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    Un piccolo gruppo in campeggio: momento di formazione ecclesiale


    A proposito di leaders

    Riccardo Tonelli

    (NPG 1968-67-20)

    Per chiunque è impegnato nel diretto ministero pastorale giovanile, esiste sempre il grosso problema:

    Da che parte incominciare?

    Tutti siamo disposti a rimboccarci le maniche e a buttarci a capofitto nella mischia delle cose da fare.
    Ma non vogliamo andare allo sbaraglio: chiediamo un piano di azione, una programmazione di metodi, di tempi, di contenuti. Il «fare tanto per fare», ormai, ci ha posto decisamente in crisi.
    Spalanco le porte di casa ad un generico apostolato di massa, oppure blocco la mia attività attorno ad una ristretta élite di iniziati?
    Mi do da fare, con una carica di buona volontà cui solo una fede profonda e un rinnovato entusiasmo proibisce di franare, per fare un po' di tutto, per organizzare, per «attirare», per cercare di «salvare il salvabile»? Oppure resto nella trepida attesa di qualcuno che bussi alla mia porta?
    Concentro tutti i miei sforzi in una catechesi viva, mordente, attuale, convinto che qualche idea sicura in testa, risolverà poi tutti i problemi?
    Oppure rinuncio ad ogni forma di catechesi sistematica, contento di creare attorno ai giovani un clima cristiano di vita, un'esperienza concreta di chiesa?
    E questi sono ancora interrogativi generici.
    Perché la realtà - quella personale: di ogni giorno - è difficilmente inquadrabile in categorie. Come è utopia la ricerca dell'antidoto precostituito e del farmaco da applicare ad ogni singolo caso, nella speranza dell'effetto sicuro: la traduzione dalla carta alla vita passa necessariamente attraverso l'esperienza personale.
    Il problema diventa più acuto, durante il periodo delle vacanze. Il molto tempo libero ci pone i giovani nelle mani, disponibili: nasce la tentazione di una intensificazione di attività - formative, apostoliche, ricreative -, anche per recuperare i larghi vuoti lasciati durante il periodo scolastico.
    E contemporaneamente la fame di evasione finalmente saziabile, ce li rende inafferrabili, continuamente sfuggevoli e mobili. I molti stimoli cui sono sottoposti, soprattutto durante il periodo estivo, ci fanno preoccupati, talvolta diffidenti, con l'ansia di chi teme di veder crollare la costruzione per cui ha speso tempo e danaro.
    Qualche soluzione la intravediamo; possibilità di intervento ci si aprono davanti.
    Ma la necessità di operare una scelta, tra interrogativi carichi di valori, ci costringe ancora ad una riflessione discriminante:
    Dedico tutto il mio tempo alla massa dei giovani in vacanza? Preferisco - di preferenza oggettiva - un piccolo ristretto gruppo pur consapevole che la mia presenza in esso mi toglie ai tanti altri?È meglio un attività a largo respiro, che raggiunga un numero, elevato anche se non qualificato, di soggetti o la scelta può correre su posizioni opposte?
    Fino a che punto una mia decisione può rompere una tradizione di ambiente o può cozzare contro disposizioni autoritative?
     
    PISTE DI LAVORO PER UN IMPEGNO EDUCATIVO

    L'analisi di questi fatti ci porta a tentare alcune piste di lavoro capaci li illuminare una programmazione personale.

