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    Il corpo che cambia nella preadolescenza


     

    In cammino con i ragazzi /3

    Isabella Casadio

    (NPG 2012-03-65)


    «Il mio corpo non mi sta a cuore
    e non mi piace.
    È infantile e io non sono più così.
    Lo so da un anno, io cresco e il corpo no.
    Rimane indietro.
    Perciò pure se si rompe, non importa.
    Anzi, se si rompe, da lì dovrà venire fuori
    il corpo nuovo».
    (I pesci non chiudono gli occhi, Erri De Luca)

    Per entrare nell’esperienza erratica dei preadolescenti è importante comprendere quali sono le tappe evolutive che essi devono attraversare affinché possa svilupparsi il processo d’individuazione di sé. Tra queste tappe, risulta senz’altro determinante l’integrazione di una nuova immagine corporea.
    È il corpo che sotto l’impulso sessuale acquista una dimensione predominante, tanto da mobilitare il riassestamento dell’intera struttura psichica e relazionale. In questo passaggio trasformativo i cambiamenti corporei possono sopraggiungere velocemente oppure con gradualità, in certi casi sono vissuti come una piacevole novità, in molti altri come un disturbo che genera insicurezza, insoddisfazione e talvolta rifiuto. In quest’ultimo caso è necessario che gli educatori prestino particolare attenzione perché la mancata accettazione del proprio corpo può costituire un fattore di rischio per disturbi emozionali di diversa entità.

    Nei sentieri corporei

    La stagione della preadolescenza si snoda nei sentieri corporei. Il corpo inizia a cambiare in modo irreversibile e, con esso, cambia non solo il modo di viverlo ma anche di rapportarsi con il mondo poiché è il corpo che filtra l’esperienza vissuta. Il corpo, infatti, secondo la prospettiva fenomenologico-esistenziale, non è il «corpo-cosa» oggetto di osservazione e manipolazione, ma il «corpo vivente», senziente e sensibile, attraverso cui la persona si sperimenta nella sua totalità e in relazione con il mondo.
    Con la trasformazione corporea il preadolescente sperimenta, così, nuovi e diversi modi di sentire e di essere. Ricerca altre modalità comunicative e relazionali con i coetanei e con gli adulti, comincia a delimitare spazi propri e a richiedere maggiore autonomia. Anche i processi intellettivi e gli interessi cambiano e le emozioni sono caratterizzate sia da gioia e speranza sia da ansia, smarrimento e tristezza.
    Rispetto agli anni passati le metamorfosi preadolescenziali si stanno presentando sempre più precocemente rendendo più incerta la delimitazione cronologica di questa età. In particolare le ragazze vivono i cambiamenti biologici, psicologici e relazionali in modo anticipato rispetto ai loro coetanei maschi. La comparsa del menarca è prova tangibile della trasformazione in atto e obbliga ad accorgersi non solo del «corpo che si ha», ma anche del corpo «che si è» e, quindi, ad ascoltare le nuove sensazioni e percezioni. I ragazzi, invece, fanno più fatica a riconoscere le trasformazioni corporee perché i segnali sono meno evidenti e perché forse è minore l’abitudine culturale dei maschi a osservarsi e percepirsi. Così succede che ci siano ragazzi che desiderano uscire in fretta dall’infanzia e dal loro corpo «imbozzolato» anche a costo di «romperlo», e ragazze che si affacciano alla preadolescenza inizialmente con curiosità e poi con timore.
    «Avevo raggiunto i dieci anni, un groviglio d’infanzia ammutolita. Dieci anni era traguardo solenne, per la prima volta si scriveva l’età con doppia cifra. L’infanzia smette ufficialmente quando si aggiunge il primo zero agli anni. Smette ma non succede niente, si sta dentro lo stesso corpo di marmocchio inceppato delle altre estati, rimescolato dentro e fermo fuori […]. Stavo in un corpo imbozzolato e solo la testa cercava di forzarlo. […] Il mio corpo non mi sta a cuore e non mi piace. È infantile e io non sono più così. Lo so da un anno, io cresco e il corpo no. Rimane indietro.
    Perciò pure se si rompe, non importa. Anzi, se si rompe, da lì dovrà venire fuori il corpo nuovo». [1]
    «Forse all’inizio ero un po’ incuriosita [delle mestruazioni] perché me ne parlava mia sorella più grande, ma poi quando è arrivato quel momento avrei voluto tornare indietro con tutte le mie forze» (B., 14). [2]
    Durante la preadolescenza la scoperta del proprio corpo porta alla rivelazione dell’altro-da-sé anche se in modo confuso e stupito. Come in un circolo virtuoso la scoperta dell’alterità sessuale aiuta ad accrescere la percezione di sé:
    «mi accorgevo del corpo, del suo interno, accanto a lei: del battito del sangue a fior di polso, del rumore dell’aria nel naso, del traffico della macchina cuore-polmoni. Accanto al suo corpo esploravo il mio, calato nell’interno, sbatacchiato come il secchio nel pozzo». [3]
    Sono questi, inoltre, i momenti in cui i ragazzi e le ragazze si affacciano alle prime esperienze dell’innamoramento vivendo forme di progressiva vicinanza all’altro e di nuove condivisioni.

