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    Il progetto di pastorale giovanile (della Svizzera italiana)


    (NPG 2008-05-21)

    PRESENTAZIONE GENERALE
    Luca Brunoni (coordinatore diocesano di PG)

    Come già esposto altrove, l’attività di pastorale giovanile intesa nel senso attuale del termine, è già radicata nella diocesi di Lugano da diverso tempo. Dalla Giornata Mondiale della Gioventù di Roma nel 2000 è emersa in maniera evidente la necessità di dotarsi di uno strumento comune d’orientamento nell’attività giovanile. Dando seguito a diverse richieste sorte dagli operatori pastorali stessi, sia sacerdoti che laici, si è costituita un’équipe che si è data come obiettivo la stesura di un progetto di pastorale giovanile.
    Il punto di partenza per fornire nel progetto degli obiettivi percorribili e adeguati al contesto storico attuale è stato quello di organizzare, tra l’ottobre 2000 e il febbraio 2001, una serie di tavole rotonde pubbliche attorno alla domanda: «Che cosa cercano i giovani oggi?». La particolarità di questa iniziativa è stata nelle persone coinvolte per abbozzare una risposta. Si è cercato infatti di riunire attorno ad un tavolo e ad un pubblico variegato una serie di persone a stretto contatto con le diverse sfaccettature della vita dei giovani. Si sono sentiti docenti, orientatori, sociologi, psicologi, politici, allenatori, animatori radiofonici, baristi, ecc. e ovviamente i giovani stessi. Questo fatto ha permesso di lanciare un primo ponte nell’ottica di una sempre più grande collaborazione con la società civile nel compito educativo della gioventù, un obiettivo sempre più attuale per una pastorale giovanile efficace.
    Da quest’indagine sono emersi risultati interessanti, confermati anche attraverso altri strumenti d’analisi usati simultaneamente, che sono riassumibili in: ricerca della felicità, bisogno di affermazione della libertà, punti di riferimento, sete di spiritualità, crescita nella dimensione affettivo-relazionale e impegno sociale. Il testo del progetto amplia questi punti nel seguente modo:
    – Il bisogno di felicità: la domanda: «che cosa intende il giovane con felicità?» ha suscitato varie risposte: nuove emozioni, avere fiducia negli altri, avere traguardi, cercare un ruolo sociale, essere valorizzati, essere indipendenti e membri a pieno titolo di un gruppo. Qualcuno, idealmente, ha parlato di «ricerca dell’essere più che dell’avere».
    – L’affermazione della libertà: i giovani vogliono con forza affermare la loro libertà, interpretata come «fare ciò che voglio». La libertà come fare ciò che voglio non va immediatamente considerata in modo negativo: assegnando un valore al desiderio di creatività e progettualità espresso in questa affermazione così radicale, è possibile costruire qualcosa di positivo.
    – La ricerca di punti di riferimento: i giovani hanno mostrato un grande bisogno di figure che possono sentire vicine (molti non trovano nella famiglia un riferimento). È indispensabile perciò che qualcuno li aiuti ad avere una lettura positiva della vita, per acquisire responsabilità e discernimento. Non sempre però i giovani sono in grado di scegliere questi «punti di riferimento», per cui sorge il fenomeno delle «compagnie devianti».
    – Il bisogno di spiritualità: i giovani avvertono un bisogno di spiritualità intesa in senso «intimistico» e cercano il silenzio, ma non sono capaci di viverlo per mancanza di luoghi idonei al silenzio, o per la presenza di questi luoghi lontani dalle loro abitudini.
    La crescita della dimensione affettivo-relazionale: sul piano delle relazioni umane, i giovani avvertono il bisogno di essere considerati persone e non oggetti, di essere ascoltati, di trovare qualcuno che dedichi loro tempo e sia disposto al dialogo. Esistono nuove forme relazionali: Internet, chats, telefonini, mails, sms, che tuttavia rischiano, se prese a sé, di essere surrogati di vere relazioni. Resta forte il senso del gruppo, l’ideale della famiglia vista come dimora, luogo di realizzazione della propria vita, magari provenendo da esperienze personali non chiare (multi famiglie, divorzi, convivenze, ecc…).
    – L’impegno sociale: cosa ricerca un giovane che si impegna nel campo sociale? Se scarso è l’impegno di militanza nel mondo politico di cui si sottolineano più le lacune che i pregi, i giovani dedicano ancora il loro tempo, anche se spesso sporadico, alle azioni di solidarietà e di impegno sociale. Esse divengono uno dei terreni preferenziali per l’incontro con giovani lontani dall’esperienza ecclesiale, ma animati dal desiderio di spendere parte della propria vita per gli altri».[1]

