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    Gruppi ecclesiali e impegno politico: verso una classificazione delle esperienze



    Riccardo Tonelli

    (NPG 1973-01-49)

    CRITERI PER LA CLASSIFICAZIONE DEI GRUPPI ECCLESIALI

    Un «catalogo» per i gruppi giovanili?

    Tentare di catalogare i gruppi giovanili ecclesiali operanti oggi in Italia è un'impresa disperata. Il rischio di ridurre la vita ad un pezzo da museo non è la difficoltà più grossa. Se catalogare significa confrontare con un parametro, qual è l'unità di misura con cui accostarsi? Quale unità di misura, ammesso che se ne riesca a trovare una, regge il tempo utile per rimanere attuale?
    D'altra parte, siamo convinti che è necessario, anzi urgente in prospettiva educativa, avere un campionario di esperienze-«simbolo». L'affermazione può far rizzare i capelli a qualche patito dello spontaneismo ad oltranza.
    Andrebbe lungamente dimostrata, per essere credibile. Lo facciamo con qualche battuta.
    Ogni gruppo è debitore, nelle sue scelte, del contatto con altre esperienze: ciò che il gruppo, in un momento di particolare fervore, ha definito come propria «identità» (chi siamo) e propria «funzionalità» (che compito abbiamo verso l'esterno) dipende, in buona parte, dai contatti avuti precedentemente.
    Dipende cioè dalla cultura del proprio animatore: buona parte dei gruppi sono ciò che è il proprio animatore (non basta chiudere gli occhi per rifiutare la realtà); dipende da quella serie di incontri, fortuiti o programmati, con gruppi particolarmente significativi, con persone-chiave, con esperienze-pilota; dipende da quella visione delle cose che circola e che riscuote l'approvazione sociale.
    Non interessa qui l'entità di questa dipendenza ideologica. In quanto è un fatto, deve preoccupare in prospettiva educativa. Prima di tutto, ogni dipendenza ha un po' il sapore del «plagio», più pericoloso proprio perché interiorizzato con le etichette altisonanti di «scelta libera e consapevole...».
    La disponibilità alla verità resta sempre l'atteggiamento di base essenziale per ogni definizione di «identità» e di «funzionalità».
    E c'è un secondo motivo.
    Ogni gruppo spontaneamente tende ad assolutizzare la propria esperienza: a renderla non solo il criterio definitivo di ogni intervento, ma anche il criterio di verifica di quanto gli altri fanno. Questo porta il vantaggio della specializzazione ma nello stesso tempo il rischio della involuzione. Difficilmente si avrà il coraggio di spalancare le finestre ad una boccata di aria fresca, quando non si riesce ad avvertire di starsene rincantucciati al chiuso: non solo la propria esperienza passa come l'unica-assoluta, ma si giunge al rifiuto di ogni confronto. Il gruppo si uccide così, con le proprie mani.
    Dipendenza ideologica inconsapevole e rischio di una involuzione sulla base della specializzazione ricercata, chiedono un rimedio.
    Ci pare che il rimedio stia in quel processo psicologico che passa sotto il nome complicato di «razionalizzazione»: «Vediamoci chiaro e così sapremo programmare una terapia». Il rimedio sta cioè nel coraggio di diagnosticare il male, chiamandolo con il proprio nome.
    Se dipendiamo da altri nella progettazione di noi stessi... vediamo un po' da chi di fatto dipendiamo, vediamo se è bene dipendere, vediamo ciò da cui dobbiamo continuare a dipendere e ciò da cui è opportuno invece prendere le distanze... Se siamo minacciati dal pericolo di divorarci lentamente (quasi un serpente che si mangia la coda...) cerchiamo di programmare qualche esperienza che ci aiuti a spalancare le finestre, per sopravvivere grazie alla novità.
    Dal punto di vista educativo e pastorale è in gioco non solo la sopravvivenza comunque del gruppo, ma il sostegno ad una fede matura e impegnata per i membri del gruppo. Se il discorso sta in piedi, tentare di catalogare i gruppi esistenti diventa urgente.
    Le descrizioni sono «categorie», quindi le tinte hanno perso quelle sfumature che le rendono vive.
    Nessun gruppo si riconoscerà in pieno in uno dei ritratti del «catalogo». Se si trovasse dipinto in pieno, dovrebbe preoccuparsi: sarebbe talmente «perfetto» da essere pronto per uno scaffale di museo...
    Potrebbe essere relativamente facile documentare i vari «toni» con materiale ricavato dalla letteratura di gruppi che vanno per la maggiore. Il discorso sarebbe stato più concreto e più graffiante. Ma non lo facciamo, per permetterci il lusso di restare a livello generico. Costruire delle scatole con cui incasellare la vita è già un abuso. Infilarci a forza la vita, diventa manipolazione bell'e buona. Ogni operatore pastorale ed ogni gruppo che abbia voglia di sopravvivere alla propria storia e alla cattura della propria ideologia, potrà fare un suo disponibile confronto.