    1. La trasformazione della massa di farina avviene mediante un pugno di lievito

    Il pane profumato è frutto di un gioco a tre: una misura di farina pronta, disposta, ma indeterminata; un pugno di lievito, capace di fermentare, dal ti dentro, ogni particella di farina; la «massaia» che sa fare opera attenta di dosaggio: ogni funzione è essenziale e insostituibile.
    Il gioco a tre condiziona anche l'opera di evangelizzazione.
    Non nasce dal numero ristretto di «massaie», ma dalla realtà delle cose, dal piano di Dio nella storia.
    Afferma il documento conciliare sull'Apostolato dei laici: «L'accresciuto peso dei giovani nella società esige da essi una corrispondente attività apostolica; del resto la stessa loro indole naturale li dispone a questo. Col maturare della coscienza della propria personalità, spinti dall'ardore della vita e dalla loro esuberanza, assumono le proprie responsabilità, e desiderano prendere il loro posto nella vita sociale e culturale: zelo questo che se è impregnato dallo spirito di Cristo e animato da obbedienza ed amore verso i pastori della Chiesa, fa sperare abbondantissimi frutti. Essi debbono divenire i primi e immediati apostoli dei giovani; esercitando da loro stessi l'apostolato fra di loro, tenendo conto dell'ambiente sociale in cui vivono» (A. A. 12).
    L'antinomia: apostolato di élite e apostolato di massa, si risolve in gioco di ruoli e competenze: la massa potrà essere avvicinata e evangelizzata soltanto da un'élite cristiana viva, mordente, vicina, mediatrice non sussidiaria del mandato di salvezza attuale nella Chiesa.

    2. Il lievito per differenziarsi esige un processo specifico di formazione

    Non possiamo chiedere un impegno specifico a chi non è stato preparato a tale missione.
    Il rischio che intesse tutta la vita di fede, non è un «gettarsi allo sbaraglio», nella speranza che «gli angeli di Dio ci sostengano con le loro mani, perché non inciampi in un sasso il nostro piede».
    Ai giovani cui chiediamo un preciso impegno apostolico dobbiamo dare un'adeguata formazione apostolica: la tentazione dell'arrivismo, dello scoraggiamento e del mimetismo è sempre all'erta, per loro come per noi. Una formazione che sia preciso rifiuto di un camaleontico, quanto inutile, genericismo formativo, dal piano spirituale a quello professionale (proporzionato all'attività concreta in cui saranno immessi) ed a quello strettamente tecnico. Molti fallimenti risalgono all'accontentarsi di una creazione approfondita di strutture tecniche, immerse in un vago clima di spiritualità generica.

    3. Attività e riflessione: comprincipi ti formazione

    La formazione nasce dalla vita: l'apprendistato è fare, agire.
    Un fare e agire guidato, nella fase di programmazione, di esecuzione e di revisione.
    Se il cristiano dovesse gettarsi nel mondo da salvare, solo dopo aver ben affilato le sue armi, il popolo di Dio diverrebbe un'immobile distesa di gente seduta.
    La disponibilità apostolica matura con la dinamica della realtà.
    D'altra parte, il pragmatismo non può certamente diventare norma di azione: non è l'urgenza delle scadenze che deve spingerci ad un affannoso superficiale «darsi da fare».
    Come non può essere la raggiunta perfezione la misura dell'inizio di attività.
    Rimane  -  fuori dal dualismo, proprio perché la vita corre sempre mediana tra le posizioni esasperate - l'urgenza di costruirci dei giovani apostoli, se vogliamo che il «pugno di lievito sappia fermentare la massa di farina», immettendoli continuamente nell'attività e invitandoli ad un quotidiano «ritirarsi sul monte», per la preghiera, la riflessione, la propria formazione. Pensiamo, per esempio, alla portata formativa del metodo della «revisione di vita».

    4. Una formazione secondo una dimensione completa dell'uomo

    Il cristiano è un uomo-cristiano.
    Le conoscenze nozionali devono tradursi in atteggiamenti religiosi, integrarsi in vita vissuta.
    La fede è mentalità di fede quando diventa esperienza quotidiana, una comunità.
    La formazione dei giovani apostoli deve tener conto delle tre energie di salvezza, legate alle 3 funzioni umane: parola (= intensificata formazione catechistica), sacramento ( = vita liturgica a livello di realtà sentite), comunità ecclesiale ( = esperimentazione di vita ecclesiale, attraverso una comunità che realizzi realmente i termini che visibilizzano la chiesa: amicizia, servizio, disponibilità, ecc.).
    Se la nostra attività, la nostra preoccupazione di formazione apostolica dei giovani più sensibili (quelli chiamati ad essere il pugno di lievito) non cresce organicamente proporzionata nelle tre dimensioni, costruiamo sulla sabbia.
    (cf Note di Pastorale Giovanile, aprile 1968: 3 aree di lavoro, 3 energie, 3 obiettivi, per rendere postconciliare la nostra pastorale).

