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    Dal gruppo alla pastorale di gruppo



    Riccardo Tonelli  

    (NPG 1969-12-26)

    La dinamica di gruppo non può essere trasportata di peso nella pastorale giovanile. Va «ripensata», con profondo rispetto, evitando decisamente ogni strumentalizzazione od ogni qualunquismo.
    Questo articolo tenta di delineare la strada da percorrere, per «inserire» la dinamica di gruppo nella pastorale.
    Il movimento consigliato è duplice:
    - la costruzione di un gruppo efficiente, caratterizzato dalla capacità di scoprire l'«uomo» in ogni gesto: è il «luogo» per la proposta di fede;
    - la ricerca di uno stile di proposta di fede, che utilizzi le forti energie di cui il gruppo è portante.
    Lo studio sviluppa soprattutto la prima parte; per la seconda è indicato unicamente un certo itinerario da percorrere, anche perché si tratta di un discorso già più volte fatto sulla Rivista. A questo proposito, il Centro Salesiano di Pastorale Giovanile sta curando, presso la Elle Di Ci, la pubblicazione di due testi molto attesi e complementari: un manuale tecnico di dinamica di gruppo ed uno studio sulla sua utilizzazione pastorale. Ne daremo presentazione dettagliata in uno dei prossimi numeri di Note di Pastorale Giovanile.

    La pastorale ha scoperto la strada del gruppo.
    E ci si è gettata a capofitto, con la gioia inconsapevole di chi pensa di aver finalmente trovato il rimedio che cercava.
    Gli scricchiolii e i sobbalzi improvvisi non mancano. Ma, tutto sommato, si procede in avanti, decisamente. Almeno per qualche tempo.
    Poi, uno scarto imprevisto, rigetta in crisi tutto il sistema: ci si ritrova daccapo. Anzi, con una carta piena di speranze, bruciata tra le mani. Fiorisce spontanea la domanda: ma perché?
    Un tentativo di risposta può nascere dalla sintesi - organizzata a livello di ogni operatore pastorale, con un missaggio che è frutto di personale esperienza - di questi tre momenti.
    1. La dinamica di gruppo è una scienza impegnativa: esige dei tecnici capaci e professionalmente formati. Non sono sufficienti «il buon senso» e la «buona volontà» generica. Tanto più che ogni sperimentazione viene fatta sulla altrui pelle.
    2. La dinamica di gruppo non è nata in prospettive pastorali. È sorta «laica». E questo che è un pregio, comporta anche un certo limite. Non può essere trapiantata di peso. Ha cioè bisogno di essere fatta oggetto di un ripensamento pastorale che la «storicizzi» senza strumentalizzarla. Ne conosca tutti i risvolti, per operare una scelta intelligente di metodologie. Nel devoto rispetto che nutre colui che sa di avere tra mano una cosa preziosa e non sua.
    3. Il gruppo non è l'assoluto. L'unico assoluto in campo è la singola persona-da-educare e da-salvare.
    L'affermazione aprirebbe una lunghissima parentesi di osservazioni. Qualche esemplificazione, tra le tante:
    - È il gruppo che deve servire la persona e non viceversa. Anche se, per il gioco del bene comune, ogni persona deve rinunciare a qualcosa di se stessa, proprio per donarsi al gruppo. Ma è rinuncia in funzione della educazione personale. L'arricchimento di ciascuno fiorisce dal dono che ciascuno fa di se stesso agli altri.
    - Non è per il fatto che alcuni giovani si ritrovano volentieri in un gruppo, che esiste un preciso, esplicito contesto educativo-pastorale.
    Il gruppo è un ottimo e necessario presupposto, ma solo pone basi e premesse: non è educativo per il fatto che esiste, ma per i contenuti di cui è carico, per il clima che respira (ci poniamo come ipotesi di partenza, in un impegno di formazione pastorale, di proposta di vita cristiana, cosciente e integrale. Rifiutato questo, evidentemente crolla il resto). Talvolta, per tradurre in parole concrete una affermazione che nella enunciazione teorica trova facilmente tutti concordi, la dinamica di gruppo ha delle esigenze che la preoccupazione pastorale invece rifiuta. E giustamente, mi pare.
    Un esempio, a chiarificazione.
    L'optimum di un gruppo è una decina di membri, legati da uno spontaneo associarsi, fino al rifiuto o alla emarginazione di altri, meno affiatati. La pastorale, al contrario, chiede lo sforzo di integrare - subito e con calore - un po' tutti, anche le «nuove conquiste», a costo di allargare il numero e di allentare leggermente i legami di simpatia tra gli «anziani». Lo stesso vale per la leadership.
    - La persona in questione è una «persona-in-costruzione», quindi condizionata dalle caratteristiche del momento educativo.
    Ha bisogno della presenza di un adulto che la guidi alla scoperta dei valori, che ne stimoli una presa di coscienza, altrimenti difficile, che l'aiuti ad «andar controcorrente», quando è necessario.
    Sta inoltre cercando una Persona, sta percorrendo una strada lastricata di fede: movimenti che sono soprattutto dono dall'alto (anche se non imponibile autoritativamente, ma frutto di una continua ricerca personale; cf lo schema del «Nuovo Catechismo Olandese»: l'uomo si interroga e Dio risponde).
    Il gruppo e l'animatore di gruppo, dovranno tenere conto di queste situazioni particolari. La dinamica di gruppo chiede all'animatore una presenza molto anodina, quasi di «semplice controllo tecnico».
    Il ripensamento pastorale sulla dinamica di gruppo esige da lui molto di più. Vuole che sappia intervenire e che sappia anche proporre. Con la sensibilità che la tecnica gli impone, di assoluto rispetto per gli altri, di «far ,scaturire dall'interno», di guidare alla scoperta.
    Tutto sommato, rimane però assolutamente vero che la pastorale giovanile deve molto alla dinamica di gruppo. Fino al punto che, oggi, forse, una proposta di fede ai giovani che non voglia partire bruciata, deve battere, con decisione, questa strada. Si può anche affermare che la dinamica di gruppo può (o deve) diventare il principio unificatore della nostra pastorale.
    Questo punto d'arrivo ideale va però attuato dentro il reale: dentro la situazione quotidiana, ricca di movenze positive e negative, piena di imprevisti, limitata da mentalità e tradizioni, a contatto con giovani che tanto spesso non sono l'optimum che i manuali descrivono, affamati come sono di sopravvivere, nonostante tutto.

