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    Gravissimum Educationis



    Vaticano II e i giovani

    Un invito a scommettere sulla educazione

    Riccardo Tonelli

    (NPG 2012-04-42)


    Per trovare un titolo alla mia riflessione sul documento conciliare Gravissimum educationis (GE) ho scelto una espressione che non c’è in nessun angolo del documento.
    Lo so e lo dichiaro per correttezza. Giustifico però la mia scelta attraverso un lavoro interpretativo che mette in risalto l’attualità e la novità del documento stesso. Rileggendolo, dopo i diversi anni in cui era rimasto in uno scaffale della mia biblioteca, mi ha colpito subito. La fiducia sulla educazione e l’invito ad impegnare risorse e strategie nella sua logica, mi sembrano l’orientamento più rilevante: molte pagine del documento risentono necessariamente dei tempi in cui sono state scritte e del respiro universale che le attraversa, ma l’appassionata scelta dell’educazione e il modo concreto con cui è offerta, sono davvero un contributo prezioso anche per il nostro tempo.
    Viene spontaneo paragonare GE al documento consegnato dalla Conferenza episcopale italiana alla Chiesa che è in Italia e, attraverso essa, a tutte le persone impegnate e preoccupate Educare alla vita buona del Vangelo.

    LA MOTIVAZIONE DI FONDO

    Nella Chiesa l’attenzione verso l’educazione rappresenta una delle dimensioni più comuni e insistite. Lo ricorda anche il documento, mettendo in risalto gli impegni di tante istituzioni ecclesiali e singoli discepoli di Gesù nel corso della storia.
    Vale anche per l’oggi?
    Attività educative gestite dalla Chiesa erano presenti e all’opera in stagioni e contesti dove si faceva poco su questa frontiera. L’opera di supplenza ha affrontato e risolto situazioni che altrimenti sarebbero rimaste tragicamente inevase. Questo è un fatto di cui essere fieri, che documenta il frutto dell’esperienza pasquale che Gesù ha affidato ai suoi discepoli.

    L’impegno educativo è missione della Chiesa

    Oggi, in molti paesi la situazione di emergenza sembra conclusa. Ne prende atto con soddisfazione il documento:

    «L’estrema importanza dell’educazione nella vita dell’uomo e la sua incidenza sempre più grande nel progresso sociale contemporaneo sono oggetto di attenta considerazione da parte del sacro Concilio ecumenico. In effetti l’educazione dei giovani, come anche una certa formazione permanente degli adulti, sono rese insieme più facili e più urgenti dalle circostanze attuali. Gli uomini, avendo una più matura coscienza della loro dignità e della loro responsabilità, desiderano partecipare sempre più attivamente alla vita sociale, specie in campo economico e politico d’altra parte gli sviluppi meravigliosi della tecnica e della ricerca scientifica, i nuovi mezzi di comunicazione sociale danno loro la possibilità, anche perché spesso hanno più tempo libero a disposizione, di accostarsi più facilmente al patrimonio culturale e spirituale dell’umanità e di arricchirsi intrecciando tra i gruppi e tra i popoli più strette relazioni. Per questo dappertutto sorgono iniziative atte a promuovere sempre più l’attività educativa; si definiscono e si pubblicano con documenti solenni i diritti fondamentali in ordine alla educazione degli uomini, e in particolare quelli dei fanciulli e dei genitori; crescendo rapidamente il numero degli alunni, si moltiplicano e si perfezionano le scuole, come pure si fondano altre istituzioni educative; attraverso nuove esperienze si perfezionano i metodi educativi e didattici, e si fanno sforzi davvero grandiosi per educare e istruire tutti gli uomini, anche se è vero che moltissimi sono ancora i fanciulli e i giovani che mancano dell’istruzione di base e tanti altri non hanno quell’educazione completa che sviluppa insieme la verità e la carità» (GE, Proemio).

