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    Una "nuova" cittadinanza. Quale? Come educarla?



    Giuseppe Morante

    (NPG 2004-03-56)

     

    Il problema

    * La cultura post-moderna sta costringendo gli educatori a confrontarsi con problemi che in varia maniera incidono in ogni processo di crescita. I grandi fenomeni relativi a questa nuova realtà storica sono evidenti e spesso mettono in crisi le strutture educative tradizionali. Alcuni punti di partenza, reali e concreti, ci permettono di indicare agli educatori della fede possibili cammini formativi alla “nuova cittadinanza”, esigenza oggi sempre più fortemente avvertita anche nella pastorale giovanile.
    Un primo dato di fatto è la crisi delle ideologie e dello stesso stato di cristianità.
    Si tratta di situazioni che costituivano una volta punti fermi di riferimento, oggi quasi del tutto svaniti. Le conseguenze evidenziano aspetti negativi nella vita di ogni giorno: fragili sostegni sociali, caduta dei valori forti di una civiltà a tradizione cristiana, scelte di vita motivate dal principio egoistico personale del piacere-comodo-utile immediato, prevalenza del pensiero debole circa criteri forti di formazione umana e cristiana.
    Un secondo fenomeno che non può non influenzare i processi educativi è quello che deriva dal fatto della globalizzazione, che ingloba una reale conflittualità a base economica, e con nuovi rischi di massificazione. Infatti, la situazione di dipendenza più o meno livellante, quindi acritica per molti, porta a non avere criteri precisi di appartenenza, pur evidenziando possibilità di estensione planetaria di quei benefici prima riservati a pochi.
    Il terzo evento è quello della rivoluzione telematica che evidenzia delle conseguenze negative di confusioni e ambiguità comunicative, con scarsi riferimenti di identità. Questa nuova situazione, risponde però ad una autentica esigenza di rapporti e di relazioni, e deve aiutare a riflettere sulla realtà dell’uomo alla ricerca di dialogo e di accoglienza dell’altro, diverso da sé.
    Quindi: pochi punti forti di riferimento, spinte massificanti, dipendenze telematiche non possono non condizionare anche i processi educativi di una nuova cittadinanza. Infatti, più viene offerta possibilità di dilatazione della libertà personale, che spesso oggi si manifesta in forme quasi anarchiche, più c’è bisogno di assunzione di responsabilità. Perciò, essendo cambiato il quadro di riferimento culturale, ci vogliono nuove regole educative.
    La pedagogia cristiana ha lo scopo di formare buoni cristiani ed onesti cittadini. Per rimanere al termine del titolo, ci si deve domandare che cosa può significare nel contesto attuale educare il “cittadino onesto”.
    Quali possono essere i criteri utili, in questo quadro di riferimento, a creare una nuova cittadinanza, cristianamente orientata?

    * Il termine “cittadinanza” ha una doppia dimensione: la relazione tra soggetto singolo e Stato, quanto ai diritti e ai doveri che essa comporta per ciascuno; il rapporto con cui la persona condivide una esperienza storica di appartenenza ad un popolo.
    In questa doppia dimensione di significato, la nuova cittadinanza è da intendersi come il risultato di un doppio fatto storico: l’affermarsi nell’era moderna dell’idea di nazione, che porta insito in sé il cambio dell’ente politico a cui gli uomini devono fedeltà o in cui si identificano per appartenenza (la città, il clan, la nazione come entità geografica, culturale e politica); e la conquista dei diritti umani, per l’affermazione del principio dell’uguaglianza (almeno giuridica) di ciascun cittadino.
    Negli ultimi due secoli perciò il concetto di cittadinanza si è arricchito – sul versante sociale – di una più avvertita consapevolezza: senza uguaglianza sociale la stessa uguaglianza giuridica finisce per essere meramente formale. D’altra parte però ha palesato evidenti limiti dentro lo stesso ente politico (lo Stato) governato in modo più o meno democratico.