    PARTIAMO DALLA SITUAZIONE REALE

    Per studiare l'utilizzazione pastorale della dinamica di gruppo, partiamo allora da un'analisi attenta della realtà, considerata nel taglio di uno spontaneo o guidato associazionismo. Sembra abbastanza facile rilevare l'esistenza nell'ambito giovanile, di questa situazione:
    - Una massa disarticolata. Molti dei «nostri» giovani non hanno un volto caratterizzato ma vivono accanto a noi, nel chiuso del nostro ambiente, solo come confuso agitarsi di vitalità, di opinioni, di umori, di pressioni.
    - Una serie svariatissima di gruppi, spesso primari, non necessariamente orientati verso valori esplicitamente cristiani: gruppi involontari di lavoro (classi scolastiche), gruppi di abitudini comuni, gruppi di interesse convergente ma individuale, gruppi spontanei limitati e periferici, dotati di motivi e valori non approfonditi, privi di metodo di attività, gruppi fortemente legati ad interessi vivi (sport, complesso musicale, «cantina per festicciole», ecc.).
    - Gruppi decisamente orientati verso valori esplicitamente cristiani, ma solamente secondari, uniti cioè da vincoli esteriori di convenienza, di scelta non integrata, di amicizia a fior di pelle (es. molte nostre associazioni, o «il grosso» di gruppi d'impegno sociale).

    PROGETTI DI INTERVENTO

    L'educatore attento non può accontentarsi di un dato di fatto così. Diventa molto difficile fare una catechesi esistenziale e integrabile. Anche la liturgia manca dell'humus in cui vivere. Per risolvere il problema sembra opportuno programmare due mete. Con contemporaneità almeno logica, se non è possibile quella cronologica: perché la trasformazione della massa in gruppi e il consolidamento dei vari gruppi informali esistenti (prima meta) nasce difficilmente se manca una batteria di gruppi primari di forte lievitazione cristiana (seconda meta).

