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     Alla ricerca

    della spiritualità

    vissuta in modelli

    Seconda parte

     

    Giovanni Battista Bosco, Crescere come animatori della fede. Una spiritualità per educatori di ragazzi e adolescenti, Elledici 1994

     

    PARTE SECONDA 

    ALLA RICERCA DELLA SPIRITUALITÀ VISSUTA IN MODELLI

    Caro educatore, la categoria dei modelli è ancora attuale oggi. Basti pensare al ricupero nell'evangelizzazione e nello stesso campo pedagogico della comunicazione narrativa e della valenza del simbolico. Certo non si tratta di ritornare al passato per rilanciare biografie obsolete oppure esempi devozionali e tantomeno moralistici. E neppure si intende riproporre la cosiddetta imitazione di esemplari difficilmente ridelineabili oggi. Ci viene invece sottoposta a riflessione tutta quella pedagogia che si rifà a modelli ispiratori perché riferiscano di opportunità e fattibilità di esperienze significative. E altrettanto viene richiamato all'attenzione della formazione spirituale quanto sia valida la forza dei cammini simbolici, concretizzati in persone vive e non semplicemente in dichiarazioni di idee o principi. Nell'èra della comunicazione ci sentiamo agguerriti in questo campo: le parole suonano e vanno, ma i gesti colpiscono la mente e il cuore. È la conferma di un vecchio proverbio: le parole volano e gli esempi trascinano. Paolo VI traduce nell'Evangelii nuntiandi questa sapienza umana ed evangelica, asserendo che l'uomo d'oggi ha bisogno di testimoni più che di maestri. I testimoni nella storia divengono modelli cui riferirsi. Qui intendiamo rifarci a quanto don Bosco ha lasciato scritto nelle biografie su Michele Magone, Francesco Be-succo e Domenico Savio, rivivendone l'esperienza per segnalarla agli educatori d'oggi.
    Alla luce degli scritti di don Bosco cerchiamo di cogliere come lui ha operato nell'educazione dei suoi ragazzi, come ha agito per formare gli adolescenti alla santità. Non è un'impresa facile, ma confidiamo di più nella forza dell'esemplarità delle figure che vengono presentate.

    1. Nominare Domenico Savio è chiamare in causa don Bosco

    Evocare don Bosco, parlando di Domenico Savio, non avviene certo solo per motivi storici noti a ciascuno di noi, bensì per il rapporto educativo che unisce i due santi, e soprattutto per il cammino di santità giovanile che ci fa ripercorrere.
    Don Bosco è giustamente definito «maestro di spiritualità giovanile». L'audace proposta di «santità» per i giovani è intrinseca alla sua arte educativa e al sistema preventivo (JP 16): egli infatti realizza la personale santità mediante l'impegno educativo vissuto con cuore apostolico, e al contempo sa proporre la santità come mèta concreta della sua pedagogia.
    Un intreccio singolare tra educazione e santità caratterizza la sua vita: è un «educatore santo», si ispira a un «modello santo» (Francesco di Sales), è discepolo di una «guida santa» (Giuseppe Cafasso), in particolare sa formare tra i suoi educandi un «ragazzo santo» (Domenico Savio).
    Questa atmosfera di spiritualità e di santità viene colta da Domenico in modo impressionante.
    A conclusione del celebre colloquio nello studio di don Bosco, Domenico esclama con arguzia: «Ah! Qui si fa commercio d'anime!», ossia si punta sulla santità della vita. E ancora meglio manifesta di avere compreso a fondo il clima e la proposta quando, dopo aver ascoltato una predica di don Bosco sulla santità, dichiara con forza la sua voglia di farsi santo.
    L'episodio è emblematico. Domenico è in crisi, tanto da mostrarsi meno allegro del solito. Tutti se ne accorgono, ma la spiegazione, consegnata nelle mani del suo educatore, è più che convincente: «Io voglio assolutamente, ed ho assolutamente bisogno di farmi santo. Mi dica dunque come debbo regolarmi per cominciare tale impresa».

