo della fede, nell'integrazione con la storia.

    Crisi di fede per assenza di impegno

    Per molti giovani l'impegno storico-politico è oggi irreversibile. Fa parte del loro esistere, qui ora. Forse in termini più emotivi che razionali, più entusiastici che tecnici. Ma il fatto resta. La crisi di fede diventa per essi logica conseguenza di ogni proposta pastorale che non afferri in blocco questa sensibilità: è parlare di Dio lontano dalla vita reale.
    Molti giovani sono purtroppo maturati in una fede povera di presa sociale: l'intimismo, l'individualismo, un certo qualunquismo storico, hanno segnato per troppo tempo la pastorale giovanile. Oggi essi lasciano la fede, alla ricerca di motivazioni più significative e più esistenziali, per la carente «educazione» religiosa ricevuta. La crisi è scoppiata oggi, sotto la pressione culturale. Ma era nelle premesse. Era nell'aria proprio quando le cose sembravano filare per il verso giusto. Sarebbe grave ripercorrere oggi il cammino battuto un tempo, chiudendo gli occhi all'emergere di un contesto sociale che preme d'intorno e rende sempre più conflittuale l'esperienza storica e l'appartenenza ecclesiale.
    Ci fanno perciò molta paura i rigurgiti di uno spiritualismo strano, che affossa la dimensione storica e sociale della fede, per affermarne la sua purezza e alterità. È vero: molti giovani, ammaccati dall'impegno politico, riscoprono la preghiera e il «deserto», sentono il bisogno di un ritorno al Vangelo, libero da ogni preoccupazione di immediata incarnazione operativa. Luoghi di spiritualità sono meta di lunghi pellegrinaggi giovanili. Sta facendosi strada l'adesione entusiastica a Gesù di Nazareth. Sono fatti decisamente positivi. Che costringono a pensare. Non vogliamo però avallarli solo perché esistono o, peggio, solo perché si concentrano attorno a valori oggettivi. La dimensione storica della fede è componente intrinseca. Non può essere svalutata, pena il rifiuto del Dio di Gesù Cristo. Il giovane cristiano ha scoperto l'impegno storico, forse a partire dalla riflessione sulla sua fede che il Concilio ha messo in movimento. Poi ne ha giustamente proclamato l'autonomia, ritrovando nella realtà le motivazioni sufficienti ad un corretto esercizio «politico». La fede gli rimane come «riserva critica»: come verità del suo esistere, con cui giudica le singole decisioni concrete che deve gestire, condividendole con tutti gli uomini di buona volontà, in una solidarietà che passa non sulla confessionalità ma sulla disponibilità a «liberare» l'uomo. Questa è una prospettiva molto matura: rispettosa dell'identità della fede e dell'autonoma consistenza del profano.
    Diversa è invece l'esperienza ecclesiale astorica e impersonale di non pochi giovani, ritornati a movimenti di spiritualità perché nauseati dalle storiche responsabilità. Ci sembra una fuga. Pericolosa perché radice di disintegrazione e di disimpegno. È premessa per un abbandono della fede, sotto la spinta di una nuova emozione, più affascinante di quella per cui si è provvisoriamente optato.

    Crisi di fede per una politicizzazione «radicalizzata»

