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    Vivere di fede nella vita quotidiana /3

    La fede è vivere

    il quotidiano

    dalla parte del mistero

    Riccardo Tonelli


    S
    appiamo quasi tutto di noi stessi e della nostra vita. Abbiamo progetti da vendere, ideali a cui abbarbicarci. Ma la morte ci inquieta sempre: chi ama la vita e la vuole piena e abbondante per tutti ha una grande paura della morte.

    Sfondando un pochino il silenzio del mistero di Dio che avvolge la nostra vita, ci siamo scoperti pieni dello Spirito di Gesù. Lo Spirito ha vinto la morte e ci aiuta a vincere tutte le nostre paure.
    Vogliamo vivere in questa esperienza.
    I cristiani per dire questa esperienza prendono a prestito dal linguaggio comune una parola, che riempiono di uno spessore tutto originale: la «fede». Chi vive così la sua esistenza, la vive nella fede, vive di fede.
    Avvertono che la fede è tanto importante per la loro vita, che non sentono nessun bisogno di aggiungere l'aggettivo «cristiana». La fede è questo; e basta. Per la fede il cristiano vive in questo mondo come se fosse ormai di un altro mondo.
    Senza fede, la vita resta muta e noi annaspiamo nella solitudine del suo silenzio.
    Non basta però delineare il punto d'arrivo. Abbiamo tutti bisogno di essere condotti per mano verso questa meta affascinante e sempre lontana. Viene spontaneo chiederci: cosa significa in concreto «vivere di fede»?

    1. FEDE È POSSEDERE QUELLO CHE NON SI VEDE

    Nella Lettera agli Ebrei è contenuta una bellissima definizione di fede: «La fede è un modo di possedere già le cose che si sperano, di conoscere già le cose che non si vedono» (Eb 11,1). L'autore la commenta e la concretizza, raccontando la storia di personaggi famosi che hanno vissuto in questa prospettiva.
    Ci sono uomini che consegnano tutta la loro esistenza alla Parola che Dio loro rivolge, fino a compiere gesti impensabili e inediti. Significativo è l'esempio di Abramo. Aveva ardentemente desiderato un figlio. L'aveva sognato sulla promessa di Dio. Ora accetta di sacrificarlo sulla parola esigente del suo Dio. Nella sua fede, forte come la roccia, diventa padre di una moltitudine di gente.
    Ci sono personaggi e situazioni dal sapore molto più quotidiano. L'autore della Lettera agli Ebrei dice, per esempio, che per fede la mamma di Mosè decide di non obbedire alla parola del tiranno che le chiedeva di uccidere il bambino. Il suo gesto «normale» di mamma affettuosa e coraggiosa viene interpretato come grande gesto di fede.
    Sono citate anche situazioni abbastanza strane: a partire dalle «cose che non si vedono», diventano gesto di fede anche l'intrigo con cui Giacobbe ruba la primogenitura ad Esaù e l'ospitalità che la prostituta Raab offre agli esploratori ebrei.

    1.1. Dalla vita quotidiana alla vita quotidiana

    In tutti i casi, due dati sono in gioco e si richiamano reciprocamente: quello che si vede e si constata, perché forma il tessuto quotidiano dell'esistenza, e quello che non si vede e che si spera. Ciò che non si vede e si spera viene «conosciuto» e «posseduto», tanto da diventare la ragione e il significato di quello che si vede e si constata.
    È importante pensare alla fede in questa logica, per riconoscere il suo rapporto con la vita di tutti i giorni, con i suoi ritmi e con le sue scelte.
    La fede non si interessa infatti di alcuni temi e problemi tutti suoi, che si aggiungono a quelli che già pervadono l'esistenza quotidiana. E non è certamente l'adesione intellettuale ad alcune informazioni. Oggetto della fede è invece l'esistenza concreta e quotidiana, la storia profana, che è storia e avventura di tutti e luogo dove si affaccia l'avventura salvifica dell'amore di Dio.
    Una lettura di fede richiede il coraggio di leggere la realtà, personale e collettiva, con uno sguardo che si fa sempre più penetrante, fino a toccare le soglie del mistero. Ed esige la capacità di ritornare sull'oggetto della fede a partire dal mistero, posseduto nella speranza, come la verità più intima di ogni avvenimento. In questa lettura complessiva, che parte dalla vita e torna alla vita dopo aver contemplato il mistero, il credente «vive di fede».

