Vivere di fede nella vita quotidiana /0
Quasi una premessa
Riccardo Tonelli
Nel libro sono richiamate molte pagine dell'Antico e, soprattutto, del Nuovo Testamento. Una riflessione sulla fede richiede per forza attenzione molto ampia alle sue radici.
Qualche volta ho riportato il brano alla lettera. Spesso però l'ho solo evocato, con frammenti della mia esperienza, nel racconto di una grande storia di vita.
Raccomando vivamente di leggere per intero i documenti citati. E consiglio di farlo da una traduzione bella come è quella che ho utilizzato (mi riferisco a: Parola del Signore. La Bibbia in lingua corrente, pubblicata dalla Elledici).
Il nipote di Rabbi Baruch, il ragazzo Jehiel,
giocava un giorno a nascondino con un altro ragazzo.
Egli si nascose ben bene
e attese che il compagno lo cercasse.
Dopo aver atteso a lungo, uscì dal nascondiglio;
ma l'altro non si vedeva. Jehiel si accorse allora
che quello non l'aveva mai cercato.
Questo lo fece piangere.
Piangendo, corse alla stanza del nonno
e si lamentò del cattivo compagno di gioco. Gli occhi di Rabbi Baruch si empirono allora di lacrime ed egli disse:
Così dice anche Dio:
«Io mi nascondo,
ma nessuno mi vuole cercare».
(M. BUBER, I racconti dei Chassidim, Milano 1985, 140)
Quasi una premessa
LA FEDE, TRA DATI OGGETTIVI ED ESPERIENZA SOGGETTIVA
Quello che analizziamo è un tema di esperienza quotidiana: la «fede cristiana». Proprio questa sua caratteristica rende facile e difficile nello stesso tempo parlarne assieme. È come chiedere a due persone che si vogliono bene di raccontare ad altri del loro amore. Sanno tutto... e, spesso, si inceppano alle prime battute: è disagevole fare teorie su quello che viviamo a livello intenso e coinvolgente, come l'aria che respiriamo.
Questa difficoltà è complicata da un modo di fare che sembra fatto apposta per rendere impossibile comunicare.
Qualcuno, quando parla delle sue esperienze, della vita e dell'amore, ci tiene a dire: per me è così e basta. Se ti piace, bene. Se non ti piace, è lo stesso. L'esperienza è mia... e la prendo come mi viene meglio.
Altre persone, invece, restano fredde e impersonali su tutto. Quando parlano, sembrano dei maestri di vecchio stampo, con la matita rossa e blu tra le mani, sempre pronti a correggere gli errori e a dare voti. Per loro non esiste la «mia» esperienza. Esiste solo il «dovere», il dato oggettivo, quello che è giusto o è sbagliato.
Questi atteggiamenti, così diversi, sono, in qualche modo, una conseguenza della nostra cultura. Una volta il «dato» prevaleva sulla esperienza, almeno nel modo comune di vedere e di esprimere le cose. Oggi, per le tante ragioni che conosciamo, sembrano quasi capovolte le prospettive: la «mia» esperienza personale prevale e diventa decisiva.
Qualcuno, conquistato dall'euforia di questo clima nuovo, non vede nient'altro. Qualche altro, invece, resiste con tutte le forze a un modo di fare che non gli sembra corretto. Qualche volta lo fa solo per nostalgia del passato. Altre volte, invece, teme le conseguenze di un modo di fare un po' troppo sbrigativo.
Ci vuole poco comunque a immaginare che tipo di conversazione ne nasce. Si ragiona attorno allo stesso fatto. Ma la prospettiva con cui esso viene osservato è così diversa che si parlano quasi lingue differenti, pur utilizzando lo stesso vocabolario.
Putto questo capita anche quando si riflette sulla fede.
I. I TERMINI DELLA QUESTIONE
Nella fede cristiana è presente un pacchetto di dati, i una loro consistenza molto precisa, la quale supera e giudica ogni esperienza personale. In gergo tutto questo viene chiamato «la dottrina della fede»: le verità teologiche su Dio, sull'uomo, sul rapporto che lega nell'amore queste due libertà e sul progetto che egli ha per la nostra pienezza di vita.
Questo contenuto della fede, documentato dalla tradizione ecclesiale, è un dato importante e irrinunciabile per riconoscere un fondamento saldo e sicuro su cui radicare la decisione di affidarsi totalmente a Dio. Rinunciando ad esso, corriamo il rischio di fondare tutto sulla sabbia, esponendo la nostra costruzione ai venti impetuosi della crisi.
Per qualcuno fede è solo questo. Si vive nella fede quando si conosce questo pacchetto di verità, si è capaci di esprimerlo in modo abbastanza corretto e, soprattutto, ci si impegna ad adeguare la propria esistenza alle proposte in esso contenute.
Altre persone preferiscono invece sottolineare che la fede è l'esperienza personale nei confronti del progetto globale di esistenza proposto dalla «dottrina della fede».
In questo modo di vedere le cose, i contenuti della fede non sono considerati una poesia da ripetere a memoria, evitando persino le inflessioni personali di tono e di voce. Anche nella tensione progressiva verso quello che la comunità ecclesiale confessa con le parole solenni della sua professione di fede, il credente dice il suo credo con le parole e i gesti della sua libertà e responsabilità. In ogni caso, conta soprattutto quella qualità nuova di esistenza che nasce sul fatto di affidare la propria vita e la propria speranza a un evento più grande di ciò che una persona è in grado di riconoscere e di progettare per sé.
2. LA SCELTA DI UNA PROSPETTIVA
«Dottrina della fede» e atteggiamenti personali e vitali non sono proprio la stessa cosa. Non possono però essere contrapposti, come se una realtà potesse reggersi senza l'altra. Non si può nemmeno dire che una sia più importante dell'altra. Chi lo fa, si espone al rischio di costruire solo macchine di riproduzione fonica che sanno ripetere alla perfezione quello che è stato precedentemente registrato, o di ritrovarsi solo e triste, senza un fondamento sicuro alla propria speranza.
La diversità si nota invece quando scegliamo un punto di vista per osservare la maturazione di una persona nella fede. Se sono preoccupato prima di tutto dei contenuti oggettivi della fede, sono più facilmente portato a valutare la distanza che corre tra lo stato di fatto e il suo dover essere. Se privilegio invece l'espressione personale, ragiono più facilmente in termini di cammino, di crescita, di gradualità.
Nella mia riflessione non rifiuto certo la dimensione oggettiva, ma la considero l'orizzonte verso cui orientare e da cui valutare il cammino di progressiva maturazione personale.
Per questo mi piace ragionare dalla prospettiva dell'esperienza personale di fede.