    2. Santità: un appello e un impegno rivolto a tutti

    Il Concilio, come sappiamo, ha proclamato solennemente che tutti i cristiani sono chiamati alla santità, alla pienezza di spiritualità.
    Lo fa mettendo in evidenza due certezze che sono per noi di riferimento autorevole: la santità proviene da Dio solo e noi la esprimiamo in diversi stili di vita.
    La santità è una sola, perché unica è la fonte, lo Spirito del Signore: «Un'unica santità è coltivata da quanti sono mossi dallo Spirito di Dio e, obbedienti alla voce del Padre in spirito e verità, seguono Cristo» (LG 41), il modello di ogni santità. Non esiste quindi la santità per religiosi che ne fanno professione, poi quella per i presbiteri e infine la santità per laici. La vita nello Spirito è proposta a ciascuno nella sua totalità e coinvolge tutti i credenti con lo stesso spessore d'impegno.
    E tuttavia è ragionevole, e la storia della Chiesa lo conferma, distinguere diversi stili di santità, manifestazioni pluriformi della magnanimità dello Spirito. La Lumen gentium (41) così si esprime: «Ognuno secondo i propri doni e uffici deve senza indugi avanzare per la via della fede viva, la quale accende la speranza e opera per mezzo della carità».
    Accanto alla parola «spiritualità» il qualificativo che la determina non è certo secondario, dal momento che ogni credente è tenuto a giungere alla santità «nel proprio modo» e «nel suo genere di vita».
    È comprensibile allora perché mai Giovanni Paolo II, riferendosi a don Bosco, afferma che questi «è l'iniziatore di una vera scuola di nuova e attraente spiritualità apostolica» (JP 5).
    In effetti don Bosco manifesta una singolare testimonianza di esistenza nello Spirito e di agire apostolico secondo il sistema preventivo, che gli è del tutto peculiare, dando vita a un movimento di spiritualità di ampie dimensioni e di simpatica originalità. Il suo è «un progetto originale di vita cristiana», la cui «fonte carismatica risale alla corrente spirituale dell'umanesimo di san Francesco di Sales, ritradotto da don Bosco» (E. Viganò).
    Aprirsi perciò a tale proposta di santità non è percorrere sentieri isolati o sentirsi gelosi proprietari di un tesoro.
    Al contrario, scegliere di vivere simile spiritualità immette in una viva corrente spirituale della Chiesa e impegna a farne dono ai giovani di ogni ambiente e alla gente comune, quale santità tipicamente giovanile e popolare.

    3. L'originalità si chiama «santità giovanile»

    Nelle nostre considerazioni sulla santità, constatiamo volentieri quanto il Concilio Vaticano II ha solennemente proclamato e gioiamo per il vasto movimento di spiritualità che ha origine da don Bosco. Intendiamo però sostare insieme a comprendere meglio «l'originalità storica» di don Bosco nella proposta di santità giovanile.
    A tale scopo accenniamo a tre frasi esclamative che suonano peraltro come ferme convinzioni.

    3.1. Davvero esiste una santità per l'adolescenza!

    Con i suoi quasi 15 anni Domenico Savio lo dimostra con i fatti. Mai prima del 1950 è stato proclamato beato un adolescente. Tale categoria dei ragazzi sembrava dimenticata, come se si dubitasse delle loro potenzialità di cuore e di spirito. Con la santità di Domenico la Chiesa prende consapevolezza che questa tappa evolutiva ha un valore decisivo nella vita e che ogni generazione porta con sé una speranza nuova per la società e per la Chiesa.
    Ne dà conferma l'interesse del Papa attuale, che chiama ripetutamente il mondo giovanile alla propria originalità e responsabilità. E don Bosco ha fatto di questo la missione della sua esistenza intera.

    3.2. Davvero emerge uno stile peculiare di santità giovanile!

    L'educazione integrale, voluta e praticata da don Bosco, si traduce per lui in pedagogia realistica di santità, in una vita spirituale piena, dal volto giovanile.
    Don Bosco non intende deludere le aspirazioni profonde dei giovani, che manifestano bisogno di vita e di amicizia, esigenza di amore e di libertà, necessità di espansione e di gioia: sono parte essenziale della loro esistenza.
    Su queste esigenze vitali egli porta i giovani con gradualità e realismo a sperimentare che solo nell'amicizia con Cristo si attuano in pieno gli ideali e i valori più autentici (JP 16). Per lui educare alla fede «si situa all'interno del processo di formazione umana..., consapevole che la parola del Vangelo deve essere seminata nella realtà del vivere quotidiano» (JP 15). Gesù, il Signore della vita, si assume tutta l'esistenza e la salva donando pienezza di vita: questo è il segreto della sua singolare proposta di santità.