    Prima meta da raggiungere

    * La trasformazione della massa giovanile in gruppi-comunità in cui ci sia largo spazio per la persona e per l'esperienza di amicizia, per l'interesse coltivato e per il dialogo interpersonale:
    - evidenziando con lavoro capillare i gruppi già esistenti, dissipati in un terreno massificante, ma con continua vitalità sotterranea (ogni movimento della massa in cui ci sia respiro alla spontaneità di scelte, porta a gruppetti, a vicinanze, a ricostruzioni...);
    - sostituendo coraggiosamente le strutture che portano a massificare (suddivisione dei gruppi di catechesi, formazione delle associazioni, iniziative tendenti a moltiplicare interventi diversi dal ritmo della vita abituale, ecc.);
    - ponendo, nel terreno fecondo della massa, molteplicità di interessi (attuali, catalizzatori, sentiti, non precostituiti) attorno a cui convogliare presenze, anche dei più timidi, degli isolati abituali, dei rifiutati, o di chi accetta di far parte di un gruppo, nell'attesa di un'alternativa più suadente;
    - curando un continuo, attento processo di umanizzazione delle varie attività e dei vari interessi. Il passaggio dal fatto tecnico (partita persa, per mancanza di «intesa») al fatto umano (mancanza di «intesa» = mancanza di fiducia reciproca, di amicizia, di stima) porta lentamente a coagulare la massa in gruppi, e li rende, nel contempo, aperti ai valori cristiani. L'umanizzazione dovrebbe essere un po' la caratteristica «di supplenza» dell'educatore pastorale, in un contesto sociale che disumanizza continuamente, per l'accelerazione imposta alla vita, per il soffocamento della tecnica (catene di montaggio), per la spersonalizzazione che la forte pressione dei mezzi di comunicazione sociale, e della pubblicità costruisce inesorabilmente.[1]
    * Accettazione e consolidamento (dopo una evidenziazione che talvolta richiede una rottura con mentalità e strutture) dei vari gruppi primari esistenti, all'interno o anche all'esterno. E ce ne sono fiumi, lungo i bordi della vita di tutti i giorni: nei bar, nei caseggiati, nei campi da gioco improvvisati, attorno a situazioni di punta.
    Un'attenzione particolare meritano i giovani «pendolari», quelli cioè che frequentano, ogni tanto, il nostro ambiente, con presenza curiosa, e ritornano presto nel gruppo di origine.
    Basta pensare, a titolo esemplificativo, all'accettazione dei gruppi «sportivi», dei gruppi «musicali», come dato di fatto.
    Il processo educativo non può richiedere la rottura del legame previo e sentito, per immettersi nei gruppi precostituiti (di formazione, di catechesi, di apostolato). Piuttosto il contrario: la immissione della catechesi, della formazione, della preoccupazione apostolica, nella spontaneità della struttura.

    Seconda meta da raggiungere

    * Processo dal gruppo secondario a quello primario, per rendere ogni associazione una realtà educativa, non «un fatto di coagulazione». Il processo è certamente lungo e impegnativo.
    Ma è il punto d'arrivo essenziale.
    L'educatore-animatore costruisce amicizia, fa gruppo, prima di iniziare un discorso esplicitamente cristiano; per non fare una proposta disincarnata, non sperimentabile immediatamente.
    Questo vale, per esempio:
    - per le «classi» di catechismo (a tutti i livelli: anche elementare),
    - per le associazioni preformate,
    - per gruppi giovanili anche informali,
    - dovrebbe valere anche per gruppi scolastici (classi), anche se le difficoltà (mancanza di spontaneità all'origine) sono evidentemente maggiori.
    Come si può operare per fare di un aggregato di giovani, spesso assieme artificialmente (quando la partecipazione nasce da tradizioni locali - ci si tramanda di padre in figlio l'appartenenza alla Azione Cattolica o al Circolo; o non esiste una libertà «pratica» di presenza -  pressioni, anche giustificate, dei genitori o degli educatori), un gruppo primario, di giovani coscienti delle reciproche relazioni e responsabilità, ricchi di sensibilità, rapporti, volontà «comunitarie»?

