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    Zaccheo, la riconciliazione da discepoli di Gesù


    Ti racconto Gesù /8

    Riccardo Tonelli

    (NPG 2013-09-82)


    L’esperienza della riconciliazione fa da discriminante sulla qualità della vita. Lo sappiamo e lo diciamo con decisione, soprattutto quando ci troviamo costretti a fare i conti con situazioni dove riconciliarci autenticamente… ci costa sangue o quando incontriamo persone che hanno sofferto soprusi tanto gravi da giustificare persino il rifiuto di ogni tentativo di riconciliazione.
    Mi ha colpito, per esempio, la dichiarazione pubblica di un sacerdote. Intervistato dalla televisione nazionale per esprimere una valutazione su uno di quei fatti terribili di cui le cronache abbondano, ha gridato, senza mezzi termini: come prete lo perdono, come uomo lo strozzerei con le mie stesse mani. In qualche modo confessava il peso della fede religiosa nell’esperienza della riconciliazione e la contemporanea crisi di qualità di vita.
    Mi ha scatenato dentro una tempesta di reazioni. Correvano dal rapporto tra fede e qualità di vita nella provocazione di fatti concreti, alla possibilità di ricostruire quel tessuto di umanità che alcuni folli gesti distruggono quasi in modo irrimediabile… fino al punto che nessun intervento di giustizia sembra capace di ricostruire.
    La medaglia, per fortuna, ha anche il suo rovescio.
    Ricordiamo tutti, con ammirazione quasi inimitabile, la preghiera del figlio di Bachelet, al funerale del padre ucciso dalle Brigate Rosse, senza altra ragionevolezza dell’odio di classe.
    Questi fatti mi aiutano a spiegare la dichiarazione, un poco sibillina, con cui ho aperto queste riflessioni.
    Ricostruire pace e armonia con chi mi ha personalmente offeso o chi, con i suoi gesti ha offeso tutta l’umanità, inquinando eventualmente la natura in cui viviamo, è un’impresa non facile. Di sicuro non è spontanea. Le difficoltà e la reazione interiore chiamano in causa la nostra esistenza, in quella dimensione di profondità in cui si affaccia il senso e la prospettiva di futuro. Chi sceglie la sofferenza di riconciliarsi non chiude di certo gli occhi di fronte alla ingiustizia o ai soprusi. Li verifica, li interpreta e li valuta. E poi decide da che parte stare: l’abbraccio accogliente per produrre cambi radicali, la chiusura ad oltranza, l’appello ad una giustizia che rimetta le cose apposto attraverso pene adeguate, la decisione di tentare, con le proprie mani, la ricostruzione dell’ordine ferito.
    Non voglio dire quale sia la soluzione migliore e quella più funzionale. Non ci rinuncio, perché sarebbe troppo facile o troppo comodo. Preferisco farmi aiutare, come dirò tra un momento. Per ora, mi limito a costatare che ogni soluzione comporta una scommessa sulla vita e sulla sua qualità.
    La prospettiva si allarga facilmente, se dalla qualità della vita il nostro sguardo corre sulla qualità dell’esperienza religiosa.
    Tutti gli uomini religiosi avvertono la necessità di realizzare impegni di riconciliazione: con Dio, prima di tutto, e con le altre persone in un cerchio che si allarga progressivamente proprio sulla misura della stessa esperienza religiosa.
    Le modalità sono diverse e le condizioni coprono un arco vastissimo. Restano comunque il dato di fatto e l’esigenza.

    Da che parte stare?