    Questa consapevolezza rilancia oggi, come ai tempi del Concilio, l’interrogativo pregiudiziale: terminata l’emergenza, va conclusa anche la presenza? Il compito educativo sempre urgente… va affidato agli organi competenti, spostando l’attenzione della comunità ecclesiale verso il suo servizio specifico? Tradizioni e istituzioni, orientate verso l’educazione, vanno, di conseguenza, smesse, ridefinite e restituite?
    GE si apre con una dichiarazione che dà il quadro a tutta la questione:

    «Tutti gli uomini di qualunque razza, condizione ed età, in forza della loro dignità di persona hanno il diritto inalienabile ad una educazione, che risponda alla loro vocazione propria e sia conforme al loro temperamento, alla differenza di sesso, alla cultura e alle tradizioni del loro paese, e insieme aperta ad una fraterna convivenza con gli altri popoli, al fine di garantire la vera unità e la vera pace sulla terra. La vera educazione deve promuovere la formazione della persona umana sia in vista del suo fine ultimo, sia per il bene dei vari gruppi di cui l’uomo è membro e in cui, divenuto adulto, avrà mansioni da svolgere» (GE, 1).

    Il tema è davvero fondamentale. Per questo il documento riprende e approfondisce l’affermazione studiando il «diritto di ogni uomo all’educazione». La missione della Chiesa si pone di conseguenza al servizio di questo diritto universale. Realizza strutture e attività, impegna persone e risorse, per riconoscere, affermare, assicurare questo diritto fondamentale. Non si tratta di un’opera di supplenza, legata all’emergenza, ma di un compito costitutivo, legato alla missione.

    «Da parte sua la santa madre Chiesa, nell’adempimento del mandato ricevuto dal suo divin Fondatore, che è quello di annunziare il mistero della salvezza a tutti gli uomini e di edificare tutto in Cristo, ha il dovere di occuparsi dell’intera vita dell’uomo, anche di quella terrena, in quanto connessa con la vocazione soprannaturale; essa perciò ha un suo compito specifico in ordine al progresso e allo sviluppo della educazione» (GE, Proemio).

    L’impegno educativo esige progetti concreti

    Questa scelta di fondo si sviluppa, nel corso del documento, in una serie di annotazioni concrete, che lo traducono verso linee operative.
    Il documento le raccoglie attorno a due riferimenti:
    – «principi fondamentali intorno all’educazione cristiana»
    – «soprattutto nelle scuole».
    L’urgenza del tema e l’esigenza di una sua precisa operazionalità sollecita GE a demandare l’impegnativo lavoro successivo ad una speciale commissione post-conciliare e alle conferenze episcopali.
    Una annotazione va certamente aggiunta, per aiutarci nella riscoperta del documento e nella sua rilettura con un atteggiamento di verifica pensosa.
    Chi legge oggi la pagina di apertura di GE con la sensibilità che ci ritroviamo resta certamente colpito da due accentuazioni di segno opposto.
    Da una parte è chiara l’esigenza di muoversi nel concreto e in continua attenzione al contesto culturale e sociale.
    Per questo l’invito a prendere sul serio la responsabilità educativa spalanca immediatamente verso l’urgenza di procedere oltre, rispetto alle linee annotate nel documento: i principi fondamentali devono diventare prassi quotidiana e qualcuno è chiamato a farsi garante di questa elaborazione operativa.
    Dall’altra, la sensibilità che ci ritroviamo reagisce con qualche preoccupazione, davvero giustificata, quando il tema dell’educazione diventa immediatamente attenzione alla «educazione cristiana» (con un’evidente implicita coincidenza…) e quando l’attenzione ai luoghi dell’educazione si restringe all’ambito delle «scuole».
    Oggi abbiamo scoperto la necessità di assumere con gioia le indicazioni conciliari, riconoscerne l’autorevolezza normativa e avvertire, nello stesso tempo, il bisogno di ricontestualizzarne e di concretizzarle dentro il vissuto ecclesiale e sociale attuale. Questo vale soprattutto per i documenti, come è GE, che sono di prevalente orientamento pratico.
    Continuiamo perciò a leggere il documento, per raccogliere i suoi preziosi contributi, andando eventualmente oltre questi due limiti… culturali.

