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    Dai gruppi alla revisione di vita



    Riccardo Tonelli

    (NPG 1969-06/07-80)

    COME VA FORMATO UN ANIMATORE

    Il fine è ultimo nell'esecuzione, ma primo nell'intenzione. La ricerca di una metodologia per la formazione di animatori capaci e funzionali, deve necessariamente prendere le mosse da un quadro preciso di urgenze. Il volto dell'animatore, come è stato tratteggiato negli articoli che precedono, fiorisce dalla confluenza di molteplici stimoli complementari: l'animatore «ideale» è quello che in sé assomma una certa panoramica di doti.
    Per «essere», prima di tutto, e per «saperci fare» - quando la prassi nasce dalla pienezza della realtà -, è necessario un previo e preciso impegno educativo. La concretezza pastorale richiede di evidenziare perciò le modalità d'arrivo (il fine da raggiungere: in termini realistici, legati cioè a doppia corda, alla funzione cui gli animatori sono chiamati e alla intensità e profondità di vita cristiana da cui scaturisce il desiderio apostolico e la tecnica di «essere animatori»), prima di ricercare le linee di conduzione. L'affermazione è evidente. E sarebbe scontata, quindi inutile, se non urtasse contro il quotidiano nostro genericismo pastorale, affrettato e acritico, per il sapore amaro della realtà che ci sfugge tra mano e delle urgenze che non lasciano respiro. Lo studio delle dimensioni metodologiche, per essere concreto e operativo, deve perciò indicare con chiarezza quali sono le istanze formative specifiche dell'animatore. In una parola: il «chi è», il «che cosa deve fare», il «che cosa quindi deve sapere» prima del «come va formato». Per non partire a spron battuto e dover poi fare presto marcia indietro, per chiedere consiglio sulla strada da percorrere.
    Lo sviluppo indicato qui è volutamente sintetico e esemplificativo, perché l'analisi è rimandata agli articoli precedenti.
    L'animatore in campo di pastorale giovanile, è un tecnico, chiamato a proporre - all'interno di un gruppo e secondo lo stile dell'animazione - con fatti e parole, la salvezza pasquale di Cristo, a persone vive, ricche di interessi e di profondo movimento interiore, quali sono i giovani d'oggi. Dalla sua funzione, nascono le tre dimensioni qualificanti la sua formazione:
    * conoscenza delle tecniche di dinamica di gruppo
    * assimilazione di un fascio di contenuti teologici
    * capacità di dialogo.

    Tecniche di dinamica di gruppo

    L'animatore è chiamato ad inserirsi in un gruppo per presentare proposte di vita cristiana rispettose della libertà del singolo e contemporaneamente accettabili e facilmente integrabili. Deve conoscere con sufficiente pienezza:
    - Il modo concreto di essere presente nel gruppo, per non abdicare, per un falso giovanilismo, al proprio ruolo educativo, in un rapporto dialogico che permetta contemporaneamente il superamento del paternalismo e dell'autoritarismo: una conoscenza cioè delle tecniche generali della animazione e di quelle specifiche della animazione pastorale.
    - Il modo di condurre un gruppo: i princìpi relativi alle dimensioni psicologiche giovanili, alla scoperta degli interessi capaci di catalizzare una massa giovanile, alle dinamiche del gruppo primario, alla circolazione dei valori; le tecniche per la riunione di gruppo (sistemazione, discussione, interazione, ecc..); le tecniche per far approfondire e interiorizzare gli interessi del gruppo; i modi di collaborazione con altri gruppi; ecc.
    - La grossa problematica relativa al reperimento e alla formazione dei leaders, con quanto vi è praticamente implicato: la capacità critica della scoperta (il cosiddetto «talent-scout»), la contemperanza delle doti naturali con quelle guidate, il convogliamento in prospettive educative delle energie prorompenti, il potenziamento di quelle latenti, il continuo processo di integrazione dell'animatore con ogni leader.
    - La conoscenza almeno embrionale delle tecniche di informazione, per offrire proposte in cui possa giocare una profonda capacità di ascolto, con il devoto rispetto delle personalità in crescita dei giovani. Per non correre i facili rischi di parlare un linguaggio che cade nel vuoto, perché sproporzionato, o un linguaggio troppo fascinoso che avvince senza convincere, che fa leva sull'istintività, senza radicarsi nella razionalità.
    E queste sono soltanto alcune delle conoscenze tecniche in cui deve essere esperto l'animatore: la realtà è ancora più ricca di vita, di movimento, di inventiva, tanto che non accetta di essere racchiusa in nessuno schema, anche ampio e smarginato.
    La presenza di queste tecniche è inderogabile; tutti noi abbiamo viva l'espressione di sconforto (che porta fatalmente ad incrociare le braccia) di chi, buttato a capofitto nell'impegno apostolico di un gruppo con un ardore che cercava di supplire l'impreparazione, si è visto inaccettato, privo di possibilità di comunicare, solo, incapace.