    Le caratteristiche del progetto

    Date queste premesse, si è trattato di formulare una proposta organica e logica. La scelta si è orientata nel suddividere il progetto in tre parti.
    La prima parte è stata intitolata «Conosciamo!» e si compone dell’indagine citata sopra, di alcuni testi del magistero della Chiesa riguardo alla priorità da accordare alla pastorale giovanile, delle finalità generali dell’attenzione alla realtà giovanile e del riferimento alla Scrittura, attraverso tre icone bibliche, riportate nell’articolo precedente.
    La seconda parte intitolata «Decidiamo!» contiene la formulazione degli obiettivi pastorali concreti da realizzare, le indicazioni metodologiche da attuare e l’indicazione delle realtà di collaborazione e di riferimento per l’attività pastorale.
    La terza parte, «Agiamo!», descrive le attività in calendario, nonché i tempi e le modalità di verifica dell’attuazione del progetto. Il tutto si conclude con un’appendice con delle schede pratiche per l’avvio degli obiettivi pastorali proposti in precedenza, riassumibili in questi tre punti:
    «Evidenziare le priorità della pastorale ordinaria come luogo di maturazione della propria fede personale, passaggio a una fede più adulta, alla verifica della propria vocazione. Tra di esse il dopocresima è la principale.
    – Proporre nuove vie di evangelizzazione e apertura per l’incontro con Cristo andando a cercare i giovani laddove vivono, si ritrovano, trascorrono il loro tempo libero, secondo i loro interessi, i loro problemi, la loro vita quotidiana, condurli all’incontro con Cristo (cf ad esempio, più sotto, l’esperienza dei Laboratori della fede).
    – Formare giovani e giovani adulti, che si impegnino come animatori e, assieme ai sacerdoti, sappiano vivere l’atteggiamento del Battista, colui che umilmente addita il Signore Gesù a chi è in ricerca».[2]
    Un’attenzione particolare viene riservata all’esperienza del dopocresima, come ci conferma il testo:
    «Tutte le parrocchie della nostra diocesi propongono la catechesi in vista della cresima, cercando di adeguarsi per quanto possibile alle indicazioni diocesane relative alla preparazione dei sacramenti dell’iniziazione cristiana. Una volta ricevuta la cresima, normalmente i giovani abbandonano la pratica religiosa, perché non sempre hanno la possibilità di vivere una forte esperienza di gruppo, che consenta loro di trovare delle risposte al bisogno di felicità, di amicizia, di conoscenza di sé di confronto che si portano dentro.
    Nelle parrocchie più grandi ci sono alcune esperienze di dopocresima che non sempre però riescono ad incidere sui partecipanti e a suscitare il loro interesse. Si tratta di trovare, perciò, alcune formule che consentano ai ragazzi di sentirsi protagonisti della loro crescita e di buttarsi con coraggio nella vita di gruppo. Se da parte di tutta la comunità cristiana si fa lo sforzo di collaborare e di aprire nuove piste, possono scaturire delle opportunità interessanti.
    L’obiettivo fondamentale è suscitare interesse e passione nei ragazzi al fine di mantenere vivo in loro il desiderio di incontrarsi, di potere, a poco a poco, avere fiducia negli altri e negli animatori e scoprire che all’interno del loro gruppo e della loro parrocchia possono giocare con passione la loro vita accorgendosi che il Signore si manifesta in questo contesto come l’Amico che mi guida nella crescita. A tale proposito è indispensabile che essi possano assumersi alcune responsabilità. Questo è l’impegno più importante che tutte le comunità parrocchiali sono chiamate ad assumersi entro il primo triennio, portandolo avanti con autentico stile educativo».[3]
    Per questo obiettivo il lavoro da svolgere è ancora vasto, occorre però segnalare l’attivazione di un corso di formazione per animatori (cf più sotto), e l’organizzazione di un riuscito convegno sul dopocresima nell’aprile 2004 con la presenza di Don Domenico Sigalini, già Responsabile del Servizio Nazionale di Pastorale Giovanile della CEI, attività previste dal progetto stesso.
    Il progetto diocesano rappresenta quindi, attraverso le sue sfaccettature, uno strumento nell’individuazione degli obiettivi comuni che la comunità cristiana intera si pone riguardo al proprio agire educativo nel confronto delle giovani generazioni.


