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    Appunti di pastorale giovanile /5



    Riccardo Tonelli

    (NPG 1971-10-03)


    Ogni metodo ha bisogno di costanti.
    Anche il nostro ha optato per una serie. Potrebbero facilmente essere ritrovate, come filigrana di tutte le riflessioni precedenti.
    Si tratterebbe di leggere tra le righe. E non è sempre impresa facile. Soprattutto quando l'incalzare di temi e di istanze può far sfuocare il filo conduttore.
    Per questo, le cinque opzioni di fondo della nostra pastorale giovanile, sono ora riportate, di seguito, con qualche particolare all'interno. Possono fornire una rilettura orizzontale del metodo.
    Ci pare in tutti i casi importante sottolineare un fatto.
    1. Il quotidiano come punto d'innesto,
    2. La necessità di un continuo interventismo,
    3. La comunità come luogo dove si fa la pastorale, corresponsabilmente,
    4. Le tre dimensioni della pastorale,
    5. Il gruppo come principio unificatore
    sono delle costanti. Delle norme, quindi, che devono trovare spazio in tutti gli interventi pastorali. La nostra è una proposta: pensata e confrontata con l'esperienza. Ma è proposta da prendere - o rifiutare - in tutta la sua globalità. Sta in piedi e serve la persona del giovane - la prima urgenza da cui abbiamo preso le mosse - solo se utilizzata in tutta la densità di cui è carica.
    Troppo spasso, doppioni e lacune, sovrannutrizioni e sottoalimentazioni caratterizzano interventi educativi affrettati o impostati sotto la pressione delle urgenze o delle propensioni personali.
    Un'ulteriore sottolineatura, per evitare fraintendimenti. La «fedeltà a Dio», alla sua rivelazione, è la filigrana delle cinque opzioni elencate. Per la verità dell'incarnazione, va ritrovata continuamente all'interno di esse: non può formare una sesta costante, giustapposta alle altre. Sembra «leggibile» in questo contesto, la sintesi che RdC esprime nei par. 96-97: contenuti della fede nei temi che le condizioni ambientali rendono attuali e urgenti. «Non si tratta di una semplice preoccupazione didattica o pedagogica. Si tratta invece di una esigenza di incarnazione, essenziale al cristianesimo...» «dalla cui attuazione dipende la sorte stessa del cristianesimo, particolarmente presso le generazioni dai giovani».

    Quinta parte

    LE OPZIONI NELLA NOSTRA PASTORALE GIOVANILE

    Opzione «quotidiano come punto di innesto»

    Punto di partenza della nostra pastorale sono le concrete situazioni di vita. Esse sono imposte all'uomo dallo svolgersi della sua vita. Da esse, dal modo cioè di viverle, dipende il comportamento dell'uomo in ordine alla salvezza. Gli atti salvifici sono atti di fede-speranza-carità nelle singole situazioni di vita (RdC, 30, 52, 45, 128).
    I contenuti della fede si situano come sistema motivazionale, con cui confrontarsi, per reagire alle singole situazioni di vita «che provano l'uomo e quasi lo sfidano, a darsi una risposta» (GS).
    Da qui, alcune conseguenze pastorali:
    * l'urgenza di conoscere a fondo, di «convivere», la vita dei giovani, per fare una vera pastorale che parta dalle loro situazioni di vita;
    * la necessità di impostare una pastorale in corresponsabilità con i giovani, che sono i primi protagonisti delle loro situazioni di vita;
    * l'accettazione dei modi e dei momenti in cui i giovani si esprimono, proprio per possedere uno dei due termini del discorso pastorale;
    * il pluralismo pastorale, come risposta al pluralismo delle singole situazioni di vita. Le tecniche, il linguaggio, le modalità affettive, le strutture sono lasciate elastiche, per una pronta e intensa incarnazione nelle spontaneità locali;
    * in questa impostazione, la vita, la realtà locale fornisce le programmazioni e gli impegni mentre la fede fornisce le chiarificazioni e i progetti.
    La vita non è considerata come testa di ponte in vista della pastorale, ma è assunta come tema centrale di tutto l'impianto pastorale.
    «Contenuto della catechesi è quindi la realtà umana e mondana illuminata dalla rivelazione, e perciò, in quanto realtà interpretata, fa riferimento a un doppio livello di fonti: a quelle della realtà da interpretare (fonti materiali della catechesi, si potrebbe forse dire) e a quelle della parola interpretativa (fonti formali della catechesi).
    Per «fonti materiali» si intende l'esistenza umana, il mondo e la storia, in quanto realtà suscettibili di essere interpretate alla luce del Vangelo; e per «fonti formali» i documenti e le esperienze che manifestano la parola interpretativa della realtà dell'uomo e della storia, incarnata concretamente nella esperienza religiosa di Israele, di Cristo e della Chiesa».[1]
    Questa è la prospettiva del RdC.
    E non è un fatto opzionale,[2] se è vero quanto affermato al n. 97: «Si tratta di un vasto impegno di coerenza al vangelo, dalla cui attuazione dipende la sorte stessa del cristianesimo, particolarmente presso le generazioni dei giovani».