    Quali gruppi nel catalogo

    Sui banchi delle elementari abbiamo imparato che non è possibile sommare le carote con le pere.
    L'affermazione ha un sapore universale. Vale quindi anche in questo contesto. Quali gruppi nel catalogo?
    Ci sono gruppi totalmente disimpegnati, privi di ogni preoccupazione di incidenza verso l'esterno.
    Di questi non ci interessiamo.
    Sono da tener d'occhio non per quello che fanno, ma per ciò che non fanno.
    In queste pagine, quindi, sono «fuori tema» i gruppi che si cullano su vuoti discorsi di amicizia, che si crogiuolano in interessi coltivati al semplice livello di consumo, che recuperano nella ricerca di rapporti interpersonali il vuoto e l'anonimato che si respira nell'aria.
    L'esclusione categorica può far raggelare il sangue a più di un operatore pastorale. Molti dei gruppi giovanili che spuntano all'ombra del campanile sono a questi livelli. Quindi da buttare? Da distruggere senza pietà? Calma! Non sono perfetti (ma le cose perfette, quante sono?). Non hanno i problemi che si agitano in queste pagine. Ma sono la vita: quella banale ma «vera» di tutti i giorni. Non possono accontentare, sulla falsariga della loro esistenza. Ma sono un ottimo punto di avvio, se ciò che esiste è significativo sempre.
    Vanno guidati, condotti per mano, verso limiti più elevati di maturità. Questi gruppi, decentrati e sconvolti nel qualunquismo in cui si riconoscono attraverso contatti con esperienze di punta, diventano - presto e bene - un vero luogo di maturazione umana e cristiana, di circolazione di valori, un'agenzia di cambio sociale.
    Sul tappeto della ricerca stanno i molti gruppi che, a titoli e con modalità diverse, sentono di avere un peso nella società di cui sono parte e in cui sono immersi. Quei gruppi cioè che percepiscono come proprio corpo la storia quotidiana. Da essa traggono materiale per definirsi e verso essa sono proiettati.
    Se il termine non fosse equivoco, si potrebbe dire che oggetto di questa ricerca sono i gruppi di «impegno politico».
    Così è assodato uno dei due elementi discriminanti.
    Ce n'è un secondo, per definire l'ambito preciso di queste pagine. Gruppi proiettati in una dialettica attiva verso la realtà circostante, a partire da una propria identità cristiana.
    Non entriamo nel guazzabuglio di gruppi proiettati in un'azione sul collettivo «comunque». Ci preoccupiamo qui soltanto di quelli che avvertono di giocare, in questa azione, il proprio essere cristiani, la propria fede. Perché è proprio questa identità che fornisce l'unità di misura e di diversificazione. Ed è questa identità continuamente minacciata di «riduzionismo», di essere cioè spinta alla marginalità prima e alla insignificanza reale poi.
    Qualche ulteriore parola può chiarificare meglio l'assunto.
    Si accennava ad un impegno politico, letto evidentemente secondo le categorie redazionali (cf Note di Pastorale Giovanile, 1972/4) come azione sul sociale. Il modo di impatto sul sociale è definito dall'identità cristiana che «quel» determinato gruppo si riconosce. Una definizione del rapporto chiesa-mondo comporta un conseguente modo di agire sul mondo e sul sociale, fino, al limite, a contestare l'etichetta di impegno politico, proprio per la paura di bruciare l'ecclesiologia in cui si crede (contestazione evidentemente solo a livello retorico, perché ogni azione sul sociale è sempre «politica», come ogni modo di rapportarsi della chiesa con il mondo è sempre «politico»).
    Nello stesso tempo, è l'identità cristiana che in primo luogo è minacciata per il tipo di azione progettata. Se un gruppo prevede una batteria di attività per la cui esecuzione la fede è ridotta a dimensioni private (e quindi marginali), lentamente dallo spazio del primario (identità cristiana a livello privato) si slitterà alla marginalità accettata e quindi alla insignificanza reale.
    Queste battute, sono forse comprensibili in tutta la loro portata solo al termine dello studio. Ora hanno il compito di delineare l'ambito della ricerca.

    Una piattaforma comune: il portato della secolarizzazione

    Ci sono fatti che influenzano le scelte di una persona quasi a livello oggettivo. Non basta ignorarli per sfuggirne il condizionamento. Il peso reale non è proporzionato alla conoscenza. Anzi, forse, la proporzione è inversa: ad una minore conoscenza corrisponde un maggior influsso. Uno di questi «fatti» è la secolarizzazione.
    Nel rapporto tra fede e azione, nella maturazione di una identità, personale e di gruppo, essa gioca un peso notevole.
    Competenza e spazio non ci permettono di addentrarci in queste problematiche. Ma non possiamo neppure cancellarle con un colpo di spugna, rimandando unicamente a contesti specialistici.
    Riprendiamo alcune percezioni diffuse nell'aria. Non ci interessa ricercarne le matrici. Ma è importante porre il «clima» che ne deriva come piattaforma per comprendere le scelte dei gruppi. L'insieme di questi fenomeni descrive empiricamente il portato della secolarizzazione (letta più come fatto sociologico che come dato metafisico) nel momento nevralgico della socializzazione dei giovani e dei gruppi.

    La scoperta della dimensione personale della fede contro quella ufficiale

    Oggi sono caduti i modelli ufficiali cui adeguarsi per essere il cristiano-tipo: non hanno più alcuna presa; e qualche volta ingenerano il rifiuto esplicito e programmato. I giovani e i gruppi pongono chiaramente l'accento sul «proprio» peculiare modo di vivere e di essere «cristiani». Si pensi, per esempio, all'incidenza di questo fenomeno sulla preghiera e sulle cosiddette «pratiche religiose». Per molti giovani, i modi con cui si incarna quotidianamente la religiosità di base sono lontani (se non opposti) a modelli correnti fino a pochi anni fa.
    D'altra parte, però, ciascuno si socializza secondo modelli preesistenti. La socializzazione allo stato puro («sono come voglio essere») è una utopia... I giovani rifiutano i modelli ufficiali per affermare la propria scelta personale. Ma, nello stesso tempo, si attengono inconsapevolmente ai modelli che girano per l'aria. Sono cristiani non come lo era lo standard ufficiale di cristiani, ma secondo le sensibilità correnti.
    Ci vuole poco a costatare che per l'aria oggi vibra un umanesimo nuovo (qualcuno dice di tipo «profano», perché nato fuori - e talvolta contro - il raccordo esplicitamente religioso). Valori come libertà, solidarietà, giustizia, dinamicità della storia, servizio... sono sulla bocca di tutti. La scoperta che è «peccato» non più il non adeguamento ad una natura considerata immobile e statica, ma l'assenza di impegno per far camminare in avanti la storia, per rendere dinamica questa «natura immobile»... fa parte ormai della cultura giovanile.
    Questo umanesimo profano è il nuovo modello in circolazione: nel progetto di sé che i giovani e i gruppi maturano gioca quindi un peso rilevante.
    Il «cristiano maturo» è colui che lotta per la giustizia e non più il «santo tradizionale» (si pensi alla mitizzazione di Che Guevara e soci... anche da parte di gruppi ecclesiali).

    La scoperta del gruppo contro l'anonimato e l'individualismo esaltato dalla società attuale

    La nostra società tende a relegare la religione e la chiesa a livello privato, creando per esse uno spazio solo nel primario. I valori che la chiesa-istituzione emette, anche se di natura loro sono totalizzanti (tali cioè da afferrare tutta la vita e fare da perno agli altri valori, come «sistema centrale» delle scelte e motivazioni), sono di fatto tra «i valori-che-non contano».
    È la tassa che la chiesa oggi deve pagare, se vuole conservare uno spazio istituzionale.
    Le strutture (scuola, parrocchia, vicinato...) non fanno più da supporto alla vita di fede. Si aggiunga il fatto dell'anonimato diffuso a livello sociale. Il giovane si sente solo, isolato. Ma avverte fortemente che la fede è significativa solo se è compartecipata: si può essere cristiani solo «assieme». L'esigenza di essere con altri è enfatizzata dal bisogno di vivere anche la propria fede con altri.
    Da qui l'opzione istintiva e entusiasta per il gruppo, come rifugio contro l'anonimato e come spazio istituzionale per vivere «con altri» una fede sociale.
    Il gruppo è il sostegno all'esperienza ecclesiale, ma ha in sé la minaccia dell'involuzione. La paura di perdere una cosa cara fa stringere i ranghi eliminando tutto ciò che può far scricchiolare la gratificazione psicologica, finalmente ritrovata nel deserto delle nostre città impersonali e pluraliste. È immanente la tentazione di far regredire l'esperienza di gruppo a livelli chiusi e consumistici.

