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    Le parole della fede /11

    Giuseppe De Virgilio

    (NPG 2011-07-30)


    EVOCAZIONE

    La parola «grazie» indica fondamentalmente un «dono» (in greco: charis = grazia) ed esprime la gratitudine e la riconoscenza verso un «tu» con cui si è instaurata una comunicazione di vita. Si tratta di uno dei termini più impiegati nella vita quotidiana, che si apprende fin dai primi passi dello sviluppo educativo. Pur appartenendo al formulario comune delle relazioni interpersonali che usiamo con disinvoltura, talora meccanicamente, l’espressione «grazie» racchiude in sé diversi significati antropologici e religiosi che meritano approfondimento.
    In primo luogo il «grazie» è espressione di un dono ricevuto, rappresentato dall’incontro con una persona che ha attivato una relazione positiva recando un beneficio all’altro. Il nesso tra gratitudine e dono manifesta l’autentica identità dell’uomo che si apre al progetto di Dio. Egli scopre la ricchezza dell’altro e sperimenta la positività dell’incontro con il prossimo. Quanto più il dono ricevuto è grande, tanto più il «grazie» diventa comunicazione e testimonianza di gioia e di vita.
    L’esperienza della gratitudine incomincia dalla scoperta di se stessi e di ciò che si è per rendere felici gli altri. Questo processo di autocoscienza inizia nell’ambito della famiglia e si sviluppa nei percorsi educativi dell’infanzia e dell’adolescenza. La profonda unità che l’essere umano stabilisce con i suoi genitori genera il ringraziamento verso di loro, tradotto nelle forme affettive dell’appartenenza e della comunione di vita. Soprattutto nella fase infantile il «grazie» si declina nell’esperienza di essere amati e nell’atto di ricambiare l’amore verso i nostri cari.
    Proprio perché ci si scopre «dono», il processo di maturazione che avviene nel mondo giovanile spinge ad esprimere la propria gratitudine attraverso la disponibilità di sé e il servizio verso gli altri. È fondamentale in questo tratto esistenziale dello sviluppo umano attivare un cammino educativo in cui il giovane possa scoprirsi autenticamente «dono» per gli altri e vivere il «ringraziamento» come chiave ermeneutica del suo essere nel mondo. Quando questo processo oblativo non si realizza o viene limitato nel suo sviluppo, anche la gratitudine è soffocata dall’interesse egoistico e dal facile ripiegamento su se stessi. In tal modo il «grazie» diventa sempre più raro e «formale».
    L’esperienza educativa insegna che il «grazie» vero nasce dallo stupore della gratuità. Rendere felici gli altri, mettersi a servizio del bene comune, sperimentare l’amicizia come itinerario di libertà e di condivisione, imparare a «progettare insieme» il futuro, vivere lo slancio della solidarietà verso chi soffre: sono tappe di un cammino di gratitudine e di apertura alla vita che ciascun giovane porta nel suo cuore ed esprime con il ringraziamento. Il «grazie» è segno di dono ricevuto e donato. In questo dinamismo del dare e dell’accogliere si manifesta l’«etica della gratitudine».
    Il «grazie» è segno di libertà. In una cultura sempre più condizionata da meccanismi di produzione e logiche di profitto, l’uomo avverte la necessità di riscoprire un cammino di liberazione da tutto ciò che rende schiave le relazioni interpersonali. Il «grazie» si coniuga con la responsabilità del donarsi e dell’impegnarsi per costruire il bene comune. Uno stile di vita ispirato ad un progetto edonistico e fondato su profitto esclude il modello sociale della gratuità. Al contrario, il «grazie» declinato nella dinamica della condivisione apre ad una cultura della prossimità e della fraternità. È questo lo stile evangelico sperimentato nella sequela di Gesù e nell’etica della primitiva comunità cristiana.
    Sul versante della proposta spirituale il «grazie» si incarna soprattutto nella preghiera personale e comunitaria. Tra i generi della preghiera che siamo soliti rivolgere al Signore, insieme alla lode e alla supplica vi è il ringraziamento. Sia nella tradizione biblica che nello sviluppo della spiritualità ebraico-cristiana troviamo una vasta gamma di ringraziamenti per diversi motivi. Si rende grazie a Dio per la sua provvidenza che si manifesta nella creazione e nella «storia della salvezza». Il credente si apre al mistero dell’amore divino rispondendo con il «grazie» per tutti i benefici e gli interventi di Dio.
    Oltre ai testi salmici e alle preghiere contenute nella Sacra Scrittura, la gratitudine è testimoniata nei racconti biblici che presentano diverse situazioni dell’esistenza umana. Si ringrazia Dio per il matrimonio e il dono dei figli, per la guarigione da una malattia, per uno scampato pericolo, per la vittoria in guerra contro i nemici, per la soluzione di problemi familiari e sociali, per il trionfo della giustizia e l’abbondanza dei frutti della terra. Il «grazie» è comunicato nella ferialità e celebrato nelle feste, trasformandosi in una «liturgia della gratitudine».
    Il «grazie» viene innalzato dal credente che ha sperimentato il perdono dei peccati. L’amore e la benevolenza divina spingono la comunità ad elevare inni di ringraziamento al Signore nelle celebrazioni e nelle festività del calendario liturgico. In tal modo il ringraziamento diventa confessione pubblica della fede in Dio. Nel «grazie» che sgorga dalla fede è raccolta in sintesi la storia della salvezza e la dinamica dell’appartenenza dell’uomo al progetto di Dio. Per focalizzare la valenza teologica ed esistenziale di questa «parola di fede» è importante ripercorrere le narrazioni della Sacra Scrittura, rileggendole nella prospettiva del «ringraziare».