    3.3. Davvero la santità proposta ha una valenza sociale attuale!

    Sul piano politico e sociale, don Bosco segna un inizio con la «pedagogia del povero» (A. Caviglia). È evidente che il sistema preventivo contrasta con i metodi repressivi del tempo, ma anche si differenzia dai metodi pedagogici concepiti per la società borghese. La pedagogia di don Bosco non si ferma al gesto caritativo o alla bontà paziente, bensì si fonda su una concezione organica che partendo dal vissuto del povero, vi si immedesima per elevarne il livello morale e spirituale. Con la scelta determinante della santità, tale pedagogia accompagna la gioventù povera a un grado di pienezza umana e cristiana da poter essere additata a modello per tutti i giovani. Al di là di ogni possibile distinzione, ogni giovane si può riconoscere in essa: è una proposta socialmente valida, perché coinvolge in particolare gli ultimi, ed è culturalmente di peso in quanto tende a rigenerare la società nelle nuove generazioni.
    Per approfondire quanto abbiamo richiamato ora sulla spiritualità giovanile, rivisitiamo, nella vivacità del vissuto e del racconto, le biografie che don Bosco ha scritto su tre dei suoi ragazzi: Domenico Savio, Michele Magone, Francesco Besucco. Lo faremo nella sobrietà delle citazioni e nel richiamo di punti nodali. In questo evidenziamo come don Bosco concepisce la vita spirituale per i suoi ragazzi e li guida indefessamente alla santità. Indaghiamo perciò insieme l'animo giovanile, il patto educativo e la vita teologale.

    I. L'ANIMO GIOVANILE NELLA SUA DISPONIBILITÀ

    Nella lettura delle tre biografie di don Bosco emergono con evidenza talune disponibilità psicologiche circa il cammino di santità. L'animo giovanile non rimane insensibile e tanto meno distaccato da certe sollecitazioni che provocano l'esistenza quotidiana. Possiede anzi particolari capacità nel sintonizzarsi sulle lunghezze d'onda che lo fanno maturare.
    I tre dialoghi che riportiamo sotto, pur nella loro brevità, sono una chiara prova di quanto viene asserito.

    Dialogo tra don Bosco e Michele Magone.
    - Mio caro Magone, hai volontà di abbandonare la tua vita da monello e metterti a imparare un mestiere o continuare gli studi?
    - Ma sì che ho volontà, questa vita non mi piace più: alcuni miei compagni sono già in prigione e io temo altrettanto per me; ma che fare? Mio padre è morto e mia madre è povera, chi mi aiuterà?

    Dialogo tra Domenico Savio e don Bosco.
    - Ebbene, che gliene pare, concluse Domenico: mi condurrà a Torino per studiare?
    - Eh! mi sembra che ci sia buona stoffa.
    - A che può servire questa stoffa?
    - A fare un bell'abito da regalare al Signore.
    - Dunque, io sono la stoffa e lei sia il sarto: mi prenda con lei e farà un bell'abito per il Signore.

    Dialogo tra don Bosco e Francesco Besucco.
    - Che hai, gli dissi, mio caro Besucco?
    - Io mi trovo qui in mezzo a tanti compagni tutti buoni ed io vorrei essere molto buono al par di loro: ma non so come fare ed ho bisogno che ella mi aiuti.
    - Ti aiuterò con tutti i mezzi a me possibili.
    Ci troviamo di fronte a dialoghi che fanno trasparire situazioni assai differenti, sia per contesto che per problematiche, ma gli animi dei tre ragazzi parlano all'unisono, esprimono attese e sensibilità comuni, che meritano di essere esplicitate.