    Ogni questione che chiama in causa la qualità della vita, spalanca immediatamente la ricerca sulle due domande fondamentali dell’esistenza: Dio e l’uomo.
    Il significato di queste domande lo dico con le mie parole. Ciascuno ha le proprie e le utilizza continuamente, anche senza pensarci troppo.
    Dio, chi sei? Dove sei quando la gente soffre e muore senza nessuna responsabilità personale o peggio a causa di responsabilità e d’interessi di altri? Da che parte stai? Vuoi la giustizia e la pace, e troppi fatti sembrano dimostrare il contrario. Ci viene persino il dubbio che non ti accorgi di quello che sta succedendo attorno a noi o preferisci restare indifferente… perché hai questioni più serie da affrontare.
    E io… chi sono? Quando posso essere felice di me? Progettare e sognare… sapendo di non soffocare nell’illusione e in un’incertezza che spegne tutto e costringe a vagare nel deserto del senso e della disperazione? Ci vuol poco a fare l’elenco delle ingiustizie che sto soffrendo e, con un brandello di onestà, di quelle che sto perpetrando nei confronti degli altri, vicini o lontani… Cosa devo fare? Voglio rimettere le cose a posto: in che modo?
    Le due questioni (forse la stessa questione a due facce…) sono drammatiche. Riguardano la vita, il suo senso e la speranza. Ci troviamo circondati da mille presuntuose risposte… che ci lasciano incerti e inquieti. E questo complica terribilmente la ricerca e la decisione.
    Pensandoci, mi sono sentito provocare da un’inquietudine ulteriore: i discepoli di Gesù hanno uno stile speciale per vivere l’esperienza della riconciliazione o si preoccupano di consolidarla come tutti gli uomini religiosi o, al massimo, tentano di recuperarla anche nei casi più disperati?
    Se c’è di mezzo Dio e l’uomo, Gesù ha qualcosa da dirci? Incontrandolo e lasciandoci afferrare da lui, possiamo squarciare il mistero che avvolge Dio e l’uomo e riscoprire così la qualità di una riconciliazione da discepoli di Gesù?
    Nella mia ricerca ha incontrato una strana e bellissima storia evangelica: la storia di Zaccheo (Vangelo di Luca, cap. 19).
    L’ho riletta e la racconto, incrociando le mie attese, quelle di Zaccheo e la «reazione» di Gesù.