    NARRAZIONE

    Il «ringraziare», che è nello stesso tempo presa di coscienza dei doni di Dio, slancio purissimo dell’animo, riconoscenza gioiosa dinanzi alla grandezza divina, è ritenuto un atto essenziale nella Bibbia, in quanto costituisce una reazione religiosa fondamentale della creatura che scopre la grandezza e la gloria di Dio. Esso viene espresso in ebraico mediante il verbo todah che dice la confessione stupita e riconoscente del «ringraziare». Oltre al «ringraziare» troviamo il verbo «benedire» (ebr. barak) che indica l’atteggiamento religioso della gratitudine verso Dio. Il «benedire» intende «lo scambio essenziale» tra Dio e l’uomo: alla benedizione di Dio, che dà la vita e la salvezza alla sua creatura (cf Dt 30,19; Sal 28, 9) risponde la benedizione con cui l’uomo rende grazie al creatore (cf Dn 3, 90; Sal 68,20.27; Ne 9,5; 1Cr 29,10).
    Il vocabolario neotestamentario del ringraziamento eredita la tradizione ebraica e collega i1 ringraziamento alla confes­sione di fede (in greco homologheo: cf Mt 11,25; Lc 2,38; Eb 13, 15), alla lode (in greco aineo: Lc 2,13.20; Rm 15, 11), alla glorificazione (in greco doxazo-: Mt 5, 16; 9, 8) e sempre, in modo privilegiato alla benedizione (in greco eulogheo: Lc 1, 64. 68; 2, 28; 1Cor 14, 16; Gc 3, 9). Tra tutte le espressioni spicca il verbo eucharisteo (= rendimento di grazie, da cui «Eucaristia») quasi sconosciuto nell’Antico Testamento, ma usato in modo del tutto singolare nel Nuovo Testamento. La singolarità sta dell’interpretazione cristologica del ringraziamento come «risposta» alla «grazia» (charis) data da Dio in Gesù Cristo (cf Gv 1,17). Pertanto il ringraziamento cristiano è una «eucaristia» e la sua espres­sione perfetta è l’Eucaristia sacramentale, il ringraziamento del Signore dato da questi alla sua Chiesa.