    EDUCAZIONE CRISTIANA

    Come ho appena ricordato, GE concentra le sue attenzioni sulla «educazione cristiana». La propone come un diritto di tutti i battezzati e, di conseguenza, un dovere irrinunciabile della comunità ecclesiale.
    Di essa ci indica soprattutto in che cosa essa consista e quali siano i mezzi adatti per assicurarla.
    Il documento propone l’educazione e la qualifica sottolineando la sua dimensione caratterizzante «cristiana».
    Noi possiamo fare l’operazione complementare.
    In una stagione di incertezze frequenti, in cui la convergenza sull’importanza dell’educazione si frastaglia in mille modelli educativi (persino contraddittori), possiamo farci orientare dalla figura di «educazione cristiana» proposta da GE per comprendere meglio cosa sia una «buona» educazione.

    In che cosa consiste

    GE dice in modo preciso e concreto quale tipo di educazione possa qualificarsi come «educazione cristiana»:

    «[L’educazione cristiana] non mira solo ad assicurare quella maturità propria dell’umana persona, di cui si è ora parlato, ma tende soprattutto a far si che i battezzati, iniziati gradualmente alla conoscenza del mistero della salvezza, prendano sempre maggiore coscienza del dono della fede, che hanno ricevuto; imparino ad adorare Dio Padre in spirito e verità (cfr. Gv 4,23) specialmente attraverso l’azione liturgica; si preparino a vivere la propria vita secondo l’uomo nuovo, nella giustizia e santità della verità (cfr. Ef 4,22-24), e cosi raggiungano l’uomo perfetto, la statura della pienezza di Cristo (cfr. Ef 4,13), e diano il loro apporto all’aumento del suo corpo mistico. Essi inoltre, consapevoli della loro vocazione, debbono addestrarsi sia a testimoniare la speranza che è in loro (cfr. 1 Pt 3,15), sia a promuovere la elevazione in senso cristiano del mondo, per cui i valori naturali, inquadrati nella considerazione completa dell’uomo redento da Cristo, contribuiscano al bene di tutta la società. Pertanto questo santo Sinodo ricorda ai pastori di anime il dovere gravissimo di provvedere a che tutti i fedeli ricevano questa educazione cristiana, specialmente i giovani, che sono la speranza della Chiesa» (GE, 2).

    Quali sono i mezzi di cui servirsi per assicurarla

    Una responsabilità così alta sollecita verso l’indicazione e la elaborazione di strumentazioni adeguate.
    Con molto realismo GE si pone la questione e ne suggerisce una prospettiva di soluzione:

    «Nell’assolvere il suo compito educativo la Chiesa utilizza tutti i mezzi idonei, ma si preoccupa soprattutto di quelli che sono i mezzi suoi propri. Primo tra questi è l’istruzione catechetica, che dà luce e forza alla fede, nutre la vita secondo lo spirito di Cristo, porta a partecipare in maniera consapevole e attiva al mistero liturgico, ed è stimolo all’azione apostolica. La Chiesa valorizza anche e tende a penetrare del suo spirito e ad elevare gli altri mezzi che appartengono al patrimonio comune degli uomini e che sono particolarmente adatti al perfezionamento morale e alla formazione umana, quali gli strumenti di comunicazione sociale, le molteplici società a carattere culturale e sportivo, le associazioni giovanili e in primo luogo le scuole» (GE, 4).

    Questa priorità può apparire limitata rispetto alla nostra attuale sensibilità. E’ stato ricordato, dal documento stesso, che l’obiettivo globale a cui tende il compito educativo consiste nella «formazione della persona umana sia in vista del suo fine ultimo, sia per il bene dei vari gruppi di cui l’uomo è membro e in cui, diventato adulto, avrà mansioni da svolgere». L’istruzione catechetica, che «dà luce e forza alla fede», può essere indicato come il «primo» tra i «vari mezzi al servizio dell’educazione cristiana».
    La prospettiva di GE va colta nella collocazione fondamentale del documento. Esso, come ho appena ricordato, è orientato verso l’educazione cristiana, come orizzonte globale di tutto il processo educativo e procede, come ricorda la citazione, utilizzando «tutti i mezzi idonei», preoccupandosi soprattutto «di quelli che sono i mezzi suoi propri».
    In questa logica è interessante ricollocare la missione globale della comunità ecclesiale proprio all’interno di un servizio educativo pieno. Ci ricorda, in altre parole, che i discepoli di Gesù non solo si pongono al servizio della maturazione piena di ogni persona, ma anche quando svolgono i compiti specifici del ministero ecclesiale (orientati al «mistero liturgico», come dice GE) si fanno preoccupati e attenti verso una dimensione educativa qualificata. E questo… è un invito sempre attuale.