    Indico alcune piste, senza pretesa esaustiva né tanto meno di classificazione obbligatoria di un iter. Possono formare quel tentativo di «ripensamento pastorale della dinamica di gruppo», di cui si accennava in apertura.
    Molte sono relative alla tecnica di conduzione di una riunione di gruppo; altre invece rientrano nell'ordine dei climatizzanti (quelle intuizioni pastorali e psicologiche che aiutano a fare «clima», a far sentire a proprio agio, quei «modi di fare» che contagiano immediatamente, che sgelano). Non esiste un ordine specifico, all'interno di queste indicazioni. Anche perché la vita si muove proprio sull'onda della spontaneità.
    * Fare in modo che le relazioni «faccia a faccia» (incontri diretti fra ciascuno e tutti gli altri) siano frequenti e cordiali.
    Un influsso notevole gioca la tecnica di conduzione della «riunione» stessa: argomenti, disposizioni, possibilità di intervenire nel dialogo rispetto reciproco del parere altrui, attenzione ad ogni sfumatura di verità rottura immediata del ghiaccio perché ciascuno si senta a proprio agio... Il gruppo può franare o immediatamente catalizzarsi, in base ai primi momenti d'incontro.
    * Promuovere un generale clima di espansione gioiosa, personale, traboccante fra tutti.
    L'amicizia fa stare assieme volentieri. Tutto al rovescio, per il contrario.
    Una gioia traboccante ma controllata, proprio per permettere a tutti una esplosione di gioia.
    * Favorire la conoscenza reciproca, anche abbastanza intima, confidente: credo che non si possa giungere al gruppo primario fino a quando, per esempio, si ignorano i rispettivi nomi...
    Lo sguardo aperto e in prospettiva fa cercare e moltiplicare i momenti per consolidare l'amicizia.
    La vita del gruppo non può assolutamente esprimersi negli incontri sporadici di «riunione». Si fa catechesi anche quando si è assieme in gita, in una festa, al cinema: il fatto in se stesso realizza «comunità», anche senza altre esteriorità.
    La programmazione deve quindi prevedere attività a questo scopo anche concentrate in periodi forti (vacanze).
    * Promuovere rapporti di collaborazione: adottare come forma abituale il metodo del dialogo in tutto il lavoro, proporre obiettivi che saldino il gruppo in un impegno di lavoro, di ricerca, di esecuzione in comune.
    * Favorire i sottogruppi di più forte coesione, non come forme di evasione, ma di potenziamento del lavoro e di rafforzamento della coesione del gruppo totale.
    Un gruppo rimane difficilmente primario quando supera le 15-20 unita: l'amicizia profonda e intima, la condivisione a livello personale attivo degli interessi e dei valori, cerca necessariamente un raggio ristretto.
    Il sottogruppo positivo e costruttivo cammina intermedio tra la tendenza alla divisione puramente tecnica «per dare a ciascuno qualcosa da fare» e la tensione naturale allo smembramento, all'isolare interessi e persone in base a simpatia incontrollata, a vicinanza abituale (è esperienza molto comune lo smembramento a coppie cui sono facilmente soggetti i gruppi «misti», in cui sia assente una forte carica di interessi e di dinamica) .
    * Recuperare con bontà, incoraggiamento, aiuto particolare, gli isolati, i dispersi, i rifiutati, i timidi, i meno capaci, facendo percepire a tutti il loro valore di interlocutori e collaboratori validi. È questa una sensibilità essenziale da creare.
    Perché il gruppo primario, ristretto e ben omogeneizzato, rischia continuamente di chiudersi in ghetto, rifiutando per movimento spontaneo, ogni presenza di «intrusi».
    Il più delle volte, inconsapevolmente, chi entra (magari con una presa di coscienza personale «sudata» o dopo una paziente opera di persuasione dell'educatore) rischia di trovarsi bloccato di fronte alla circolazione vivissima di amicizia fra i partecipanti e dal cui flusso immediatamente si sente escluso.
    Proprio perché il rifiuto è spesso preconscio, la tecnica di accettazione va curata con particolare attenzione.
    * Favorire la libertà di espressione per tutti, valutando tutti e tutto. Chi sente rifiutato, immediatamente e con calore, il proprio parere, espresso spesso con fatica decisa, difficilmente riuscirà a rompere nuovamente il cerchio di ghiaccio per riprendere il discorso.
    Se la circolazione delle idee è elemento qualificante di notevole portata per la costruzione del gruppo, l'animatore del gruppo dovrà moltiplicare le attenzioni per creare un clima di ascolto generale, in cui possa trovare espressione anche chi ha la parola meno facile, meno impulsiva, meno prorompente.
    Sarà più pronto all'ascolto, chi ha gustato la gioia di essere ascoltato; più disponibile alla rivoluzione di mentalità chi ha scoperto di aver contribuito alla costruzione di una visione delle cose nuova, con piccolo o grande, ma sempre prezioso, contributo.
    * Preoccuparsi della chiarezza e precisione della organizzazione, dei programmi, dei tempi, delle attività, non lasciando nessuno all'oscuro, all'indecisione, non lasciando nessuna attività a brancicare nell'incertezza.
    Siamo un po' tutti nemici dello strutturalismo.
    Ma è facile, per rispondere generosamente agli impulsi educativi della spontaneità, rinunciare ad ogni tecnica strutturale.
    La spontaneità giovanile va evidentemente rispettata, ma continuamente guidata, sostenuta (dal di dentro = educatore-animatore; non con presenza autorevole esteriore = educatore-professore); anche perché l'entusiasmo giovanile si raffredda facilmente, ha bisogno di ricambi continui, sente - ed accetta - l'urgenza di muoversi in un terreno già sufficientemente coltivato, già «predisposto».
    Ci è troppo facile essere massimalisti nei nostri interventi: per struttura mentale e per educazione. Passare cioè dal «faccio tutto io», al «fate tutto voi: datevi da fare», a braccia incrociate, pronti magari a ritornare, trionfanti, al «faccio tutto io», perché si costata il fallimento altrui su tutta la linea.
    * Lasciare largo campo alla libertà di proposta, di consenso e di dissenso, di prova, di iniziative personali o di gruppo, che non rompano però l'unità generale.

