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    Una catechesi in stile di animazione: la «scommessa» sull'educazione



    Riccardo Tonelli

    (NPG 1986-06-57)


    Questo è l'ultimo articolo sul rapporto tra catechesi e animazione. so di non aver affrontato tutti i problemi. Ho cercato però di mettere a fuoco i più rilevanti, e ho suggerito prospettive di riflessione e di intervento che possono abilitare il lettore a trovare lui stesso le soluzioni generali e quelle specifiche. Questo contributo si collega idealmente con il primo articolo. In quelle pagine avevo proposto e motivato l'interrogativo di fondo: è possibile una catechesi in stile di animazione, oppure l'animazione ha solo una funzione strumentale rispetto alla catechesi?
    In questa conclusione, raccogliendo i frammenti sparsi lungo il cammino percorso assieme, propongo un modello globale di catechesi in stile di animazione.

    INDICARE PROBLEMI E CERCARE SOLUZIONI CON REALISMO

    Chi analizza i compiti della catechesi è spesso tentato di partire nella direzione del suo dover-essere con toni e con preoccupazioni molto astratte. Ne esce così un modello perfetto, terso da ogni difetto e libero da ogni contaminazione congiunturale. Purtroppo però funziona solo sulla carta o negli ordini del giorno di qualche assemblea solenne di responsabili.
    Nella mischia della vita quotidiana delle nostre comunità ecclesiali, gli operatori si misurano invece con problemi molto più spiccioli. Sembra astrattismo, per esempio, giocare tutte le risorse per difendere una sistematicità assoluta, quando solo una percentuale bassissima di giovani di fatto realizza esperienze di catechesi in modo organico.
    E' astrattissimo analizzare con puntigliosa acribia le formule, alla ricerca della virgola fuori posto o dell'apice smarrito, quando tutto questo passerà poi attraverso molte mediazioni prima di giungere alla soggettiva esperienza dei giovani.
    Considero pure astrattismo studiare i problemi della catechesi come se fossero i più gravi nell'esistenza umana e cristiana, quando poi ci si scontra quotidianamente con situazioni molto più brucianti, dentro e fuori l'esperienza ecclesiale.
    Potrei continuare: il panorama ecclesiale attuale ne offre diversi esempi. Ma interrompo qui la rassegna perché è solo evocativa di una preoccupazione.
    Per definire una catechesi in stile di animazione non possiamo lasciarci afferrare da tentazioni utopistiche. Certamente non vogliamo neppure procedere con lo sguardo a terra, catturati inesorabilmente dai fatti, come se nulla si potesse fare per trasformare una realtà che ci preme inesorabilmente addosso, o come se quello che esiste fosse tutto oro colato.
    L'animazione guarda al futuro con speranza operosa, ben radicata sul presente. Crede all'utopia, ma la cerca sempre in termini di possibile, mediando tra il dover-essere astratto e la constatazione rassegnata dello stato di fatto.
    Per definire una catechesi in stile di animazione, dobbiamo imparare ad essere realisti secondo questo modello. Dobbiamo cioè lasciarci misurare seriamente dai fatti, alla ricerca di soluzioni governabili e praticabili.
    Qui si colloca la mia proposta.

    TRA EVANGELIZZAZIONE E EDUCAZIONE

    Per molto tempo la ricerca di un modello ideale di catechesi si è sviluppata nell'alternativa tra la catechesi esperienziale e quella kerigmatica.