    Contenuti teologici

    Ma c'è il pericolo, quando ci si ferma al piano tecnico, di ridurre tutto a semplice studio delle dinamiche di gruppo: di costruire gruppi che funzionano a pennello, ma che continuano a rimanere vuoti, superficiali, ai bordi della vita cristiana. E il pericolo... non è di quelli preventivati solo a tavolino, per stimolare una riflessione a tutti i costi. Il mondo giovanile ne trabocca, purtroppo, di continuo.
    La formazione dell'animatore, accanto a una preparazione tecnica, ha bisogno di far assimilare un fascio di contenuti teologici, per un approfondimento personale e comunitario della propria vita cristiana: lungo le direttrici della cultura (studio amoroso della dottrina), della preghiera, dell'azione, dell'impegno. L'animatore, come ogni cristiano, offre una proposta, che scaturisce dall'effervescenza di una realtà interiore.
    - L'animatore deve aver integrato a livello personale, i motivi teologici che fondano l'impegno apostolico di animazione. Essi formano un quadro di indicazioni, cui ricorrere immediatamente nei momenti neri, quando tutto attorno frana, per le oscillazioni che la vita stessa imprime ad ogni gruppo, anche il più impegnato; quando la tentazione di incrociare le braccia per rientrare nei ranghi, scuote i sogni dorati di un momento di entusiasmo, forse non sufficientemente razionalizzato.
    - L'animatore deve possedere una visione teologica sufficientemente organica e approfondita, per impostare, in un clima di gioia consapevole, la propria vita cristiana e per canalizzare il gruppo (la funzione di animazione, che lascia un larghissimo spazio all'intervento personale del singolo, lo richiede in termini molto accentuati) a risposte cristiane, continue e coerenti, nelle varie situazioni di vita. La sintesi teologica assimilata e diventata quasi «istintiva», pronta a vibrare in ogni riflessione, a sfumarsi in ogni giudizio, a entrare in gioco in ogni momento di vita, è quasi un parametro che l'animatore pone a confronto della realtà, per scoprire all'interno di essa, tutta la ricchezza cristiana di cui è carica. L'animatore è chiamato a rendere «pasquale» ogni suo movimento: come testimonianza, nel suo quotidiano modo di agire e come riferimento, nell'aiuto concreto che offre agli altri.
    Non è certo facile. Per questo la visione teologica che l'animatore possiede, pare debba essere ricca di questi tre attributi:
    * profondo inserimento esistenziale: un cristianesimo disincarnato e astratto non aiuta ad operare scelte cristiane nelle situazioni sfidanti; Ma è di questo stile che il gruppo giovanile è affamato, per la verità della propria scelta cristiana.
    La crescita nella fede per l'animatore è quindi la scoperta dinamica di un Dio attuale e legato alla realtà: una scoperta dillamica, che lo fa sentire continuamente alla ricerca, che non gli permette mai di considerarsi un arrivato, ma lo stimola ad approfondire, a crescere, a scoprire sempre di più; di un Dio attuale e legato alla realtà, di un Dio cioè che fa strada con noi, che vive dentro e non ai margini della nostra storia, che ci parla con la Bibbia e con il giornale, che ci fa toccare con mano l'amore nell'amore che ci vogliamo, il perdono, nella capacità di sopportazione dei negri schiacciati dall'odio razzista, dei poveri che controllano la loro collera, degli oppressi che cercano nella non-violenza una via alla giustizia, che ci parla di gioia, di bellezza nel volto di una ragazza, nel sorriso di un panorama, nel cuore di mia mamma;
    * innesto nei valori che il gruppo vive, per non essere proposta lontana dai centri di interesse immediati e condivisi. Innesto però capace di interiorizzare continuamente questi valori, che vivono nel gruppo troppo spesso in forma epidermica ed esteriore, per giungere, mano nella mano con tutti, ai risvolti più nascosti della verità cristiana. Se l'animatore non è in sintonia con i valori del gruppo, fa cammino da solo; se non sa allargare continuamente, a macchia d'olio, gli interessi, rinuncia alla sua funzione: invece di condurre avanti il gruppo, si ferma al suo punto d'arrivo;
    * dimensione di testimonianza gioiosa. Il messaggio pasquale di Cristo è portatore di gioia: non può rimanere il freddo annuncio di una verità che germoglia in vitro, che non tocca sulla pelle. La prima funzione dell'animatore sta nello sprizzare gioia da tutta la sua persona: una gioia conquistata e riflessa, innestata nel banale quotidiano, una gioia di cui parla col volto, col brillare dello sguardo, prima delle mille facili parole.