    PER AGIRE ALL'INTERNO DEL GRUPPO

    .Questo processo, dalla massa ai gruppi e dal gruppo secondario a quello primario, è il primo passo, per una utilizzazione pastorale della dinamica di gruppo. Ma solo il primo passo.
    Abbiamo costruito il clima adatto, per una proposta cristiana facilmente integrabile.
    Il funzionamento del gruppo non è fine ma mezzo.
    La proposta di fede, inserita in questo contesto, è anche ben accetta, forse ascoltata, facilmente «digeribile», perché cade in un terreno fresco e disponibile (il gruppo primario), ma è ancora troppo «dal di fuori»: un manto che copre la vita del gruppo in un momento di pausa, nell'attesa di poter tornare alla propria vita - quella vera -, appena è possibile girare pagina. Pensiamo, per fare un esempio di facile verifica, alle conferenze che vengono inserite nel programma e nel calendario di un gruppo sportivo. Per quanto il conferenziere o il catechista si sforzi di partire «dai loro problemi», dalle attualità della cronaca, dai fatti del giorno, la sua presenza e la sua prestazione rappresentano sempre una parentesi rispetto alla vita del gruppo, che ha appena finito di discutere accaloratamente l'ultima partita, sostenuta due giorni prima o le defezioni all'allenamento settimanale. Il gruppo ha la sua vita interna, ha i suoi fatti, i suoi drammi. Il resto non interessa. Può anche essere bello, ma è fuori contesto, «fuori tema».
    Come ovviare a queste ulteriori difficoltà?
    Il discorso è impegnativo. La soluzione nasce dalla utilizzazione di tecniche complementari:
    1. L'opera dell'animatore.
    2. La funzione dei leaders.
    3. La circolazione e l'interiorizzazione degli interessi.
    4. Il contatto frequente con altri gruppi.
    Alcune indicazioni sono già apparse sulle pagine di questa Rivista (cf per esempio, il numero monografico 1969, VI-VII sugli animatori); altre saranno sviluppate in seguito.

    NOTE

    [1] Per «umanizzare» si intende qui il guidare la spontanea osservazione dei fatti fino a giungere a quelle realtà che aprono l'individuo ai più profondi interrogativi dell'uomo: il suo destino, il suo valore davanti agli interessi, il suo mistero trascendente, la sua origine, la sua profonda felicità. Tutti questi interrogativi hanno due aspetti essenziali: da una parte afferrano l'uomo nel suo intimo, coinvolgono la sua parte più importante, più «sua» e dall'altra coinvolgono Dio, non fanno che spingere in quella direzione. Essi dunque sono la chiave di volta per interessare alla religione (cf G. Negri, Per una programmazione di pastorale catechistica: Inserirla nel tessuto vivo della situazione, in Note di Pastorale Giovanile, 1969, VIII-IX, 73 ss.).


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