    I limiti dei modelli esperienziali e di quelli kerigmatici

    La prima ipotesi faceva largo spazio all'esperienza personale dei soggetti. Essa rappresentava il contenuto centrale dell'atto catechistico. La parola rivelata e la testimonianza dottrinale della chiesa operavano come interpretazione e riformulazione di queste stesse esperienze, verso una loro ricostruzione quasi oggettiva.
    Alla catechesi esperienziale si è contrapposta (nel tempo e/o nella intenzione) quella cosiddetta kerigmatica: un modello che privilegia l'annuncio dei contenuti della fede, espresso quasi allo stato puro e preteso senza contaminazione antropologica.
    Dopo i tempi duri delle alternative forzate e della guerriglia tra gli opposti sostenitori, siamo giunti ad una stagione nuova, almeno tra gli operatori pastorali più avveduti. La coscienza ermeneutica ha messo in evidenza che non può esistere una evangelizzazione al di sopra della cultura e della storia. Ogni parola su Dio è come la parola stessa di Dio: si fa parola d'uomo per diventare parola di salvezza per l'uomo. E così ha denunciato la pretesa del modello kerigmatico.
    La coscienza ermeneutica ha riempito però di sospetto anche la catechesi esperienziale. Ne ha sottolineato i limiti strutturali. L'esperienza che entra in gioco è troppo povera e ambigua, per pretenderla il supporto adeguato all'evento dell'amore liberante di Dio. Troppo facilmente questo evento ne è rimasto catturato. La catechesi esperienziale è così naufragata in un modello responsoriale: la forza irruente dello Spirito è diventata la semplice e addomesticata risposta alle povere domande dell'uomo. Ogni giorno constatiamo le sue conseguenze negative: privata della sua profezia, la parola di Dio è stata sconfitta dai profeti delle cose penultime. Ma questo ci ha lasciato con le nostre angosce, prigionieri del greve sapore della morte.

    La nuova frontiera a confronto sulla educazione

    Molti di noi hanno scoperto progressivamente che la ricerca di un modello nuovo di catechesi va collocata su un'altra frontiera. Essa riguarda e attraversa il difficile confronto tra la potenza irruente della parola annunciata nell'evangelizzazione e il lento cammino dell'uomo, che ascolta, accoglie e risponde nel ritmo della sua esistenza quotidiana.
    Non possiamo avere dubbi sulla priorità costitutiva da restituire alla evangelizzazione. Né possiamo tentare una sua strana addomesticazione, per i sottili giochi delle nostre paure.
    La catechesi è luogo e momento di proposta: l'incontro, affascinante e colpevolizzante, con un evento che ci interpella intensamente. Essa infatti non è orientata a diffondere informazioni, ma vuole produrre «discepoli del Signore della vita». La testimonianza personale del catechista e il coinvolgimento diretto e appassionato dei giovani nella proposta della «vita» e delle sue esigenze sono le modalità irrinunciabili per assicurare una esplicita intenzione implicativa e performativa.
    La dimensione esperienziale e quella propositiva sono quindi le due facce dello stesso gesto, modalità che si richiamano reciprocamente. Il problema è un altro.
    Lo posso indicare con un interrogativo: quale peso e rispetto viene assicurato alle esigenze della «educazione» nell'atto catechistico e nel processo che esso scatena? Le esigenze dell'educazione le conosciamo: acquisizione critica dei modelli culturali tipici dell'istituzione a cui si vuole appartenere, relazione intersoggettiva tra educatore e educando, attivazione sempre più ampia di una reciproca consapevolezza e intenzionalità, sostegno e appello alla libertà, rispetto della dimensione evolutiva e della gradualità.
    Sulla risposta pratica alla domanda si dividono oggi i modelli catechistici. Per qualcuno il rispetto è sommo, fino a dare l'impressione che la corretta gestione del problema educativo coincida perfettamente con la natura dell'atto catechistico. La catechesi è uno dei tanti interventi educativi; e nient'altro. Per qualche altro operatore la catechesi non può scendere a patti con le logiche educative. Essa è molto di più; possiede «mezzi» e «beni» di altra natura, capaci di assicurare l'esito positivo, anche quando sono trascurati quelli della sapienza antropologica.
    Una catechesi in stile di animazione si misura su questi processi. E propone un suo modello organico e articolato.

    FARE CATECHESI «SCOMMETTENDO» SULLA EDUCAZIONE

    L'atto catechistico è unico e organico. Non possiamo immaginarlo come una catena di montaggio che assicura l'assemblaggio di un prodotto finito a partire da diversi e distinti contributi.
    La piena proposta evangelizzatrice e il totale rispetto delle esigenze dell'educazione si intrecciano e si intersecano fino a rappresentare la qualità di tutti i gesti compiuti in una catechesi in stile di animazione.
    So che queste belle parole non risolvono nessun problema pratico. Provo di conseguenza a ritagliare un modello operativo, descrivendo le sue diverse componenti.

