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    L'inizio di un'avventura


     

    In cammino con i ragazzi /2

    Alessandra Augelli

    (NPG 2012-02-73)

    «Per la prima volta nella vita mia
    mi trovo a saper quello che lascio e a non
    saper immaginar quello che trovo
    mi offrono un incarico di responsabilità
    portare questa nave verso una rotta che
    nessuno sa è la mia età dove si sa come si
    era e non si sa dove si va, cosa si sarà»
    (La linea d'ombra, Lorenzo Cherubini)

    Nel tempo della preadolescenza ogni ragazzo e ragazza avvertono il richiamo a lasciare le proprie certezze, i territori noti, per mettersi in cammino. Nel loro animo si intrecciano sensazioni ed emozioni differenti: nostalgia e paura di ciò che si abbandona, fantasia e stupore rispetto a ciò che ha da venire e non si conosce ancora.
    La parola avventura pare sintetizzare al meglio l'insieme di vissuti, anche contrastanti, di cui i preadolescenti fanno esperienza. Tutto inizia a parlare di futuro [1], ci si proietta in realtà alle volte molto distanti da sé, avvertendo il piacere della scoperta, il gusto di ciò che è nuovo. Al tempo stesso la fitta trama di esperienze sconosciute in cui ci si inoltra si presenta con i caratteri dell'oscuro, dell'incompreso e qui timori e disorientamenti prendono il sopravvento.
    Due sono gli aspetti peculiari, e per alcuni versi critici, dell'inizio del percorso preadolescenziale. Innanzitutto i ragazzi e le ragazze si avventurano con un bagaglio di risorse e competenze, ma il più delle volte non sanno di averlo o non sono consapevoli di come utilizzare alcune acquisizioni nel rapporto con la nuova realtà. Si percepiscono, perciò, nudi e sprovveduti di fronte ad alcune situazioni, incapaci di «recuperare» strumenti pratici e mettere a frutto attitudini personali. Ciò che gli manca è, inoltre, percepito come vuoto ed è difficile vedersi inseriti in un processo, fatto di ulteriori conquiste.
    D'altro canto, trovandosi nel «corpo a corpo» con la realtà, i ragazzi e le ragazze fanno fatica a comprendere il senso dell'esperienza: quando si è, infatti, immersi nel cambiamento, la capacità di cogliere la direzione e la ricaduta di ciò che si vive è messa a dura prova. La consapevolezza del significato di un'esperienza la si guadagna il più delle volte ponendosi a distanza e ripercorrendo con la mente e col cuore il percorso fatto.
    Il rischio in cui incorrono i preadolescenti, soprattutto in questa fase iniziale, in cui si pongono autonomamente di fronte alle situazioni di vita, è quello di tendere a collezionare una serie di esperienze fini a se stesse, di avventure passeggere che prosciugano e rendono sterile. Non vi è tempo migliore di questo per affacciarsi in modo autentico al significato dell'experire: le modalità attraverso cui si porranno nei confronti degli accadimenti quotidiani costituirà una postura importante rispetto ai momenti di vita successivi.
    Quali sono le dimensioni caratterizzanti dell'avventura? Cosa la rende autentica, ricca di significato?