    Capacità di dialogo

    Le proposte dell'animatore hanno come termine di riferimento persone in movimento interiore, in cui si intrecciano, con la stessa forza suggestiva, le più disparate sensazioni. Per non correre il rischio di battere l'aria, il suo discorso non può essere anodino.
    Gli si richiede una forte capacità di penetrare all'interno di quel mondo in agitazione che è ogni persona umana. Incominciando da se stesso, fino agli ultimi risvolti, con assoluta sincerità, alla ricerca delle pieghe di intenzionalità e delle motivazioni precostituite: per essere a se stesso aperto e disponibile. A queste condizioni saprà entrare nella profondità degli altri:
    * Per scoprire ed evidenziare le potenzialità inconsapevoli su cui fa leva, per procedere. È un po', come svelare il mistero delle cose. I suoi discorsi hanno il tono, alla coscienza dei giovani, di un parlare dei loro affari, un rivelare continuamente quello che hanno dentro, che sentono battere alla porta della loro razionalità, senza poterne afferrare la voce. La funzione dell'animatore realizza le parole di Paolo agli Ateniesi: «Quello che voi adorate senza saperlo, io ve lo rivelo».
    * Per scoprire gli errori inconsapevoli che portano a deformazioni professionali. Le conclusioni errate, incomplete, inconcludenti, sottendono motivi di fondo non ben maturati. Non serve - ed è diseducativo -  influire sulle conclusioni, per capovolgere l'azione. Il punto da colpire è il campo dei motivi. L'animatore deve sapere agire in profondità, per mettere a nudo la situazione di crisi. A costo di far sanguinare: l'egoismo getta facilmente uno scudo termico, a protezione di un settore di comoda riserva personale.
    * Per portare tutti, assieme, verso l'ideale condiviso, dopo aver scoperto, assieme, tutta la carica del reale. La scoperta del vero volto della realtà è il punto di partenza di ogni processo educativo. Per questo, l'animatore è chiamato a coglierne continuamente gli aspetti, anche quelli meno appariscenti. È chiamato a penetrare il volto fascinoso delle cose, per porre sulla bilancia della decisione tutto ciò che ha un ruolo da giocare, anche se in apparenza solo secondario.

    QUESTO PROCESSO FORMATIVO ESIGE IL GRUPPO

    La pastorale deve battere la strada della realtà. Non è un indulgere, con gesto compiacente, alle mode, per tentare di conservare tra le mani, qualcosa, a tutti i costi. È consapevolezza di queste dimensioni teologiche:
    * non esiste il tipo «medio» di cristiano, adatto ad ogni situazione e ad ogni tempo: esiste solo il cristiano incarnato, che fa strada con i suoi contemporanei - i fratelli cui è chiamato a donare la salvezza pasquale di Cristo - «così come essi sono»;
    * il Signore non ci chiede di inventare una pastorale a priori, ma di partire dalle reali situazioni, per innestarci profondamente in esse, correggendo, perfezionando, completando (cf Gaudium et Spes). Tutto questo è, sempre, accettazione critica della realtà e rispetto ai segni dei tempi.
    Il fenomeno del raggrupparsi giovanile è vasto e generale anche prima della sua assunzione educativa: è stato scoperto dalla vita prima che da noi. Non solo non è quindi possibile ignorarlo, ma va assunto sistematicamente nel programma e nel metodo: in tutto il contesto della pastorale giovanile e nel momento specifico della formazione degli animatori. Proprio perché essi sono chiamati a vivere inseriti in un gruppo, ad espletare la loro missione apostolica all'interno di queste dinamiche, hanno quindi bisogno di esperimentarle, continuamente. Per sentirsi, anche nella fase di preparazione, già immessi in quel movimento educativo che sarà poi il loro respiro abituale. Per non maturare in vitro: niente è più alienante della constatazione del lungo cammino tra la riflessione e la realtà.

    Un gruppo, ma aperto per non ammuffire

    La formazione degli animatori esige quindi il gruppo di riferimento: il piccolo gruppo che crei un forte clima d'impegno, in cui le istanze formative (momento tecnico, momento dei contenuti, capacità di dialogo) siano quasi disciolte nell'aria, da essere continuamente respirate.
    L'educatore-degli-animatori ha il compito di «istituire» questo gruppo, di farne una realtà in continua circolazione di valori, di saturarlo di profonda tensione apostolica. Con l'occhio attento a superare il pericolo di costituire un gruppo consumativo, chiuso: un piccolo ghetto dove ci si ritrova bene, ma a porta chiusa. Il terreno di lavoro è la vita, il fuori, all'aria libera dei molti gruppi giovanili di cui essi sono animatori: il «dentro» è per il «fuori». Ci si ricarica per donare. Si approfondisce una tecnica, una suggestione cristiana, si vive intensamente il calore, dell'amicizia, per poter dare a piene mani. Se il processo diventa a raggio chiuso, se ha come centro l'interno, il «dentro» sicuro e accogliente, tutto presto intristisce: perché il lievito che non possa attingere la massa di farina, ammuffisce per assenza del terreno naturale.
    Può anche facilmente inaridire il giovane animatore che si ritrovi da solo, sempre, senza il contatto di chi vibra delle stesse tensioni, di chi soffre delle stesse preoccupazioni. L'educazione a tu per tu, manca di troppe componenti, per essere momento sicuro di sostegno. Il giovane non ha bisogno, solo e sempre, della parola amica del sacerdote (anche se ha l'arte di colpire i punti nevralgici): ha bisogno di scoprire che non è da solo: ha bisogno di modelli di comportamento, congeniali e vicini.