    «Grazie» nell’Antico Testamento

    Benedire, glorificare, confessare la fede, celebrare il culto, pregare... sono tutte espressioni di ringraziamento che il credente innalza a Dio per i benefici ricevuti. In quasi tutti i personaggi della Bibbia troviamo forme di ringraziamento al Signore espresse in diversi contesti e forme di vita. Abramo ringrazia Dio per il compimento della promessa della paternità (Gen 22,13-14), Melkisedech rendendo grazie a Dio offre ad Abramo i segni del pane e del vino (Gen 14,19-20), Giacobbe benedice la sua discendenza dichiarando tutta la sua gratitudine all’Onnipotente (Gen 49,1-27). Ripercorrendo i testi della preghiera si comprende come il ringraziamento è unico, perché risponde all’unica opera di Dio. Ogni beneficio particolare di Jhwh è sempre sentito come un momento di una grande storia in corso di realizzazione. È fondamentale cogliere nell’atto del ringraziamento il prolungamento della speranza escatologica.
    L’evento dell’esodo segna la dimensione «comunitaria» del grazie al Dio-liberatore. La vicenda di Mosè e del popolo ebraico è basata sul grazie della memoria pasquale (Es 12) e declamata nel canto di vittoria che segue il prodigio del Mar Rosso (Es 15,1-21). Tutto Israele riconosce l’intervento di Jhwh e innalza il canto della liberazione: «Voglio cantare al Signore, perché ha mirabilmente trionfato: cavallo e cavaliere ha gettato nel mare. Mia forza e mio canto è il Signore, egli è stato la mia salvezza. È il mio Dio: lo voglio lodare, il Dio di mio padre: lo voglio esaltare!» (Es 15,1-2). A partire da questo dono di vita, il ringraziamento diventa una costante della preghiera comunitaria, che esalta i doni di Jhwh, a partire dalla Torah ricevuta sul Sinai (Es 24). In Lv 7,12-13 si parla del ringraziamento nel contesto del sacrificio di comunione, a conferma dell’importanza del tema nella stessa tradizione liturgica ebraica. Ugualmente in Ne 12,46 si accenna che «al tempo di Davide e di Asaf, vi erano capi cantori e venivano innalzati canti di lode e di ringraziamento a Dio».
    Nell’itinerario del deserto e nella successiva storia di Israele innalzare il «grazie» a Jhwh rappresenta per il popolo una confessione di fede nell’unico Dio che salva (cf Dt 32, 43). Il cantico di Mosè (Es 15,121), di Debora (Gdc 5), di Anna (1Sam 2), di Davide (2Sam 22-23), di Salomone (1Re 8) evidenziano il cammino di maturazione nella provvidenza divina, che si compie attraverso svariate prove e cadute. La conclusione della preghiera di Davide esprime la motivazione del suo ringraziamento a Colui che lo ha salvato: «Viva il Signore e benedetta la mia roccia, sia esaltato Dio, rupe della mia salvezza. Dio, tu mi accordi la rivincita e sottometti i popoli al mio giogo, mi sottrai ai miei nemici, dei miei avversari mi fai trionfare e mi liberi dall’uomo violento. Per questo ti loderò, Signore, tra le genti e canterò inni al tuo nome» (2Sam 22,48-50). Troviamo diversi testi di ringraziamento nei profeti (Is 12; 25; 42,10; 63,7; Ger 20,13; 33,11), nella letteratura sacerdotale (1Cr 16, 8; 29,10-19; Ne 9, 5-37) e negli scritti più recenti dell’Antico Testamento (Tb 13,18; Gdt 16,1-17; Sir 51,1-‑12; Dan 3, 26‑-45. 51‑-90).
    In modo tutto speciale il rendimento di grazie viene espresso nelle composizioni salmiche. Analizzando la presenza dell’«azione di grazie» nel Salterio, si individua la ripetizione di uno schema letterario che manifesta bene il carattere del ringraziamento in risposta ad un atto di Dio. La confessione della riconoscenza per la salvezza ottenuta si sviluppa normalmente in un «racconto» strutturato un tre parti: descrizione del pericolo corso (cf Sal 116, 3), preghiera angosciata (cf Sal 116, 4), ricordo dell’intervento di Dio a cui si innalza il ringraziamento (cf Sal 116, 6; Sal 30; 40; 124). Questo genere letterario è comune a tutta la Bibbia e obbedisce ad una identica tradizione di vocabolario, permanente attraverso i salmi, i cantici e gli inni profetici. Tra i diversi motivi del ringraziamento c’è la gioia (Sal 33,1-3.21; 89,16), la glorificazione di Dio (Sal 86), la celebrazione della sua grandezza (Sal 105,2-5; 113,5-6), lo stupore (Sal 104,1), la festa (Sal 98,4-6), la danza (Sal 149,3), la fedeltà (Sal 40,10-11), la giustizia (Sal 119,7.14), la contemplazione della bontà del creato (Sal 95,1-7; 147,7-9). In definitiva con la preghiera di ringraziamento il credente consacra e rafforza la sua relazione con Dio, con il creato e con la storia della salvezza.