    Opzione «interventismo»

    «L'uomo del ventesimo secolo può apparire quasi allergico all'esperienza della fede e proteso, spesso generosamente, all'impegno nel mondo. Da questa rilevazione, non di rado troppo esteriore, traspare l'urgenza di educare i cristiani a comprendere che la fede non allontana dalla storia, ma svela in essa le intenzioni di Dio, riversando luce nuova sulla vocazione integrale dell'uomo» (RdC, 43).
    A partire da queste riflessioni, ci pare che una pastorale giovanile che voglia essere veramente rispettosa del «momento giovanile» debba necessariamente caratterizzarsi in una precisa tensione interventistica.
    - Il giovane impara facendo. Perché la sua conoscenza non rimanga a livello intellettuale, ma sia pronta a scattare nella mischia della vita, essa deve radicarsi nel rapporto azione-riflessione. L'interazione è reciproca: l'azione non è formativa se non impastata con la riflessione; e la riflessione non approda a nulla se non scaturisce e si apre sulla azione. Perciò ogni intervento pastorale ricercherà possibilità immediate e concrete di intervento, per rendersi comprensibile dal giovane d'oggi e per farsi facilmente integrabile.
    E d'altra parte, dopo ogni azione, si cercherà uno spazio di silenzio per la riflessione, alla ricerca di motivazioni di sostegno e di un confronto con un iter ottimale di sviluppo (processo al rallentatore).
    - Il cristiano è responsabile della storia.[3] La fede non allontana dalla storia, ma impone un intervento nella storia.
    Per questo la pastorale giovanile oggi è proiettata in un impegno «politico», a livello delle strutture. Non è possibile che l'uomo abbia uno spazio di umanizzazione (in cui innestare una proposta di fede) se le strutture sono disumanizzanti. Nei termini in cui lo sono, vanno cambiate, intervenendo in esse.
    E questo è il secondo tipo di interventismo che caratterizza la nostra pastorale giovanile: una dimensione politica, nel senso più preciso del termine, di ogni struttura pastorale, a partire dalla propria fede, per la sua autenticità.
    - Dio è all'opera per fare nuove tutte le cose. Il cristiano è chiamato a scoprire la propria vocazione ad essere collaboratore attivo di Dio, protagonista già all'opera.
    A questo livello, l'intervento è costruttivo: perché viene mediato dalla comunità (luogo della pastorale) contro ogni soggettivismo e integrismo personale; nasce dal confronto dinamico della verità della realtà (il volto delle cose, non solo come appare fenomenicamente, ma come di fatto è, perché la riflessione ha condotto agli ultimi risvolti di profondità) con la parola di Dio, letta come luce che illumina la storia. L'intervento è ancora sempre pieno di speranza, contro la facile tentazione dello scoraggiamento o dell'anarchia; perché ci si sa collaboratori di uno che è capace, che sa il fatto suo, ed è già all'opera, per fare nuova la realtà; mentre la sua morte e risurrezione dà la certezza sperimentale che nessuno sforzo è vano, perché «tutte le cose andranno a finir bene».
    - L'interventismo è perciò, prima di tutto «fedeltà» a Dio, in febbrile azione per far passare tutte le cose da morte a vita: «l'incontro con il mistero trinitario avviene, allora, mediante il riconoscimento del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, viventi in perfettissima comunione di amore e protagonisti di quel piano di salvezza che trova il suo momento culminante nella morte e risurrezione di Cristo» (RdC, 83).
    Dio è in azione oggi: la messa è il «luogo» in cui l'azione divina diventa attuale, contemporanea ad ogni persona.
    È perciò, nella sua verità, il luogo di verifica, di ricarica, di condensazione dell'interventismo cristiano.
    In questo senso, davvero momento centrale della nostra fede (RdC, 72/73) «manifestante il mistero di Cristo come realtà salvifica che opera nel presente» (RdC, 73).