    Perché una formazione in gruppo?

    Pare importante sottolineare ulteriormente questo discorso, per passare da motivazioni spesso solo tecniche (come le precedenti, tutto sommato) ad altre di portata più teologica e psicologica.

    - Un processo formativo in parallelo con la vita
    Troppo frequente è il lamento: «Quando sono entrato nella vita, nella mischia quotidiana, mi sono rifatto tutto da solo», o il consiglio non meno qualunquista: «Ti farai le ossa, una volta che incomincerai a darti da fare». Colui che s'accorge di dover ricominciare da solo, finalmente è arrivato, non può certo brillare di entusiasmo.
    Il discorso è stato più volte affrontato, anche su Note di Pastorale Giovanile (cf, per esempio, Negri, Tre aree di lavoro, tre energie, tre obiettivi per rendere postconciliare la nostra pastorale, 1968/5; Tonelli, Appunti per una pastorale giovanile nella Chiesa oggi, 1969/1); ma conviene riprenderlo, almeno in sintesi.
    Le energie che movimentano la mente e il cuore dell'uomo sono raccolte dalla Gaudium et Spes (che si fa eco delle riflessioni della psicologia) in tre settori, molto smarginati e complementari (i nomi possono essere discutibili: quelli adottati qui hanno il pregio di essere ormai entrati nel vocabolario nella nostra Rivista):
    * il settore della coscienza (l'insieme dei concetti che uno si forma del mondo, della vita, degli altri, di se stesso). Ogni attività per essere umana, deve fiorire da una visione delle cose: il quadro mentale è il parametro cui fare continuo riferimento, nelle situazioni di vita, nelle scelte, nelle decisioni, nel modo di presenza, nelle proposte comportamentali;
    * il settore dell'attività (il campo degli interventi personali nella realtà). L'uomo non può rimanere inerte: ha bisogno di fare, di intervenire continuamente, con il peso della propria persona. L'interazione tra pensiero condiviso e motivante e azione è continua: tanto che non solo l'uno condiziona - o dovrebbe condizionare - l'altra, ma la coscienza si fa più netta, la conoscenza più dettagliata, proprio attraverso l'azione;
    * il settore della comunione (il mondo delle relazioni interpersonali nella realtà). L'uomo, nella fase di coscienza e in quella di attività, vive gomito a gomito con altri uomini, legati a lui da vincoli inscindibili, se non si vuole rinunciare ad un elemento qualificante la propria umanità. L'apprendimento di una visione della realtà e la traduzione operativa, richiedono un continuo processo di correlazioni: per esperimentare immediatamente a livello interpersonale, nell'apprendere assieme e nell'agire assieme.
    La vita quindi esige, per qualificare un uomo (e il discorso generico diventa fortemente concreto quando viene riferito, per esempio, alla formazione dell'animatore), non solo l'assimilazione di un ricco bagaglio di conoscenze, per una visione chiara della realtà, ma la continua traduzione immediata in azioni, proprio per la verità dell'apprendimento e per la sua profondità. Il tutto però - apprendimento e azione - in un processo di relazioni con altri, sul piano interiore del condividere gioioso e fraterno: perché solo l'apprendere e l'agire con altri, fanno un apprendere e agire da uomo.
    La formazione perciò ha come clima di catalizzazione il gruppo (i «molti» legati da vincoli di amicizia e di interessi), dove diventa spontaneo l'incontro con altri, in un clima di ricerca, e lo sbocco naturale in un'azione comune.

    - Il gruppo come momento di integrazione
    Queste affermazioni sono facilmente applicabili ai problemi formativi dell'animatore.
    L'animatore deve acquistare un fascio di conoscenze tecniche (le tecniche di gruppo e i contenuti teologici). Per fare l'uomo, non è affatto sufficiente la conoscenza teorica e intellettualistica. Quanto l'animatore ha appreso, proprio per poterlo sentire totalmente vero e per poterlo integrare continuamente a livello della propria personalità, va immediatamente (in parallelo tra azione e riflessione: credo che l'accentuazione dell'uno o dell'altro aspetto porti facilmente ai due errori opposti dell'intellettualismo e del pragmatismo) incarnato in modelli di comportamento, va disseminato in movimenti comunitari socializzati, va subito tradotto in motivi di azione. Si constata frequentemente per esempio che non è facile parlare di Chiesa a chi non sa far chiesa: a chi non abbia già una gioiosa esperienza di amicizia e di donazione generosa.
    Lo studio delle tecniche di animazione diventa credibile quando è vissuto, all'interno di un gruppo di cui l'«apprendista» fa parte; quando, mano nella mano con gli amici, cerca di applicarle attorno a sé. La realtà cristiana diventa credibile e costruttrice di motivi di azione quando è «respirata» nella cerchia degli amici, quando è esperimentata nella traduzione liturgica, come motivo di gioia comune: quando cioè non è puro apprendimento tecnico ma «vita vissuta», nel ritmo di tutti i giorni e «sfacciatamente» testimoniata prima di essere parlata. Le tecniche di animazione e il fascio dei contenuti sono cioè l'anima di una liturgia quotidiana, pregata e fatta tra amici: in gruppo.