    «Grazie» nel Nuovo Testamento

    Nel Nuovo Testamento l’atto di ringraziare ha come protagonista principale Gesù Cristo. Nei racconti evangelici notiamo come la relazione tra Padre e Figlio si svolge in un clima di costante ringraziamento. Durante la missione pubblica, sia l’annuncio del Regno sia i segni miracolosi che lo accompagnano manifestano l’atto di ringraziamento che Gesù rivolge al Padre. Possiamo considerare un esempio significativo e solenne di ringraziamento l’«inno di giubilo» di Mt 11,25-27 (cf Lc 10,21-22). L’azione di salvezza contrassegnata dall’irruzione del Regno nel mondo spinge alla lode e al ringraziamento coloro che incontrano il Signore (Lc 19,1-10) e vengono risanati (Mc 10,46-52). Gesù stesso ringrazia il Padre prima del grande segno della risurrezione di Lazzaro (cf Gv 11,42) e sollecita il ringraziamento di coloro che vengono guariti (cf Lc 17,18; Mt 8,2-5). La stessa vocazione di Levi ha come conseguenza un pranzo di commiato e di ringraziamento (cf Mt 9,9-13).
    Nelle narrazioni evangeliche spiccano ancora gli inni di ringraziamento di alcune figure. Tra queste eccelle la Vergine Maria con l’inno del Magnificat (Lc 1,46-55), che rilegge con una forza espressiva unica la storia della salvezza nel segno della gratitudine. Al Magnificat si collega il cantico di Zaccaria (Lc 1,68-79) e il congedo del vecchio Simeone nel tempio (Lc 2,29-32). Più delle parole, talvolta sono i gesti dei personaggi a significare il rendimento di grazie per un dono ricevuto dal Signore. È quanto accade alla peccatrice perdonata (Lc 7,36-50) e alle folle che hanno mangiato il pane moltiplicato e si recano da Gesù per farlo re (Gv 6,15) o al lebbroso risanato che non riesce a trattenere la notizia del prodigio ricevuto e la divulga a tutti (Mc 1,45).
    Nella singolare prospettiva del Quarto Vangelo il ringraziamento è riassunto dal tema della «glorificazione». L’atto supremo del dono di sé da parte di Gesù è interpretato come un «rendimento di grazie» nello stile del servo (cf Gv 13,1). L’intera missione di Gesù, rivelatore del Padre, si traduce in un rendimento di grazie, interpretato alla luce del simbolismo pasquale (l’immagine dell’«agnello immolato»: Gv 1,29.25; 19,31-37). Nella «preghiera sacerdotale» il rendimento di grazie consiste nel sacrificio che il Cristo fa della pro­pria vita consacrandola al Padre per santifi­care i suoi (Gv 17, 19). Gesù interpreta tutta la sua esistenza nel dono di sé che culmina nella morte di croce: il ringraziamento del suo cuore di Figlio. Sono necessarie la passione e la morte di Gesù perché Egli possa glorificare pienamente il Padre (Gv 17,1). Tutta la sua missione è un ringraziamento incessante, che diviene talvolta esplicito e solenne, per trascinare gli uomini a credere e a rendere grazie a Dio con lui (Gv 11,42). L’oggetto essenziale di questo ringraziamento è l’opera di Dio, la realizzazione messianica, manifestata specialmente dai segni (Gv 6,11; 11,41), il dono della sua Parola che Dio ha fatto agli uomini (Gv 1-1-18).