    La storia di Zaccheo

    Gesù era uno di quei bei tipi di fronte ai quali nessuno era riuscito a restare indifferente. Suscitava entusiasmo o faceva arrabbiare.
    L’hanno cercato in tanti, per le ragioni le più strane. Lo cercavano quelli che attendevano da lui la guarigione, una buona parola, almeno un sorriso per continuare a sperare. Con la stessa decisione lo cercavano per eliminarlo, con la scusa che era pericoloso perché metteva in crisi l’osservanza formale della legge. Anche i suoi genitori e gli amici, ogni tanto, hanno dovuto mettersi a cercarlo: all’improvviso spariva e nessuno sapeva dove era finito.
    La sua esistenza era incominciata sotto il segno della ricerca. Per metterlo al mondo, Maria e Giuseppe hanno dovuto cercare un angolo tranquillo, perché per questa famiglia di poveretti non c’era posto da nessuna parte. L‘hanno cercato i pastori, i magi, il re Erode. Anche gli ultimi momenti della sua esistenza terrena sono stati segnati dalla ricerca: l’ha cercato chi voleva arrestarlo e non voleva sbagliare persona; l’hanno cercato coloro che volevano vederlo, per l’ultima volta, nel sepolcro.
    I suoi discepoli, spesso, hanno tentato di mettere un poco d’ordine nell’affannosa ricerca di Gesù. Hanno stabilito degli orari, per lasciargli qualche ora di sonno. Hanno selezionato quelli che avevano diritto da quelli che invece davano solo fastidio. Per questo, volevano escludere i bambini, chiassosi e confusionari, e i peccatori, troppo pericolosi per la dignità. Poverini... lo facevano per difendere l’esistenza di Gesù, tirato da tutte le parti. Volevano organizzare le cose come si faceva di solito: distinguere tra le richieste buone e quelle inutili, tra le domande serie e quelle soltanto curiose.
    Gesù non c’è mai stato. Era fuori dagli schemi. Chi ama e vuole la vita, non può di sicuro fare un elenco di priorità né può decidere in anticipo chi lo cerca davvero o chi invece si prende gioco di lui.
    Molte persone hanno cercato Gesù. Una storia, però, è più simpatica di tutte, quella di Zaccheo.
    Zaccheo era un poco di buono. Lo sapevano tutti e glielo dicevano in faccia... con un po’ di ritegno solo perché era un uomo potente e con i potenti è meglio andarci cauti. Lo sapeva bene anche lui, ma non gliene importava nulla (o quasi). Tanto lui aveva i soldi. E con i soldi risolveva tutti i problemi.
    Il suo guaio erano proprio i soldi. Molti glieli invidiavano; moltissimi gli contestavano il modo con cui se li procurava. Zaccheo era un esattore delle tasse, uno di quelli che senza pietà spillava denaro a destra e a manca per conto dei Romani. Un po’ di soldi li consegnava; un po’ se li teneva. E così aveva una barca di soldi e di nemici. Tutto questo, i buoni ebrei, attaccati ai soldi come tutti e nazionalisti esasperati, non glielo perdonavano davvero.
    Abitava a Gerico, una città bellissima, ricca d’acque e profumata di rose, nonostante fosse in mezzo al deserto.
    Un giorno, viene a sapere che dalla sua città doveva passare Gesù. S’incuriosisce. «Lo devo vedere», decide subito, «parlano tanto di lui... se non ne approfitto adesso, mi mancherà per sempre». Ne parla con gli amici. Lo prendono in giro: «Zaccheo... hai deciso di convertirti... non ti bastano più i tuoi soldi? Pensa alla faccia dei tuoi nemici... Non dar loro questa consolazione». Zaccheo è deciso: «Non c’è pericolo. Lo voglio vedere, punto e basta. Mi va simpatico, con quella banda di pescatori che si tira dietro». Qualcuno gli sussurra: «Zaccheo, attento. Gesù è un tipo pericoloso. Non le manda a dire a nessuno». «Per carità... tranquilli. Ci sono abituato. Io lo lascio parlare, come faccio con tutti. E poi faccio quello che mi pare. I soldi li ho io, non lui, che è un morto di fame, senza fissa dimora».