    I LUOGHI PER L'EDUCAZIONE

    La prospettiva concreta e operativa (almeno a grandi linee) che caratterizza il documento, porta verso l’indicazione dei luoghi concreti al cui interno assolvere il compito educativo.
    Sono elencati quelli tipici di un’azione educativa formale. Oggi siamo sensibili anche verso tutti gli spazi educativi non formali, proprio per incontrare le persone dove esse sono e vivono e per trasformare anche i «non luoghi» in spazi di crescita, confronto, maturazione personale e sociale. GE non poteva anticipare una sensibilità che abbiamo maturato successivamente. Ci affida però con forza la consapevolezza della responsabilità di una gestione matura e promozionale dei luoghi educativi tradizionali. La… deistituzionalizzazione non può far ignorare i compiti istituzionali.
    I luoghi educativi annotati da GE sono i genitori, la scuola, le scuole superiori, le facoltà di teologia. Li ricordo, riportando qualche citazione.

    I genitori, primi educatori

    Questo diritto va riconosciuto dalle istituzioni pubbliche. Esse devono impegnarsi a riconoscerlo fornendo tutto l’assistenza necessaria:

    «I genitori, avendo il dovere e il diritto primario e irrinunciabile di educare i figli, debbono godere di una reale libertà nella scelta della scuola. Perciò i pubblici poteri, a cui incombe la tutela e la difesa della libertà dei cittadini, nel rispetto della giustizia distributiva, debbono preoccuparsi che le sovvenzioni pubbliche siano erogate in maniera che i genitori possano scegliere le scuole per i propri figli in piena libertà, secondo la loro coscienza» (GE, 6).

    La scuola

    In particolare, GE rilancia la funzione della scuola «non cattolica», anche se concentra la sua attenzione sui compiti della «scuola cattolica».
    Una raccomandazione particolare è affidata a quelle istituzioni che GE chiama le «scuole superiori».
    Ecco alcuni interessanti raccomandazioni:

    La scuola: «Tra tutti gli strumenti educativi un’importanza particolare riveste la scuola, che in forza della sua missione, mentre con cura costante matura le facoltà intellettuali, sviluppa la capacità di giudizio, mette a contatto del patrimonio culturale acquistato dalle passate generazioni, promuove il senso dei valori, prepara alla vita professionale, genera anche un rapporto di amicizia tra alunni di carattere e condizione sociale diversa, disponendo e favorendo la comprensione reciproca. Essa inoltre costituisce come un centro, alla cui attività e al cui progresso devono insieme partecipare le famiglie, gli insegnanti, i vari tipi di associazioni a finalità culturali, civiche e religiose, la società civile e tutta la comunità umana» (GE, 5).

    La scuola cattolica: «La presenza della Chiesa in campo scolastico si rivela in maniera particolare nella scuola cattolica Al pari delle altre scuole, questa persegue le finalità culturali proprie della scuola e la formazione umana dei giovani. Ma suo elemento caratteristico è di dar vita ad un ambiente comunitario scolastico permeato dello spirito evangelico di libertà e carità, di aiutare gli adolescenti perché nello sviluppo della propria personalità crescano insieme secondo quella nuova creatura che essi sono diventati mediante il battesimo, e di coordinare infine l’insieme della cultura umana con il messaggio della salvezza, sicché la conoscenza del mondo, della vita, dell’uomo, che gli alunni via via acquistano, sia illuminata dalla fede. Solo così la scuola cattolica, mentre - come è suo dovere - si apre alle esigenze determinate dall’attuale progresso, educa i suoi alunni a promuovere efficacemente il bene della città terrena e insieme li prepara al servizio per la diffusione del regno di Dio, sicché attraverso la pratica di una vita esemplare e apostolica diventino come il fermento di salvezza della comunità umana» (GE, 8).