    1. Un fine intuito nel cogliere quanto serve a crescere

    Di fronte alle tre situazioni la nostra meraviglia non riesce a celare un fatto: è il constatare che tre ragazzi, con storie personali tanto diverse, dimostrano di capire sino in fondo che la questione sollevata mette in gioco la loro vita, il loro futuro, la loro felicità.
    Pur nello scarno dialogo citato, ma di certo nel contesto di tutta la narrazione, si avverte limpido il desiderio di bene in ognuno di essi, il fine intuito di quanto serve per crescere veramente.
    A ragione don Bosco era convinto che in ogni ragazzo, anche il più «disgraziato», c'è un punto accessibile al bene. Il segreto sta nel cogliere questo punto, questa corda sensibile per aiutarlo a crescere. E il suo sistema educativo si propone appunto di risvegliare le energie migliori, facendo appello «alle risorse dell'intelligenza, del cuore e del desiderio di Dio, che ogni uomo porta nel profondo di se stesso» (C 38).
    Da questo sentire profondo scaturisce l'interrogativo che tutti e tre ritengono determinante e che esplicitano con preoccupazione: chi mi accompagnerà a crescere secondo quanto sento nel cuore?

    2. Un'esigenza istintiva di potersi confidare e affidare

    All'interrogativo posto risponde la ricca sequenza di vicende e accadimenti descritti nelle biografie. Ma la risposta è ben colta da un episodio in particolare. Ecco il racconto.
    Un giovane domandò in pubblico a don Bosco (16 maggio 1857) qual era la regola o la chiave di Domenico per divenire così buono.
    «La chiave e la serratura - gli fu risposto - che usava Domenico per entrare nella via del paradiso e chiudere il passaggio al demonio, era l'obbedienza e la gran confidenza con la sua guida spirituale».
    Confidare e affidarsi è la regola d'oro per ottenere quanto sta a cuore a ciascuno. Solo la relazione d'amicizia e la fiducia reciproca possono instaurare quel rapporto, che diviene la condizione indispensabile per la riuscita dell'azione educativa.
    Appunto l'abbandono confidente e fiducioso nella guida dell'educatore che viene loro incontro è sentito dai tre come un dono, come un'esigenza su cui impostare il proprio cammino di maturazione. Senza tale disponibilità non si entra in comunicazione costruttiva, non si crea ambiente educativo.
    Don Bosco infatti amava usare i termini «familiarità» per definire il rapporto e «spirito di famiglia» per caratterizzare la serenità e la spontaneità dei suoi ambienti giovanili.
    «Senza familiarità non si dimostra l'affetto e senza questa dimostrazione non vi può essere confidenza. Chi vuol essere amato bisogna che faccia vedere che ama». E così agiva perché possedeva una radicale fiducia nei suoi ragazzi: «Questi cari giovinetti hanno una naturale intelligenza per conoscere il bene che viene loro fatto personalmente, e insieme sono pure dotati di cuore sensibile, facilmente aperto alla riconoscenza» (G. Bosco).
    Ma perché creare questo ambiente di familiarità? Come mai affidarsi all'educatore?

    3. Un dialogo che dice ricerca del progetto di vita

    Quel «che fare?», quel «bell'abito» delle conversazioni riportate pongono in primo piano la questione del progetto di vita. Potrebbe apparire strano, specie al giorno d'oggi, che simili preoccupazioni si agitino nell'animo di adolescenti. Eppure, anche se in forma radicalmente differente, anche oggi si sollevano interrogativi del genere.
    Immersi in un diffuso disorientamento ideale o in un facile relativismo di valori, i ragazzi di oggi manifestano sofferenza nella ricerca. Non tutto appare evidente, come nel passato: occorre smascherare le egemonie.ideologiche, denunciare i persuasori occulti, far percepire i valori autentici... Cionondimeno essi sanno esprimere «anche oggi le attese dell'umanità e portano in sé gli ideali che si fanno strada nella storia» (ETC 44).
    Sono affascinati dai valori che vedono incarnati nella vita, attratti dalle testimonianze che segnano loro la strada da percorrere con coraggio. Così avviene oggi, come allora.
    Tra i ragazzi di don Bosco l'insoddisfazione interiore si fa sentire nella ricerca di qualcosa che riempia la loro vita. Michele appare alquanto pensieroso riguardo al futuro, Francesco svela il suo desiderio di emulare i suoi amici migliori, Domenico già intravvede il suo progetto nella voglia di farsi santo.
    Sono i segni del desiderio di avventurarsi in avanti e al contempo della volontà di progettarsi.
    L'esperienza quotidiana di don Bosco è segnata da simili attese giovanili. Per questo si accompagna con i giovani che trova smarriti in una Torino industriale o che nella loro povertà avvertono la fragilità nell'orientarsi, per aiutarli nella ricerca.
    Altrettanto è la nostra esperienza di educatori, che operiamo per far emergere progetti di vita nei giovani, certi che sono già nei loro cuori. È il compito di un educatore che intende orientare a scelte di vita.