    5. Una comunità di intensa vita ecclesiale: elemento primordiale di formazione

    Dalle affermazioni riportate sopra, nasce la proposta di usare il periodo estivo come momento di intensa formazione apostolica.
    Esperienze del genere si sono ormai moltiplicate, un po' a tutti i livelli: le nostre riflessioni vogliono essere soltanto semplice sottolineatura.
    Per incontrare la massa di farina, l'operatore apostolico ha stretta esigenza di un pugno di lievito, vivo per essere attivo e inserito per essere fermentante. Una formazione piena e completa non nasce che da un ambiente saturo di fede, innervato in forti esperienze di vita, di liturgia, di catechesi.
    Un momento felice di realizzazione ci pare quindi, un campeggio, un campo-scuola, un soggiorno estivo, a ristretto raggio, in cui questi ideali possano trovare la realizzazione.
    Non è l'andare a fare villeggiatura con il gruppo dei giovani più impegnati, che li forma...
    Non è il tenerli forzatamente lontani dalle situazioni di crisi o il ricercare un ambiente innaturale, privo di stimoli o spirante un'aria celestiale, che ne fa dei cristiani: il giovane cullato nella campana di vetro, sotto vuoto, crolla al primo colpo di vento.
    Ciò che costruisce e forma è una stimolante - anche se necessariamente limitata nel tempo - esperienza di chiesa, una comunità di fede, speranza e carità, in cui ciascuno si senta a suo agio, nella sua vita di tutti i giorni, in cui l'amicizia sia chiesa in atto, la gioia nasca dalla speranza cristiana, la vita liturgica sia momento concreto, sensile di una fede comune.
    In una parola: è elemento formativo di notevolissima portata, e facilmente realizzabile nel periodo estivo, l'uscita del sacerdote educatore con i suoi giovani migliori (quelli che sono e saranno il lievito dall'ambiente) per un periodo opportuno di tempo (una quindicina di giorni?!), per far vacanza (non necessariamente siamo alla struttura classica di «camposcuola») ma in un ambiente-clima che realizzi una fortissima esperienza di vita ecclesiale, a tutti i livelli: comunità, catechesi, liturgia.

    UNA PROPOSTA CONCRETA

    Da una serie di riflessioni, è nato un tentativo di risposta agli interrogativi che affiorano in chi è deciso a rimboccarsi le maniche, per adeguare ai tempi la propria pastorale giovanile.
    Per realizzare la meta di raccogliere attorno a sé un gruppo di giovani, veramente figli del proprio tempo, aperti e disponibili a vivere un chiaro impegno apostolico, per essere il lievito «che una buona massaia mette in tre misure di farina perché ne sia tutta fermentata» (Mt 13, 33), la preoccupazione di base deve essere quella di formarli, a fondo, aiutandoli a costruirsi una mentalità di fede.

    Una fra le tante possibilità:

    quindici giorni con loro, in montagna, in un clima di profonda esperienza ecclesiale.
    Non sono quindici giorni rubati, agli altri, ai tantissimi che continueranno ad affollare, ad esempio, l'ambiente oratoriano.
    Il rendiconto amministrativo di una società deve necessariamente calcolare la voce «futuro»: le spese di pubblicità sono un passivo oggi, ma un forte attivo, in prospettiva.
    Una programmazione valida deve tener conto non soltanto della materialità commisurabile della situazione, ma dei suoi riflessi e dei possibili sviluppi; proprio per poter essere valida deve essere proiettata nel domani.
    Un soggiorno con un gruppo ristretto può diventare ottimo elemento formativo, per diverse situazioni particolari:
    a) preparazione di un gruppo di dirigenti laici di movimenti oratoriani
    b) formazione di un'élite impegnata apostolicamente
    c) recupero di gruppi dispersi
    d) realizzazione approfondita di «cenacoli di riferimento» per leaders dl gruppi spontanei
    e) maturazione di passaggio di preadolescenti o adolescenti a gruppi di maggior impegno formativo
    f) tentativo di «bloccare» tutti i ragazzi di un certo livello (esempio: tutti quelli che hanno concluso la terza media) per un incontro con il sacerdote ed una proposta cristiana autentica. E l'elenco, proprio perché esemplificativo, potrebbe continuare a lungo.