    Opzione «comunità»

    Con questa opzione, si vuole rispondere alla domanda: chi fa pastorale? È la comunità che fa pastorale: ciascuno, al suo interno, in base ai propri carismi e quindi con ruoli diversi; ma tutti, con una corresponsabilità solidale (tutti: tutti gli educatori e tutti i giovani, assieme). Non esistono coloro che hanno il monopolio della capacità pastorale e fanno «passare» ciò in altri, come in recipienti da colmare.
    Il RdC contiene, a questo proposito, interessanti annotazioni.
    «Non è pensabile una buona catechesi (e quindi una buona pastorale) senza la partecipazione dell'intera comunità» (RdC, 200).
    «La comunità dei cristiani è una comunità profetica. Ad essa, Cristo partecipa il suo profetico potere. Nella Chiesa ogni credente è, per la sua parte, responsabile della parola di Dio» (RdC, 12).
    «Ogni cristiano è responsabile della parola di Dio, secondo la sua vocazione e le sue situazioni di vita, nel clima fraterno della comunione ecclesiale» (RdC, 183).
    «Ciascun membro del popolo di Dio deve farsi attento ai suoi rapporti quotidiani con gli altri. Deve cioè superare la mentalità di chi, consciamente o meno, lascia l'esercizio dell'ufficio profetico ai sacerdoti, ai religiosi, ai catechisti, ai missionari che operano in forme istituzionalizzate» (RdC, 23).
    Chiaramente però la comunità di cui si parla qui è una realtà ecclesiale, con la funzione insostituibile della gerarchia, con ruoli ben precisi (RdC, 87). In essa, alcuni compiti esigono una specializzazione precisa, che non può essere improvvisata (RdC, 184).
    Una comunità che è prima di tutto dono dello Spirito (RdC, 12, 44, 48, 63, 83, 87, 112, 114), che è frutto non di dinamismi umani, anche se, in certo qual senso, li presuppone e li integra.[4]
    Una comunità aperta, missionaria (RdC, 8, 9), proprio attraverso l'esercizio del suo ruolo pastorale: «la missione della Chiesa si fa testimonianza e servizio, con la varietà di uffici e la ricchezza di doni che Cristo le elargisce, per mezzo dello Spirito Santo, e che convergono nel triplice ministero: profetico, regale, sacerdotale» (RdC, 9).
    Per tutti questi motivi, un fatto non può essere sottaciuto, nella prassi quotidiana.
    Tutti sono educatori e tutti sono educandi: sebbene in momenti e ruoli diversificati. Meglio: tutti sono corresponsabili della propria e altrui maturazione, in vista di una fede adulta. (L'affermazione trova le sue radici in tutta la riflessione condotta avanti sulla natura e sul significato della pastorale giovanile).
    Concretamente:
    * adulti e giovani sono assieme alla ricerca di una Persona e di una verità che tutti trascende;
    * adulti e giovani sono assieme in lettura dei segni dei tempi, fonti materiali della proposta pastorale;
    * i giovani educano gli adulti ad una lettura dinamica della realtà, ad una proiezione interventistica nella realtà, alla capacità di compromissione, alla capacità di superare sempre le proprie esperienze: in una parola a realizzare quanto dice il RdC «mai un educatore o una comunità educatrice hanno concluso il loro lavoro: una tensione spirituale li tiene continuamente desti, sempre pronti a trovare il loro nuovo posto nella vita di coloro dei quali devono aver cura» (159);
    * gli adulti fanno da correttivo e integrativo al mondo giovanile: guidano, ciascuno attraverso la testimonianza personale, al dialogo interiore; si fanno catalizzatori della fede della Chiesa, per la scoperta di una proposta che non può mai essere frutto della comune ricerca; aiutano a risorgere grazie alla esperienza della propria vita vissuta come passaggio continuo da morte a vita, dalla chiusura alla disponibilità, dall'egoismo al servizio, dall'integrismo alla comprensione, dal peccato alla grazia.
    In altri termini, sul fatto che è la comunità (qualsiasi comunità; a livello semplicemente educativo o più decisamente pastorale) il soggetto primario della pastorale, si radica l'esigenza della corresponsabilità (nelle due movenze: tutti gli educatori, nessuno escluso, perché nessuno ha ruoli insignificanti nel processo educativo, sono corresponsabili con colui che cristallizza nella sua persona questa responsabilità; e tutti i giovani sono corresponsabili: non per benigna concessione degli educatori, ma in forza della propria persona).
    Il tema della corresponsabilità ha già avuto sviluppi teorici e pratici notevoli.[5]
    Qui è sufficiente il richiamo, e la sottolineatura che ogni discorso, per passare dal livello di teoria accettata a quello di prassi quotidiana, chiede l'invenzione di «strutture portanti», flessibili, di servizio, ma contemporaneamente precise e «ufficiali».