    4. Una guida che ha il sapore della libertà

    Evocare l'esigenza di una guida non significa indubbiamente per i nostri tre amici abdicare alla propria libertà, anzi al contrario. Appunto per l'età stessa il senso della libertà d'azione rimane vivissimo, tanto che don Bosco ha dovuto sudare per correggere talune intemperanze giovanili. La crescita nella libertà è fondamentale.
    La realtà della guida viene vissuta da loro più come amicizia autorevole che quale perdita di libertà. Del resto un invito insistente di don Bosco ne rappresenta la chiave interpretativa: «Io non voglio che mi consideriate tanto come vostro superiore, quanto come vostro amico».
    Una visione simile del rapporto educativo si radica nella convinzione decisa che riconosce al ragazzo il diritto a una maturazione graduale e personalizzata. Non vi è forzatura dei tempi e dei modi nel raggiungere gli obiettivi educativi, per cui il ragazzo si sente pienamente accolto e rispettato. Perciò l'azione educativa si concentra anzitutto nel «deve venire da sé». È l'ambiente carico di valori e di vissuti che opera da catalizzatore verso il bene in un moto spontaneo e proposto.
    Don Bosco declina il principio della libertà sulla forza attraente di un ambiente propositivo e valido. Il «si dia ampia libertà di saltare, correre, schiamazzare a piacimento» non è per nulla il volto esterno di un ambiente, bensì uno stile di vita che coinvolge tutta l'esperienza sino a far giungere il giovane alle istanze interiori e profonde.
    All'azione educativa si impone poi un criterio di prassi: «l'un per uno». Le esigenze di ognuno devono essere norma di intervento pedagogico. Lo standardizzare o l'omogeneizzare sono contro il sentire educativo di don Bosco: ne rappresentano la negazione.
    «In fatto di divozione la sua prima regola era la libertà, afferma don Caviglia. La direzione spirituale di don Bosco fu sempre libera come l'aria e nuova come il sole: cioè studiosa dell'un per uno». Anzi, addirittura «la cura dei singoli è per don Bosco un equivalente della libertà di spirito, intesa come rispetto della personalità spirituale».

    II. IL PATTO EDUCATIVO CHE SI FA CAMMINO COMUNE

    Dopo aver scrutato un poco l'animo giovanile, ci addentriamo ora nel comprendere ciò che viene denominato usualmente il patto educativo.
    È attuale oggi disquisire su di esso. Ma non è per noi una questione di moda, bensì una istanza inderogabile.
    Lo sappiamo: sulla relazione si gioca la carta vincente dell'educazione. La comunicazione educativa infatti non comporta semplici abilità tecniche per rapportarsi con correttezza, o utili annotazioni per integrare il vissuto esistenziale. Rappresenta al contrario lo snodo in cui l'evento educativo avviene: si comunica per crescere e si cresce nello scambio. La relazione educativa si rivela così intenzionale e si propone come progettuale. È un patto tra libertà in sviluppo che si incontrano per crescere nel rispetto della loro dignità. La parola chiave interpretativa non può essere allora che il «cuore».

    1. Protagonista del patto educativo è il cuore

    È noto quanto don Bosco parlasse di amorevolezza nell'educare: ne ha fatto il supremo principio del suo sistema preventivo.
    Don Caviglia lo esprime a meraviglia quando scrive: «L'educazione è cosa del cuore: tutto il lavoro parte di qui, e se il cuore non c'è, il lavoro è difficile e l'esito incerto».
    Senza dubbio la «cosa del cuore» è sintesi di rigorosa e amabile dolcezza, di umanità fatta a misura del ragazzo e di genuina cordialità. Ma è al contempo bontà educativa che risale alla sorgente della carità di Dio, come amore operoso che salva.
    La mistica del cuore secondo don Bosco sta nel conquistare il cuore dei giovani per guadagnarli a Dio. Il centro propulsore della sua azione è qui, nella carità che «inclina ad amare il giovane, qualunque sia lo stato in cui si trova, per portarlo alla pienezza di umanità che si è rivelata in Cristo» (JP 9).
    «Ricordatevi - dichiarava don Bosco - che l'educazione è cosa del cuore, e che solo Dio ne è il padrone, e noi non potremo riuscire a cosa alcuna se Dio non ce ne insegna l'arte e non ce ne dà in mano le chiavi».
    Alla luce di queste considerazioni comprendiamo perché don Bosco dia tanto rilievo al cuore nelle sue tre biografie. È interessante rilevarne gli sviluppi e le sfumature.