    LA FORMAZIONE DEGLI ANIMATORI DEL DOPOCRESIMA E GIOVANILI
    Rolando Leo (dell’équipe di formazione)

    «Lo scopo è quello di preparare alcune persone perché abbiano le competenze pedagogiche e metodologiche e un’adeguata maturità cristiana, al fine di esercitare il compito di educatore» (dal Progetto diocesano).
    La formazione è particolarmente agevole perché si distribuisce al minimo sull’arco di un anno e mezzo ed è suddivisa in tre moduli specifici e uno introduttivo (nel quale verrà esaurito un piccolo modulo trasversalmente) per ciò che riguarda l’aspetto tecnico, mentre un fine settimana su due (a scelta) per quanto riguarda l’approfondimento spirituale (un ritiro).
    Ogni modulo comprende un fine settimana lungo (di almeno due o tre notti) a cavallo tra una festività e l’altra.
    La frequenza non è vincolata tra un modulo e il seguente; si lascia piena libertà al corsista, a seconda anche dei suoi impegni. Infatti si può recuperare il modulo nel corso dell’anno di formazione seguente; ciò significa che la formazione globale, con tanto di attestato di frequenza, verrà ultimata circa un anno dopo.
    Per parteciparvi si richiede una forte motivazione e preferibilmente la maggior età (ma almeno 16 anni).
    – Il fine settimana introduttivo funge da antipasto: cosa bolle in pentola? Attraverso delle mezze giornate interattive, si presentano i moduli specifici e vengono svolti quello sull’adolescenza e la preadolescenza (alla scoperta della psicologia giovanile… chi è l’adolescente?). Inoltre si propongono diverse attività ludiche.
    – Il modulo di didattica-metodologia-tecniche d’animazione: nel quale si vuole rispondere alle seguenti domande.
    * Perché voglio seguire o formare un gruppo di ragazzi in parrocchia?
    * Cosa voglio dire loro?
    * Come voglio dirlo?
    * Come faccio a partire con un gruppo?
    * Chi devo consultare?
    * Che tipo di attività propongo? In quale giorno della settimana? Per quanto tempo? Che tipo di uscite ricreative?
    * Deve esserci un progetto pedagogico a lunga gittata?
    Facendo delle proposte concrete da vivere sul posto e lavorando a gruppi, ci si esercita anche a dare una valutazione globale sul proprio operato, con senso critico.
    – Il modulo sulle dinamiche di gruppo: si occupa di esaminare le dinamiche relazionali che intervengo all’interno di un gruppo di adolescenti.
    Qual è il ruolo del leader? È proprio necessario avere un punto di riferimento? È possibile l’autogestione?
    Il tutto ben condito da giochi pratici di ruolo e simulazioni. Le tecniche d’animazione sono una costante del nostro corso.
    – Il modulo sulla comunicazione: tratta soprattutto del «come» comunicare con i ragazzi di oggi in modo efficace.
    – Tutto questo, a metà percorso, viene completato da un ritiro spirituale.
    – Giornata conclusiva: serve per tracciare un bilancio globale, fare una sintesi e consegnare gli attestati.
    Occorre ricordare che i neoanimatori godranno di una rete di accompagnamento sul territorio, condotta dalla nostra équipe di formazione (composta da responsabili di pastorale giovanile e di Azione Cattolica), che ha un duplice scopo:
    – sensibilizzare i parroci e le parrocchie su questo tipo di formazione proposta in diocesi;
    – insistere affinché chi frequenta il corso abbia l’opportunità di fare esperienza in un gruppo.
    Viene distribuito tutto il materiale dei corsi tenuti sul posto sotto forma di fascicoli.
    Viene chiesto un contributo simbolico per le spese. Il corso si svolge in case di vacanza, colonie e capanne scaut.