    Opzione «una pastorale a tre dimensioni»

    Il RdC afferma, perentoriamente, che «principio fondamentale che ispira il coordinamento pastorale è la unità interiore della persona» (159). La pastorale dovrà quindi ritrovare un movimento che le permetta contemporaneamente di servire la persona, per quello che essa di fatto è, e, inserendosi nei canali normali di sviluppo, individuare la strada di una più facile e costante integrazione.
    La vita cristiana può essere ordinatamente distinta in tre sistemi che chiamiamo: vita teologale (fede, speranza, carità), vita liturgica (collaborazioni varie a Dio), vita ecclesiale (relazioni di comunione).
    Essa vita cristiana è il corrispettivo dello sviluppo giovanile, le cui mete immanenti sono di mentalità (visione del mondo e dominio del mondo istintuale e impulsivo), di trasformazione del cosmo (lavoro, tempo libero, creatività, sesso), di relazione d'amore (amore, amicizia, solidarietà, senso sociale).
    La pastorale, come cura della vita cristiana, avrà allora tre settori corrispondenti: settore catechistico, liturgico, ecclesiale.
    I tre sistemi nel soggetto e quindi i tre settori della pastorale sono tra loro coordinati, complementari, corrispondenti: ciascuno è aiutato dagli altri due, tanto che non può agire senza di essi e ciascuno aiuta gli altri due.[6]
    In sintesi, si potrebbe schematizzare come segue:

    l'uomo
    Nelle situazioni concrete e nelle scelte che specificano la vita dell'uomo, le energie che movimentano il suo cuore, possono essere distinte (GS) in:
    - parola
    - azione
    - comunità.
    Queste tre energie sono in unità e organicità nell'uomo concreto: una appoggia, specifica, costruisce l'altra.

    la chiesa
    A queste corrispondono le energie di salvezza che fanno la chiesa:
    - pastorale della parola (munus propheticum): catechesi
    - pastorale dei sacramenti (munus sacerdotale): liturgia
    - comunione dei santi (munus regale): vita di comunione.

    la pastorale
    Un'azione pastorale che voglia incontrare l'uomo concreto in situazione dovrà ritrovare una continua integrazione di queste tre energie di salvezza: l'una appoggia l'altra: tutte in sintesi e ciascuna in analisi sono la strada per incontrare l'uomo storico.

    Spiegazione dei tre settori

    Non dobbiamo ora sviscerare le caratteristiche di ciascun settore e le interdipendenze di ciascuno con gli altri. (È già stato fatto, a fondo, per esempio in Pastorale e dinamica di gruppo). Ma una breve descrizione è comunque necessaria.

    - Il primo settore (pastorale catechistica) riguarda dal lato naturale la formazione di una mentalità e dal lato soprannaturale cura che questa mentalità sia una mentalità di fede.
    Sul lato naturale tutti gli insegnamenti scientifici e tecnici come pure tutte le esperienze di vita devono convergere nel formarsi di una mentalità centrale (cultura, visione del mondo, coscienza e filosofia della vita). Se l'educatore non se ne preoccupa, il giovane fa propria la mentalità che trova per strada, marxista o edonista o esistenzialista. Questa mentalità va vista come un corpo che cerca la sua anima e con ciò il lato naturale tende verso il lato soprannaturale, cioè verso quei misteri cristiani che appunto sono l'anima di quel corpo, il lievito di quella pasta. Ecco il coordinamento: intellectus quaerens fidem.
    Sul lato soprannaturale i misteri cristiani sono una anima che cerca il suo corpo, poiché il cristianesimo o si incarna nella cultura del soggetto e ne è lievito o non è più ortodosso. Qui il lato soprannaturale cerca il lato naturale: la religione va verso le materie profane: fides quaerens intellectum.
    Allora, grazie a tutti coloro che lavorano in questo settore dall'uno e dall'altro lato, si forma una «visione unitaria ed ordinata dei misteri della fede, della vita, della storia» (RdC, 159).