    1.1. La «Vita» di Magone è un vero cantico del buon cuore

    Non v'è altro scritto di don Bosco dove il buon cuore abbia la parte dominante come nella biografia di Magone: è senz'altro il protagonista di tutto questo magnifico dramma biografico.
    L'esperienza educativa di don Bosco con Michele è tutta fondata sul principio che sta sopra ogni altro: per educare occorre necessariamente «scendere col proprio cuore nel cuore del giovane». E quando questi si mette in sintonia e risponde, tutta l'opera educativa è assicurata.
    La biografia di Michele è uno stupendo manuale di educazione per le vie del cuore, un documento classico di pedagogia alla don Bosco. In essa vengono descritti con vivacità il clima educativo e lo stile di amicizia che stanno alla base di ogni rapporto con i giovani. Senza di essi si corre il pericolo di non riuscire a muovere quel tipico dinamismo psicologico giovanile che assicura la realizzazione di un patto assunto insieme.

    1.2. Nella «Vita» di Besucco il cuore è la forza per fare il massimo

    Nella biografia su Francesco il cuore diventa l'amore, la forza motrice, l'impulso a fare il più che si può.
    Il vivere con impegno il proprio dovere, ossia il far le cose con amore e per amore, conduce a quella gioia che gratifica lo spirito e suscita l'impulso che porta a operare «sempre più e sempre meglio». Il fulcro centrale sta nella santificazione per mezzo dell'amore vissuto nel quotidiano.
    Leggendo attentamente l'esperienza educativa con Francesco, notiamo come don Bosco privilegi la formazione della volontà. Di fronte a un ragazzo, un po' fragile per natura, egli intuisce che il fulcro educativo su cui insistere sta lì, e che la fatica conseguente è affidata all'amorevolezza. Viene così proposta una voluta diligenza di non mancare in nulla, per essere buono e santo come gli altri.
    In fondo è la certezza che «senza cuore santi non ce n'è, ... e senza cuore santi non se ne fa» (A. Caviglia).

    1.3. Nella «Vita» di Savio il cuore trova uno sbocco nell'azione

    L'azione apostolica rappresenta il punto culminante della vita santa di Domenico, ed è evidentemente un esito naturale dell'amore, simboleggiato nel cuore. L'evangelista Giovanni ce lo ricorda: «Non posso amare Dio che non vedo, se non amo i fratelli che vedo». Il vero amore di Dio spinge naturalmente all'amore del prossimo.
    Don Bosco svela il centro della personalità di Domenico con una frase assai incisiva: «L'amore di Dio non è inerte: vuole e opera».
    I cuori di don Bosco e di Domenico palpitano così davvero all'unisono: la spiritualità del «da mihi animas», peculiarità dell'educatore, è penetrata sin nelle midolla del giovane santo.
    La sintonia è perfetta: vivendo da infaticabili apostoli, percorrono un identico cammino di santificazione. E la loro comunione spirituale si riconosce nella medesima carità educativa e santità apostolica.