    La crisi può scoppiare anche sul fronte opposto. Una politicizzazione radicalizzata della (o nella) pastorale giovanile può svuotare la dimensione di fede della pastorale stessa. Il problema è molto serio e tutt'altro che ipotetico oggi. Quando la pastorale giovanile perde di vista l'apertura verso il futuro della promessa, la continuità-discontinuità tra salvezza politica e salvezza escatologica, la centralità del mistero pasquale si condanna, di suo pugno, ad emarginare la fede, perché la rende insignificante e inutile. Sottolineiamo alcuni termini di confronto, da verificare con ampia disponibilità, per permettere all'impegno politico di essere «integrabile» in una matura esperienza di fede.
    * Bisogna rifiutare una pastorale giovanile che offra una fede «ideologizzata», una fede che spinga ad un «determinato» impegno politico (magari partitico), a partire dalla fede stessa. Quasi che dal Vangelo si potessero dedurre le basi per costruire o sostenere una «ideologia».
    * Bisogna rifiutare inoltre una pastorale giovanile in cui sia ridotta (nelle reali priorità) la missione evangelizzatrice alla sola sfera dell'impegno politico. L'impegno storico e la testimonianza sono indispensabili per rendere «credibile» l'annuncio, ne sono «dimensione costitutiva». Ma l'identità della Chiesa non si riduce a questa testimonianza. Essa è per l'annuncio della radicale novità della morte e risurrezione del Cristo, che «fa nuove tutte le cose». La pasqua è una promessa, capace di svuotare dall'interno ogni messianismo politico nel momento in cui lo assume. In questa forza, la Chiesa afferma l'utopia della fede: la conversione dell'uomo e la distruzione del peccato, per la pasqua di Cristo, cambiano il mondo!
    La pastorale giovanile gioca qui il senso ultimo del suo essere: essa mette in ordine i suoi compiti, in una gerarchia di valori che ridimensiona (senza svalutare) obiettivi e metodologie. L'evangelizzazione non è estranea all'impegno politico. Tutt'altro. Essa è però un modo «utopico» ma storicamente efficace, di impegno politico, che appella a quello strettamente storico.
    La sensibilità pastorale della Chiesa latino-americana ama parlare di due direzioni in cui vivere l'impegno politico. Ci pare una proposta molto stimolante.[1]
    «La prima è la scelta direttamente politica. Verso di essa il cristiano incanala la sua carità - il servizio a Cristo nell'"altro" - attraverso la mediazione di progetti, con la conseguenza che deve partecipare al potere. Essa fonda la sua scelta partitica, nella quale a suo parere la carità trova il suo alveo di liberazione più adatto ed efficace. A questo livello il suo impegno contemplativo diventa strategia e politica partitica.
    La seconda direzione dell'impegno per i "piccoli" è quella della scelta pastorale profetica, in cui la carità, sorgente della contemplazione, si canalizza nell'annuncio efficace ed operante del messaggio di Cristo sulla liberazione dei poveri e dei "piccoli". Tale messaggio diventa coscienza critica ed è atto ad animare le trasformazioni più profonde e risolutive in vista della liberazione. In questo senso, ha delle conseguenze sociali e politiche. Questa scelta è più carismatica e, per questo, meno diffusa».
    I due metodi non sono contrapposti, fino ad escludersi reciprocamente. Sono due tipi diversi di intervento, finalizzati allo stesso obiettivo. La pastorale giovanile deve offrire proposte e modelli in tutte e due le direzioni.

    Una «spiritualità» per l'impegno politico

    Il nostro discorso potrebbe essere condensato in una affermazione di sintesi: è importante compito della pastorale giovanile il proporre i grandi temi della fede e la spiritualità che ne consegue, in una reinterpretazione capace di tradurre il dato tradizionale in termini che abbiano significato per il tipo di impegno assunto oggi dai giovani cristiani. La dimensione sociopolitica di tale impegno è tra gli aspetti qualificanti. Quindi deve diventare il punto di riferimento di una corretta «spiritualità per la liberazione».
    Una spiritualità della liberazione è tutta da inventare. Abbiamo chiara la percezione negativa, nel rifiuto di «vie di uscita» inadeguate (come, per esempio, l'integralismo, la spiritualità degli intervalli, dell'intenzione, di una male intesa «consecratio mundi»).
    Sul fronte positivo stanno facendosi strada tentativi interessanti, che hanno bisogno di essere tradotti in sensibilità pastorale e in strumenti operativi. Sul piano educativo, la consapevolezza che i valori passano sulla mediazione dei modelli e delle esperienze, conduce l'operatore pastorale a ricercare e a favorire il contatto con comunità profondamente cristiane e fortemente impegnate che comunichino con i fatti una adeguata spiritualità della liberazione. Si tratta di un serio problema di «dosaggio» (il contrappeso del «deserto» dopo un forte impegno; e viceversa) e di «integrazioni» riuscite (la convivenza con una comunità che prega e lavora). Anche il tipo di «preghiera» che abitualmente viene usata fonda (o annulla) la ricerca di questa «spiritualità»: Pregare Giovane è un tentativo interessante di elaborazione di una preghiera per il giovane impegnato nella storia quotidiana.
    Ci mancano le esperienze concrete per andare oltre. In redazione stiamo studiando il tema, in collaborazione con teologi e operatori pastorali. Ci auguriamo, quindi, di poter completare presto il discorso, con proposte costruttive.

    NOTE

    [1] S. GALILEA, Spiritualità della liberazione, Queriniana, pp. 24-25. La citazione è tratta da ID., La liberazione come incontro tra politica e contemplazione, in Concilium, 1974/6, p. 43.


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