    Il «rendimento di grazie» di Cristo giunge a compimento nel dono dell’Eucaristia. I racconti dell’Ultima Cena, unitamente alle narrazioni della moltiplicazione dei pani e alle apparizioni post-pasquali (cf Lc 24), testimoniano la centralità della tradizione eucaristica nella Chiesa primitiva. Se tutta l’esistenza del Cristo è ispirata al rendimento di grazie al Padre, l’atto compiuto nel contesto dell’Ultima Cena assume un senso di inaudita novità: Gesù profetizza il dono di sé inaugurando la nuova alleanza nel sacramento del suo Corpo.
    Tale evento costituisce l’espressione suprema di lode, di ringraziamento e di offerta che sale al Padre per la salvezza universale di coloro che crederanno. Nel dono pasquale dell’Eucaristia, la comunità è chiamata a ripetere il segno sacramentale «in memoria» di Cristo, in modo che il rendimento di grazie conferma il vincolo della comunione tra il Risorto e la comunità cristiana nel suo cammino verso la parusia.
    Ripercorrendo le testimonianze dell’epistolario paolino si constata come in tutta la preghiera cristiana Cristo è il solo modello e il solo mediatore (Rom 1,8; 7,25; 1Ts 5,18; Ef 5,20; Col 3,17). Coscienti del dono ricevuto, e trascinati dall’esempio del Signore, i primi cristiani fanno del ringraziamento la trama stessa della loro esistenza rinnovata. Sia Luca che Paolo riportano la testimonianza del «ringraziamento» così come si viveva nelle prime comunità (At 28,15; 5,41; 21,20; Rm 7,25; 2Cor 1,11; Ef 5,20; Col 3,17; 1Ts 5,18). Nelle lettere l’Apostolo ripete il motivo del suo ringraziamento «continuo» (1Cor 1,4; Fil 1,3; Col 1,3; 1Ts 1,2; 2,13; 2Ts 1,3), che assume talvolta la forma solenne della benedizione (cf 2Cor 2,3; Ef 1,3). Tutta la vita della Chiesa è sostenuta da una combinazione costante di supplica e di ringraziamento (1Ts 3,9; 5,17; Rm 1,8). Nell’esortazione ai cristiani di Efeso si legge: «Siate ricolmi dello Spirito, intrattenendovi fra voi con salmi, inni, canti ispirati, cantando e inneggiando al Signore con il vostro cuore, rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo» (Ef 5,18-20). Si tratta di una testimonianza che conferma lo stile della gratitudine e della lode che accompagna la Chiesa nel suo cammino di evangelizzazione.
    Nell’Apocalisse il motivo del «grazie» è tradotto attraverso la dimensione simbolica ed escatologica del libro. È l’assemblea liturgica che eleva inni di ringraziamento a Dio e coinvolge in questa preghiera l’intero cosmo.
    Nel suggestivo scenario apocalittico riceve il «grazie» «Colui che è seduto sul trono e che vive nei secoli dei secoli» (Ap 4,9) e successivamente l’Agnello immolato, a cui è riservata la solenne dossologia: «Amen! Lode, gloria, sapienza, azione di grazie, onore, potenza e forza al nostro Dio nei secoli dei secoli. Amen» (Ap 7,12; cf 11,17). Nella Gerusalemme celeste, terminata l’opera messianica, il ringraziamento diventa pura lode di gloria, contemplazione abbagliata di Dio e delle sue meraviglie eterne (cf Ap 15,3; 19,1‑8).