    Il conflitto tra fede e impegno politico

    Ci vuole poco a toccare con mano come i valori religiosi comunicati dalla catechesi in voga fino a pochissimo tempo fa (e speriamo attualmente cancellata...), fossero valori privi di presa sul sociale (apolitici) e con forte dose di intimismo e individualismo.
    L'interiorizzazione di questi valori ha creato una personalità di base che non regge l'urto della scoperta della politica.
    Chi oggi si scontra con la necessità di impegnare la propria fede nella politica, si trova a combattere ad armi impari: la fede non ha presa sull'azione. Il conflitto è reso più tragico da un altro fatto.
    Molti giovani e gruppi sentono che il desiderio di un cambio sociale cozza contro molti dei valori che la chiesa-istituzione emette (si pensi ad una certa utilizzazione dell'obbedienza, dell'ordine, della rassegnazione, dell'amore e della pace...). Impegnarsi per cambiare la società significa, per questi giovani, fare i conti con l'educazione cristiana e quindi con la chiesa che ne è il segno e l'agenzia emittente.
    Si aggiunga il nodo teologico del rapporto tra salvezza e promozione umana, tra dimensione escatologica e socio-politica della liberazione.
    Ad un annuncio di salvezza che dimenticava il quotidiano dell'uomo per proiettarlo soltanto in un'attesa sopra-terrena, fa riscontro oggi la tendenza alla coincidenza perfetta e quindi ad ignorare le dimensioni soprannaturali della salvezza.
    Ci si trova nel fuoco di un conflitto di identità.
    «La forma unilaterale può essere una estrema alienazione religiosa o una maniera di estrema alienazione dell'impegno temporale.
    Nel primo caso si ha un dualismo che aliena dalla realtà: fa del cristianesimo il portatore di un annuncio del vangelo, ma di un annuncio intellettuale, concettuale. L'impegno concreto dipende da altre cose, non dalla fede stessa.
    Il Vaticano II ha catalogato questo come uno dei peggiori errori della nostra epoca: il divorzio tra fede e impegno storico.
    La seconda alienazione è un po' un processo di reazione alla prima. Si fanno risaltare in tal forma i valori temporali, l'impegno sociale e politico, da dimenticare lo spirito del vangelo che deve animarlo. Da dimenticare che tutti questi valori devono essere orientati verso Cristo e sintetizzati nella liturgia, dialogo dell'uomo immerso nella storia, con Dio (nel senso dell'affermazione di Ireneo: "Homo vivens, gloria Dei": la storia è la gloria di Dio!)».
    È difficile trovare l'equilibrio che salvi dalla doppia tentazione di alienazione, anche perché non si tratta di creare un impasto in cui la formula dica il «quanto basta» dell'una cosa e dell'altra. La sintesi va maturata a livello concettuale, perché sia traducibile in una prassi che salvi l'identità cristiana nell'impegno politico. Altrimenti c'è il rischio di rifiutare l'impegno politico per paura di smarrire la fede o di rifiutare la fede, catturati dall'impegno politico (favoriti dal fatto che una certa fede ha poco da dire nell'impegno storico e che chi annuncia ufficialmente la fede lo fa talvolta con una vita che contraddice il messaggio).

    La polemica contro le istituzioni

    La relativizzazione degli assoluti, la percezione che non esistono valori-limite invalicabili, comporta tra l'altro la caduta dell'argine di sostegno che derivava un tempo dalle istituzioni. Ciò che una volta serviva ottimamente per rabberciare alcune naturali falle, oggi non dice più nulla. Si fa spesso di ogni erba un fascio, rifiutando tutto in blocco.
    Le «istituzioni» (quelle benedette «strutture» che formano sempre l'oggetto dei nostri lamenti...) sono quasi sempre parte preponderante di questo «fascio di cose inutili». In ogni progettazione si ha paura di essere catturati da strutture, lette sempre e comunque come limite-alla-libertà, si osanna allo spontaneismo, si giunge ad aver timore che lo studio serio tarpi le ali dell'entusiasmo, si mitizza la utopia a scapito di un briciolo di sano realismo.
    Il quadro è tracciato a grossolani colpi di pennello perché ha solo la pretesa di fornire un indice per ricerche e riflessioni personali più approfondite.
    Quando si afferma che i giovani e i gruppi vivono dentro questi fenomeni, qualcuno arriccia il naso, preso dal concreto della propria esperienza. E, in parte, ha ragione. Affermare che le cose vanno così per tutti i giovani, è certo una notevole esagerazione.
    Solo una ridotta percentuale di giovani ha coscienza di questi dati.
    Gli altri ne sono più o meno lontani. Hanno altri grilli per la testa, si dice. Quindi, il discorso non calza?
    Tutt'altro. Per due motivi. Questa sensibilità è nell'aria: sono cose comunque respirate. O a livello consapevole e riflesso. O immagazzinate inconsapevolmente. Avere i polmoni carichi di smog senza saperlo... non è certo più salubre dell'averne coscienza.
    Inoltre, la storia cammina, più o meno, verso queste direzioni. L'educatore accorto, animato di fede e amore, per non subire il rischio di passare la sua giornata a rincorrere affannosamente il treno della vita... prende il coraggio a due mani e anticipa, una buona volta, le tensioni della storia. Realismo, concretezza: d'accordo. Ma proiezione in avanti, quanto basta per non essere travolti.