    MOMENTI DI VITA

    La validità educativa del piccolo gruppo in soggiorno estivo, non è un risultato ad effetto sicuro: l'esperienza di ciascuno di noi ce lo conferma immediatamente.
    Certamente possono influire fattori diversissimi, impensati ed indipendenti dallo zelo dell'animatore-educatore.
    Facilmente un soggiorno preparato con la massima cura sfiorisce tristemente tra le mani, a chi l'aveva colmato di progetti.
    Spesso però i risultati sono proporzionati al clima che si è saputo creare, alle realizzazioni concrete, all'impostazione attuata: le cose umane - e il Signore nei suoi interventi di salvezza, vuole adeguarsi alla nostra realtà - dipendono in buona parte da noi.
    Per questo, indichiamo alcuni suggerimenti: il loro valore dipende dal loro grado di integrazione reciproca.

    Vita comunitaria

    Non sono le cose o le parole che educano, ma il clima in cui cose e parole sono pronunciate.
    Di enorme valore formativo è il tono generale dell'ambiente.
    La chiesa diventa concreta, se la si respira con le cose di tutti i giorni: se è il modo nuovo di vivere una vita normale.
    I giovani che hanno vissuto-quindici giorni in profonda amicizia, condividendo gioie, preoccupazioni, tensioni, facendo del gioco, del canto, della vita liturgica, della necessaria catechesi, dell'esaltante scoperta della possibilità di una vita in grazia e dell'incontro con Cristo, un unico respiro anche se specificato in termini diversi, hanno scoperto la chiesa, l'hanno sentita come loro vita: hanno fatto strada con il Signore. Per questo:                                   

    1. La vita di tutti i giorni deve diventare una maturazione reciproca contro l'egoismo, in una disponibilità vissuta al servizio, alla rinuncia per la gioia dell'altro.
    Molto di questo è legato all'ambiente scelto come soggiorno: la mancanza dei conforts di cui è piena la vita in città, la necessità di sapersi adattare, l'obbligo di svolgere di persona alcuni servizi (servizio a tavola, sistemazione della casa, zaini nelle passeggiate, ecc.) educano efficacemente.
    2. L'amicizia nasce dal servizio. Spesso può fratturarsi, per l'urto di caratteri e personalità diverse. Collabora molto alla costruzione di un clima di amicizia-servizio, la verifica-revisione delle esperienze della giornata, dei motivi di urto, dei comportamenti. Nell'intimità della sera, un esame di coscienza collettivo pone in chiaro situazioni e motivazioni, sottolinea nuovi impegni.
    3. Al sacerdote spetta il compito di motivare soprannaturalmente questo comportamento: la sua presenza diventa il riproporre le parole del Signore inserite nella situazione concreta: per realizzare tutto ciò deve essere disposto a pagare di persona, deve accettare di scendere dal suo gradino d'invulnerabilità, per mettere sul tappeto anche - e prima -  le sue esperienze, pronto a rivedere atteggiamenti e a ridiscutere soluzioni.

    Vita liturgica

    Il clima di carità-servizio creato, trova la sua espressione cultuale nella vita liturgica: le celebrazioni danno significazione alla materialità del comportamento quotidiano.È un'idea di fondo: per non sganciare il culto dalla vita. E i giovani la comprendono bene, se sono educati e condotti dal clima generale e da opportune tempestive sottolineature.
    Un'esperienza di liturgia sintonizzata con la realtà vissuta si ripercuote poi nel monotono dopo, decantata la situazione privilegiata: solo una esperienza così può rendere concrete le affermazioni, per esempio, della Costituzione Liturgica a proposito del «culmen et fons»: altrimenti resteranno sempre parole belle, ma vuote.