    Emozioni sparse

    Il divario tra il corpo percepito e quello idealizzato prepuberale genera dei contraccolpi psichici che si traducono in stati d’animo di crisi per «non poter vivere con il corpo che si ha, e nondimeno non riuscire a entrare nel corpo che è altro da quello di prima» [4]. Il sentimento di estraneità verso la nuova realtà sessuale e corporea mette in moto un senso di disagio e di imbarazzo che spesso sfocia nella vergogna. Questo sentimento nasce dal tentativo di volersi proteggere dallo sguardo altrui capace di «mettere a nudo» quelle parti di sé che non si accettano. Nascondersi allo sguardo altrui, tuttavia, è anche un modo per evitare di guardarsi con i propri occhi. In tal senso la vergogna da una parte indica la difficoltà nel rapportarsi con se stessi e accettarsi, dall’altra svolge una funzione protettiva per i confini ancora fragili del sé. [5]
    Di fronte alla mancata accettazione del proprio corpo, diverse sono le strategie che vengono attuate. C’è chi vorrebbe scomparire e chi tenta di mascherarsi dietro a un abbigliamento particolare. E chi ancora di fronte alla vergogna del proprio corpo reagisce con esibizionismo ostentato o si rifugia nell’ebbrezza dello «sballo».
    Il dipinto di Munch intitolato «Pubertà» [6] offre un’immagine molto nitida delle emozioni legate a questa stagione. La ragazza è ritratta nuda, con le braccia incrociate a coprire le parti intime in un gesto pudico. Il corpo è scarno, lo sguardo smarrito e incerto, espressione di spaesamento e di paura del futuro. Si tratta di un corpo molto diverso dalle immagini che oggi provengono dai media, ma anche più vicino alla realtà. Nei media s’incontrano corpi sì esili, ma seducenti, provocanti, perché formosi o palestrati o chirurgicamente alterati. In una società dell’immagine e dell’individualismo dove il mito della bellezza e del successo è predominante, i ragazzi e le ragazze rischiano di essere ossessionati dal desiderio di conformarsi a un ideale, spesso irraggiungibile, che la cultura attuale narcisistica propone. Accade, così, sempre più frequentemente che i ragazzi di oggi non si sentano mai all’altezza, si vergognino di sé e cadano nello sconforto perché non abbastanza avvenenti o talentuosi.
    «Perché nessuno vede come sono davvero dentro? Tutti guardano l’apparenza (e io lo so che non sono per niente bella ) ma allora così nessuno potrà mai sapere come sono e a me dispiace molto» (M., 14). [7]
    È bene non sottovalutare le ansie che si annidano dietro la ricerca di un corpo idealmente magro e bello, perché possono nascondere disturbi del comportamento alimentare. Questi fenomeni, quali anoressia e bulimia, sono sempre più in aumento anche tra i ragazzi e si manifestano in età sempre più precoce.