    TIPOLOGIA DI GRUPPI GIOVANILI ECCLESIALI

    Dunque, guardiamoci attorno, per cercare di costruire una tipologia dei gruppi giovanili ecclesiali, impegnati, seppure a titoli e in forme diverse, come agenzia di cambio sociale.
    Appare molto evidente una costatazione: il bagaglio dei valori che il gruppo si trascina, l'ecclesiologia in cui si riconosce (soprattutto nei confronti del rapporto chiesa-mondo) giocano un peso notevole nel definire la propria identità e la propria funzionalità. Ci si deve richiamare lì, per capirci qualcosa.
    Ancora una sottolineatura, prima di addentrarci nella questione. La descrizione è per categorie, quindi amplifica i tratti caratteristici per evidenziare meglio la fisionomia.
    La descrizione, inoltre, è destinata agli operatori pastorali e agli animatori dei gruppi. Per questo, spesso, affiorano, tra le righe, precise preoccupazioni di ordine educativo e pastorale.
    Non possiamo sederci a tavolino a smontare la vita, senza avvertire che ciò che abbiamo tra mano è quanto ci è più caro, il significato stesso della nostra esistenza e del nostro servizio.
    Per rendere più organico il quadro utilizzeremo un dettato comune. Ogni esperienza sarà letta secondo queste chiavi:
    - Rapporto chiesa-mondo: si tenta di evidenziare alcune scelte teologiche che possono stare alla base dei gesti che i gruppi fanno come «chiesa verso il mondo». Spesso, come si diceva, il rapporto tra cultura e attività è solo a livello implicito; le motivazioni che sorreggono le varie attività sono altre e diverse. Ma questo fatto pone evidenti problemi educativi: è necessario chiamar le cose con il proprio nome.
    Il tentativo è affrettato e generico. Ha solo la funzione di stimolo a ricondurre alcune scelte alle motivazioni che le sorreggono.
    - Matrice: la dipendenza storica è un fatto pacifico. Alcune sensibilità - e alcune paure - che corrono nell'aria determinano una batteria di scelte. La teologia diventa ideologia. I contenuti dell'ecclesiologia e dell'antropologia cristiana sono vastissimi: c'è spazio per tutte le posizioni. Per quale optare, tra le tante? Quale elemento erigere come punto di perno? Quale pagina enfatizzare e quale mettere tra parentesi? La risposta non avviene di generazione spontanea. Come non è casuale l'accento posto dopo il Tridentino su Mt 16 a scapito, per esempio, di 1 Cor 12. Come non è casuale la preferenza di alcuni gruppi per 1 Gv 3 e 4 o per Mt 25 o per Giac, a scapito di altre pagine della Scrittura... Si ideologizza una ecclesiologia, ci si crea la propria visione delle cose facendola quella assoluta, in base ad una certa dipendenza storica. Chi è devoto del marxismo, si creerà una sua ecclesiologia e antropologia, leggendo, secondo alcune chiavi, l'ecclesiologia e l'antropologia in assoluto. Gli elementi «rapporto chiesa-mondo», «matrice» e «definizione di chiesa» di cui si accenna più sotto, sono correlativi e, in sintesi, estremamente interessanti per cogliere il significato attuale di un gruppo ecclesiale di impegno politico.
    - Metodo di intervento: descrive a tratti veloci come il gruppo si configura all'interno e verso l'esterno; quali elementi sono sottolineati con maggior insistenza e quali invece sono preferibilmente rifiutati.
    - Definizione condivisa di chiesa: se il gruppo desidera conservare il tono ecclesiale, ha bisogno di vivere dei momenti esplicitamente ecclesiali. Deve cioè creare all'interno della vita normale di gruppo uno spazio ecclesiale, una esperienza di chiesa. Questo «spazio», i modi con cui lo si definisce, gli argini con cui lo si difende, sono trasportati alla chiesa «simpliciter», attraverso un processo di universalizzazione. Ci spieghiamo meglio, con qualche esempio. Il gruppo che collega la propria ecclesialità all'insieme delle azioni che compie - dalla eucaristia celebrata assieme al sit-in o al picchettaggio - vuole una chiesa immediatamente coinvolta in una azione di promozione della giustizia e quindi contesta la definizione di chiesa «neutrale e apolitica».
    Il gruppo che invece enfatizza i rapporti primari in nome della sua ecclesialità, ridurrà la chiesa al solo aspetto comunitario-intimistico. Il gruppo che vive l'esperienza di chiesa solo nella celebrazione dell'eucaristia e nella convocazione attorno alla parola di Dio, vorrà una chiesa senza strutture e senza impegni profani.
    Il rapporto è circolare: «questa» esperienza che stiamo vivendo è la vera esperienza di chiesa; quindi la chiesa come istituzione è vera se è così e solo se è così.
    - Valutazione pastorale: la rassegna termina con alcuni spunti di valutazione dell'esperienza, nei suoi aspetti positivi e in quelli problematici. Ogni valutazione è un fatto tipicamente soggettivo, le sottolineature sono relative ad una certa visione delle cose: nel nostro caso, quella in cui si riconosce globalmente la redazione di Note di Pastorale Giovanile.
    La valutazione inoltre non pretende di fare una gerarchia delle esperienze, indicandone una come migliore delle altre. Non se ne ha alcun diritto e soprattutto non sono disponibili i criteri per costruire questa «scala». Parlare di vantaggi e di rischi significa quindi indicare prospettive per una riflessione personale e suggerimenti per impostare una politica di «contrappeso di valori», come si dirà a conclusione dello studio.

    Gruppi in cui prevale la testimonianza

    Rapporto chiesa-mondo

    Esistono gruppi che si riconoscono in una ecclesiologia innervata soprattutto di valori a carattere intimistico e apolitico. Il rapporto chiesa-mondo è condotto sulla linea della testimonianza in vista di una conversione strettamente personale.
    L'elemento più significativo della testimonianza offerta è la carità tra i membri. L'amore che ci si porta («guarda come si amano») mette in crisi chi è abituato a rapportarsi con gli altri in una prospettiva di competitività e di aggressione continua.
    Il gruppo sente di avere una responsabilità verso gli altri e verso la società: sa di dovere intervenire per cambiare tante cose che non funzionano.
    Cerca uno spazio di intervento che sia incidente e in linea di continuità con l'elemento specifico della propria fede.
    Ciò che caratterizza il cristiano è l'amore (nella definizione operativa di amore entrano come elementi significanti anche se sotterranei quei valori a carattere intimistico, cui si accennava sopra). Le strutture della società sono rigide: è difficile un cambio sociale se non è preceduto da un cambio del cuore dell'uomo.
    Per questa sintesi (amore come elemento caratteristico e priorità della conversione personale su quella strutturale) le scelte preferenziali del gruppo corrono sul cambio nei rapporti interpersonali: un modo nuovo di «volersi bene» incide nella società a livello di testimonianza e sarà la scintilla che metterà in movimento una spirale di cambio sociale. La comunione che si instaura a livello di rapporti primari è già azione politica, è già liberazione.

    Matrice

    Una certa tradizione teologica pone il «mondo» «sotto il maligno»: quindi essenzialmente «cattivo», pericoloso, da sfuggire (la «fuga mundi» di un certo monachesimo tradizionale).
    I progetti di conversione sono sempre impregnati di pessimismo: difficilmente le cose potranno cambiare. Il «regno dei cieli» non sarà mai di questo mondo.
    Il cristiano è chiamato soprattutto a creare un modello alternativo come anticipazione su scala ridotta del regno. Quindi una comunità che viva secondo la legge della carità evangelica «convincerà il mondo di peccato» e porrà le basi per la sua conversione, anche se non potrà mai giungere al cambio radicale, stante la forza del peccato.
    I termini di questa tradizionale visione delle cose sono rivissuti dal gruppo e diventano la sua ideologia. Impegnarsi per cambiare le cose significa soprattutto creare un modello alternativo. Da qui la enfasi sui rapporti primari e l'accento sulla testimonianza, accompagnato dalla preoccupazione molto relativa di una sua attuale incidenza.

    Metodo

    Nella vita interna, il gruppo è tutto proteso a creare lo spazio per questo modo diverso di entrare in rapporto interpersonale. Vengono curati con scelta preferenziale tutti quegli elementi che favoriscono i rapporti primari. Si cerca di eliminare ogni fattore di urto nello spazio di vita del gruppo.
    Verso l'esterno il gruppo è proiettato in una dinamica di conversione del «cuore», attraverso la testimonianza personale e collettiva. Sono esplicitamente rifiutate altre attività a carattere più propriamente politico, anche se non contestate teoricamente. Non sembrano adeguate alla identità cristiana del gruppo e alla sua diretta funzionalità.