    - Il secondo settore (pastorale liturgica) riguarda dal lato naturale la formazione degli abiti operativi e dal lato soprannaturale la formazione di questi abiti in modo che siano collaborazione all'agire di Cristo per fare nuovo tutto, agire che ha il suo «culmen et fons» nella Messa.
    Sul lato naturale tutte le attività (fisiologiche, economiche, produttive e consumative, culturali, caritative, artistiche) sono trasformazioni, sono passaggi dalla potenza all'atto per realizzare quei fini, che la mentalità tiene presenti.
    Tutte insieme esse possono essere un caos senza capo né coda oppure un organismo che fa storia. E questo avviene solo se una trasformazione diventa centrale e tutte le altre diventano collaborazioni ad essa: si lavora per mangiare, si mangia per vivere, ma per fare cosa si vive? Così il lato naturale delle attività (studiare, giocare, lavorare, fare spese) tende al lato soprannaturale, cioè a quella azione di Dio tra di noi, che fa da centro, da misura, da «culmen et fons» di tutte le altre nostre attività. Ecco il coordinamento; come prima dicevamo: intellectus quaerens fidem, qui potremo dire: vita quaerens mysterium.
    Sul lato soprannaturale il settore è tutto imperniato sulla Eucaristia, che è l'azione-trasformazione pasquale, compiuta da Cristo con noi, come pane quotidiano, cioè come «culmen et fons» di tutte le trasformazioni che oggi si compiono: il passare da morte a vita, la Pasqua, è ogni giorno la trasformazione centrale, per tutti gli uomini.
    Con la Messa Cristo pone la Trasformazione pasquale al centro dell'umanità, trasformando il pane e il vino nel Corpo e nel Sangue Suo (GS, 38). Ma anche qui l'azione di Cristo è come un'anima che cerca di incarnarsi nel suo corpo, cioè in tutte le trasformazioni operate dall'uomo nelle officine, nelle scuole, negli ospedali, nelle borse, nei mercati, nelle palestre, nel tempo libero, nei parlamenti e imprimere in tutte l'impulso centrale alla trasformazione pasquale dell'uomo, a livelli diversi ma tutti collaboranti. Qui il lato soprannaturale cerca quello naturale: mysterium quaerens vitam.
    Allora, grazie a tutti coloro che dai due lati lavorano in questo settore, si avrà il fondersi di un organismo di abitudini che sono da una parte partecipazione attiva alla Pasqua eucaristica e dall'altra sono innesto di questa Pasqua o passaggio da morte a vita in tutte le attività dell'esistenza.

    - Il terzo settore (pastorale ecclesiale) riguarda sul lato naturale tutte le relazioni tra persone di cui è intessuta la vita e sul lato soprannaturale la vita ecclesiale.
    Sul lato naturale vi sono le varie categorie di persone con cui si entra in rapporti: amici e nemici, buoni e cattivi, vicini e lontani, superiori e inferiori e vi è la scoperta che il rapporto con gli altri, l'essere con e l'essere per gli altri, l'amare ed essere amati, è il fine centrale dell'attività e il valore centrale della mentalità.
    Ma anche qui il lato naturale cerca il lato soprannaturale; quando si cerca che la comunità di uomini diventi una comunione tra persone, si cerca negli altri quel valore che sia motivo e ragione di tutto, si cerca cioè di mettere al fondo la comunione dei santi, dove la santità di ogni uomo, in quanto per ognuno Cristo è morto (Rom 14,15), dà origine a tutti i rapporti sociali. Qui diremmo: societas quaerens Ecclesiam.
    Dal lato soprannaturale vi è l'appartenenza alla Chiesa: nessun rapporto con Dio è privato, siamo un popolo di comproprietari, siamo un solo corpo in Cristo. Vi è qui la cura di tutti i rapporti ecclesiali e della comunione nelle cose sante.
    Ma anche qui la Chiesa è anima del mondo (Lettera a Diogneto), cioè la comunione dei santi cerca di realizzarsi e incarnarsi nella concreta comunità degli uomini storicamente viventi. Fare Chiesa senza fare gruppo è utopia; fare Chiesa, evitando l'attuale società, è eresia novatista. Ecco il coordinamento: Ecclesia quaerens societatem.
    Allora, grazie a tutti coloro che curano questo settore, concordemente, la formazione ecclesiale sarà realistica fino ad assumere le presenti realtà sociali e sarà cristiana fino ad animare con l'amore cristiano queste realtà sociali.[7]