    1.2. Una lettura della realtà a differenti livelli

    Questa conclusione è bella e importante. Sembra però fatta apposta per far nascere grossi problemi.
    La fede riguarda la vita quotidiana nella trama complessiva degli avvenimenti, personali e collettivi, che la caratterizzano. Di questi eventi e del loro intreccio si interessano però anche le scienze dell'uomo e quel modo sapienziale di intendere le cose che ci fa esclamare di alcune rare persone: «Ecco finalmente un uomo saggio!».
    Nasce, per forza di cose, un conflitto di competenze. Per vivere di fede da uomini maturi e riconciliati, dobbiamo imparare a non vedere le cose in modo dissonante quando le guardiamo dalla parte della fede e da quella della vita. Questo modo di fare ci porterebbe a un pericoloso «strabismo» interiore.
    C'è strabismo, infatti, quando si guarda nello stesso tempo in due direzione diverse. Soffre di strabismo il cristiano che si sente costretto a osservare con sguardo non omogeneo (o, peggio, conflittuale) le esigenze della sua esperienza credente e la sua prassi quotidiana, nell'impegno storico, culturale, politico, economico, affettivo.
    Nella vita di fede lo strabismo è una malattia pericolosa. Se ne può... morire. Si diventa persone che rinunciano scioccamente alle esigenze della scienza e si rifugiano nei toni nebulosi delle frasi a effetto; oppure persone che fanno riferimento a Dio solo in alcuni momenti della loro vita quotidiana.
    La via di uscita è ancora una volta il confronto con Gesù di Nazaret.

    1.2.1. Il riferimento a Gesù
    Noi siamo figli di Dio per mezzo di Gesù Cristo, proclama Paolo agli abitanti della Galazia (Gal 3,26). Per comprendere la qualità della nostra fede, dobbiamo perciò riferirci a Gesù: «Teniamo lo sguardo fisso in Gesù: è lui che ci ha aperto la strada della fede, e ci condurrà fino alla fine» (Eb 12,2).
    Gesù è volto e parola di Dio nella grazia della sua umanità. Come in Gesù, anche la nostra quotidiana realtà è costituita da una trama intensa di visibile e di mistero. Visibile e mistero non sono due realtà separabili, quasi che una potesse esistere senza l'altra o si potessero studiare indipendentemente l'una dall'altra e attraverso approcci separati. Sono invece come le due facce della stessa realtà. Hanno logiche diverse; presuppongono metodologie conoscitive molto differenti. Ma si richiamano reciprocamente.
    Dal momento che il mistero è incontrabile solo dentro il suo visibile, per coglierlo e farsene possedere è necessario prima di tutto leggere bene il visibile, decifrarlo in tutta la sua pregnanza.
    La verità piena del visibile è però data, in ultima analisi, dal mistero in cui è immerso. Solo quando esso è compreso nelle pieghe più profonde, dove si affaccia, insondabile e coinvolgente, il mistero, possiamo dire di possedere il visibile nella sua verità.
    Questo rapporto conoscitivo, diverso e complementare, che lega visibile a mistero, determina la qualità della «lettura di fede».