    - La complementarietà dei carismi personali
    Un ultimo motivo che appoggia la tesi del gruppo come elemento formativo degli animatori è la certezza teologica della complementarietà dei carismi personali. Il Signore ha regalato talenti in misura differente: non solo nella quantità ma, soprattutto, nella qualità, nella funzionalità. Le cose girano a pennello, quando tutti portano il proprio contributo. L'ingranaggio si grippa, quando anche uno solo si tira indietro. Gli altri sono i libro della vita modellato in tutta la sua completezza. Ogni uomo, certamente, è chiamato a percorrere una sua strada, tutta personale. Ma una strada personale che voglia essere oggettiva, aperta, continuamente disponibile e soprattutto efficace al raggiungimento di una mèta, deve nascere da un contributo di ricercai di modellamento, di tanti: la «mia» strada è dono dei fratelli.
    L'esperienza tante volte ci presenta batterie di giovani che ripetono, magari inconsapevolmente, gesti, parole, atteggiamenti, visione delle cose, del loro educatore: lo hanno copiato in pieno. Ma sono, spesso, proprio per questo, unidirezionali. Non tutti noi educatori... siamo talmente completi da poter gridare: «Imitatores mei estote!». L'animatore, per essere capace di incontrare tutti i giovani così come essi di fatto sono, nelle loro situazioni di vita, ha forte urgenza di mille contributi: di quelli stimolanti del sacerdote amico e di quelli graffianti dei fratelli.
    Ancora una volta, il gruppo ha il dono di compaginare tecnici pronti ad essere immessi nella realtà, per animarla, senza esserne subito succhiati e inghiottiti.

    La circolazione dei valori all'interno del gruppo

    La costruzione di un gruppo non risolve, di certo, spontaneamente, tutti i problemi formativi. Perché non è il gruppo, in se stesso, che diventa elemento di formazione. Esso è nell'ordine dei condizionatori. È prezioso, talvolta indispensabile. Ma non è tutto. È un po' il terreno fecondo in cui il seme produce il 100 per 1. Va quindi «riempito»: a larga mano, in proporzione alla capacità di recezione ma anche in continua tensione di crescita. Ciò che forma, è il gruppo «funzionante», quello cioè ricco di dinamica interiore, in cui esiste una forte circolazione di valori.
    L'animatore, come ogni giovane del resto, ha bisogno di allargare continuamente la sfera delle sue conoscenze e di assimilare un fascio sempre più approfondito di contenuti.
    Il tutto, però, nel rispetto di due dimensioni:
    * ogni nuova conoscenza, per fare vita, deve essere immediatamente integrata a livello personale, in modo da diventare «motivo» di azione.
    Questo processo richiede il gruppo, come momento di esperienza, di facile traduzione nel proprio mondo, di «suola» viva (fatti, vissuti assieme, piuttosto che parole);
    * ogni nuova conoscenza, per essere sentita come «importante», deve partire da interessi concreti e condivisi. Questa affermazione esige i processo a cerchi concentrici: il punto di partenza rimane sempre l'interesse immediato, ma coltivato e guidato nella sua spontaneità, in modo da accettare qualcosa di più approfondito, di più completo.
    E così è stata delineata una sintesi del movimento formativo che deve caratterizzare i cammino in avanti dell'animatore, verso una esperienza sempre più consapevole e più piena: circolazione di valori (il processo dell'approfondimento a cerchi concentrici: scoperta di nuovi valori e assimilazione di quelli già evidenziati, perché diventino «motivi di azione» in senso cristiano) all'interno del gruppo (il momento educativo che rende possibile e integrabile l'approfondimento).
    Pare interessante indicare alcuni ritmi di questa circolazione di valori: evidentemente a solo titolo esemplificativo. La vita rifugge ogni schematizzazione. Ma l'educatore deve possedere un certo quadro di riferimenti, per poter guidare verso una mèta precisa i ritmi spontanei che fluiscono dal quotidiano.
    Questo «movimento», per non girare a vuoto, richiede qualcosa da far circolare: per gli animatori i valori da porre in circolazione sono quelli propri della loro missione, come è stato indicato in apertura di questo studio. Le linee che seguono sottolineano soprattutto il modo.

    - Circolazione indiretta
    È il primo fattore di educazione: il ritmo ordinario della vita, il contatto reciproco, la presenza sempre educatrice del sacerdote, ecc.
    Per formare non è possibile attendere i momenti ufficiali: quando ci si siede in cattedra a fare scuola. La stragrande maggioranza del tempo è impastata di banale, è fuori dall'ufficialità. Ma proprio per questo è ricca di forte carica educativa, se il gruppo respira una mentalità sicura di valutazione, se i contatti sono sinceri, se i giudizi hanno sempre il sapore del Vangelo, se, in una parola, il clima generale funziona.