    Conseguenze pastorali

    - Bisogna convincersi che non esistono cose profane e cose sacre, cose naturali e cose soprannaturali, ma lato naturale-profano e lato soprannaturale-sacro di ogni realtà. In una pastorale che voglia essere coerente con questa struttura della realtà, sembra opportuno che si abbandoni la divisione degli incarichi educativi secondo il criterio di sacro e profano e si segua invece una divisione per settori, ciascuno con il sacro e il profano.[8]
    «La divisione dei compiti in base alla distinzione tra profano e sacro è educativamente sbagliata, perché matura la frattura interiore tra natura e soprannatura.
    Facilmente l'educatore stesso si rinchiude nel suo settore fino a isolarsi dal lato opposto: se questo è un settore sacro, egli non si interessa più del lato profano della persona che egli educa, si infastidisce di tutto quello sport, di tutte quelle questioni sociali e disincarna così la gloria di Dio, uscendo dalla ortodossia.
    Dall'altra parte l'educatore incaricato delle «materie profane» o del lavoro, finisce con il pensare che non tocca a lui la questione religiosa, non si interessa più del lato sacro della persona che egli educa, si infastidisce di tutto questo catechismo, di tutte queste funzioni religiose. Egli separa l'uomo dal suo profondo, uscendo dall'equilibrio umano».[9]

    - In ogni intervento educativo-pastorale è necessaria la compresenza delle tre dimensioni in reciproca integrazione (anche se in qualche circostanza potrà avere più spazio l'una che l'altra). Non si educa alla fede attraverso una soltanto delle dimensioni.
    L'attività pratica dovrà tenerne profondo conto.[10]
    Il problema è quindi duplice:
    * la programmazione deve tener conto di tutti e tre i settori, mettendo sul tappeto qualcosa in ciascuno di essi, per interessare tutto l'uomo;
    * la programmazione deve far ruotare questi tre settori in profonda reciprocità, perché non sono tre campi da cintare per salvare competenze individuali (colui che si interessa di scuola non mette il naso nelle faccende liturgiche, perché il tecnico della liturgia non sconfini nel suo campo!), ma l'unico modo per incontrare l'uomo: la distinzione è puramente nominale, come ogni distinzione che ha per oggetto una persona viva. L'analisi ha unicamente una funzione didattica.

    - Ogni dimensione ha una forma specifica sua propria di educazione: non è la parola che educa alla comunione come non è la parola che educa alla partecipazione attiva alla vita liturgica. All'interno di ogni dimensione andrà scoperto il modo tipico di intervenire. Pur in correlazione con le altre.
    Una strutturazione mentale illuminista ha affidato il peso educativo più alto alla parola, alla «spiegazione». L'attuale esperienza contesta e getta in crisi questa scelta. Non sono le «spiegazioni» sulla messa... che la fanno gustare, ma la scoperta del servizio gratuito per gli altri, la ricerca di un significato alle proprie esperienze, una forte carica comunitaria, un clima, nella convivenza, di amore, di libertà, di comprensione, di «morire per gli altri».[11]
    Lo stesso vale per la «comunità»: non si costruisce con le conferenze, ma con la «dinamica di gruppo».[12] La «parola» ha la funzione di forma, là dove la vita è la materia.

    - All'interno di ogni dimensione, vale la scelta di fondo della pastorale: l'innesto tra l'umano e il divino (linea di continuità verso il più profondo):
    * catechesi: dalla cultura all'uomo che si interroga - a Dio che gli risponde;[13]
    * liturgia: dalle varie attività umane «materia», all'eucaristia «forma»;
    * comunione: dalla esperienza di amicizia alla Chiesa.