    Fondamentalmente, un gesto di evangelizzazione

    L'atto catechistico, in qualsiasi situazione si svolga, è sempre realizzato come uno dei servizi qualificati che la comunità ecclesiale realizza in ordine alla evangelizzazione. Esso attinge perciò in modo esplicito e tematico al mistero della salvezza di Dio in Gesù Cristo, mediante la missione sacramentale della chiesa. In questo è per la vita; e la serve in pienezza.
    Il servizio alla promozione della vita può richiedere molti altri gesti. Ci sono sicuramente dei casi in cui la catechesi non è né la cosa più importante né quella più funzionale. Chi ama la vita e intende stare dalla sua parte, sceglie, senza troppe nostalgie, gli interventi più vitali. Quando però si fa catechesi, il gesto va espresso e rispettato in tutta la sua pregnanza.

    La prassi di educazione

    Chi sceglie di servire la vita nella catechesi è consapevole della sua costitutiva fragilità, nella mischia delle tensioni e dei conflitti che attentano quotidianamente alla vita. La sceglie perché crede all'educazione: crede cioè che la restituzione ad una persona della sua dignità progettuale, della gioia di vivere e della capacità di sperare è piccola cosa in se stessa, ma è cosa tanto grande che può segnare un futuro di rigenerazione per la persona e per la collettività.
    La catechesi inserisce la promozione della vita, personale e collettiva, nella logica della croce, e ne offre una consapevolezza tematica ad ogni uomo, restituendolo così alla coscienza della sua dignità.
    La scelta della catechesi è quindi l'opzione per un intervento a carattere «educativo» in vista della costruzione del regno di Dio, da realizzare nel rispetto di una logica educativa.
    Cosa significhi «rispettare la logica educativa» l'ho già detto anche più sopra. Basta ricordare alcune esigenze irrinunciabili: gradualità, relazione (tra catechista e giovani) asimmetrica ma intensa e reciprocamente coinvolgente, esperienze che si fanno messaggi, ricerca di un protagonismo critico.

    Per la vita contro la morte

    Promuovere la vita contro la morte significa impegnarsi per la salvezza contro il peccato.
    Sono però differenti i tipi di «male» contro cui lottare. Di conseguenza l'atto catechistico è chiamato ad assicurare modelli diversi di lotta.
    L'intenzione di fondo è la stessa: assicurare quella vita che ho già descritto, in altro contesto, come la riappropriazione della soggettività, la costruzione di spazi vitali per tutti, la scoperta e l'incontro di Dio come padre. Anche la qualità dell'intervento è la stessa: si tratta sempre di produrre «esperienze», capaci di diventare «messaggio» perché interpretate dalla parola. Cambiano invece le modalità concrete di impegno e di prospettiva. Per concretizzare la proposta, propongo una tipologia di possibili interventi.
    - Nel male che appare ineliminabile dall'esistenza delle concrete persone, il catechista annuncia una salvezza che è vita, perché è libertà di portare in Gesù Cristo questo male senza esserne schiacciati, nell'attesa dell'appuntamento con il regno, in cui ogni lacrima sarà asciugata definitivamente.
    In questo caso, l'annuncio è presenza e condivisione, gesti che la parola interpreta in tutta la sua risonanza cristologica.
    - Nel male che invece appare eliminabile, l'atto catechistico si esprime in un impegno, in fase di analisi e di progettazione, per mettere tutte le premesse che assicurino la vittoria della vita contro la morte. Questo impegno è di natura politica e culturale, perché si misura realisticamente con condizionamenti collocati a questo livello. E' costruito però dentro la logica del regno e finalizzato alla sua anticipazione nel tempo. Per questo è catechesi, anche se si sporge di più sul versante della prassi storica.
    - Nel male che dipende dalla malvagità degli uomini e delle strutture, l'atto catechistico sollecita ad una conversione seria e progressiva. Chiama in causa la responsabilità di ogni persona. E sollecita ad una solidarietà amorevole e appassionata con chi soffre e resta oppresso.

    «Dare le ragioni dei gesti di speranza»

    Il catechista si sente soggetto della missione della chiesa. Sa che la chiesa è per il regno: per continuare l'appassionato servizio alla vita del suo Signore.
    Vive con gioia e con fierezza questa responsabilità.
    La esprime dando le ragioni della sua presenza dalla parte della vita e del suo servizio alla vita attraverso la scelta della catechesi. Dando queste ragioni, trasforma la sua esperienza e quella che essa suscita nei giovani in un grande, affascinante messaggio: l'evangelo di Dio in Gesù, perché tutti abbiano la vita e l'abbiano senza riserve.


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