    Zaccheo si organizza per vedere Gesù. Studia le varie possibilità. Rinuncia alla soluzione troppo semplice di convincere, con qualche bustarella al posto giusto, di far passare Gesù sotto le finestre di casa sua. Preferisce scendere lui sulla strada.
    Ma c’è un problema. Zaccheo ha un piccolo difetto fisico: è basso di statura. Lo scopre adesso. Se si mescola alla folla, addio possibilità di vedere Gesù. Non riuscirebbe a vedere nulla... tanto più che Gerico è piena di fanatici che si piazzano sulla strada già dalla sera prima, per non perdersi una briciola dello spettacolo di Gesù che passa.
    Zaccheo ci pensa. Chiede consiglio. Poi decide di testa sua: «Mi arrampico su un albero, in barba alla dignità».
    Anche lui ci va di notte, per non farsi vedere. Si organizza per stare tranquillo, appollaiato sul suo albero, fino al passaggio di Gesù. «Lo voglio vedere».
    Finalmente passa Gesù. Zaccheo tiene il fiato. È il momento più difficile. Se qualcuno si accorge, povera la sua dignità e addio faccia tosta. Domani, nell’ufficio delle imposte, tutti lo guarderanno con un tono che ti prende in giro dalla testa ai piedi.
    Ecco Gesù. Boh... tutto lì? Che capita? Si ferma? Si ferma proprio sotto l’albero di Zaccheo. Scende dalla cavalcatura e guarda in alto. «Zaccheoooo». Zaccheo trema di vergogna. «Zaccheo, vieni giù, devo parlarti». Ormai è fatta. Zaccheo scende e si mette davanti a Gesù, pronto a tutto.
    Gesù gli sorride. Sorride a Zaccheo? Poi parla. Altro che rimproveri... neppure un buon consiglio. Dice Gesù: «Zaccheo, ho deciso: oggi vengo a pranzo a casa tua. Ti va?».
    Zaccheo si sente un colpo al cuore. Voleva vedere Gesù per curiosità, per non essere tagliato fuori quando tra gli amici si parlava di lui. E adesso Gesù sconvolge tutti i piani. Si propone come ospite della sua casa e della sua vita.
    Zaccheo non ci pensa due volte. Risponde al volo, con una gioia traboccante: «Gesù, grazie. Vieni. Preparo in fretta. Ci facciamo un pranzo di quelli da ricordare».
    Gesù ha buttato le braccia al collo a Zaccheo. Non gli ha fatto nessun rimprovero né ha posto alcuna condizione. Gli ha restituito tutta la dignità. L’ha riconciliato con se stesso... la prima persona dopo anni di rimproveri, noiosi quanto inutili. Può ospitare Gesù a casa sua: se Gesù l’ha detto, è segno che lui può farlo. Zaccheo ritrova la gioia di stare in compagnia con se stesso.
    Però... l’abbraccio di Gesù butta per aria tutto. Interpella e inquieta. «Se non cambio vita», pensa Zaccheo, «cosa è venuto a fare Gesù nella mia casa?». Si butta nell’entusiasmo della conversione. Cambia vita, in quel modo esagerato che solo l’amore e il perdono sanno scatenare: «Restituisco quello che ho rubato: quattro volte tanto. I miei soldi li dono ai poveri. Divido la mia vita con loro. Da oggi, cambio... tutto».
    Qualcuno brontola. Non ci capisce più. Accidenti... di questo passo, dove si va a finire? Quel Gesù lì è proprio pericoloso. Fa diventare bene il male. La voglia di Zaccheo di vedere Gesù non era «buona».
    Gesù doveva sgridarlo e basta. Questo modo di fare è troppo rassegnato.
    Adesso interviene Gesù. Non ne può più con questa mania di giudicare, di dividere, di valutare prima di accogliere.
    Alza la voce: «Insomma... non vi rendete conto che la salvezza di Dio è entrata oggi nella vita di Zaccheo?».
    Zaccheo è un uomo nuovo: salvato dall’abbraccio accogliente di Dio, si è riconciliato finalmente con se stesso e con gli altri.
    La sua povera voglia di vedere Gesù gli ha trasformato la vita: il più piccolo dei semi è diventato albero grande.