    La proposta

    * Se da una parte, tuttavia, la realtà appare ambivalente per gli scarsi orientamenti educativi offerti, dall’altra esistono nella stessa realtà sociale istituzioni che orientamento positivamente in relazione a valori di cittadinanza, esprimendosi attraverso l’azione di singoli e di gruppi, e muovendosi nella direzione di un reale rinnovamento etico e sociale.
    Sono segnali promettenti di atteggiamenti e comportamenti che rivelano una volontà di riappropriazione dei processi che regolano la vita associata e manifestano la necessità di valori irrinunciabili sui quali fondare una nuova cittadinanza:
    – ci sono delle associazioni familiari, che si preoccupano fortemente di far sentire il peso determinante della famiglia nelle scelte sociali e politiche, anche se non hanno la forza propositiva di imporsi, per la eccessiva frammentazione politica;
    – esistono movimenti impegnati per la conquista di una vera e reale promozione dei diritti e dei doveri di cittadinanza, senza esclusioni e senza favoritismi;
    – si stanno affermando sempre di più associazioni impegnate nella salvaguardia del creato, come ambiente che favorisce la promozione della qualità della vita. Qui si possono annoverare anche tutte le varie forme di associazionismo sociale;
    – il volontariato, nelle sue molteplici e varie forme, è impegnato in un arco di settori che copre ogni forma di servizio e interpreta esigenze di solidarietà ampiamente diffuse;
    – ci sono molte persone e organizzazioni a cui sta a cuore la formazione umana ad una cittadinanza democratica: sono le categorie di persone come i docenti impegnati nella scuola statale e non; gli artigiani e gli imprenditori, soprattutto quelli di imprese di piccola-media dimensione, che sono l’ossatura sulla quale si regge gran parte dell’economia di un popolo; i gruppi che favoriscono ed orientano alla partecipazione democratica sul territorio, soprattutto a livello locale.
    Nonostante le carenze lamentate, si constata che la società è ricca di fermenti nuovi, che esigono un’attenta considerazione, perché sono stimolo per la ricostruzione di un tessuto sociale più articolato e più capace di rispondere a istanze di vero sviluppo della democrazia, tanto nella direzione di una sempre maggiore estensione delle forme di partecipazione, che in quella della promozione di strutture giuste, che garantiscano la difesa dei diritti personali.
    Entro tale contesto deve essere collocato ogni progetto educativo se vuole offrire ai ragazzi e ai giovani regole valide di cittadinanza democratica. Partire cioè da una alternativa di riscossa alla confusione attuale, per aiutare a riflettere sulla situazione di una appartenenza debole, trasformandola in capacità critica riflessiva in grado di favorire il passaggio da una dipendenza anagrafica a delle scelte personali coinvolgenti.

    * Bisogna però avere idee chiare circa alcuni problemi o scuole di pensiero. Alcuni affermano che oggi non sia possibile una cittadinanza “forte”, cioè poggiata su quel nucleo stabile di valori etici e politici che hanno costituito per secoli la nostra cultura occidentale.
    Una nuova cittadinanza deve essere comunitaria e deve essere costituita in forme più “societarie”. Allora bisogna far riferimento ai diritti dei singoli e dei gruppi sociali così come si realizzano nelle formazioni sociali autonome, quale che sia la sfera d’azione (nel sociale, nell’economico, nel culturale, nel politico e nel religioso), intese come un insieme sociale capace di stabilire ed assicurare nuove e più significative relazioni all’interno della società.
    Seconda questa logica, oggi una buona educazione alla cittadinanza non può non fare riferimento a degli elementi di base che, ciascuno nel suo genere, comporta la soluzione di problemi sia nella dimensione pedagogica (famiglia, scuola, associazioni, comunità cristiana) che in quella sociale-politica: la dignità della persona umana, i diritti umani fondamentali, la libertà, l’uguaglianza e la differenza, la giustizia, il rispetto verso lo spirito della legge…
    Però, se esiste una cittadinanza sociale debole, va sostenuto il valore dell’individuo come persona, indipendentemente dall’associazione politica di cui fa parte. E questo vale ancora di più se si parte dalla visione di uno Stato deprivato di qualsiasi contenuto ideale. Il compito educativo principale dovrebbe essere quello di mediare i conflitti e garantire la molteplicità delle esperienze personali e le pari opportunità per ciascuno, sottraendo la cittadinanza a logiche normative, riconducendola ad una rete di rapporti egualitari basati su un reciproco riconoscimento.
    Ci sono altri che, pur riconoscendosi in questo contesto, reputano tuttavia necessarie alcune regole etico politiche positive generali in grado di promuovere e conservare i valori della democrazia, giudicata il modello politico più perfetto; e c’è chi partendo da posizioni del tutto diverse propone ipotesi comunitariste che insistono invece sulla validità dell’idea classica di cittadinanza, prospettando l’esperienza comunitaria come esemplare...