    Educare al corpo che cambia

    Il ruolo educativo degli adulti è fondamentale per accompagnare i ragazzi e le ragazze nel modo di vivere il loro corpo in trasformazione e la loro sessualità. Esistono, in particolare, alcuni atteggiamenti educativi che possono risultare particolarmente costruttivi:
    – Favorire la serenità del cambiamento evitando comportamenti che sottovalutano o minimizzano il disagio dei ragazzi e delle ragazze e, al tempo stesso, riconoscendo che il cambiamento è parte dell’esistenza umana e che se anche non direttamente governabile, quantomeno è possibile decidere come affrontarlo.
    – Offrire occasioni di dialogo e di ascolto perché i ragazzi e le ragazze possano, ascoltandosi, riconoscere, esprimere e legittimare il loro sentire. [8]
    – Promuovere l’accettazione di sé decostruendo i condizionamenti culturali, eliminando messaggi stigmatizzanti (critiche, etichette, paragoni), sostenendo scelte di rispetto del proprio e altrui corpo e indicando modelli e valori alternativi a quelli dominanti.
    – Insegnare l’assunzione di responsabilità verso il «corpo-persona» in quanto parte costitutiva della propria identità: non un corpo-oggetto che si consegna al semplice dato biologico, ma un corpo-soggetto fonte di vissuti, emozioni e intenzioni. [9]
    – Far sperimentare attività sportive in cui cogliere il piacere di una corporeità vitale e serena senza la preoccupazione della performance.
    – Educare alla differenza di genere nel rispetto della propria specificità e oltre gli stereotipi culturali dominanti. Avviarsi alla definizione di sé come uomo o donna, comporta elaborare non solo le sensazioni di un corpo femminile e maschile (identità sessuale) ma anche le aspettative sociali e culturali che si sovrappongono (identità di genere). [10]
    – Promuovere una educazione sessuale che si accompagni a una educazione all’amore e che offra informazioni chiare ed esaurienti all’interno di una prospettiva etico-valoriale capace di donare senso e significato ai vissuti e ai comportamenti.
    – Educare all’amore andando oltre la banalizzazione inautentica e la volgarità dei sentimenti che la società propone.

    Per un sapere incorporato

    Gli educatori e i genitori dovrebbero essere, a loro volta, sostenuti in questo compito attraverso momenti formativi e occasioni di confronto. È importante che essi prendano consapevolezza che anche il loro corpo all’interno del rapporto educativo non è un semplice oggetto neutrale, veicolo di gesti routinari, ma è presenza sensata e senziente nell’interazione con l’altro. Nella relazione educativa il corpo diventa ponte tra due mondi, tra due realtà che sono distinte ma confinanti e comunicanti. Consi¬de¬rare questo, vuol dire affinare quelle competenze «corporee» in grado di trasformare zone di frontiera severe e impermeabili (come solo i ragazzi sanno costruire) in confini flessibili e dinamici. Da una parte si tratta di affinare la percezione e l’osservazione che consente di comprendere meglio il vissuto dell’altro, decifrando indizi e frammenti anche tra le parole, nei silenzi, nella postura del corpo, nella voce e nei volti. Dall’altra la possibilità di soffermarsi su di sé, sui propri gesti, sugli sguardi e sui contatti realizzati o sulle aree del corpo privilegiate nell’educare, consente di comprendere la qualità delle interazioni e di ricercare atteggiamenti comunicativi più adeguati ed efficaci. In questo modo il sapere «incorporato» può attingere ai contenuti delle percezioni corporee, delle emozioni, della memoria sensoriale quali strumenti privilegiati per ricercare relazioni più autentiche. [11]

     

    RAGAZZI ED EDUCATORI IN AZIONE

    I preadolescenti si interrogano.
    «Io mi voglio così»

    Visione del film Come tu mi vuoi (Regia di V. De Biasi, Italia 2007).

    Nella storia vi è l’incontro tra Giada, ragazza studiosa, intelligente e composta e Riccardo, bello, pigro e sfacciato. Riccardo risponde all’annuncio di Giada che, per pagarsi gli studi, dà ripetizioni ai colleghi meno preparati; i due si innamorano ma lei per conquistare del tutto il suo amore sarà costretta a rivedere la propria immagine e «barattare» i propri valori. L’intera storia ruota attorno alla contrapposizione tra sostanza e apparenza, nella tensione tra la cura della propria interiorità e cura dell’aspetto esteriore, che nel film si presenta come inconciliabile. Pare, infatti, che i giovani siano per forza chiamati a scegliere per l’una o per l’altra dimensione come se mente e corpo, intelligenza e bellezza siano contrastanti e irriducibilmente lontani.

    Ci si chiede:

    – Cosa induce Giada a cambiare aspetto?

    – Giada ritrova se stessa o si perde, dipendendo totalmente da giudizio degli altri?

    – Il desiderio di piacere, di essere accettata, di essere amata può condurre una persona a modificare il proprio corpo? Quali altri modi abbiamo per comprendere e dare risposta a questi desideri umani?

    – Che possibilità concrete abbiamo attraverso il corpo di scegliere come essere?

    I preadolescenti si interrogano.
    «L’abito non fa il monaco... ma anche il monaco ha il suo abito».

    Si consegna ai ragazzi una sagoma di uomo o donna e si chiede di «vestirla» disegnando l’abbigliamento tipico usato da loro stessi nella quotidianità. Si possono anche fornire loro ritagli di giornale raffiguranti i diversi capi di abbigliamento.