    Lasciamoci riconciliare

    La storia di Zaccheo non ci lascia indifferenti.
    Almeno tre questioni sono capaci di toglierci la pace, se le meditiamo con calma o ci immergono in un orizzonte insperato, che dà gioia e restituisce in progetti nuovi la fatica di vivere seriamente la riconciliazione.
    Rappresentano la risposta alla domanda che avevo lanciato poco sopra: esiste un modo di vivere la riconciliazione «da discepoli di Gesù»?

    L’abbraccio accogliente trasforma la vita

    Zaccheo, quando è stato costretto ad incrociare il suo sguardo con quello di Gesù, si aspettava un solenne rimprovero. Sapeva di meritarlo e sapeva che Gesù non aveva l’abitudine di rimandare i rimproveri meritati. Aveva però imparato a difendersi, ascoltando e continuando sulla sua strada. Per questo non era eccessivamente preoccupato.
    È capitato l’imprevedibile.
    Il rimprovero di Gesù consiste nell’abbraccio accogliente. Gesù si fa invitare a cena da Zaccheo. Restituisce a Zaccheo la consapevolezza di avere una dignità tanto grande che non poteva distruggere nessuna delle folli scelte con cui aveva riempito la sua vita. Ritrova la gioia di poter vivere in compagnia di se stesso, visto che il maestro esigente si era proposto come ospite della sua casa, tanto detestata dalla gente per bene.
    E Zaccheo cambia vita. Lo fa con una radicalità imprevedibile. Dichiara senza incertezze: restituisco quattro volte tanto quello che ho rubato.
    L’abbraccio non è approvazione ma contestazione la più radicale. Zaccheo, accolto e restituito alla gioia della sua esistenza, si sente costretto alla conversione più totale.
    Certo, l’atteggiamento di Gesù è stato rischioso. Zaccheo poteva interpretarlo come un’approvazione del suo stile di vita e farsene bello di fronte ai suoi accusatori. L’aveva capito Pietro che sollecita da Gesù il limite a questo stile di riconciliazione. E per fortuna – sua e nostra – scopre che Gesù gli restituisce come limite… la totale assenza di ogni limite: i discepoli di Gesù sono sollecitati a perdonare settanta volte sette, se vogliono sollecitare ad una conversione radicale.

    La riconciliazione per la trasformazione

    Zaccheo, accolto nell’abbraccio riconciliatore di Gesù, avverte la necessità di cambiare coraggiosamente stile di vita. Rimettere le cose apposto diventa l’esito e la condizione irrinunciabile.
    Rimettere le cose apposto è una delle prassi più diffuse. Su quest’ operazione abbiamo però l’abitudine di giocare al risparmio. Ogni progetto, anche il più grande, si realizza spesso nella logica minimalista.
    Zaccheo sfonda questa logica. Restituisce quattro volte tanto quello che ha rubato.
    Non gliel’ha chiesto nessuno. Riportare i conti in parità era più che sufficiente per assicurarsi l’applauso dei benpensanti.
    Gliel’ha chiesto Gesù, senza pronunciare una parola, nel rischio di un abbraccio accogliente che poteva essere interpretato come l’invito a chiudere un occhio e persino a tacitare gli avversari.
    Gesù esagera. E Zaccheo non resiste e rilancia l’esagerazione.
    Mi sono chiesto poco fa: esiste uno stile da discepoli di Gesù per vivere la riconciliazione? Ecco una risposta. Sconvolgente.

    I protagonisti dell’evento della riconciliazione

    La storia di Zaccheo non cambia solo l’esito del processo di riconciliazione. Cambia il processo stesso dal suo inizio. Nei modi di fare normali, il primo passo è affidato a colui che deve implorare il perdono. L’offeso detta tempo e ritmo, per farsi pagare adeguatamente il torto subito. Nei rari casi in cui l’offeso fa il primo passo, tutti restano a bocca spalancata dalla meraviglia.
    Con Zaccheo le cose cambiano radicalmente.
    Il primo passo lo fa Gesù, invitando Zaccheo a scendere dall’albero e a sprofondare il suo sguardo nel suo volto. Gesù non dice nulla a proposito dei torti di Zaccheo né gli pone condizioni per farsi invitare a cena a casa sua. Va deciso: vengo a cena a casa tua. Gli butta le braccia al collo, prendendo l’iniziativa di tutto il processo.
    Qualcosina Zaccheo ce la mette di suo: la nostalgia di incontrare Gesù, la fatica di scendere di casa, il rischio di arrampicarsi sull’albero. È di certo poco per un processo di riconciliazione che ha a monte anni di soprusi e di collaborazionismo.
    Ma basta e ne avanza. Questo è lo stile di Gesù. Tutto il Vangelo è una trama di sguardi che accolgono e di interventi che rimettono a testa alta.
    L’ha capito molto bene Paolo, sulla sua pelle prima di teorizzarlo in una delle affermazioni che restituisce alla riconciliazione la qualità da discepoli di Gesù. Ci raccomanda, scrivendo agli abitanti di Corinto: «Era Dio che riconciliava a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. In nome di Cristo, dunque, siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio» (2 Cor 5, 19-20).

     


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