    - Circolazione diretta
    Proprio per rendere efficiente la circolazione indiretta, il gruppo ha esigenza di «momenti forti» in cui la preoccupazione formativa sia messa in stato di punta. Potranno essere il momento tecnico della scuola per animatori, una seduta di revisione di vita, un dialogo a tu per tu per chiarificare qualche situazione imbarazzante, un tempo di preghiera personale o comunitaria, una muta di esercizi spirituali, ecc.
    La circolazione diretta può essere realizzata in due modi coessenziali tra loro, procreare una certa «abitudine» di comportamenti:
    * circolazione rapida (quando predomina la preoccupazione dell'istantaneità della motivazione che produce una risposta tecnicamente valida e cristianamente qualificante: tra le situazioni che sfidano l'uomo a prendere una posizione e la risposta che ne deve scaturire, non c'è spazio per una lunga riflessione: la vita esige tempi cortissimi. Quindi l'animatore deve essere allenato a decidere immediatamente e con il massimo di carica cristiana);
    * circolazione al rallentatore (quando invece predomina la riflessione «guidata» per interiorizzare dei contenuti, per costruire delle motivazioni condivise, da porre poi in gioco nel momento della sfida: siamo di fronte ad un momento di «allenamento», che può essere specifico di alcuni tempi speciali: esercizi, ritiri. Proprio per il fattore troppo tecnico, di «esercitazione», tutto ciò potrebbe diventare alienante, se è sentito o costruito fuori dalla vita. È importante quindi la mano prudente dell'educatore, che si preoccupi di ancorarlo alle reali situazioni di vita e di svilupparlo in un clima molto spontaneo e impastato di quotidiano).

    QUESTO PROCESSO FORMATIVO ESIGE LA REVISIONE DI VITA

    L'animatore, come ogni cristiano, è chiamato ad essere un testimone del Vangelo, in tutto lo spazio della sua attività. Ma è anche chiamato, per vocazione specifica, a guidare gli altri (con le modalità proprie dell'animazione) verso la scoperta della salvezza pasquale di Cristo. Deve perciò possedere un cristianesimo fortemente incarnato.
    Per poter aiutare la circolazione indiretta all'interno del proprio gruppo, ogni sua azione ed ogni sua valutazione devono profumare della sua fede. I giovani che lo avvicinano gli chiedono di sentirsi «sconvolti», dal suo modo di vivere il corso banale della giornata.
    L'animatore è anche chiamato a curare la circolazione diretta all'interno del gruppo: per questo deve possedere - a livello cosciente, quasi «tecnico» - questa sensibilità e scoprire la presenza di salvezza del Signore nella realtà.
    L'esigenza di arrivo sottende la ricerca di un metodo efficace di formazione. La revisione di vita si presenta come la strada più facile e più qualificante per introdurre coscientemente la fede al ritmo della vita. A questo scopo vengono presentate, sulla scorta di alcuni studi di G. Negri, due linee di sviluppo: la schematizzazione, ancora una volta, ha solo lo scopo di aiutare l'educatore ad integrare l'una con l'altra nella ricerca di un metodo efficace e «vero» nel proprio ambiente.