    La chiesa

    Per i membri di questi gruppi, la chiesa è soprattutto la comunità delle persone che si amano fino a condividere tutto. La chiesa degli «Atti» è il modello ufficiale cui tendere. Deve costruirsi come «spazio verde», come un'oasi fuori delle parti, quindi decisamente apolitica e neutrale.

    Valutazione personale

    È facile costatare come la scelta sia la più vicina alla lettura tradizionale del Vangelo. Questo tipo di gruppo incarna con maggior insistenza l'annuncio dell'amore come legge nuova del cristiano.
    Per questo soprattutto (e perché generalmente nelle comunità ecclesiali, giovani del genere non sono mai «scomodi», perché essi rifiutano in tronco i gesti di rottura e le compromissioni con forze politiche di non chiara confessione), il gruppo riscuote ampi consensi nei modelli ufficiali di approvazione sociale.
    L'esperienza però comporta alcuni grossi rischi:
    * È possibile oggi un amore cristiano che non sia anche politico? La definizione di amore condiviso realizza veramente la densità dell'amore annunciato da Cristo?
    * Il modello alternativo «noi/voi», la divisione in buoni e cattivi, il pessimismo con cui in ultima analisi si legge la storia... è totalmente evangelico? La parola di Dio viva oggi nella chiesa non ci chiede un atteggiamento diverso?
    * L'enfasi sui rapporti primari può portare lentamente il gruppo ad evadere dai problemi seri. Per il timore di creare frizioni all'interno, la mischia della vita è sempre lasciata fuori dallo spazio reale di gruppo. E così lentamente il gruppo diventa fortemente evasivo, alienante e massificante.
    * Non è sufficiente ignorare la pressione della società globale per non avvertirne il peso. La dinamica di gruppo l'insegna. Per permettere la verità dei rapporti interpersonali, è necessario «rompere» con i modelli di vita imposti dalla cultura della società. Altrimenti il gruppo è costretto a restringere sempre di più i propri confini di tolleranza. Ma così si chiude in una spirale senza sbocco. Presto ci si troverà irrimediabilmente condannati a morte.
    * È servizio sufficiente quello di dare una certa testimonianza o la fede cristiana non chiede oggi una «pressione» sugli altri, per aiutarli a liberarsi? In un contesto culturale che annulla facilmente la testimonianza in forza della coltivata contro-testimonianza (si pensi alla forza di persuasione della pubblicità e delle proposte della società dei consumi), che spazio di incidenza ha una testimonianza sposata per principio alla non-direttività?

    Gruppi impegnati come «contestazione permanente di ogni ideologia»

    Rapporto chiesa-mondo

    Si parte dalla costatazione che il messaggio cristiano trascende totalmente e radicalmente ogni ideologia. Si pone come sua contestazione profetica permanente. Stante questa alterità, non ha un contenuto particolare da proporre nella costruzione della storia se non a livello di critica alle assolutizzazioni dei modelli che l'uomo si costruisce con le proprie mani. La chiesa, e quindi il gruppo ecclesiale, è chiamata a «prendere le distanze» da ciò che esiste, per testimoniare la parzialità di ogni realizzazione e la necessaria tensione verso un futuro ben più grande e fascinoso delle realizzazioni anche le più riuscite.
    Il cristiano interviene sul sociale. Non può evidentemente restare fuori dalla storia. Ma interviene a titolo personale-privato. L'istituzione ecclesiale deve accettare la marginalità di fatto, non cercando uno spazio peculiare nella società.
    La sua presenza è attraverso le mani e il cuore dei singoli cristiani. Essi, nelle singole scelte strettamente private portano il contributo specificamente cristiano del «prendere le distanze», della contestazione permanente alle ideologie.

    Matrice

    Il cristiano s'accorge che le strutture, all'interno delle quali vive, non hanno più alcun segno esterno di qualificazione cristiana. Il gruppo, soprattutto, come fatto sociale, non può avere uno spazio riconosciuto e affermato se non rinunciando all'etichetta di ecclesialità.
    La chiesa, se vuole avere cittadinanza nella attuale società, deve accettare la marginalità.
    Non c'è scelta. I gesti di potere ottengono i risultati opposti a quelli per cui sono stati pensati.
    Questa percezione, spesso soltanto a livello inconsapevole, porta a razionalizzare il fatto: oggi non è possibile essere cristiani che a livello privato, dunque l'unico modo serio di esserlo è accettare di confondersi come il lievito nella farina, esercitando un'azione vivificante sotterranea. Il fatto induce la teoria.

    Metodo

    All'esterno ogni membro del gruppo agisce a titolo personale. Opera le sue scelte in base alla propria identità. Mai il gruppo è coinvolto e mai può accettare di esserlo. Anzi il gruppo lavora per sbaraccare quegli interventi suppletivi che ancora oggi la chiesa si trascina, come palla al piede ereditata da un passato «diverso».
    All'interno, il gruppo ha soprattutto funzione di riferimento culturale e spirituale, per una ricarica personale. Dentro il gruppo, gli individui che avevano giocato le proprie carte, militando nei vari movimenti profani, ritrovano un'area tranquilla, calda, accogliente, dove ristorarsi dopo la fatica e recuperare il nuovo necessario vigore. Nel gruppo soprattutto si coltiva quel profetico «prendere le distanze» così essenziale al servizio attivo dei membri.
    Il gruppo ha quindi strutture minime: quelle indispensabili per raggiungere lo scopo. Ogni struttura ha in sé il pericolo incombente di avvinghiare la chiesa a necessarie compromissioni con il potere sociale. L'impegno del gruppo è di accelerare, se ce ne fosse il bisogno, il processo di privatizzazione della fede.

    La chiesa

    Per i membri di questi gruppi, la chiesa ha la funzione di oasi, di «spazio verde». La comunitarietà non è però centrata sui rapporti primari ma sulla fede. L'unità è costruita sull'unico credo, anche se ciascuno lo vive con modalità diverse, a livello del sociale. La chiesa esiste nel momento in cui si celebra l'eucaristia e si ascolta la parola di Dio. Ogni ulteriore struttura è di appesantimento inutile e dannoso. L'esperienza ecclesiale del gruppo non è legata alla frequenza dei contatti funzionale per enfatizzare i rapporti primari, ma al momento tipicamente sacramentale della parola e dell'eucaristia.
    La chiesa deve restare apolitica, proprio per permettere l'unità sulla fede, al di là delle varie modalità attive con cui la fede è vissuta (l'eucaristia celebrata da persone che appartengono a partiti diversissimi, che hanno ruoli sociali opposti...). Non può però restare neutrale, perché il suo specifico sta nell'essere agenzia di continua contestazione di ogni ideologia e di ogni assolutizzazione. La denuncia profetica è la strada maestra del suo cammino nella storia.