    PROVOCAZIONE

    Dopo aver indicato gli aspetti centrali del «ringraziamento» nella rivelazione biblica, approfondiamo la ricchezza del tema mediante la rilettura di due pagine. La prima ha come tema il Sal 100. La seconda è il racconto lucano della guarigione dei dieci lebbrosi (Lc 17,11-19)

    «Il suo amore è per sempre!» (Sal 100,5)

    Acclamate il Signore,
    voi tutti della terra,
    servite il Signore nella gioia,
    presentatevi a lui con esultanza.
    Riconoscete che solo il Signore è Dio:
    egli ci ha fatti e noi siamo suoi,
    suo popolo e gregge
    del suo pascolo.
    Varcate le sue porte con inni
    di grazie, i suoi atri con canti
    di lode,
    lodatelo, benedite il suo nome; perché buono è il Signore,
    il suo amore è per sempre,
    la sua fedeltà
    di generazione in generazione
    (Sal 100,2-5).

    Nella sua brevità il Sal 100 ripercorre i principali motivi della lode e del ringraziamento che l’assemblea di Israele innalza a Dio. L’invito del salmista si declina mediante un incalzante ritmo di verbi che ripetono il motivo del ringraziare.
    Tutti gli uomini della terra acclamano al Signore, lo servono nella gioia e lo cercano con esultanza. L’incontro di Dio da parte dei credente non deve trasformarsi in atteggiamento di paura, ma di fiducia profonda nel «riconoscere» l’unicità di Jhwh e il principio costitutivo della fede ebraica (cf Dt 6,4-5). È a partire da questo dato di fede che il popolo rilegge la storia dell’alleanza con Dio: egli è l’unico pastore del suo gregge (cf Sal 23).
    La scena si conclude nell’ambiente del tempio, dove i credenti cantano le sue lodi avendo varcato le sue porte con «inni di grazie». Sentire la presenza di Dio in mezzo al suo popolo, celebrarlo, ringraziarlo e credere nella sua bontà infinita: è questo il movimento del cuore di ciascun credente che si affida al Signore, perché ha sperimentato che il «suo amore è per sempre».
    Rileggendo le parole del Salmo prendiamo coscienza della nostra fede, capace di mettere al centro della vita l’azione salvifica del Signore?
    Scopriamo l’importanza dei verbi che ruotano intorno al motivo del ringraziare: acclamare, servire, esultare, riconoscere, lodare. La sfera della spiritualità ebraico-cristiana ci spinge a riflettere sul valore della preghiera del ringraziamento nel nostro cammino di ricerca di Dio. Sappiamo riscoprire il valore della gratitudine verso Dio e verso gli altri?

    «Tornò indietro per ringraziarlo» (Lc 17,16)

    Il racconto lucano della guarigione dei dieci lebbrosi è significativo per il motivo del ringraziamento. Il testo recita:
    Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samaria e la Galilea. Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Alzati e va’; la tua fede ti ha salvato!» (Lc 17,11-19).
    La scena lucana presenta Gesù «in cammino» verso la città santa. Mentre il Signore sta entrando in un villaggio, un gruppo di dieci lebbrosi lo ferma a distanza implorando pietà.
    Sappiamo quanto la legge prescrive per coloro che erano malati di lebbra: si tratta di persone escluse dalle relazioni sociali, perché segnate da una malattia contagiosa e ritenuta conseguenza di peccato (cf Lv 14,1-32).
    Il grido dei lebbrosi tocca il cuore di Cristo, venuto a salvare chi è perduto.
    È la misericordia di Dio che passa attraverso la missione del Figlio e raggiunge ciascun uomo, liberandolo dalle proprie schiavitù. La scena non presenta gesti taumaturgici plateali, né si attarda a descrivere i particolari del prodigio. Al contrario: Gesù invita i lebbrosi a «mettersi in camino» e presentarsi alle autorità sacerdotali del luogo così come prevedeva la legge ebraica (cf Lv 14,1-5).
    I dieci lebbrosi obbediscono alla Parola. Nella loro «obbedienza» essi scoprono di venire guariti dalla potenza della sua Parola. Dei dieci, solo un samaritano «torna indietro» per incontrare Gesù e ringraziarlo. L’evangelista sottolinea il processo di «riconoscimento» come esperienza di fede. Mentre gli altri nove uomini guariti accolgono il miracolo e restano nel loro mondo, lo straniero sente il bisogno di «ringraziare» per il dono ricevuto e questo ringraziare implica una scoperta nella fede. Gesù è per lui non solo il guaritore della malattia, ma il «Signore» della sua vita.
    Il ritorno da Gesù non si traduce in un semplice ringraziamento, ma in una rivelazione. Dopo aver constatato la fede del samaritano guarito, Gesù lo invita a vivere nella nuova condizione di salvezza. I verbi sono eloquenti: «alzati» cioè risorgi dalla tua condizione di incredulità; «la tua fede ti ha salvato», cioè sperimenta la novità dell’incontro salvifico con Cristo in Dio.
    La vicenda dei dieci lebbrosi e la scelta del samaritano che ringrazia Dio ci aiuta a rileggere il nostro cammino di ricerca di Dio. Quanto più la ricerca nascerà dalla sorpresa dell’amore che libera, tanto più il nostro cammino sarà segnato dal ringraziamento e dell’affidamento a Cristo.
    Nel nostro racconto il ringraziare implica un «tornare» a Cristo rivenendo tutta la vita. È questa l’esigenza profonda che alberga nel cuore di tanti giovani: tornare al Signore dopo aver sperimentato la sua benevolenza.