    Le scuole superiori e le università: «Analogamente la Chiesa ha grande cura delle scuole di grado superiore specialmente delle università e delle facoltà. Anzi, in tutte quelle che da essa dipendono, mira organicamente a che le varie discipline siano coltivate secondo i propri principi e il proprio metodo, con la libertà propria della ricerca scientifica, in maniera che se ne abbia una sempre più profonda comprensione e, indagando accuratamente le nuove questioni e ricerche suscitate dai progressi dell’epoca moderna, si colga più chiaramente come fede e ragione si incontrano nell’unica verità, seguendo le orme dei dottori della Chiesa, specialmente di S. Tommaso d’Aquino. In tal modo si realizzerà come una presenza pubblica, costante e universale del pensiero cristiano in tutto lo sforzo dedicato a promuovere la cultura superiore; inoltre questi istituti devono formare in tal guisa tutti i loro studenti, che essi diventino uomini veramente insigni per sapere, pronti a svolgere compiti impegnativi nella società e a testimoniare la loro fede di fronte al mondo» (GE, 10).

    Le facoltà di teologia: «Molto si attende la Chiesa dall’attività delle facoltà di scienze sacre. È ad esse infatti che affida il compito importantissimo di preparare i propri alunni non solo al ministero sacerdotale, ma soprattutto all’insegnamento nelle cattedre di studi ecclesiastici superiori o al lavoro scientifico personale o allo svolgimento delle forme più alte di apostolato intellettuale. È pure compito di queste facoltà approfondire i vari settori delle scienze sacre, in modo che si abbia una intelligenza sempre più piena della rivelazione divina, sia meglio esplorato il patrimonio della sapienza cristiana trasmesso dalle generazioni passate, sia favorito il dialogo con i fratelli separati e con i non cristiani, e si risponda ai problemi emergenti dal progresso delle scienze» (GE, 11).

    IL SERVIZIO EDUCATIVO COME COMPITO VOCAZIONALE

    In GE ci sono molti passaggi destinati a consegnare a tutti i discepoli di Gesù la responsabilità di vivere il servizio educativo come un vero, autentico e intenso compito vocazionale. Ricordo i due passaggi espliciti e diretti. Possono offrire come una chiave di lettura con cui rileggere e personalizzare la proposta del documento. A 50 anni dalla sua stesura resta davvero di grande attualità, almeno per affidare a tutti il compito di operare una trasformazione culturale e sociale «scommettendo» sulla forza dell’educazione, per consolidare «la vita buona del Vangelo».

    «[Il sacro Sinodo] esorta i figli della Chiesa a lavorare generosamente in tutti i settori dell’educazione, al fine specialmente di una più rapida estensione dei grandi benefici dell’educazione e dell’istruzione a tutti, nel mondo intero» (GE, 1).

    «Il sacro Sinodo esorta vivamente anche i giovani perché, convinti della eccellenza del compito educativo, siano generosamente pronti ad intraprenderlo, specie in quelle regioni dove lo scarso numero di maestri mette in pericolo l’educazione della gioventù.
    Parimenti il Sinodo, nell’esprimere la sua gratitudine ai sacerdoti, religiosi, religiose e laici che in spirito di dedizione evangelica svolgono la nobile opera educativa e didattica di qualsiasi tipo e grado, li esorta a perseverare con generosità nel compito intrapreso, sforzandosi di distinguersi nella formazione degli alunni allo spirito di Cristo, nell’arte pedagogica e nello studio scientifico, in modo che promuovano non solo il rinnovamento della Chiesa all’interno, ma anche ne mantengano e ne accentuino la benefica presenza nel mondo moderno, specie in quello intellettuale» (GE, Conclusione).

    Prendere sul serio queste due «esortazioni» accorate rappresenta il modo più serio e consapevole di celebrare la lettura e l’accoglienza di questo prezioso documento conciliare. È legato al tempo della sua stesura e alla modalità con cui è stato realizzato, come ho cercato di mostrare nello sviluppo delle mie riflessioni, ma contiene indicazioni e prospettive che restituiscono alla comunità ecclesiale, anche in una stagione di crisi sofferta, la funzione di essere il dono concreto dell’amore di Dio a tutti gli uomini.


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