    * In queste visioni la cittadinanza è vista in funzione dell’appartenenza alla comunità e nella prospettiva del bene comune; ed è così intesa sia come categoria politica che come impresa educativa. Si ipotizza infatti uno stretto intreccio tra libertà personale, solidarietà sociale e responsabilità individuali e comunitarie con interazioni tra prassi, riti, processi socializzanti e inculturanti, attraverso cui essa si costituisce.
    L’ipotesi di una cittadinanza ricca di ideali rappresenta certamente un fondamentale modello teorico, che risulta però di ardua praticabilità nella società complessa nella quale è difficile identificare un nucleo di valori comuni intorno a cui costruire un ethos comunitario. Si può portare a conferma, solo a titolo esemplificativo, il problema del “lavoro”. Esso oggi non sempre è garanzia di cittadinanza o di integrazione sociale se purtroppo esistono forme di sfruttamento che portano a vere e proprie forme di isolamento o emarginazione, soprattutto di persone emigrate o di giovani in cerca di prima occupazione.
    Oggi le relazioni sociali si costruiscono sempre meno in base al lavoro e molto di più all’attiva partecipazione, sia essa remunerata o no. Perciò il problema dell’esercizio della cittadinanza richiede responsabilità che non possono essere affidate solo a compiti educativi. Essa richiede il coinvolgimento di scelte politiche, forze imprenditoriali e nuovi modelli di sviluppo e di solidarietà sociale.
    In un progetto di coesione sociale che si rivolge alla società non è pensabile che i molti sforzi compiuti dalle istituzioni educative, dal mondo del volontariato, dalle iniziative democratiche, sia poi vanificato dai modelli standardizzati e acritici, nonché di violenza, che si ritrovano trasmessi ormai quotidianamente dai mezzi di comunicazione di massa.
    Purtroppo oggi esiste la tendenza a rendere più precoce l’infanzia, anticipando i tempi di maturazione; ed esiste parallelamente anche quella di infantilizzare l’adulto. Sono processi che incidono sull’educazione dei giovani e generano fragili identità, che risultano facilmente manipolabili.

    * Perciò sembra necessario predisporre microprogetti che favoriscano la connessione dinamica tra educazione alla cittadinanza, cooperazione tra soggetti diversi e dislocazione di buone pratiche di rispetto e confronto nel campo della coesione sociale.
    Non si dimentichi che per sviluppare una autentica educazione alla cittadinanza sono necessarie le collaborazioni tra i molti soggetti coinvolti e le varie istituzioni. La scuola potrà fornire al massimo lo spazio per la ricerca e la riflessione, ma non può esaurire la complessa problematica della cittadinanza in una convivenza civile. Non è difficile constatare come i due principali modelli di cittadinanza oggi esistenti nella cultura contemporanea (quello a dimensione universale individualistico e quello comunitario) implicano approcci educativi molto diversi.
    Nell’ipotesi di educare alla cittadinanza, nella dimensione universalistica, dominano atteggiamenti formativi ispirati alla tolleranza, al senso di reciprocità delle esperienze, al pieno esplicarsi in senso per lo più individualistico delle attese e aspettative personali, al rispetto della diversità, considerata più come fatto individuale che come valore culturale e collettivo.
    Nel caso di educare alla cittadinanza comunitaria prevale, invece, la convinzione che tra la dimensione personale e quella storico sociale della persona non c’è contraddizione e che anzi l’una integra l’altra (libertà senza solidarietà sconfina nell’egoismo particolaristico).
    Le categorie pedagogiche prevalenti risultano perciò quelle dell’educazione alla responsabilità (nel duplice senso di responsabilità personale e comunitaria), al superamento di sé, alla partecipazione sociale, alla valorizzazione della “memoria” collettiva nella quale s’incarna ciascuna esperienza personale.
    Il processo della secolarizzazione ha oscurato anche la naturale relazione tra i cittadini e l’ambiente (città, paese, natura): il risultato è una forma di funzioni dalle quali sono assenti o perlomeno presenti in modo labile, quelle riferite alla vita di relazione comunitaria, ai processi di identificazione in una storia e in una memoria.
    Basti vedere come le nostre città siano assimilate a macchine produttive di attività lavorative, di servizi, di istruzione e di cultura, svaghi e divertimenti, e assai poco a spazi esistenziali in grado di circoscrivere la vita delle persone in un senso collettivo e di produrre fra esse relazioni significative. Ne risultano città a basso tenore di vivibilità in cui le relazioni di solidarietà tra le persone, se ci sono sistemi amministrativi efficienti, sono surrogate da prestazioni anonime dei servizi sociali. In essa i cittadini diventano anonimi, perché isolati a causa della povertà relazionale, dell’indifferenza diffusa e della mancanza di solidarietà.
    Conseguenze sui giovani: isolamento individuale e generazionale, perdita del rapporto con lo spazio, identità con il tempo della storia, crisi della socializzazione sulla dimensione formativa, perdita del senso del mistero che racchiude la presenza dell’uomo nello spazio e nel tempo.