    Affrontare prove

    Essere messi alla prova costituisce un'esperienza originaria, che sperimentiamo fin da bambini. Il controllo e la valutazione di sé e degli altri è un atto educativo di fondamentale importanza. Se non fossimo mai sottoposti a verifica non ci accorgeremmo mai di potenzialità e limiti insiti nella persona, ma anche di bellezze e rischi propri delle situazioni. Per i preadolescenti i momenti in cui si affrontano prove sono particolarmente significativi, in quanto si valuta il proprio «sapere» e «saper fare», dimostrando a se stesso e agli altri le proprie abilità e competenze.
    «È bisogno centrale, per il preadolescente, il sentirsi dotato di competenza, cioè di 'padronanza' sulle cose e sulle sue capacità. Il compiacimento e la soddisfazione per ciò che sa fare aiuta a contrastare il suo vissuto di confusione e d'incapacità, la sua sensazione intima di 'mancanza di controllo' su ciò che avverte e su ciò che gli accade dentro e intorno» [2].
    Le prove sono esperienze «stressanti», che possono liberare una grande dose di energie positive e risorse latenti, o al contrario dare libero accesso a fantasmi, ansie e inquietudini. In modo particolare nel preadolescente ciò avviene quando in questi momenti la domanda «Quanto valgo?» prevale sull'interrogativo semplice e circoscritto «Cosa so o non so fare?».
    Il vissuto della prova può costituire per i ragazzi e le ragazze una grande minaccia per la propria auto-stima: proiettando desideri di riuscita si sottrae serenità e spensieratezza a queste esperienze e si alimentano egoismi e chiusure. L'avventura si fa autentica quando in modo generoso e accogliente verso se stessi e gli altri ci si dispone ad vivere esperienze complesse. Montagne da scalare, ponti pericolanti da attraversare, fiumi in piena da arginare, segni da interpretare, nemici da sconfiggere e alleanze da stipulare: ciascuno si ritrova metaforicamente ad affrontare tutto ciò nella vita quotidiana, tentando di uscirne rafforzato e migliorato.
    Nell'età preadolescenziale si tratta di avventure in qualche modo «protette»: i ragazzi e le ragazze sentire il bisogno di uno sguardo che veglia da lontano, di una presenza che li consola e li incoraggia, di una dimora stabile e accogliente da cui ci si distanzia con la certezza di poter tornare. La difficoltà e la complessità della prova non può che rispettare i tempi evolutivi di ciascuna persona e gli spazi di sviluppo prossimale, perché non si soccomba inermi, ma si rinasca con fiducia.

    «Imprevisti e probabilità»

    L'avventura è l'esperienza che apre all'ignoto e concede i «fuori programma»: abbandonando logiche lineari e preordinate, essa fa dell'imprevisto uno spazio per rivedere e ripensare il percorso. A primo acchito l'imprevisto spaventa e paralizza, proprio perché lo si percepisce immediatamente in opposizione a ciò che si era immaginato e programmato. L'imprevisto richiede un notevole investimento di energie. Di fronte all'imprevedibile della vita si tende solitamente o ad irrigidirsi, proteggendosi attraverso programmazioni sempre più precise del proprio tempo e delle proprie esperienze, oppure, al contrario, abbandonandosi a tutte le esperienze, senza prevederne opportunamente i rischi. Alle volte può prendere forma una reazione tesa ad anticipare, a battere sul tempo la sorpresa, per avere la certezza che non sia portatrice di emozioni negative. L'avventura si traduce così in fuga e trasgressione: l'ansia per il nuovo, il timore di ciò che è incerto induce i ragazzi e le ragazze a violare prima che arrivi il divieto, a guadare il fiume prima di aver imparato a leggerne i pericoli, a voler provare emozioni forti con l'illusione di prepararsi, in questo modo, ad affrontare le condizioni estreme. Il preadolescente crea terreni di sfida, in modo particolare nella relazione con gli adulti, proprio per cercare assieme a loro chiavi di lettura diverse dell'imprevisto e osservare e mettere a punto modi diversi di farvi fronte.
    Educare alla possibilità diviene un compito importante per imparare a leggere le peripezie [3] della vita in una prospettiva di crescita: cosa sarebbe Ulisse senza la sua Odissea? Cosa saremmo senza gli eventi «caotici» e accidentali in cui ci imbattiamo lungo il percorso? Ogni evento si presenta con dei rischi, ma anche con delle opportunità.
    «L'esperienza educativa si può giudicare riuscita quando si conserva nell'apertura fondamentale al mondo come possibilità inesauribile» [4].
    Imbattersi nell'imprevisto significa confrontarsi certamente con i nostri limiti e, primo fra tutti, il limite delle nostre programmazioni e previsioni, e ciò produce naturalmente frustrazione, delusione, disagio. Per fare di un'esperienza un'autentica avventura occorre allenarsi ad accogliere i limiti non soltanto come qualcosa che preclude, ma che apre a prospettive originali. Tante frustrazioni vanno accolte perché segnalano sì delle distanze (tra il reale e l'ideale, tra ciò che speravamo e ciò con cui, invece, dobbiamo confrontarci) ma allo stesso tempo rafforzano la persona nella conoscenza di sé e permettono di tirar fuori capacità impensate.
    Molti ragazzi restano ai margini delle esperienze, senza coinvolgimenti, per paura delle frustrazioni e delle difficoltà che incontreranno; d'altro canto rischiano di farsi assorbire totalmente da alcune vicende se non hanno gli strumenti per discernere i pericoli dalle opportunità e per volgere il possibile dell'avventura a proprio vantaggio, dando senso a ciò che accade, come i grandi «eroi» impararono a fare... non senza l'aiuto degli altri e di una presenza divina!