    La revisione di vita si inserisce nel processo motivazionale

    Il punto nevralgico della personalità è il fascio delle motivazioni. Il cristiano è qualificato non tanto dalle azioni che compie, ma dai motivi da cui scaturiscono le sue azioni. Il processo educativo si inserisce nel momento motivazionale: la revisione di vita dà sapore di fede, qui.
    Una sintesi di procedimento potrebbe tener presenti i seguenti passaggi (anche se si tratta di aspetti che smarginano facilmente l'uno sull'altro e sulla cui globale o parziale necessità è opportuno dare una valutazione solo in situazione):
    - umanizzazione, cioè abituale accentrazione del fatto «uomo», persona. La ricerca della dimensione umana, nell'avvenimento, nell'intervento, abitua a porre in primo piano il valore assoluto della persona.
    - concretezza, cioè continuo riferimento ai «me» attuali e reali. Anche dopo aver scoperto che è in causa una persona, è facile giocare a rimpiattino con la realtà, sfuggendo nell'atmosfera tersa dell'impersonale, riempiendo lo spazio di elucubrazioni qualunquiste, che non toccano sul vivo. Quando invece ci si sente dentro fino al collo, chiamati in questione personalmente, perché un certo fatto è stato scoperto come un «mio» problema, la valutazione diventa molto diversa, ben più qualificante e compromettente.
    - interiorizzazione, il fare cioè il passaggio dai comportamenti alle cause. L'impegno di interiorizzare le situazioni richiede il processo difficile e faticoso di arrivare dall'esterno all'interno, dai modi di fare ai perché che ne sono sottesi. La riorganizzazione a cui tende questa analisi non può produrre effetto se non ha avuto come oggetto il «vero» più profondo, se non è stato cioè messo «il dito sulla piaga». Ci vuole sincerità e disponibilità, per intraprendere un cammino che va a ritroso e controcorrente, perché cozza contro la superficialità di cui siamo impastati. Eppure è una strada obbligatoria.
    - autocritica, bisogno cioè di verificare, di autenticare. È un po', accanto al momento successivo, la condizione per poter procedere all'interno. Scoperte le cause, vanno messe «in piazza», spassionatamente, in tutti i loro risvolti, anche quelli più reconditi, dietro cui ci trinceriamo, nei momenti duri
    - valutazione, distinzione cioè degli aspetti validi da quelli non validi. L'autocritica porta a valutare tutto, senza nessun preconcetto, senza assolutizzare nulla.
    Questo procedimento cammina ancora molto sul piano umano: si sta cercando l'aspetto vero dell'uomo. Solo, conquistata questa verità, si può fare spazio all'avanzata trionfante del Cristo. Corrisponde, negli schemi tradizionali della revisione di vita, al momento del «vedere».
    - innesto del Salvatore
    - spiegazione di come Cristo risolve e salva la situazione
    La materia che ha in mano Dio creatore e redentore è tutto ciò che è «coscienza di se stesso». In questo contesto, entra il Cristo.
    I due aspetti sono fortemente complementari: il primo è in chiave di sintesi (ricerca di come il Cristo-Salvatore è dentro a questo fatto, a questa mia posizione interiore, a questo mio desiderare); il secondo in chiave di analisi (per ricercare le motivazioni profonde di questa presenza, in odo da razionalizzare sempre più la presenza di Cristo nella vita di ogni giorno, al di là dell'istintività capace di suggestionare ma non facilmente di condurre all'azione, quando tutto è ritornato a freddo).
    Siamo nel secondo momento della revisione di vita: quello del «giudicare».
    - riorganizzazione del «me» in chiave operativa: una nuova interpretazione degli stimoli; perciò da essa procede una decisione motivata e non moralistica.
    È il terzo momento: quello dell'«agire».
    Lo scopo di tutti questi passaggi è stato la riorganizzazione del «me» in chiave di fede. La salvezza è solo questo: Cristo non si pone certo come alternativa all'io. Troppo spesso, purtroppo, si è percorsa la via opposta, della giustapposizione (sport sì, ma anche partecipazione alla Messa) o della contrapposizione. Anche nella formazione degli animatori.
    La presenza di Cristo nella propria vita porta a potenziare la realtà personale, a scoprire la meravigliosa coincidenza tra le aspirazioni più vere e la salvezza, mediante la liberazione dall'errore e lo smascheramento dalle falsificazioni in cui siamo immersi. Tutto questo è esaltante motivo di gioia e incoraggiamento nelle difficoltà. Il giovane che è affascinato dal volto di una ragazza e che sente insorgere, dal di dentro, il turbine dell'istintività che lo trascina ad un comportamento, se riesce a riorganizzare la profondità di se stesso e dell'oggetto dei suoi pensieri, potrà inquadrare quella ragazza in una nuova prospettiva. Non è la motivazione filosofica e moralistica che decide il tipo di interventi, lasciandogli la bocca amara per l'occasione sfuggita. È il mistero di se stesso e di lei che chiarifica la superficie, fascinosa ma opaca. Così è la fede integrata nella vita.

    La revisione di vita aiuta l'integrazione tra fede e vita

    Una seconda linea di sviluppo della metodologia della revisione di vita, è quella più tradizionale del «vedere - capire - collaborare».
    Ne riportiamo uno schema tecnico, a cui è opportuno attenersi, almeno nei primi passi, per evitare di disperdere nel generico la valutazione o di non sfociare nella decisione di un impegno concreto. Per indicazioni più dettagliate si rimanda ai vari articoli di G. Negri apparsi nei numeri precedenti di Note di Pastorale Giovanile (1968/11, 1969/1, 1969/2).

    - La tecnica

    * vedere
    1° passo: dal fatto esteriore all'uomo interiore
    - quale fatto della nostra vita vogliamo revisionare, alla luce della fede? (proposte e scelta)
    - che cosa vogliono in realtà i protagonisti di questo fatto? Quali stati d'animo sono qui presenti?
    - abbiamo noi gli stessi sentimenti?
    2° passo: dall'uomo all'umanità
    - si tratta di un fatto tipico, dove ci troviamo un po' tutti, noi uomini?
    - chi può aver influito sui protagonisti?
    3° passo: dall'umano al divino
    - che cosa dà Dio agli uomini in questo fatto? (valori creati)
    - che cosa invece è dato dal peccato? (deformazioni)
    - e noi che parte abbiamo in tutto ciò?

    * capire
    1° passo: le intenzioni di Dio
    - con quali intenzioni Dio è-presente in questo fatto?
    - qual è il pensiero di Cristo?
    2° passo: il piano di Dio
    - quale progetto ha Dio per salvare la situazione?
    3° passo: l'opera di Dio
    - qual è l'azione attuale di Dio per salvare la situazione?