    1.2.2. I due livelli di lettura
    Immagino come due livelli di lettura. Lo faccio solo per motivi funzionali: per distinguere senza confusione e per sottolineare la necessaria unità.
    In un primo livello di lettura analizziamo e comprendiamo quello che constatiamo, attraverso gli strumenti della tecnica e della scienza. Utilizzando i contributi della sapienza, che l'uomo ha accumulato nel lungo cammino della sua storia, cogliamo anche quella trama nascosta delle cose e degli avvenimenti che sfugge allo sguardo superficiale e distratto. Leggiamo così il visibile in tutte le sue logiche.
    Nel secondo livello di lettura andiamo alla ricerca del mistero che il visibile si porta dentro. Anche se lo sguardo è diventato penetrante, il mistero resta collocato oltre la nostra scienza e sapienza. Non lo vediamo e non possiamo manipolarlo. Lo possiamo solo invocare e sperare. Eppure lo possediamo già, tanto intensamente da riuscire a utilizzarlo come chiave di interpretazione e di decisione delle vicende in cui ci sentiamo protagonisti e responsabili.
    Per spiegarmi in termini un po' più concreti, faccio un esempio.
    Molti amici conoscono mia mamma. Dicono di lei tante cose che io riconosco vere. La trovano cordiale, allegra, simpatica, una cara vecchietta capace di compagnia e di molte attenzioni. Anch'io dico lo stesso di lei. Aggiungo però sempre un dato che solo io posso sperimentare come vero e autentico: «È mia mamma».
    Le doti di carattere e il fatto che sia mia mamma sono due constatazioni ugualmente vere. Restano però collocate a due livelli diversi. Le prime sono facilmente constatabili da chiunque abbia occhi per vedere. La seconda investe quel rapporto intimissimo e misterioso che lega un figlio alla madre.
    Nei confronti di mia mamma si è realizzata una lettura a differenti livelli di comprensione.
    Qualcosa di simile avviene quando leggiamo la realtà nella fede.

    1.3. Quale mistero?

    Finora ho fatto un discorso di metodo, suggerendo le procedure per vivere nella fede.
    Chi condivide questa prospettiva, si chiede subito: quale mistero leggiamo dentro?
    Il mistero è l'amore che Dio ci porta e la sua passione per la vita di tutti. Ha un nome e un volto: Gesù il Signore. Si staglia, Crocifisso risorto, tra le pieghe della nostra storia, personale e collettiva.
    Non sempre brilla in tutto il suo splendore. Spesso, anzi, viene offuscato e tradito dal modo con cui è vissuto o realizzato il visibile.
    D'altra parte, questa è la nostra situazione attuale. Viviamo nella salvezza di Dio, perché Gesù ci ha regalato il suo Spirito che ha fatto di noi creature nuove. La salvezza però è in faticosa crescita nella storia, con un ritmo che procede tra sussulti, incertezze, entusiasmi e ripiegamenti.
    Spesso, il mistero da decifrare dentro il visibile è solamente un grido verso la salvezza. Possediamo la nostra quotidiana avventura perché ci sentiamo provocati dal grande progetto di Dio per la vita di tutti a diventare protagonisti con Gesù di questo impegno.
    Altre volte siamo più fortunati. Incontriamo cose e persone che sprizzano salvezza e novità da tutta la loro esistenza. Riconosciamo il dono di Dio all'opera. Lo celebriamo con gioia, contenti di vivere in anticipo un pezzo di futuro. E ci sentiamo trascinati sull'onda lunga della passione di Dio per la vita di tutti.
    Un dato importante non può essere dimenticato. La salvezza e la pienezza di vita sono «già» un dono, presente e operante nella vita quotidiana, anche se «non ancora» pienamente realizzato. «Già» e «non ancora» non sono però divisi tra avvenimenti e persone, come se alcuni fossero pieni di novità e altri ne fossero totalmente esclusi. Rappresentano invece come i due volti della stessa realtà, anche se espressi con intensità differente.
    Per questo, chi legge il visibile dalla parte del mistero è sollecitato ad amare con passione incondizionata tutto e tutti: un frammento di salvezza è già in tutto. E, nello stesso tempo, è impegnato, nella dolce compagnia del Crocifisso risorto, a far passare tutto e tutti da morte a vita, perché purtroppo la morte possiede ancora molti alleati nella storia personale e collettiva.