    Un semplice episodio?

    Nel linguaggio comune – e in particolare nel gergo giovanile –quando si parla di avventura si pensa ad una relazione di breve durata, una «scappatella». L'avventura, in questo senso, si presenterebbe come qualcosa di occasionale, che avviene «una tantum». Se, in effetti, essa segna una naturale rottura rispetto al quotidiano, non si pone tuttavia in contrapposizione ad esso [5]. Perché un'avventura esistenziale possa dirsi significativa è necessario sottrarla all'episodicità e alla occasionalità creando soluzione di continuità con il passato e il futuro. Nella preadolescenza i ragazzi vivono diversi momenti «apicali», in cui vi è un'infittirsi di emozioni e vissuti: svaniscono in fretta, lasciando un senso di vuoto, se non si riannodano queste esperienza con la quotidianità. Complici anche gli sbalzi frequenti di umore, i vissuti emotivi ed esperienziali dei ragazzi e delle ragazze oscillano in questo tempo tra picchi e avvallamenti, tra cime e sotterranei, con la difficoltà di trovare un bassofondo continuo che permetta loro di orientarsi con più facilità. I puntini delle loro esperienze, le tracce del loro passaggio devono, allora, essere uniti perché il senso della strada si renda visibile, perché emerga un'immagine di sé. Solo quando avrò legato l'esperienza ad un «prima» e un «dopo» e ne avrò compreso il valore, potrò anche imparare a comprendere le realtà che incontrerò e a fare delle scelte ponderate. Esperire (dal latino exper-ire) significa «venire da» e «passare attraverso», per cui l'esperienza è ciò che io nel presente attraverso provenendo dal passato. Il momento del pensiero riflessivo consente di prendere atto di ciò che si sta attraversando, inducendo a fermarsi nel proprio percorso al fine di comprendere ciò che accade e ricercarne il senso [6].
    Rispetto, quindi, ad una moltitudine di occasioni e avventure in cui si imbattono, i ragazzi devono poter avere del tempo e degli spazi idonei per poter esplorare l'esperienza dall'interno, per poterla interrogare, per poterne cogliere lo spessore, riavvicinandola alla propria identità personale.
    Questo esercizio di consapevolezza non è facile e si apprende negli anni. La preadolescenza è, tuttavia, un tempo propizio per iniziare ad allenarsi.
    L'ampliamento del campo esperienziale che in modo naturale vivono i preadolescenti può indurre i ragazzi a voler tenere tutto, a voler provare molte cose, senza lasciar andare nulla, senza escludere niente. Lì dove tutto sembra possibile, si corre il rischio di non lasciare nessuna traccia.
    Sperimentare situazioni in condizioni di «immaturità», ovvero senza offrire ai ragazzi strumenti di consapevolezza, vuoi dire – come diceva Danilo Dolci – «appendere le case sulle piante; le case sulle piante non ci stanno. È il ragazzo che deve costruire. Tutto quello che è costruito, poi rimane; tutto il resto è roba che facilmente cade» [7].
    Le figure educative si pongono come «specchi» di un'avventura interiore: attraverso domande e rimandi inducono i ragazzi ad alimentare la riflessione sulle loro esperienze, interiorizzare gli apprendimenti e fare tesoro dei momenti di passaggio e trasformazione.

     