    INVOCAZIONE

    La nostra riflessione sul «grazie» si traduce nell’invocazione. Dalla parole del Sal 138 possiamo trarre alcuni messaggi per ridire il nostro «grazie» a Dio nella quotidianità. Il salmista schiude il suo cuore in un commosso canto di gratitudine rivolto a Dio:
    Ti rendo grazie, Signore, con tutto il cuore: hai ascoltato le parole della mia bocca. Non agli dèi, ma a te voglio cantare, mi prostro verso il tuo tempio santo. Rendo grazie al tuo nome per il tuo amore e la tua fedeltà: hai reso la tua promessa più grande del tuo nome. Nel giorno in cui ti ho invocato, mi hai risposto, hai accresciuto in me la forza. Ti renderanno grazie, Signore, tutti i re della terra, quando ascolteranno le parole della tua bocca. Canteranno le vie del Signore: grande è la gloria del Signore! Perché eccelso è il Signore, ma guarda verso l’umile; il superbo invece lo riconosce da lontano. Se cammino in mezzo al pericolo, tu mi ridoni vita; contro la collera dei miei avversari stendi la tua mano e la tua destra mi salva. Il Signore farà tutto per me. Signore, il tuo amore è per sempre: non abbandonare l’opera delle tue mani (Sal 138,1-8).
    Colpisce la relazione profonda tra il salmista e il Signore. Nel testo riecheggia il «tu» di Dio che conosce il cuore e ascolta le parole dell’uomo in preghiera. La conseguenza di questo ascolto è il ringraziamento che dà speranza e infonde forza. Ringraziare è «affidarsi» a Colui che ti dà forza.
    Non solo l’orante rende grazie per la Parola del Signore, ma egli immagina che un giorno tutti i re della terra eleveranno il loro «grazie» a Dio per la sua misericordia in favore dei piccoli e dei poveri. La preghiera conferma la logica dell’amore che il Signore esprime verso gli umili. Nella fede si ha la certezza che il Signore non abbandona colui che si affida nelle sue mani.

    IL PERCORSO GLOBALE DELLA RUBRICA

    - Padre (1/2007, pp. 54-60)
    - Eccomi (2/2007, pp. 32-41)
    - Tu (4/2007, pp. 28-34)
    - Sì (7/2007, pp. 26-35)
    - Non temere (9/2007, pp. 64-71)
    - Seguimi (5/2008, pp. 40-48)
    - Va' (7/2009, pp. 49-57)
    - Oggi (9/2009, pp. 55-64)
    - Amerai (4/2010, pp. 65-74)
    - Ricorda! (2/2011, pp. 70-79)
    - Grazie (7/2011, pp. 30-38)

     

     


    T e r z a
    p a g i n A


    NOVITÀ 2024


    Saper essere
    Competenze trasversali


    L'umano
    nella letteratura


    I sogni dei giovani x
    una Chiesa sinodale


    Strumenti e metodi
    per formare ancora


    Per una
    "buona" politica


    Sport e
    vita cristiana
    rubrica sport


    PROSEGUE DAL 2023


    Assetati d'eterno 
    Nostalgia di Dio e arte


    Abitare la Parola
    Incontrare Gesù


    Dove incontrare
    oggi il Signore


    PG: apprendistato
    alla vita cristiana


    Passeggiate nel
    mondo contemporaneo
     


    NOVITÀ ON LINE


    Di felicità, d'amore,
    di morte e altro
    (Dio compreso)
    Chiara e don Massimo


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    Universitari in ricerca
    rubrica studio


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    Rivista "Testimonianze"


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    Un "canone" letterario
    per i giovani oggi


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    A cura del CGS


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    e SEGNALAZIONI

    invetrina2

    Etty Hillesum
    una spiritualità
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