    2. LA SCRITTURA: LO STRUMENTO PER ACCEDERE AL MISTERO

    Ogni livello di lettura ha i suoi strumenti.
    Il primo livello si serve di tutto quello che l'uomo è riuscito a elaborare mettendo a frutto la sua intelligenza e la sua fantasia.
    Quali sono gli strumenti per il secondo livello di lettura?
    I credenti indicano nella Parola di Dio, scritta e vissuta nella Chiesa, l'unico strumento utilizzabile per accedere al mistero.
    Bisogna stare attenti: non solo è diverso lo strumento; è profondamente differente anche il modo di utilizzazione.
    La Parola di Dio è già una esperienza di fede: una lettura, credente e confessante, della realtà. Per l'autorevolezza del suo protagonista e per una presenza specialissima dello Spirito, questa «interpretazione» può «interpretare» in modo normativo la nostra comprensione della realtà dalla parte del suo mistero.
    Al primo livello, in cui ogni uomo è sollecitato a utilizzare saggiamente il frutto della sua ricerca e i contributi delle differenti scienze, la Parola di Dio non ha proprio nulla di speciale da suggerire. Anzi, il credente si rende sempre più conto di quanto sia importante utilizzare queste strumentazioni anche per decifrare correttamente quello che essa ci dice di proprio e di specifico. Si tratta cioè di leggere bene, secondo i diversi generi letterari, mettendo correttamente in contesto il documento, interpretando esattamente quello che l'autore ci vuole dire... per poter raccogliere, all'interno di queste parole umane, il progetto di Dio sulla nostra vita e sulla nostra storia.
    Anche questo è un modo serio di vivere di fede. Ci libera dalla tentazione, sempre in agguato, di utilizzare la fede come una ideologia a cui ricorrere per risolvere i conflitti sociali, o da quella ancora peggiore di catturare la forza inquietante del Vangelo per darci ragione.
    Chi ha un po' di conoscenza critica della storia della Chiesa, ricorda i guai combinati tutte le volte che la Bibbia è stata utilizzata come un testo di scienza e non come un documento di fede, detto con le parole e le espressioni che giravano nel tempo in cui è stato scritto.
    Pensiamo, per esempio, alla parabola dei vignaioli ribelli, che Gesù ha raccontato per dare le sue credenziali (cf Mt 21,33-41).
    Il contesto è quello tipico della società latifondista dei tempi di Gesù. La terra apparteneva a poche persone, le quali la affidavano a servi e operai per farla lavorare. Nel tempo giusto, mandavano a riscuotere quello che essi consideravano loro dovuto. Ed era una parte altissima, che strozzava i poveri contadini.
    Gesù non racconta la parabola con una preoccupazione di giustizia sociale, quasi per invitare alla rivolta; nemmeno la racconta per dare ragione al padrone. Parla invece di sé: lui dà la vita, con un gesto folle di amore, che diventa il principio insperato di vita per tutti.
    Questa «buona notizia» è «dentro» gli avvenimenti raccontati. Va raccolta e accolta, andando oltre la storia dei vignaioli ribelli e del padrone esoso. La «buona notizia» della morte che dà la vita è preziosa per leggere gli avvenimenti della nostra vita quotidiana.
    Ma c'è di più.
    Anche nel contributo che le è specifico, non possiamo utilizzare la Parola di Dio come fosse un dato della scienza, tutto dimostrabile e da cui derivare conclusioni sicure e rassicuranti. Guida e ispira la nostra ricerca, orienta le nostre decisioni, giudica le nostre esperienze, mettendo sempre in primo piano la ricerca, la decisione, l'esperienza dell'uomo. Essa infatti resta «parola d'uomo»: parola di Dio pronunciata dentro le povere parole dell'uomo. È parola che cerca la libertà dell'uomo e la sua responsabilità. La sorregge contro l'incertezza e il tradimento; la esige contro il facile disimpegno.