    RAGAZZI ED EDUCATORI IN AZIONE

    I preadolescenti si interrogano. Le «mie» dodici domande

    – Visione del film The millionaire (Regia di Danny Boyle, Gran Bretagna-Usa, 2008) o lettura di stralci del libro di V. Swarup, Le dodici domande, Guanda, Milano, 2008 (da cui il film è tratto).
    «Qualcuno punterà il dito contro di me e ricorderà l'ammonimento degli anziani di Dharavi a non oltrepassare mai la linea divisoria che separa l'esistenza del ricco da quella del povero. Dopotutto, com'è saltato in mente a uno spiantato di cameriere di partecipare a un quiz per cervelloni? Il cervello non rientra nella lista degli organi che siamo autorizzati a usare. Noi dovremmo usare soltanto le mani e le gambe».
    Il protagonista è un ragazzo indiano, Ram Mohammad Thomas, che decide di partecipare ad un quiz televisivo e vince un miliardo di rupie. Viene arrestato perché si sospetta che abbia ingannato: non si riesce a spiegare, infatti, come mai un ragazzo che non sia mai andato a scuola e non abbia mai letto i giornali abbia potuto conoscere le risposte. L'enigma viene risolto quando il ragazzo racconta la sua vita: è nell'esperienza vissuta, ascoltata e rielaborata che ha potuto trovare le risposte alle domande fatte.
    Pur nel paradosso che presenta (va ricordato ai ragazzi che le conoscenze e il sapere teorico sono di inestimabile valore), la storia sottolinea l'importanza di attraversare alcune situazioni della vita con attenzione, consapevolezza e senso critico. La sapienza è la capacità di trovare nelle diverse peripezie e avventure insegnamenti e significati importanti. Saggia può essere anche una persona giovane: occorre predisporsi ad acquisire sapienza attivando pienamente tutti i sensi (mente, cuore e spirito) e sviluppando una sana curiosità nei confronti delle realtà che si incontrano.
    Ci si chiede:
    – Ci sono domande a cui saprei rispondere usando le mie conoscenze esperienziali? – Quali sono gli interrogativi a cui vorrei dare risposta lungo il mio percorso di vita?
    Si scrivono le risposte e le nuove domande su dei cartoncini di diverso colore che verranno attaccati su un cartellone o su un quaderno. I cartoncini si possono anche mettere in un'unica scatola: pescando casualmente, ciascun ragazzo prenderà il cartoncino di un compagno. Si sottolinea in questo modo che le domande e le risposte di vita non sono mai del tutto isolate e personali, ma contribuiscono ad una comune ricerca di senso. Ciascuno può avvantaggiarsi delle domande e delle risposte di altri nel proprio percorso.

    I preadolescenti si interrogano. È stata un'avventura!

    Si suggerisce ai ragazzi di scegliere e prendere in esame un'esperienza significativa vissuta di recente (la prima volta in cui si è usciti da soli, una prova scolastica o sportiva, un campo-scuola, un'attività in oratorio, un viaggio, uno scontro con amici e genitori, l'incontro con una persona speciale ...). Attraverso alcune domande-guida il si aiuta a riflettere:
    – Perché, a primo impatto, ho scelto quest'esperienza? Perché la considero importante?
    – Com'era fatto il mio «bagaglio» alla partenza? Cosa mi portavo dietro (emozioni, sensazioni, domande, oggetti...) ?
    – Quali «prove» ho dovuto concretamente affrontare? Di che cosa ho fatto esperienza? Quali risorse penso di aver messo in gioco? Con quali limiti mi sono scontrato?
    – In che cosa penso di essere cambiato/a? Cosa ho aggiunto al mio bagaglio?
    – Che legame ha avuto quell'esperienza con la mia vita quotidiana? In che modo sono riuscito a farne tesoro tornando all'ordinario?
    Ci si può aiutare con degli oggetti simbolici: valigia o zaino - che indichino sia l'inizio che la fine del viaggio: cosa ho/non ho utilizzato, cosa ho aggiunto e cosa lasciato) e una mappa - che aiuti ad evidenziare ciò che si è attraversato, ma anche gli approdi e le conquiste.
    Si può utilizzare un quaderno o un raccoglitore su cui appuntare, a mo' di album fotografico commentato, le esperienze successive di vita e i momenti di riflessione e consapevolezza che li accom' pagneranno.

    I preadolescenti si interrogano. Tra ii porto e it mare aperto

    Ascolto della canzone La linea d'ombra di Lorenzo Cherubini (L'albero, 1997)
    Si commenta assieme ai ragazzi il testo musicale:
    Quali frasi o parole senti più vicine alla tua esperienza? Perché?
    Qual è il porto più sicuro da lasciare e a cui poter ritornare?
    Qual è secondo te l'«incarico di responsabilità» a cui si riferisce l'autore?
    Qual è secondo te il sentimento o l'emozione prevalente nella canzone? Dai un nome preciso al vissuto emotivo e spiega le tue ragioni...
    Ti senti «ben equipaggiato» per un viaggio in mare aperto? Da chi o da che cosa è composto il tuo equipaggio?
    Si può facilitare la riflessione consegnando ai ragazzi e alle ragazze un foglio con una nave disegnata in cui inserire le proprie riflessioni (battezzare la barca col nome dell'emozione prevalente, scrivere all'interno la composizione dell'equipaggiamento, evidenziare il ruolo del comandante, i suoi pensieri e il suo ruolo, scrivere nel mare le risonanze e le parole più significative e il legame con la propria esperienza, segnare il porto da cui partire e a cui ritornare).