    Valutazione pastorale

    L'ecclesiologia che fornisce il quadro di riferimento culturale a questa esperienza è fortemente stimolante. È ricca di fascino. Ed è suffragata dall'appoggio esplicito di molti autori riconosciuti.
    La percezione di fondo della scelta del gruppo anticipa il ruolo attuale della chiesa. Forse in un prossimo domani, le cose andranno decisamente così. E quindi è necessario prevedere per non soccombere.
    La prospettiva, infine, dà uno spazio sicuro alla responsabilità personale nelle singole scelte, liberando il laico dalla conduzione paternalistica clericale. Nello stesso tempo permette alla chiesa quella «libertà di manovra» che i molti vincoli attuali rendono difficile.
    È la condizione ottimale dell'adulto nella fede, dell'uomo maturo. Non mancano però i rischi:
    * È pensabile per gruppi di giovani (di persone cioè ancora in fase di maturazione) il gruppo del solo riferimento ecclesiale? L'appartenenza ad esperienze lontane dall'afflato ecclesiale non renderà presto difficile il ritorno al gruppo ecclesiale?
    In altre parole, il giovane cattolico riuscirà ad essere cristiano in forma esplicita, appartenendo sempre e intensamente a gruppi di impegno politico di estrazione marxista? Non sarà presto fagocitato da un vortice senza scampo.
    Ciò che è normale per un adulto, può essere problematico per un giovane.
    * Una definizione di chiesa come quella sottesa, come è conciliabile con la Gaudiunl et Spes (le gioie e le speranze... sono...) ? Non può farsi strada l'impressione che, esasperando l'alterità, si disincarni la chiesa, privandola del suo corpo quotidiano che è la storia?
    * Altro grosso rischio: la disintegrazione tra fede e vita. La continua marginalità della fede nei momenti significativi della vita può indurre a creare reale separazione. Si celebra una eucaristia piena di fervore, nel momento ecclesiale, mentre la vita quotidiana corre su binari totalmente diversi.
    * La vita del gruppo tenderà a toccare solo gli aspetti marginali, esterni. Se, per fare un esempio, il giovane che milita in «Lotta continua» porterà le sue scelte intime nel crogiuolo del gruppo, difficilmente troverà un punto d'incontro con colui che si riconosce in scelte d'ordine... Per non rischiare rottura, l'uno e l'altro saranno invitati a «non far politica» nel gruppo... e quindi a lasciare i problemi seri e reali fuori della porta. L'alienazione è incombente: il gruppo si riduce ad un piccolo ghetto di gente che vive senza problemi!

    Gruppi di diretta azione sul sociale

    Rapporto chiesa-mondo

    È facile sintetizzare la piattaforma culturale di questo tipo di gruppo, perché il discorso è ricorrente. La fede è immediatamente coinvolta nell'impegno politico. La salvezza affonda le sue radici in una liberazione socio-politica, o ne coincide totalmente.
    Per essere precisi dovremmo distinguere e suddistinguere. Con una battuta abbiamo catalogato una biblioteca...
    Ogni gruppo ha una sua specifica cultura; al limite, si fa una sua «teologia dell'impegno politico». I nomi di autori che vanno per la maggiore corrono tranquillamente sulla bocca di tutti. Ciò che prima era monopolio di pochi iniziati, oggi è diventato pascolo tranquillo (anche se spesso solo istintivo...) del primo arrivato.

    Matrice

    L'origine storica di questa sensibilità nuova è, a nostro avviso, doppia anche se complementare: la riscoperta della «teologia delle realtà terrestri» frutto del Concilio e una più viva sensibilità ai segni dei tempi che il marxismo (almeno come fatto culturale prima che come ideologia) ha prodotto.
    I giovani oggi vibrano molto più di ieri di fronte alle ingiustizie: ne hanno una conoscenza più ampia e più riflessa, grazie agli strumenti di comunicazione sociale e al tipo di cultura «globale» determinato dalla introduzione delle nuove tecniche di informazione. Questa sensibilità più accesa, condotta a livello di massa, ha trovato nel marxismo un linguaggio di espressione e soprattutto una batteria di analisi.
    La voglia di fare qualcosa per cambiare il mondo si è impattata con la propria identità cristiana. Il Concilio ha posto la riflessione teologica sulla lunghezza d'onda giusta. Per cui la sintonia è stata presto perfetta, almeno a livello di risonanza.
    Il clima portato dalla secolarizzazione (qualche annotazione in proposito è stata ripresa più sopra) ha fatto il resto.

    Metodo

    Il gruppo interviene direttamente in quanto gruppo ecclesiale, a livello sociale, in una serie di gesti i più diversi. La catalogazione può trascrivere una miriade di specificazioni: dalla raccolta-carta alla attività più immediatamente politica-partitica (al limite: la scelta marxista come verità della propria identità cristiana). La vita interna del gruppo è direttamente funzionale alla sua vita esterna: all'interno si progettano le azioni si verificano, si motivano.

    La chiesa

    La chiesa è una comunità costruita soprattutto attraverso una coesione sui valori: la partecipazione al progetto di liberazione, sulla linea della pasqua. L'enfasi sui rapporti primari è sgonfiata.
    Non mancano le critiche radicali contro la chiesa-istituzione, avvertita come spesso compromessa con l'attuale sistema e qualche volta come agenzia di conservazione sociale.

    Valutazione pastorale

    Gruppi del genere riscuotono oggi alti consensi a livello giovanile, anche se preoccupano talvolta i responsabili ufficiali, sia per le affermazioni radicali e i gesti programmati che per esperienze fallimentari frequenti (non sono purtroppo eccezioni i gruppi passati da una appartenenza cristiana sulle linee sopra ricordate, al rifiuto totale di ogni dimensione di fede e all'accettazione in tronco del marxismo).
    D'altra parte le scelte ideologiche di questi gruppi sembrano più vicine alla linea teologica della Gaudium et Spes e alle percezioni più avanzate dell'ecclesiologia attuale.
    I rischi non mancano. Ne basta uno, purtroppo confermato dall'esperienza: lo slittamento verso l'ateismo; a due livelli:
    * Lo slittamento verso un ateismo pratico: il messaggio cristiano è ridotto alla sola dimensione socio-politica e quindi privato della sua identità trascendente. Da qui l'insignificanza pratica della preghiera, dei sacramenti, della vita esplicita di fede...
    In Note di Pastorale Giovanile 1972/11, E. Viganò ha trattato, con competenza e con ansia pastorale, il peso reale di questi rischi.
    * Il rifiuto di Dio per la liberazione dell'uomo (un ateismo teoretico): si avverte che la religione è troppo compromessa con l'attuale sistema e quindi si rifiutano in blocco i valori di cui è portatrice, per potersi impegnare nella liberazione dell'uomo. Liberare l'uomo significa prima di tutto liberarlo da una fede e da una religione che lo aliena.
    Questi pericoli sono incombenti in molti gruppi giovanili proprio perché il bagaglio culturale con cui questi giovani si gettano nell'impegno politico, non fa da supporto. Ci si trova a confrontarsi sul sociale con una fede priva di dimensione sociale.
    La crisi è resa più drammatica dalla spirale che può avvinghiare chi si mette in cammino lungo quest'asse: l'identificazione dell'amore cristiano in amore politico porta a rovesciare l'equazione per definire amore ogni attività politica (anche se impastata di violenza coltivata). La necessità di vivere la propria fede sempre e solo a livello implicito, perché nell'impegno politico diretto è difficile ritrovare una dimensione specifica per il cristiano (si agisce gomito a gomito con persone di confessioni religiose le più disparate), fa lentamente scivolare nella perdita di ogni dimensione esplicita, facendo coincidere la salvezza soprannaturale dell'uomo con la sua liberazione politica.
    Il gruppo poi difficilmente aiuta a superare questi ostacoli perché è la stessa aria che circola all'interno che ne è portatrice: l'ideologia (le norme di gruppo) cattura tanto intensamente i membri da non far loro balenare altre possibilità, anzi da far avvertire stridenti e alienanti quelle diverse dalle attualmente condivise.

