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    TEMI DI PASTORALE UNIVERSITARIA /18

    Enzo Viscardi [1]

    (NPG 2020-06-66)

     

    Sempre più spesso invitiamo dei giovani ai nostri convegni e tavole rotonde per fare con loro un confronto e un dialogo. Il confronto prevede che gli spazi siano assegnati in modo equo a tutti i partecipanti, cosa che non sembrerebbe realizzarsi in molti di tali incontri: infatti abbiamo relatori e un moderatore (presentati con generalità complete e titoli vari) con spazi significativi per l’esposizione e un certo numero di “anonimi” giovani/studenti presentati in base al tipo del loro intervento, una testimonianza. L’osservazione non vuole essere polemica, ma ritengo che aiuti a costatare in modo esemplare, una volta di più, quale sia il reale spazio che lasciamo ai giovani quando diciamo di voler parlare, dialogare e confrontarci con loro (un aspetto questo che troviamo da loro stessi indicato nel recente Sinodo come poco presente nella Chiesa).
    Potremmo correre il rischio quindi (tipico di studi e ricerche come quelle che conduciamo sul mondo giovanile) di pensare che sia necessario, per entrare in dialogo con i giovani, studiarli con attenzione, renderli oggetto di una ricerca, conoscerli teoricamente al fine di poterli affrontare con maggior sicurezza sul campo. Vorrei quindi evitare, nella misura del possibile di parlare “di loro” o “su di loro”, ma condividere riflessioni e conclusioni nate dall’esperienza di anni trascorsi in università nell’incontro personale con loro. Prima di tutto il campione. I giovani di cui parlerò appartengono ad un campione molto speciale, direi “qualificato” in quanto sono giovani universitari dell'Università cattolica del Sacro Cuore. Si tratta di un campione “speciale” in quanto formato da studenti che hanno afferito nel corso degli ultimi anni al Centro pastorale e che hanno scelto di intraprendere con me un percorso personale di lavoro su di sé approfittando anche della mia specializzazione di psicologo e psicoterapeuta. Dialogare con i giovani significa innanzi tutto, direi soprattutto, ascoltare! Il grande comun denominatore dei giovani oggi è il bisogno di essere ascoltati, di avere spazi dove l’adulto si mette in ascolto di loro. L’ascolto non è qualcosa che si improvvisa! Per diventare dei buoni ascoltatori ci si deve preparare. Un ascolto attivo, qualificato è l’azione primaria per poter far sentire il giovane accolto! Ecco il secondo bisogno comune nei giovani. Non basta sentirsi ascoltati, ci si vuole sentire accolti. Ci si sente tali quando lo spazio d’ascolto e, soprattutto, chi ascolta mi permette di potermi esprimere liberamente, nel senso di poter raccontare tutto, di poter accogliere qualsiasi contenuto della mia comunicazione e, direi della mia vita, con il rispetto dovuto senza alcuna forma di giudizio. Una delle difficoltà iniziali che i giovani hanno nello stabilire un percorso personale con me risiede spesso nel fatto che essi immaginano di non sentirsi liberi di condividere certi contenuti (soprattutto nella sfera sessuale e sulle trasgressioni) perché si dicono ”solo in confessione” e anche perché lui non le può capire, anzi le condanna a priori. A questo proposito, è invece interessante vedere come nel corso degli incontri il giovane si apre sempre di più perché sperimenta che posizioni teoriche, idee, pensieri ed esperienze di vita possono essere ascoltate, dialogate, discusse e anche “accettate” pur non condividendole. Sentirsi ascoltati e accolti nonostante tutto, favorisce nei giovani la possibilità di mettere in discussione le loro scelte perché non si sperimentano né giudicati né allontanati e neppure esclusi. È vero che ci sono giovani credenti e praticanti che vivono con profondità e coerenza la loro scelta di fede, ma spesso sono percepiti dai loro coetanei come appartenenti ad esperienze che sono lontane dalla loro quotidianità o troppo caratterizzanti determinate appartenenze. Mi piace anche sottolineare un aspetto che spesso è poco evidenziato: i giovani, specie coloro che hanno avuto una formazione cristiana (iniziazione sacramentale, catechesi, oratorio, ecc.), hanno ben presente e conservano la consapevolezza di ciò che è “permesso o no", e spesso nel parlare lo sottintendono tenendolo in considerazione.
    Un altro aspetto importante da considerare come fondamentale nello stare in dialogo con i giovani è il mondo delle emozioni. Se nel passato le emozioni erano corollario o accompagnavano l’approfondimento, la valutazione e la scelta dei valori della propria vita e dei contenuti di fede, oggi ciò che provo, ciò che sento, ciò che mi suscita a livello delle emozioni diventa un, se non, l’elemento discriminante per la valutazione non solo dei valori, ma anche delle scelte della mia vita, delle relazioni significative, di quali possono essere le figure importanti per la mia crescita. Tutto è sempre accompagnato da un’emozione. Ne consegue che non possiamo e neppure sarebbe rispettoso ignorare o svalutare le emozioni che ci vengono portate quando incontriamo i nostri studenti.
    Il “tempo evolutivo” durante il quale i giovani fanno questo lavoro su di sé è quello dell’università. Tempo nel quale posso elaborare che tipo di uomo o donna voglio essere, approfondire e scegliere i valori che desidero guidino la mia vita, recuperare e approfondire anche gli aspetti spirituali della stessa e in alcuni casi, rifondare le scelte di fede per approfondire la propria opzione fondamentale. A questo proposito condivido pienamente ciò che scrive Alberto Ratti dell’università: “Luogo privilegiato per l’esercizio del pensiero: proprio la fatica del pensiero educa alla mitezza, mentre il dialogo tra saperi insegna a guardare la realtà in maniera prospettica e la costanza nella ricerca abitua all’esercizio della libertà, quella più piena e più consapevole”[2]. Parlare degli aspetti problematici non significa comunque ignorare che fortunatamente, ci sono molto giovani che vivono questo periodo con serenità, trovando loro stessi, incontrando dei maestri di vita, facendo crescere e maturare la loro fede, nella costruzione delle loro relazioni affettive in vista di scelte definitive, tutto ciò in sereni ambiti familiari, parrocchiali e sociali. Affrontiamo tre ambiti.