    Opzione «gruppo»

    Per essere veramente di servizio all'unità della persona, le tre dimensioni hanno bisogno di un principio unificatore.
    Non c'è metodo organico senza una prospettiva unificatrice nelle varie parti. Quindi il discorso su un «punto unificatore» è scontato, se si vuole agire organicamente.
    Ora per unificare non basta la mèta unica: occorre anche un fattore, uno strumento prescelto, tra i tanti che agiscono.
    E questo fattore educativo è per noi la dinamica di gruppo. Questo elemento pervade ogni struttura ed ogni dinamica educativa che si muove in un certo luogo di formazione umana e ne realizza l'unificazione sia nei fini e sia nelle attività. È il punto unificatore dichiarato.
    Il gruppo-comunità è quindi principio di unificazione della pastorale giovanile: è lo spazio più adatto per la circolazione e l'integrazione dei valori e per la verità della vita liturgica: quindi il luogo normale della catechesi e della liturgia.
    Vi sono a questo punto molte domande da fare: perché una tale scelta? come, in che modo la dinamica di gruppo opera da fattore d'unificazione? quali modifiche opera nelle diverse attività tradizionali dell'istituto educativo?

    Il perché della scelta

    La scelta è stata fatta a partire dalla convergenza di due elementi:
    * segni dello Spirito (fedeltà a Dio):
    - la salvezza è un movimento comunitario: la chiesa non può essere percepita se non a partire da una forte esperienza di comunità viva-operante-impegnata (RdC, 153).
    - Il carisma salesiano è fortemente sulla linea del gruppo: Don Bosco e il salesiano educa facendo gruppo (cf il sistema preventivo, lo spirito di famiglia, le «compagnie», la preferenza per l'apostolato di massa, con continuo riferimento ai giovani più impegnati apostolicamente come lievito della massa: rapporto massa-gruppi-élite).
    * segni dei tempi (fedeltà all'uomo):
    - i giovani hanno scoperto il gruppo come spazio di creatività e di libertà in un contesto tecnico che spersonalizza.
    - La società porta a socializzarsi più intensamente, in tutti i campi dell'umana attività.
    - La psicosociologia sottolinea l'importanza educativa del gruppo come momento ideale per la circolazione e l'interiorizzazione dei valori.

    Modifiche educative

    Diventa di conseguenza un dominante modo di educare quello di educare il singolo attraverso il gruppo e con il gruppo: lo studio, il lavoro, la disciplina, le attività di tempo libero, la formazione della personalità, la terapia psicologica, l'ascetica, l'apostolato, la ricerca della verità, la autocritica, ecc.: tutto va vissuto «in comunione», costruendo attorno ai vari fini comuni una dinamica di gruppo, naturalmente a diversi gradi d'intensità e di durata.
    Il mettersi in relazione con altri è un movimento centrale di ogni individuo: si diventa anzi persona e non si resta solo individui dal momento in cui si vivono relazioni (con il tu, con il noi, con il Tu divino, con il nostro me) coscientemente e deliberatamente. Ogni ragazzo gioca (individuo), ma quando gioca in squadra cercando di fare amicizia, di «sentire» i compagni di squadra, di avviare una coesione che dura al di là della partita, incomincia il formarsi di una personalità.
    D'altra parte si parla di «dinamica di gruppo», perché si è scoperta una vera energia formativa, una «pressione di gruppo», come viene chiamata dagli studiosi. Questa energia appare provvidenziale in tempo in cui la pressione della tradizione, del rispetto dei regolamenti, del senso dell'autorità è quasi scomparsa. L'individuo rimarrebbe allora senza spinte sufficienti al lavoro di autocostruzione. Siamo perciò obbligati in un certo senso a manipolare in tutti i modi l'energia del gruppo, perché operi beneficamente su ogni individuo e lo porti avanti nella sua formazione.