    OBIETTIVO «DOPOCRESIMA» E UN ANIMATORE TUTTO DA INVENTARE
    Italo Molinaro (assistente cantonale scout e coordinatore dell’équipe di formazione animatori del dopocresima)

    Una presenza diffusa e consolidata di gruppi di giovani già cresimati, che si riuniscono periodicamente per attività varie: è la priorità posta dal Progetto diocesano di pastorale giovanile, varato nel 2002 nella diocesi di Lugano.
    Una priorità a dire il vero un po’ utopica, nel senso che siamo ben lontani dalla meta, cioè dal giorno in cui l’esistenza del dopocresima sarà scontata e consolidata come la preparazione alla prima comunione, alla cresima stessa o al matrimonio. In questi decenni, infatti, è stato grande l’impegno delle parrocchie per migliorare l’iniziazione cristiana, mentre poco o nulla si è fatto per i giovani già cresimati, limitandosi a constatare amaramente la loro partenza, dopo quello che ormai è definito il «sacramento del congedo».
    Proprio per invertire questa tendenza, il Progetto diocesano propone di puntare sul cosiddetto «dopocresima», continuando quindi il cammino con i giovani cresimati, in sostanza dai 14 anni in avanti. A dire il vero, la reazione di molti parroci davanti a questa prospettiva non fu incoraggiante, soprattutto perché sembrava che il Progetto li volesse caricare di ulteriore legna verde…
    In realtà si tratta di immaginare figure educative nuove, capaci di accompagnare i giovani lungo percorsi nuovi. Quindi una realtà tutta da inventare, o quasi.
    A questo proposito, il Progetto ha previsto l’attivazione di una formazione specifica a livello diocesano, che nel frattempo è concretamente iniziata, in sinergia con l’Azione cattolica giovani (vedi paragrafo precedente).
    La sfida non è facile: si tratta di mettere in moto un circolo virtuoso, partendo dalle prime realtà profetiche esistenti sul territorio, da cui provengono gli iscritti.
    La speranza è che le persone formate sappiano attivare sul territorio nuove iniziative di aggregazione giovanile, senza, come detto, affidare ai parroci ulteriori incombenze.
    Resta vero, comunque, che per il momento sono ancora i preti, e soprattutto i più giovani, a farsi promotori di queste iniziative, anche se non mancano gruppi che sorgono… malgrado il parroco.
    Bisogna aggiungere che fortunatamente non si parte da zero. Gruppi di giovani ci sono sempre stati, con alterni destini. Inoltre la partecipazione, in questi ultimi anni, alle Giornate mondiali della gioventù, ha convinto alcuni preti che nel campo giovanile è ancora possibile ottenere qualcosa, mentre altri avevano da tempo rinunciato. Più recentemente, l’incontro dei giovani cattolici svizzeri con il Papa a Berna, nel giugno 2004, è stata un’occasione capace di suscitare ulteriori aggregazioni. Si scopre così che ci sono ancora giovani interessati alla fede, passando però anzitutto dall’amicizia di gruppo, e che quindi è ancora possibile convocare, progettare e costruire, a partire magari da obiettivi iniziali semplici ma concreti.
    Il Progetto diocesano propone anche una originale sperimentazione sulla cresima.
    Il gruppo giovani, infatti, potrebbe diventare un ambito educativo in cui sono presenti anche non cresimati che camminano verso il sacramento dello Spirito.
    In pratica negli anni delle scuole medie, gli adolescenti dovrebbero seguire un itinerario molto semplice di formazione alla fede, soprattutto allo scopo di mantenere aperto il discorso religioso.
    Dai 14-15 anni ci sarebbe il passaggio al gruppo giovani, in cui i più grandi sono chiamati a una testimonianza educativa nei confronti dei più giovani.
    Vivendo l’avventura del gruppo, i non cresimati fanno un cammino di crescita umana e cristiana, in cui a un certo punto si inserisce anche la cresima, non però come punto di arrivo e congedo, ma come tappa non enfatizzata di un percorso più ampio.
    Per i cresimandi, inoltre, si prevedono comunque momenti di preparazione e verifica più pensati per loro, dentro il cammino del gruppo giovani. In questo ambito però non esistono ancora esperienze complete.
    In sintesi, quindi, l’obiettivo in Ticino è la diffusione del dopocresima, affidato a una nuova figura di animatore: non un catechista classico, ma un educatore capace di catalizzare le energie e la progettualità dei giovani, attivare una dinamica di gruppo positiva, essere un punto di riferimento per la fede e la vita, lavorare riconoscendo il primato dell’esperienza, dell’amicizia e del dialogo.
    Ci sarebbe molto da dire anche sulle attività proposte nei gruppi, ma è un discorso che ci porterebbe troppo lontano.