    1. La Messa deve diventare veramente il centro della giornata: per questo sarà liberata da orari e sovrastrutture, per inserirla nel ritmo del gruppo. Potrà diventare il momento centrale di una passeggiata, o l'intimità di una giornata di riflessione, il punto di partenza di un impegno esterno di carità o il riferimento con l'arrivo di un ospite di riguardo.
    L'esperienza conferma che il rendere la messa il centro vero di ogni giorno - non a parole, ma in concreto: orario, ambiente, tipo di celebrazione - supera ogni problema di obbligatorietà di presenza. L'impegno di servizio nasce dalla partecipazione quotidiana alla Messa.

    2. La partecipazione alla Messa non può essere l'unico incontro di preghiera.
    Ogni altro incontro però deve crescere - in tono con questo - nella spontaneità, nell'esigenza educata del gruppo, coi momenti di vita.
    Può essere la recita di lodi in un mattino in cui tutta la natura canta al Creatore, la preghiera personale «carismatica» alla chiusura di una riunione in cui largo respiro abbia avuto la comunicazione delle esperienze di ciascuno, un canto a conclusione di un falò, in cui dalla canzonetta si è andato lentamente preparando il clima per uno «spiritual», oppure la recita del rosario, a gruppi, mentre, col passo cadenzato dalla stanchezza, si percorrono gli ultimi chilometri verso casa, dopo una passeggiata.
    Se il gruppo vive in sintonia, l'amicizia necessariamente sfocia nella preghiera.

    3. In alcuni momenti (sl pensi per esempio, alle preghiere prima dei pasti, alla preghiera della sera, ecc.) la preghiera può diventare la costruzione dei sentimenti del gruppo o un motivo per educare il gruppo ad atteggiamenti.
    (È facile risalire dalla gioia del pranzo al banchetto eucaristico e al banchetto del paradiso; dall'amicizia conviviale al valore più profondo di un'amicizia-servizio ecclesiale.
    O centrare le preghiere della sera su avvenimenti di rilievo della giornata: una gita ben riuscita per ringraziare, una rottura nel gruppo per un pentimento collettivo, ecc.).

    4. Largo spazio possono occupare i salmi, opportunamente introdotti e presentati: raccolgono sentimenti e attitudini molto legate alla vita (soprattutto se la scelta contingente è fatta con intelligenza) e introducono con facilità una catechesi.

    Catechesi

    È in genere la prima preoccupazione nostra: siamo molto facili ad edificare con largo uso di parole.
    Le nostre costruzioni poi ci franano tra mano:
    o perché la parola che presentiamo è una parola autoritativa, che facciamo scendere dal trono di colui che possiede la verità e che la comunica benevolmente ad altri;
    o perché la parola rimane sganciata dalla vita, non solo perché astratta, ma soprattutto perché non immediatamente inserita in un piano di azione e vissuta in una comunità di carità.
    La catechesi deve diventare la filigrana del gruppo: vanno moltiplicate le occasioni di incontro (con la misura della disponibilità all'ascolto e non solo del nostro zelo), ma con preciso rifiuto delle tentazioni sopra ricordate.
    1. È il clima di vita che costruisce, prima delle parole pronunciate. La parola di fede deve essere incarnata nel ritmo dell'orario.
    2. I momenti di incontro devono diventare una ricerca in comune (educatore e giovani) della verità, nell'ascolto di quello che lo Spirito ci suggerisce (più Parola di Dio e meno parola degli uomini), nella revisione delle situazioni concrete, per integrare la fede nella cultura.
    3. Momenti privilegiati di catechesi possono diventare:
    - l'omelia (possibilmente quotidiana) della messa;
    - la revisione di vita a chiusura della giornata;
    - la lettura del libro della natura, aperto con stragrande ricchezza grazie all'ambiente di villeggiatura e alle passeggiate
    - fatti e situazioni di punta attorno a cui si pongono a fuoco giudizi e esperienze personali.

    CONCLUSIONE

    Questi appunti, necessariamente generici, possono suggerire allo zelo di ogni educatore termini concreti di azione.
    Alla base di queste riflessioni sta la preoccupazione di un impegno in prospettiva, la necessità di qualificare la nostra opera educativa, di ripensare quotidianamente il nostro intervento per adeguare realtà a idealità, in una programmazione stimolante, rivoluzionaria se occorre di metodi e strutture precostituite, fuori da ogni piatto genericismo, anche se sempre coraggiosamente possibilista.


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