    3. IMPARARE A «LEGGERE DENTRO» LA VITA QUOTIDIANA

    Una lettura di fede richiede la capacità di uno sguardo complessivo e globale, che corre da quello che si vede a quello che non si vede. Non possiamo sicuramente disinteressarci o, peggio, rifiutare le logiche e le esigenze della prima lettura, quella condotta con gli strumenti della scienza e della sapienza dell'uomo. Esige, però, come momento decisivo il coraggio di contemplare il mistero.
    Senza questa immersione nel profondo, fatta di possesso nella speranza e di visione dell'invisibile, restiamo catturati dal fascino di quello che vediamo e ci ritroviamo sperduti nella trama confusa degli avvenimenti, esposti alla tentazione di manipolarli nel nostro egoismo.
    Il credente, che vuole vivere da adulto nella fede, lo sa e persegue continuamente questa esperienza. Diventa una persona capace di «leggere dentro» la vita quotidiana: diventa un «contemplativo».
    La contemplazione è una dimensione irrinunciabile per la vita di fede. Nella contemplazione ci tuffiamo nel mistero, alla ricerca di eventi che vanno oltre quello che la sapienza umana è in grado di decifrare. Viviamo il presente dalla prospettiva dell'invisibile: «Possediamo già le cose che speriamo e conosciamo già le cose che non vediamo» (Eb 11,1).
    Quando possiamo dire a noi stessi di aver veramente incontrato l'evento di Dio nelle pieghe della nostra vita quotidiana?
    Non possiamo certamente pronunciare la parola della nostra fede con la stessa saccente sicurezza con cui intessiamo i nostri affari e srotoliamo le conquiste della nostra scienza. Ma non vogliamo neppure illudere noi stessi e gli altri, contrabbandando come esperienza dell'invisibile quello che invece è solo frutto dei nostri sogni e delle nostre illusioni.
    Mi metto alla scuola dei grandi credenti e suggerisco alcune condizioni che ci aiutano a vivere di fede nel ritmo della vita quotidiana.

    3.1. Saper ascoltare nel silenzio

    Per decifrare la realtà e radicare la nostra fede nel possesso di una speranza capace di portarci alla verità, dobbiamo incontrare il mistero della volontà di Dio (cf Ef 1,9). Esso ci giunge attraverso quel gesto di accondiscendenza e di vicinanza con cui Dio parla agli uomini come ad amici (Gv 15,14-15), che i cristiani chiamano «la rivelazione».
    Non siamo noi che tentiamo, magari balbettando, di dire qualcosa a Dio. Lui ci parla dal silenzio per portarci alla sua verità. L'ascolto, obbediente e disponibile, è la condizione fondamentale della fede, proprio perché è la condizione fondamentale per avvicinarsi alla rivelazione di Dio.
    Purtroppo noi siamo gente abituata al frastuono e ad ascoltare solo coloro che gridano a squarciagola. Per ascoltare la voce di Dio che viene dal silenzio dobbiamo, per forza, imparare a rivestirci di silenzio.
    Dio è Parola sussurrata, come la brezza di una calda sera d'estate (Gn 3,8), sconvolgente e imprevedibile perché mai posseduta. Ce lo ricorda una pagina famosa della Bibbia: l'incontro di Dio con Elia, il profeta che «era come il fuoco, la cui parola bruciava come una fiamma» (Sir 48,1). «11 Signore stava passando. Davanti a lui un vento fortissimo spaccava le montagne e fracassava le rocce, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento venne il terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto venne il fuoco, ma il Signore non era neppure nel fuoco. Dopo il fuoco, Elia udì come un lieve sussurro. Si coprì la faccia con il mantello, uscì sull'apertura della grotta e udì una voce che gli diceva: Che fai qui, Elia?» (1 Re 19,11-14).
    Dio ci ha già parlato e continua a parlarci. Lo fa in molti e differenti modi, lui che è futuro e novità continua. Per questo l'ascolto credente diventa «memoria». «Ricordati di Gesù Cristo», raccomanda Paolo al discepolo Timoteo (2 Tm 2,8), quando lo invita a pensare seriamente alla sua vocazione.
    Facendo memoria delle cose meravigliose che Dio ha compiuto per il suo popolo, prolunghiamo nell'oggi la forza trasformatrice di questi stessi avvenimenti. Li facciamo diventare il nostro «oggi»: un presente che ci rende presente il Dio di Gesù, impegnato per la vita nostra e di tutti gli uomini.

    3.2. Una ricerca mai interrotta

    L'avventura di scoprire il mistero che la nostra vita si porta dentro non è mai conclusa. Non abbiamo un deposito sicuro a cui attingere, come se bastasse trovare il libro giusto per avere tutte le risposte o per averle una volta per sempre.
    In presenza di un mistero che supera la capacità di comprensione sapiente, il credente si immerge nella fede e ritorna, con attenzione penetrante, sugli avvenimenti. Legge dentro le vicende della sua vita quotidiana, alla ricerca del mistero di cui sono cariche.
    La decisione di fede è un salto coraggioso nel mistero che ci sovrasta. Non sopporta i lunghi tentennamenti né cerca i calcoli accorti dei bilanci previsionali.
    Questa stessa decisione va però progressivamente riconquistata e posseduta, per tornare ogni giorno fresca e giovane. Per questo la prima avventura viene rimeditata continuamente, ripresa e rivissuta in una tensione che porta maggiormente alle soglie del mistero. Non ripensiamo a quello che abbiamo vissuto per capirlo meglio. Lo rileggiamo per sprofondarci di più nell'abisso di Dio che chiama nel silenzio e nell'imprevedibile.