    Lasciandosi aiutare da alcune domande ci si confronta assieme:

    – Come mi vesto solitamente?

    – Ho qualche marchio di moda che mi piace particolarmente? Quali vestiti o accessori ho uguali ai miei coetanei? Perché?

    – Quali parti del mio corpo esalto o nascondo attraverso l’abbigliamento?

    – In che senso l’abito mi permette di essere, di dire cioè qualcosa di me o di apparire, cioè di sperimentarmi in modo diverso?

    I preadolescenti si interrogano.
    «Sei su un altro pianeta!» (proposta operativa)

    Ispirato al libro di Gray, Gli uomini vengono da Marte, le donne da Venere, Rizzoli, Milano, 2010.

    Si costruiscono due grandi sagome di pianeti, apponendo sull’uno la scritta Uomo e sull’altro la scritta Donna e si chiede ai ragazzi e alle ragazze di associare all’uno o all’altro «mondo» caratteristiche, simboli, peculiarità, compiti per loro appartenenti ai due generi.

    Si mettono così in evidenza differenze e terreni comuni, ma anche cambiamenti in corso, poiché si noterà che alcuni compiti o specificità dell’uomo stanno divenendo anche patrimonio della donna e viceversa. Ci si interroga sulle funzioni complementari dell’uomo e della donna in ambito relazionale e sociale, sottolineando che l’importanza del confronto e dello scambio non implica intercambiabilità e appiattimento delle differenze.

    Educatori in ricerca. 
    La mappa corporea (proposta operativa)

    Ripensando alla propria esperienza di educatore disegna su una sagoma del corpo una sorta di cartina geografica in cui specificare: quale parte del corpo è il centro (quella a cui diamo più importanza, che usiamo di più nella relazione)? quale invece la periferia (quella invece a cui non diamo spazio, che consideriamo inutile o poco idonea)? Quali le zone note, familiari, «abitate» e quali le zone inesplorate, misteriose, isolate, temute? Dove si collocano gli «uffici» (pratiche abitudinarie, esercizi di routine, gesti distaccati e anonimi) e dove si collocano gli spazi del tempo libero e del relax (gesti liberatori e liberanti, pratiche di cura e di premura…)? Quali sono i luoghi «pubblici», condivisi e magari maggiormente regolati da norme sociali e quali invece i luoghi privati, dell’intimità e della spontaneità?

    Educatori in ricerca.
    Il corpo tra le parole (proposta operativa)

    Gli educatori si dispongono in gruppi di tre: al primo viene fornito un biglietto riservato su cui è descritta brevemente una situazione emotiva (euforia, terrore, disperazione, sorpresa, ecc.); egli dovrà comunicarla all’altro senza parole e utilizzando il linguaggio del corpo (espressione del viso, sguardo, postura e gestualità…); il secondo, una volta compreso il messaggio emotivo, cercherà di esprimerlo con parole e calibrando l’intonazione della voce (senza tuttavia nominare mai direttamente l’emozione a cui si riferisce); il terzo, posto di spalle e senza poter vedere gli altri due, ascoltando la voce di chi parla proverà a decifrare l’emozione che essa esprime e ad annotarla su un foglietto. Segue la verifica della maggiore o minore coerenza tra il messaggio in entrata e quello in uscita.

    NOTE

    1) E. De Luca, I pesci non chiudono gli occhi, Feltrinelli, Milano, 2011, pp. 10-11, 47.
    2) A. Augelli, Erranze. Attraversare la preadolescenza, FrancoAngeli, Milano, 2011, p. 55.
    3) E. De Luca, I pesci…, op. cit., p. 83.
    4) E. Borgna, L’arcipelago delle emozioni, Feltrinelli, Milano, 2001, pp. 98-99.
    5) Per un approfondimento della vergogna attraverso la chiave filmica si veda D. Bruzzone, Vergogna e timidezza, in V. Iori (a cura di), Guardiamoci in un film, FrancoAngeli, Milano, 2011, pp. 68-79.
    6) E. Munch, Pubertà, 1895.
    7) A. Augelli, Erranze, op. cit., p. 56.
    8) V. Iori (a cura di), Il sapere dei sentimenti, FrancoAngeli, Milano, 2009.
    9) V. Iori, Nei sentieri dell’esistere, Erickson, Trento, 2006, pp. 170-190.
    10) E. Musi, Non è sempre la solita storia, FrancoAngeli, Milano, 2008.
    11) I. Casadio, Essere corpo, in V. Iori (a cura di), Quaderno della vita emotiva.


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