    Educatori in ricerca.
    La mia avventura nella terra di mezzo

    Visione del film II signore degli anelli. La compagnia dell'anello (Regia di Peter Jackson, Usa - Nuova Zelanda, 2001) – intero o per sequenze significative – o stralci dell'omonimo testo (J.R.R. Tolkien, Bompiani, 2004).
    Si riflette assieme...
    Qual è il tesoro di cui devo aver cura? Dove penso di doverlo condurre? Qual è la missione che mi è affidata?
    Quali paure nutro rispetto al compito educativo con i ragazzi? Quali risorse e competenze mi riconosco?
    In una scena del film Sam si fa aiutare da Frodo a superare un confine oltre il quale non era mai andato: sento a me vicina questa immagine? I ragazzi e le ragazze mi chiedono aiuto nell'attraversamento di territori sicuri? Come li sostengo? Ed io quali confini e limiti devo oltrepassare? A chi chiedo supporto?
    Emerge in questo film il valore dell'equipe e della comunità: ciascuno mette a disposizione la propria esperienza e le proprie capacità per affrontare l'avventura. Se dovessimo riprodurre la stessa immagine all'interno del gruppo degli educatori (insegnanti, famiglia, ...) quali ruoli e personaggi ci attribuiremmo? Perché?
    Il rischio di un eccessivo coinvolgimento emotivo e di possesso dell'anello per Frodo è sempre in agguato: anche nella relazione educativa questo può avvenire. Cosa si può concretamente fare per arginare questo pericolo e vivere con impegno ed equilibrio il proprio compito?

    NOTE

    1) L'etimologia stessa del termine ci ricorda l'apertura all'ad-venire.
    2) G. Siri, Il profilo del preadolescente in N. Galli (a cura di), Vogliamo educare i nostri figli, Vita e Pensiero, Milano, 1985, p. 397.
    3) Dal greco peri: intorno e pipto: cadere – imbattersi in ciò che è intorno, cadere nella realtà circostante.
    4) V. lori, Essere per l'educazione. Fondamenti di un'epistemologia pedagogica, La Nuova Italia, Firenze, 1988, p. 137.
    5) Per approfondimenti si veda P. Bertolini, Fenomenologia dell'avventura: oltre il già dato in R. Massa (a cura di), Linee di fuga. L'avventura nella formazione umana, La Nuova Italia, Firenze, 1988.
    6) P. Jedlowski, Il sapere dell'esperienza, Il Saggiatore, Torino,1994, pp. 101-149. «L'esperienza dell'uomo moderno, dice l'Autore, è un'esperienza frammentata. (...) Avere esperienza è dare un senso al proprio percorso. Essa si nutre tanto di un rapporto con il passato quanto di una assunzione di responsabilità verso il futuro. Richiamarsi all'esperienza è richiamarsi a un desiderio di 'spessore', o alla ricerca di una 'presenza' che non sia assoluto smarrimento. Chi ha esperienza, diceva Benjamin, è capace di narrare, e di prestare ascolto a ciò che gli altri narrano. Non solo questo: è capace di prendere atto di 'ciò che sta attraversando', e dunque di orientarsi.(...) l'idea di esperienza di cui abbiamo bisogno non è tanto quella di un vissuto 'eccezionale', quanto quella di un percorso, o di un ritmo, che colleghi le molteplici sfere di vita in cui abitiamo, le molteplici avventure di cui siamo protagonisti».
    7) Discorso di Dolci in occasione di un incontro presso il Centro Educativo di Mirto in D. Paola, «Ciascuno cresce solo se sognato». Non violenza, sogno e liberazione nella pedagogia di Danilo Dolci, in Educazione Democratica, n. 2/2011, pp. 15-22.


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