    3.3. Nel santuario intimissimo di ogni persona

    Il luogo in cui la parola di Dio risuona, per svelare il mistero della speranza, è l'esistenza di ogni persona, quel santuario intimissimo e sacro che, in un certo modello espressivo, chiamiamo la «coscienza».
    Ciascuno di noi è impegnato a dire personalmente: io credo. Non possiamo farci sostituire da nessuno.
    Questo spazio va conquistato ogni giorno, liberato dagli idoli che lo affollano. È un luogo di libertà per l'ascolto. Ed è un luogo di lotta solitaria: la speranza che viene dall'invisibile costringe a una decisione che è come quella dei martiri della prima èra cristiana, e l'esperienza della giustizia di Dio rende terribilmente inquieto un cuore affamato di giustizia.

    3.4. La risonanza ecclesiale

    Ascolto, ricerca, contemplazione sono un atto strettamente personale. Non sono però un processo da realizzare cercando un isolamento rassicurante dal frastuono degli altri. Sono sempre un atto ecclesiale: da vivere nella comunità ecclesiale, lasciando misurare la nostra soggettività da altre soggettività e riconoscendo la funzione autorevole dei testimoni della fede e della Parola, in quella comunità che custodisce la nostra debole fede, la vivifica e la rigenera.
    La comunità ecclesiale è come il «grembo materno»: custodisce una esistenza personalissima e irripetibile, che «esiste» però solo perché accetta di essere custodita. Come il bimbo che nasce è legato a sua mamma, così ogni decisione nella fede non si può mai separare dal nostro essere nella comunità ecclesiale. La comunità è il soggetto credente che ci permette di credere come figli di Dio, nella verità e nell'unità.
    All'interno della comunità la nostra debole fede si consolida: la vita nella fede cresce progressivamente e gradualmente, in conoscenza e in coerenza.
    La comunità ecclesiale custodisce la fede dei figli che ha generato alla vita nuova, la vivifica, la rigenera.

    4. IL RISCHIO DELLA FEDE

    In ogni gesto della nostra vita ci ritroviamo di fronte a una alternativa molto seria: comprendere le cose solo alla luce di quello che riusciamo a decifrare, nell'esercizio sapiente della nostra ricerca; oppure riconoscere che la loro verità è più profonda e più intima, le pervade tutte il mistero di una presenza che confessiamo in un gioco appassionato di fantasia, di rischio calcolato, di esperienza di amore.
    Il cristiano accoglie il mistero come fondamento della sua esistenza. Nella fede sceglie di affidarsi totalmente a Dio, anche quando nutre il sospetto doloroso che ad attenderlo, invece di braccia accoglienti, ci siano soltanto nude rocce.
    Riconosce nell'incontro personale con Gesù Cristo, vissuto nella comunità ecclesiale, la radice della sua fede. Ma sa che si tratta di un incontro, originale e speciale, diverso da tutti gli altri incontri che punteggiano il ritmo quotidiano della nostra esistenza.
    Non si tratta certo di capire le cose per conoscerne meglio gli ingranaggi. Comprenderle, in questo caso, è vivere. Per questo l'alternativa risulta drammatica: consegnare a Dio la ricerca della propria sicurezza o assumersene personalmente il carico?
    Vivere di fede è un rischio e una scommessa. Una lettura di fede della realtà rappresenta sempre il coraggio di abbandonare la propria presunzione nell'abbraccio imprevedibile di Dio.
    Vivere nella fede non è quindi accettare qualcosa, ma accettare Qualcuno, rinunciare ad abitare noi stessi in un geloso possesso, per lasciarci abitare da Dio.


    T e r z a
    p a g i n A


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