    * collaborare
    1° passo: affermazione del mistero
    - qual è la vera realtà del fatto revisionato?
    2° passo: rettifica del giudizio
    - in che cosa prima il nostro giudizio era sbagliato o incompleto?
    - che cosa è bene e che cosa è male nel fatto, visto alla luce di Cristo?
    3° passo: progetto di collaborazione
    - che cosa ci chiede di cambiare nel nostro abituale atteggiamento fronte a fatti simili?
    - che cosa ci chiede Cristo per salvare questa situazione immediatamente?

    - I vantaggi

    Questo metodo, adottato nel piano di formazione degli animatori (soprattutto se integrato con la linea precedente di cui qui, del resto, ritornano molte istanze, anche se esaminate in prospettiva diversa), porta alcune indicazioni particolarmente interessanti:

    * Una personalizzazione di ogni problema
    L'interesse è limitato ed esteriore finché non si è scoperto che un certa fatto è un «mio» problema personale, in cui sono chiamato diretta mente in causa. Il più delle volte - e l'esperienza del contatto con i giovani ne dà pronta conferma  -  vale l'affermazione: «È importante perché mi interessa»; non «Mi interessa perché è importante». L'«importante» è cioè una scoperta da fare personalmente. L'animatore, nel suo processo di formazione, ha bisogno di sentirsi interessato; nell'adempimento della sua missione ha il compito di interessare. Deve quindi scoprire che il volto anche amorfo di tante cose, ha riflessi e implicanze immediate sul vivo della sua persona. Questo movimento di personalizzazione va appreso sui banchi della vita. Per essere autentico e qualificante: rispettoso del mistero di ciascuno.

    * Un approfondimento a cerchi concentrici
    È stato affermato che ogni nuova conoscenza, per suscitare ascolto, deve procedere da un interesse condiviso dal singolo e dal gruppo. La formazione è completa, d'altronde, quando sa farsi attenta a tutti i valori: non solo a quelli superficiali e immediati. Non è sempre facile conciliare queste due posizioni: nella formazione personale degli animatori e nella funzione che essi devono esercitare. La revisione di vita aiuta a procedere «a cerchi concentrici»: cerca cioè di non produrre rotture tra lo spontaneo e quanto viene proposto, proprio perché l'esigenza del secondo nasce dal primo, sotto la guida esperta dell'educatore.

    * Una spinta operativa immediata
    La revisione di vita porta, necessariamente e subito, al praticissimo: «Che cosa devo fare, allora?». L'impegno a fare è frutto immediato della riflessione: non c'è rottura tra l'una e l'altro. Non ci sono passaggi intermedi in cui venga posta sulla bilancia l'autorità dell'educatore, per spingere a rimboccarsi le maniche. Se tutti sono stati coinvolti nella riflessione, non ci si può più tirare indietro nella esecuzione. È questo un elemento che merita un'attenta sottolineatura. Perché è troppo facile constatare l'esistenza di gruppi ammosciati dalle lunghissime inconcludenti discussioni, in cui tutto è posto - anche giustamente - in crisi e dove però non si approda mai al concreto impegno. E di gruppi tutti protesi verso l'azione, ma «vuoti», perché privi di una pausa programmata di riflessione. La conclusione degli uni e degli altri è molto spesso il fallimento o la giustapposizione (diseducativa) dall'esterno di quanto si sentono carenti: riflessione o attività.

    * In continuo riferimento al gruppo
    La formazione degli animatori, per essere pastoralmente qualificata, esige il gruppo come luogo di riferimento. Non è un momento d'appoggio o di ritorno: è il clima in cui si cresce. La revisione di vita riporta tutto il processo di riflessione e di azione nel gruppo: vive e si modella secondo le sue dinamiche. Quasi, ne è contemporaneamente esigenza e costruzione.

    CONCLUSIONE

    Sono stati delineati alcuni motivi per una metodologia di formazione degli animatori: il gruppo come luogo di formazione, la revisione di vita come metodo.
    Ne manca un terzo, forse il più importante: l'inventiva pastorale di colui che sente di dover battere queste strade nuove, nel faticoso cammino in avanti. Ogni situazione concreta è nuova, fa capitolo a sé: per nostra fortuna non è inquadrabile in nessuno schema, anche se riesce ad adattarsi a tutti. Colui che ne vive immerso, se ne lascia coraggiosamente condizionare. Sa ascoltare tutte le voci, per non cadere nel geneticismo; ma decide ogni intervento, sulla sua misura: sulla misura dell'uomo che vuole incontrare.
    L'animazione non è un'invenzione della pastorale giovanile. Di essa, la pastorale si serve, con devota gratitudine ai segni dei tempi. Essa non è un assoluto: qualsiasi tecnica, anche la più esperimentata e meglio codificata, va immessa nel respiro specifico dei giovani concreti e della tensione pastorale concreta. Ma non è strumentalizzabile. Va presa così com'è, senza clericizzarla troppo.
    Va, tutto sommato, storicizzata. Continuamente.


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