    VERSO UNA CONCLUSIONE PASTORALE

    Già nel corso della rassegna è balenato qualche progetto di conduzione educativa e pastorale. Ma non basta. È opportuno tirare le fila del discorso, riallacciandoci alle battute con cui lo si è aperto.

    La conoscenza delle situazioni come prima terapia

    Nessuna scelta spunta a caso nella vita del gruppo. Di ciascuna si deve dir grazie a qualche contatto.
    Smontare gli ingranaggi, in un momento di calma, favorisce meravigliosamente il retto funzionamento.
    Se il gruppo vuole camminare spedito verso un servizio qualificato, ha bisogno di sapere con chiarezza il perché delle sue opzioni.
    Per questo, la prima e più significativa terapia è la conoscenza riflessa della propria situazione.
    Queste pagine possono fornire un supporto.

    Il contrappeso di valori come motivo di equilibrio

    Ogni gruppo ha diritto di fare le sue scelte. Anzi, la specializzazione è oggi l'unica strada verso un servizio qualificato.
    «Fare la propria scelta» non significa però farla alla cieca e farla una volta per sempre. È necessario riverificare frequentemente e controbilanciare gli aspetti avvertiti carenti, nel contatto con altre esperienze.
    Il confronto con altri induce un fatto determinante nella vita di un gruppo: il contrappeso di valori. Ogni gruppo tende spontaneamente ad essere unilaterale: ha bisogno di complementarità e di unità. Un gruppo specialmente impegnato, per esempio, realizza in modo più pieno il valore dell'azione, mentre tende a trascurare il valore della preghiera. Confrontarsi con un gruppo in cui il valore della preghiera emerga in primo piano, aiuta a trovare un equilibrio e a operare una sintesi.
    Lo stesso vale per un gruppo troppo proteso verso una spiritualità meno socialmente rilevante: ha bisogno di confrontarsi con un gruppo più attivo per scoprire elementi della definizione cristiana di «amore», che potrebbe aver perso per strada.

    Anticipare più le esigenze che le esperienze

    È estremamente facile costringere gli altri a pensare con la propria testa. Chiunque ha un briciolo di autorità in un gruppo, ha la tentazione del monopolio di potere e quindi della manipolazione.
    Se alcuni membri più sensibili avvertono già nell'oggi la prospettive del domani, non possono forzare la maturazione degli altri, creando sensibilità sproporzionate alle capacità. Su questa strada, si costruiscono i nevrotici sociali.
    Il rapporto tra esigenze ed esperienze è un rapporto di amore: è difficile, se non in chiave di amore, scoprire se un tipo di esperienza convissuta creerà maturazione oppure schizofrenia.
    Si potrebbe fare un fiume di esempi. Ne basta uno, fra i tanti.
    I giovani che lavorano a contatto con i preadolescenti hanno immanente la tentazione di manipolarli fino a farne bambini truccati da adulti. E questo è un grosso guaio.
    L'educatore accorto non anticipa problemi e preoccupazioni sproporzionate alla reale età, ma con sano realismo e profonda fede, prevede e anticipa il cammino della storia, teso a creare nell'oggi i cristiani maturi di domani.

    Quali impegni politici programmare?

    Ci sono mille interventi possibili per realizzare un impegno politico efficace. Per quale optare?
    Una risposta non può essere data in astratto. Due sono le componenti che entrano in gioco: la vocazione personale (o l'identità di gruppo) e le urgenze che provengono dalla realtà. Ma all'interno di questi ambiti, l'arco è ancora molto vasto. Ci sembra che un'ulteriore istanza possa fornire nuove discriminanti: il gruppo ecclesiale è chiamato a scegliere tra i tanti possibili interventi quelli che salvano maggiormente la propria ecclesialità Ci sono gesti che comportano scelte di violenza, che immettono in una spirale a cerchio chiuso. Non sono da scomunicare. Ma forse sono «meno ecclesiali» di altri... È difficile dire in concreto qualcosa di più.
    Una maggior chiarificazione può venire dall'esperienza.
    Sul mercato ci sono opzioni interessanti: è opportuno almeno confrontarsi con esse.
    Molti gruppi ecclesiali hanno scelto il servizio ai piccoli come verifica prioritaria del proprio impegno politico.
    Altri gruppi insistono sul lavoro gratuito per i poveri. Altri sulla compartecipazione sofferta e reale alla vita degli oppressi e dei poveri.
    Altri preferiscono programmare interventi a favore degli emarginati, gli eterni «ultimi» nella logica del sistema.

    Professione e impegno politico nelle istituzioni

    Lo spontaneismo e gli interventi a ruota libera vanno bene nella adolescenza. Il giovane maturo sente il bisogno di un servizio più qualificante; che afferri la totalità della sua giornata e non solo il suo tempo libero.
    Un impegno politico che coinvolga la propria identità umana e cristiana connota immediatamente la scelta di un modo di esercitare il proprio ruolo professionale. E comporta anche il confronto con i gestori istituzionali dell'attività politica: partiti, sindacati, movimenti...
    Non è certo possibile continuare ad ignorare il problema. Ci si lascerebbe ingoiare da quella polemica antistituzionale forse provvidenziale per mettere in crisi alcuni baluardi intoccabili; ma fortemente pericolosa oggi a livello delle scelte operative.