    La costruzione di me stesso

    Si tratta dell’obiettivo principale che i giovani portano nell’incontro personale. Esprimono la volontà di conoscersi, di capire che cosa sentono e perché. Desiderano giustamente capire chi sono, che personalità hanno e in particolare cercare di risolvere quelle problematiche che percepiscono come impedimento per vivere “a modo loro”. Viene espresso un profondo desiderio di migliorarsi e di star bene con se stessi. A volte questo sembrerebbe essere il vero obiettivo della costruzione di sé e anche il criterio per valutare e giudicare scelte, relazioni affettive, possibilità professionali (“mi fa star bene… non lo sento… non mi sento…). Facile ravvisare qui la presenza delle varie caratteristiche descritte come tipiche di questi giovani: individualismo, narcisismo, egocentrismo. Sempre più spesso è necessario approfondire, se non ricostruire o aumentare la stima di sé (ma in alcuni casi anche per ridimensionarla). Le emozioni qui correlate sono: la rabbia, l’insicurezza, l’angoscia, la tristezza, senso di incapacità e di inutilità. In alcuni casi, certamente più gravi e fortunatamente poco frequenti, il giovane sperimenta la percezione del “vuoto dentro”, una specie di “black hole” capace di triturare ed eliminare qualsiasi tipo di emozione lasciando solo un senso profondo di vuoto.

    La mia famiglia

    Problematica sempre presente. Il giovane ha la necessità di capire e, spesso chiarire, che tipo di amore ha ricevuto, riceve e desidera ricevere dai genitori; desidera essere riconosciuto come adulto ma deve capire come stare in relazione da figlio-adulto. Si alternano emozioni positive nel percepirsi in fase di crescita, in continuo cambiamento, con il desiderio e una reale possibilità di autonomia, capace di nuove relazioni con altre di insicurezza, delusione, di sentire ancora troppa dipendenza dai genitori e dalle loro aspettative. Decisivo è il lavoro sulle aspettative della famiglia, di se stessi e della società. Le aspettative sia esplicite che implicite si possono considerare la causa ansiogena principale, legata soprattutto alla paura di fallire o all’impossibilità di poterlo fare perché sarebbe fonte di delusione troppo cocente per i genitori anche in rapporto all’investimento economico che lo studiare nella nostra università comporta. Aspettative troppo elevate producono senso di impotenza, angoscia per il fallimento, poca lucidità nel riconoscere le proprie capacità e disistima di se stessi. Purtroppo succede che aspettative rigide rispetto ad elevati risultati spingano lo studente a mettere in atto comportamenti poco corretti che spaziano dalle bugie sugli esami sostenuti ad atti ben più gravi tipo falsificazione del libretto, ecc. L’imperativo è: proibito fallire! Sempre più spesso ci si trova a dover rielaborare emozioni di rabbia profonda nei confronti di genitori separati o divorziati che nasce dal percepire di essere stati ingiustamente obbligati a subire le conseguenze di scelte che li hanno privati del diritto di avere una famiglia stabile. L’elaborazione di questa rabbia porta ad una riconciliazione anche emotiva con i propri vissuti dolorosi.