    L’operatività

    * Quali sono allora le qualità necessarie per una onesta cittadinanza?
    Le qualità da esplorare in questo processo includono valori come il senso del bene comune, la capacità di relazionarsi agli altri, la confidenza con atteggiamenti di lealtà-onestà intellettuale, la capacità di coniugare conoscenze di tipo teorico (convinzioni, oggetto di discussione in determinate situazioni) e competenze di tipo sociale e pratico, rilevabile nei comportamenti e nelle espressioni del vivere quotidiano. Seguendo alcune indicazioni date dal Consiglio d’Europa in ordine alla educazione democratica, possono essere qui esposte alcune strategie per una corretta educazione alla cittadinanza:
    – definire i valori che stanno alla base della coesione sociale; collegarsi a standard di comportamento, ma sottoporsi anche a una revisione continua di tali standard, da aggiustare periodicamente e non dati una volta per tutte; i valori appaiono come ingredienti disseminati nel comportamento, come motivi di orientamento nella condotta oltre che come obiettivi; occorre un sapiente lavoro di immersione perché possano essere scandagliati;
    – valorizzare l’esperienza informale delle persone, che si manifesta attraverso la loro comunicazione quotidiana, la narrazione, la spiegazione, le osservazioni sporadiche (come fonti di interessanti sviluppi); passare da nozioni che sottolineano solo l’opportunità, a quelle che esprimono invece l’essere capace di…, e quindi spostare le potenzialità dalle condizioni esterne al dinamismo interno del soggetto;
    – adottare diversi percorsi per giungere ad uno o più obiettivi, con una strategia che faccia rilevare valori di riferimento condivisibili e/o negoziabili. Bisogna perciò focalizzare aspetti specifici, circostanziati, difficoltà di comprensione e comunicazione, rapporti con le minoranze presenti sul territorio, abitudini di vita diverse...;
    – coinvolgere le istituzioni delle società e delle sue forze ad un ruolo di affiancamento e complementare a quello della scuola, per arrivare a forme di compartecipazione e modalità di collaborazione tra scuola ed extrascuola. Così si rispettano i ruoli di tutti e si spingono a collaborare i soggetti implicati: le forze sociali, il mondo del volontariato, l’associazionismo, le autorità locali, le reti di scuole. L’università, a sua volta, può diventare, a certe condizioni, un catalizzatore per forme di collaborazione tra pubblico e privato. È un lavoro di sviluppo comunitario che si svolge sia orizzontalmente che verticalmente, permettendo un livello di azione fra gruppi e un altro livello in cui sono coinvolte le comunità e i poteri locali;
    – far nascere e dar vita, a livello di territorio e di ambiente circoscritto, ad alcune concrete forme di solidarietà e di relazione tra persone, come tessuto connettivo di valori comuni;
    – formare persone in grado di operare nelle strutture sociali politiche ed economiche per modificare le strutture di servizio anonime, superando il limite del bene privato e della clientela personale;
    – educare mettendo in atto dei processi che aiutano ad imparare a condividere e a partecipare alla vita altrui, coinvolgendosi nelle esperienze dei vari diversi che sono presenti nell’ambiente;
    – accogliere, come capacità psicologica e come atteggiamento permanente, le tante persone che vivono oggi accanto a noi le varie forme del disagio sia personale che sociale…
    * La possibilità di raggiungere questi obiettivi, pur delimitati nell’azione concreta, è data dal recupero, all’interno della società civile, di possibili valori comuni, che presiedono alla costruzione di un comportamento condiviso e per cui bisogna impegnarsi.
    Va sperimentato nell’esperienza sociale il luogo privilegiato per l’elaborazione e la riattualizzazione di questi valori, che si traducono nel riconoscimento dei diritti fondamentali. L’apporto dei credenti e dei gruppi delle comunità cristiane, delle associazioni e movimenti che ad esse fanno capo e che sono direttamente impegnati nella realtà sociale, è determinante.
    Le esigenze di giustizia e di solidarietà non possono limitarsi ad un enunciato astratto; ma devono condurre all’individuazione di strade percorribili, che le rendano efficacemente operanti nel vivo della realtà. Nonostante talune chiusure ancora di tipo ideologico, si tratta di proseguire un dialogo serrato con i vari movimenti portatori di valori, di diversa estrazione, presenti nella società per promuovere insieme obiettivi sempre più consistenti di promozione umana nella specifica appartenenza e cittadinanza democratica.
    Chi volesse approfondire i “diritti” e i “doveri” della cittadinanza, espressi in forma magisteriale nella visione cristiana, si può riferire all’ultimo testo della seguente bibliografia. In esso si possono utilmente consultare i numeri 23-36.

    Bibliografia

    - AA.VV., L’educazione tra solidarietà nazionale e nuova cittadinanza, Atti del XXXI convegno di Scholé, Brescia, La Scuola, 1993.
    - ZINCONE G., Da sudditi a cittadini. Le vie dello Stato e le vie della società civile, Bologna, Il Mulino, 1992.
    - CEI, Stato sociale ed educazione alla socialità, Nota pastorale della Commissione Ecclesiale Giustizia e Pace, Documenti CEI, 1995.


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