    Una fede per un mondo secolarizzato

    Molte crisi nascono quando ci si trova a mani vuote nei momenti cruciali. Senza motivazioni capaci di dare sicurezza e di centrare il punto nevralgico delle cose, ci si sente in balia del primo venuto, e ci si affida di fatto alle promesse di chi grida più forte. Il discorso è serio e urgente. Basta avere gli occhi aperti e il cuore disponibile per accorgersene.
    Che tipo di proposta di fede per il giovane che si sente responsabile della storia e vive trascinato nel vortice di inquietudini e entusiasmi? Come parlargli di messa, di sacramenti? Quale preghiera? Quale chiesa? Mille interrogativi.
    Risposte? Molte, ma sempre parziali.
    Forse, un tentativo di risposta può nascere dal missaggio di queste esigenze che potrebbero caratterizzare una proposta di fede per un mondo secolarizzato e pluralista:
    * Esigenza di educare e di educarsi alla criticità, per favorire scelte personali in un contesto pluralista. Educazione alla criticità significa abitudine costante a leggere la realtà fino in fondo, per non lasciarsi catturare a priori da nessuna proposta, sapendo accettare con entusiasmo ciò che è positivo e contestando quanto è negativo, con la luce e la forza della parola di Dio.
    * Esigenza di prendere con serietà la vita quotidiana, come il luogo teologico in cui si gioca la propria identità cristiana e la propria salvezza, per troncare decisamente con una «fede per il tempo libero».
    * Esigenza di una fede impegnata per la promozione della giustizia. L'impegno politico è criterio di verifica di ogni proposta pastorale e educativa.
    * Esigenze di esperienze intense di vita cristiana per i giovani più sensibili, per permettere di vivere la propria identità cristiana in forma esplicita in un mondo che tende a relegare la vita di fede al solo livello implicito.
    * Esigenza di educare ed educarsi ad atteggiamenti che facciano da sostegno alla vita di fede matura: gratuità, servizio, capacità di sacrificio, tempi lunghi, accettazione della dialettica della morte come strada alla vita...
    * Esigenza del gruppo come spazio normale per la circolazione e la interiorizzazione dei valori.
    * Esigenza di educare e di educarsi ad una preghiera e ad una partecipazione alla liturgia che parta dalla vita e investa la vita, ma sappia, nel contempo, aprire alla scoperta della gratuità e della alterità nel dialogo con Dio.
    Le cose da fare sono tali e tante che c'è veramente spazio per tutti. Fare servizio in un impegno di liberazione significa cercare un proprio spazio, qualificarselo e lavorare fino allo spasimo: in una dialettica pasquale, dove «la morte è l'unica strada verso la vita».
    La tentazione di credersi i salvatori del mondo, gli unici capaci di un lavoro serio, è incombente, proprio perché è correlativa alla reale serietà di servizio.
    Il confronto con gli altri dà una mano a rompere questa spirale di autosufficienza. Fa sentire in tanti.
    Perché solo in tanti, assieme, le cose possono cambiare.
    E perché solo confrontandosi e riverificando ogni giorno la propria identità, si conquista quel briciolo di libertà che permette di essere veri agenti di liberazione.

    Lo studio ha prospettive immediatamente pratiche. Non serve a fare cultura... ma intende offrirsi come stimolo di confronto per i molti gruppi giovanili, impegnati a livelli diversi nel contesto sociale in cui operano.
    È utile cioè non se forma oggetto di una lettura attenta da parte di qualche patito, ma se è fatto circolare tra tutti i membri del gruppo. E soprattutto se il gruppo ha il coraggio di mettersi attorno ad un tavolo, per verificarsi alla luce delle annotazioni teoriche riportate.
    Quindi e destinato ai gruppi: come «pugno nello stomaco», per smontare e lubrificare la propria identità (chi siamo) e la propria funzionalità (che cosa vogliamo fare).
    Per favorire questo processo di circolazione, offriamo una pista di discussione. Un tentativo di guidare per mano nel difficile cammino verso il profondo della propria esperienza, per non smarrire la strada, ingolfandosi in analisi parziali o retoriche.

    1. La rassegna presenta tre tipi di gruppi impegnati politicamente. A quale categoria si avvicina maggiormente il proprio gruppo? Dove ci si riconosce a maggior agio e dove di fatto ci si sente situati?
    La risposta agli interrogativi comporta la necessità di verificare le ragioni che hanno determinato la scelta. In concreto: perché si è giunti ad una determinata scelta? Quali u esperienze» hanno influenzato la scelta? Da quale filone culturale il gruppo dipende ideologicamente? Le varie autorità, a tutti i livelli presenti nel proprio ambiente, a quale tipo di impegno affidano il maggior prestigio sociale (ufficiale e latente)?

    2. Ciascuno - come persona e come gruppo - respira l'aria che circola.
    La secolarizzazione ha un peso notevole nelle scelte e nella vita interna di un gruppo. A che livello i fatti con cui si è caratterizzato la secolarizzazione sono «coscienti» nell'esperienza del gruppo? Come il gruppo si ritrova in essi?
    In altre parole, come il gruppo definisce la propria ecclesialità? A quali condizioni si sente chiesa? In che rapporto si pone nei confronti della chiesa ufficiale, della chiesa-istituzione?

    3. Il confronto con altre esperienze è arricchente se i «pezzi» pregevoli sono acquistati non a scatola chiusa, ma verificati in tutta la loro portata, e se la valutazione non è fatta in astratto, ma tenendo conto del qui-ora reale del gruppo... per non acquistare un pezzo che non abbia uno spazio reale nella vita quotidiana.
    I tipi di gruppi sono stati caratterizzati a partire da alcuni elementi. Quali vantaggi (ideologici e pratici) e quali rischi il gruppo avverte a proposito soprattutto
    - del rapporto chiesa-mondo
    - di una certa matrice culturale
    - di una condivisa definizione pratica di chiesa?

    4. La riflessione sulla propria esperienza ha una funzione direttamente pratica: deve sbocciare in una verifica e in una nuova progettazione delle proprie attività.
    Quali scelte ultime e operative il gruppo ha normalmente fatto? Quali è opportuno fare o aggiungere?
    Di quali «contrappesi» il gruppo ha particolarmente bisogno, per salvare a fondo la propria identità e funzionalità, in chiave ecclesiale? Visto che la tentazione di ridurre la propria esperienza a dimensione assoluta porta lentamente a perdere di disponibilità alla verità e quindi alla lenta morte per soffocamento...
    Con quali altri gruppi è possibile progettare un confronto, per recuperare dal vivo quegli elementi di cui si avverte l'urgenza, in un maturo «contrappeso di valori»?

    5. Esiste all'interno del gruppo una circolazione di «valori ecclesiali», attraverso forme impegnate di catechesi, per permettere una maturazione di fede nei singoli membri, di una fede che sia «vera» nei confronti del vangelo e capace di presa nell'attuale contesto sociale in cui viviamo?
    Quali esperienze esplicitamente cristiane (preghiera, liturgia, revisione di vita, momenti di ritiro...) sono programmate per rendere possibile una vita di fede in un contesto pluralista e secolarizzato?


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