    Il gruppo in prospettiva pastorale

    Ma non è il gruppo «comune» che diventa perno attorno cui muovere i vari contenuti e luogo ottimale di fermentazione di ogni proposta catechistica e liturgica.
    Per indicare il necessario rapporto tra caratteristiche tecniche della animazione di gruppo e peculiarità pastorali, si è adottata e introdotta la formula: ripensamento pastorale della dinamica di gruppo.
    Rimandando agli studi specifici una più attenta valutazione, qui di seguito sono richiamate solo le note di sintesi che caratterizzano il gruppo in prospettiva pastorale:
    * accettazione delle leggi della dinamica di gruppo, come metodo abituale della gestione dei gruppi;
    * conversione dell'educatore in animatore (passaggio cioè da un ruolo autoritario di proposte estrinsicistiche di valori, sulla linea maestro-alunno, ad un ruolo di ricerca comune, in atteggiamento di devoto ascolto dell'unica Verità, mediante una guida verso il profondo di ogni comportamento ed il potenziamento della funzione di «adulto» come modello di sincerità-creatività-servizio);[14]
    * inserimento nei dinamismi psicosociologici della dinamica di gruppo del «fatto» specifico pastorale: i contenuti formativi (valori eterni) sono «dall'alto», perché sono proposta di fede; e quindi non possono scaturire solo dalla vita del gruppo;
    * con relativa esigenza di qualificazione pastorale della leadership e della presenza dell'animatore;
    * e con rispetto e servizio di proposta di stimolo, alla persona dell'educando, anche nel contesto di spontaneità del gruppo.
    Concretamente quindi, il gruppo che funziona, che collabora alla maturazione umana e cristiana dei singoli partecipanti, è:
    * il gruppo sociologicamente definibile come primario,
    * servito mediante una serie di interventi educativi per sviluppare-adattare e correggere-organizzare i dinamismi spontanei di cui esso è carico.
    Riprenderemo in seguito il discorso, per scendere in indicazioni e dettagli tecnici.


    NOTE

    [1] Citato da uno studio di Alberich, in Giannatelli, Preadolescenza, età da evangelizzare, in «Note di Pastorale Giovanile», 1971/1.
    [2] È molto interessante lo studio di Bucciarelli, Appunti sulla catechesi giovanile, in «Orientamenti Pedagogici», 1970, sett.-ott.
    [3] Balducci, Motivazioni teologiche per un impegno politico dei giovani, in «Note di Pastorale Giovanile», 1970/11; Filthaut, Svolte conciliari per una catechesi rinnovata, LDC, (cap. XI).
    [4] Tonelli, Il gruppo per la RdV, in «Note di Pastorale Giovanile», 1971/1.
    [5] «Note di Pastorale Giovanile», 1970/12.
    [6] Cf la prima parte di Pastorale e dinamica di gruppo.
    [7] Negri, Il coordinamento in vista dell'unità della persona, in Il rinnovamento della catechesi in Italia, PAS.
    [8] Negri, Per una programmazione di pastorale catechistica, in «Note di Pastorale Giovanile», 1969/8-9, pag. 67 ss.; Negri, Il coordinamento catechistico in vista dell'unità della persona, in Il rinnovamento della catechesi in Italia, PAS, pag. 125 ss.
    [9] Negri, Il coordinamento..., pag. 135.
    [10] In «Note di Pastorale Giovanile» il tema è ripreso con una serie di annotazioni pratiche: queste affermazioni formano la filigrana più precisa delle linee pastorali della Rivista. Così, per esempio:
    - per la programmazione: Punti fermi per una programmazione valida (1969/8-9).
    - per gli esercizi spirituali: Anche la dinamica di gruppo negli esercizi spirituali? (1970/1).
    - per la pastorale nel centro giovanile: monografia (1970/6-7).
    [11] In Pregare giovane, LDC, cf le pagg. 495-500.
    [12] Tonelli, Dal gruppo alla pastorale di gruppo, in Pastorale e dinamica di gruppo, LDC, soprattutto le pagg. 50-61.
    [13] Uno sviluppo molto interessante dell'argomento è reperibile in Brien, Scuola cattolica ed educazione alla fede in un mondo secolarizzato, LDC, soprattutto nelle pagg 103-123; cf anche l'articolo di Negri citato nella nota 8.
    [14] Per la funzione dell'animatore, esiste uno studio monografico pubblicato in «Note di Pastorale Giovanile» (1969/6-7); annotazioni molto interessanti sono contenute pure in Le Du, Catéchèse et dinamique des groupes, ISPC


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