    Il mio mondo affettivo

    Il tempo dell’università coincide spesso anche con le prime serie esperienze affettive e sessuali. Il lavoro su di sé prevede di lavorare sulla conoscenza della propria identità sessuale, sulla scoperta del proprio modo di essere uomo o donna, sul come stare e vivere la relazione d’amore con l’altro. Spesso si devono rielaborare i vissuti non sempre positivi della sessualità agita. Le emozioni qui presenti spaziano dall’euforia dell’innamoramento alla delusione e senso di smarrimento con relativa depressione nel caso in cui sia stato messo fine ad una relazione significativa. Importante in questa fase resta la necessità di sostenere e aiutare il soggetto nella gestione della frustrazione in modo tale che non abbia conseguenze importanti sul proprio progetto di crescita. Ritengo importante precisare come Dio, la propria fede e il proprio mondo valoriale siano costantemente presenti in modo trasversale agli ambiti accennati. Certamente con le modalità, le caratteristiche e le difficoltà di vario genere. Sono temi (se così li possiamo definire) che emergono costantemente sia quando si parla di se stessi, sia quando è la famiglia ad essere in questione, sia quando mi definisco nella relazione con un altro. Tutto ciò evidenzia che nonostante l’apparenza, quando un giovane vuole approfondire il proprio percorso di vita seriamente, non rinuncia ad interrogarsi e a definirsi nel rapporto con Dio e la fede. Spesso dall’elaborazione di problematiche difficili e complesse a livello personale nasce la possibilità di instaurare un nuovo tipo di rapporto con Dio sperimentato e vissuto come padre accogliente, misericordioso e rispettoso del proprio cammino di vita.

    Conclusione

    Nonostante il carattere appena abbozzato di questo intervento, ritengo sia possibile trarre alcune conclusioni che possono essere utili per coloro che in università desiderano essere in ascolto e in dialogo con gli studenti.
    1. Il giovane desidera essere accompagnato e lo ricerca. Si tratta di un bisogno emergente e anche molto cosciente che necessita di una serie di strumenti per poterlo rendere tale, ma soprattutto di persone desiderose e direi, anche preparate per farlo.
    2. In contrasto a quanto si crede comunemente, lo studente che inizia un percorso serio su di sé è capace di costanza e fedeltà (si tratta di incontri settimanali/bisettimanali)
    3. A chi accompagna sono richiesti: capacità di ascolto attivo, accoglienza, astensione dal giudizio, comprensione.
    4. Fondamentale è la capacità di “stare con” lo studente anche in situazioni discutibili, senza rinunciare ad indicare la giusta direzione
    5. Necessità di creare una relazione stretta che sia percepita come una spinta verso un’autentica e reale autonomia (non siamo noi ad avere bisogno di qualcuno da aiutare)
    6. Coerenza e testimonianza di vita: congruità con quello che annunciamo ma anche pieno riconoscimento delle nostre debolezze e difficoltà nell’essere coerenti: si fatica e si cresce insieme (i grandi santi non hanno mai nascosto le loro debolezze e difficoltà)
    7. Da chi lo accompagna, lo studente si aspetta che sia un esperto di misericordia attiva che ti fa sentire accolto anche con i tuoi sbagli ma che non rinuncia ad aiutarti a tirare fuori di te tutte le potenzialità delle quali Dio ti ha fornito.
    Come vedete, nessuna novità! Sono gli stessi desideri che anche noi avevamo a quell’età, le istanze di sempre dei giovani che da sempre li hanno spinti a cercare chi li potesse aiutare:
    “Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: “Che cosa cercate?”. Gli risposero: “Rabbì – che, tradotto, significa Maestro - dove dimori? Disse loro: “Venite e vedrete”. Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio. Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: “Abbiamo trovato il Messia” – che si traduce Cristo - e lo condusse da Gesù” (Gv 1,38-42)

     

    NOTE

    [1] Missionario della Consolata, assistente pastorale all’ Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
    [2] R. Bichi, P. Bignardi, Dio a modo mio: giovani e fede in Italia, Vita e Pensiero, 2015, p. 143.


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