    L’ESPERIENZA DEI LABORATORI DELLA FEDE
    Marco Dania (assistente diocesano di PG)

    Nel laboratorio della fede «ognuno può vagliare le proprie difficoltà a credere e sperimentare anche la tentazione dell’incredulità. Al tempo stesso può sperimentare anche una graduale maturazione nella consapevolezza e nella convinzione della propria adesione di fede» (Giovanni Paolo II, Discorso alla veglia a Tor Vergata, sabato 19 agosto 2000).
    Abbiamo inteso il laboratorio della fede come una proposta educativa per coloro che, rispondendo all’invito lanciato dal papa a Tor Vergata, desiderano vivere una coinvolgente esperienza di ricerca delle ragioni più profonde del proprio credere. Il laboratorio ha lo scopo, infatti, di offrire ai giovani un luogo di dialogo in cui essi possano confrontarsi apertamente su tematiche di fede, di morale, su problemi della vita quotidiana per chiarire i loro dubbi e maturare in modo graduale una maggiore consapevolezza del loro essere cristiani.
    Questo tipo di lavoro favorisce la sintesi fede-vita, e ogni giovane che sperimenta tale esperienza diventa più sicuro e attivo nell’esercizio della testimonianza evangelica.
    Non si tratta, quindi, di un semplice ambito di aggregazione, ma piuttosto di un luogo di confronto aperto. Le caratteristiche fondamentali sono: il coinvolgimento personale nel dialogo a partire dalla propria esperienza di vita e la capacità di suscitare delle domande, per aiutare a riflettere, a interrogarsi.
    E, trattandosi di un laboratorio, si sperimentano tecniche diverse di approccio: simulazioni di situazioni particolari, uso di filmati, di giochi di ruolo, di strumenti che rendano più semplice e più animata la discussione. Lo stile con il quale ognuno è invitato ad accostarvisi è lo stile di chi indaga con gusto, un po’ come il ricercatore o l’artista che nel loro laboratorio cercano nuove vie.
    La proposta si rivolge ai giovani a partire dai 17 anni, senza porre particolari limiti di età.
    Evidentemente è richiesto un certo spirito giovanile, ma l’esperienza ci insegna che anche gruppi in cui sono impegnate più generazioni sono molto validi e si crea così un confronto fa le diverse età. Gli incontri si svolgono con una frequenza mensile o quindicinale a livello di parrocchia o di vicariato.
    A Bellinzona esiste da tre anni un laboratorio della fede che si riunisce con frequenza mensile coinvolgendo dalle 15 alle 20 persone di età dai 20 ai 50 anni.
    La conduzione è fatta da un sacerdote e da un laico. Insieme dedichiamo molto tempo alla preparazione delle attività per renderle coinvolgenti e, pur se programmiamo tutto nel dettaglio, spesso lasciamo che la discussione o il confronto nascano anche in modo diverso, a seconda delle esigenze dei partecipanti.
    Nei primi due anni la proposta ha riguardato, più che altro, la trattazione di problematiche di vita.[4] Nel terzo anno abbiamo preso in considerazione i primi 5 comandamenti, trattandoli sempre in modo originale e adottando come punto di riferimento il testo di Tonino Lasconi: Dieci… per amore (Paoline, Milano 2001).
    Già dopo un anno di attività, è emerso un dato molto bello: i partecipanti, hanno mostrato l’esigenza di approfondire la conoscenza della Parola di Dio, di fare esperienze forti di preghiera e di servizio. Se dalla base nascono certi tipi di esigenze, la motivazione rimane molto più forte rispetto a quando, invece, tali proposte sono calate dall’alto.
    Il metodo, perciò, risulta davvero efficace. Alcune persone, inoltre, si sono lasciate coinvolgere nell’animazione dell’attività parrocchiale, e ciò ha favorito in loro la passione per una vita cristiana più attiva e attenta alle esigenze della comunità, non più intensa come semplice luogo di culto, ma come ambito in cui insieme seguire Cristo, servendo i fratelli.

    NOTE

    [1] Cf Diocesi di Lugano, Progetto di Pastorale Giovanile, Lugano, novembre 2002, p. 12-13.

    [2] Cf Diocesi di Lugano, Progetto di Pastorale Giovanile, Lugano, novembre 2002, p. 35.

    [3] Cf Diocesi di Lugano, Progetto di Pastorale Giovanile, Lugano, novembre 2002, p. 35-36.

    [4] Attività primo anno: video «È possibile credere ancora oggi?»; L’infanzia; La guerra; Com’è il nostro gruppo; La famiglia; La morte; L’aborto; Cena.

    Attività del secondo anno: Le vacanze; L’ambiente; L’attesa; L’oroscopo e la chiromanzia; La parola; Il cambiamento; Il silenzio; Per conoscermi meglio; Quando mi butto.


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