    2. Il terreno educativo dell'impegno di crescita

    Il cuore, protagonista del patto educativo, si misura su un terreno di impegno e di dedizione.
    L'Oratorio è la parola magica che lo esprime. In esso ci si cimenta nell'operare il bene. È considerato nella sua ricchezza e varietà di opportunità. In realtà è anzitutto una casa che accoglie, che si fa punto d'incontro, che apre le porte ai giovani; è luogo di convocazione, in cui ciascuno si trova a suo agio e tutti si sentono come a casa loro.
    Simile considerazione non è scontata e trascurabile, come può apparire di primo acchito. La proposta di stare insieme, di incontrarsi, di convivere assurge a piattaforma irrinunciabile della via educativa scelta da don Bosco. Tra l'impegno catechistico e l'attività politica l'amico dei giovani opta per una via tutta sua, intuendone la portata di rigenerazione sociale e il peso culturale di uno stile di presenza. Operare per promuovere «l'uomo pienamente educato, l'uomo capace di educare se stesso» e impegnarsi perché «l'uomo diventi sempre più uomo, che possa essere di più..., che sappia sempre più pienamente essere uomo» (JP 1), dimostrano il coraggio della scelta e la fiducia nella validità della missione. Su questo terreno di impegno formativo si misura la capacità di amare per crescere.
    Sotto il profilo pedagogico tre emblemi, la scuola (o il lavoro), la chiesa e il cortile, rappresentano tre forti istanze esistenziali nel mondo giovanile, che don Bosco esprime in una formula incisiva: «allegria, studio, pietà», alla portata di tutti i suoi ragazzi e con sollecitudine per ciascuno di essi.
    Li passiamo in rassegna per sottolinearne il valore educativo e l'esigenza di impegno apostolico.

    2.1. La scuola o il lavoro come luogo dell'impegno

    Il «dovere» è un termine chiave e una parola d'ordine nello stile di vita di don Bosco, «una scuola che avvia alla vita» (C 40).
    Non è pensabile un cammino di santificazione al di fuori del contesto dell'impegno quotidiano. La lettura dei capitoli delle tre biografie che affrontano questo tema, ci consegna ricchezza di vissuti spirituali e di indicazioni pedagogiche, che consideriamo qui di seguito, anche se solo a flash.
    - PUNTUALITÀ NEI PROPRI DOVERI PER MICHELE
    L'uso scrupoloso del tempo e la diligenza nell'adempimento del dovere sono un modo pratico per collegare vita quotidiana e vita spirituale. Una tale importanza conferita alle azioni quotidiane viene data nel convincimento che esse non hanno solo un qualche peso umano, ma si rifà al loro valore nella coscienza religiosa.
    La vita di Magone, presentata come un «modello per quasi tutti», sottolinea che la santità può essere raggiunta non solo per le vie ardue delle grandi gesta spirituali, ma anche per i sentieri modesti della spiritualità nelle cose comuni e accessibili a tutti. Anzi si insiste nell'affermare che la santità venga esercitata e mostrata nelle cose di ogni momento e nelle azioni consentite a ciascuno.
    Il frequente richiamo di don Bosco non può essere che il seguente: «Teniamoci alle cose facili, ma si facciano con perseveranza». «Questo è il sentiero che condusse Michele «a un meraviglioso grado di perfezione»: «era stupendo il vedere colui che era l'anima della ricreazione e teneva tutti in movimento, ... trovarsi il primo in quei luoghi dove il dovere lo chiamava».
    - LA DEVOZIONE ACCOMPAGNA OGNI AZIONE IN FRANCESCO
    Secondo la presentazione di don Bosco, Francesco è il campione della pietà tra i suoi compagni.
    La sua visione religiosa dell'esistenza però non scorre parallela alla vita, anzi ne informa tutta la realtà e ogni attività: è insieme perciò concezione religiosa del dovere.
    Nella luce di questa visione si colloca una prima considerazione: non si diventa santi se non attraverso il lavoro e lo studio quotidiano. Tra le tre cose suggerite da don Bosco a Francesco per farsi buoni c'è appunto la pratica di questa, lo studio.
    Una seconda considerazione, logica conseguenza della precedente, porta l'attenzione sul lavoro quotidiano, compiuto «con precisione, fedeltà, intenzione superiore». Deve cioè essere accompagnato dalla «devozione», che è senso della presenza di Dio, invocazione di aiuto, ricerca della sua gloria, offerta della propria fatica. Si tratta di lavoro santificato, nello slancio ed entusiasmo.
    Di Francesco don Bosco rileva: «Quello che dissi intorno alla diligenza di Besucco in materia di studio, si deve estendere a tutti gli altri doveri, anche più minuti: egli era esemplare in tutto». E don Caviglia aggiunge: «Se fosse un santo, il Besucco sarebbe il santo dei piccoli doveri»; e ciò lo mette alla portata di tutti i giovani.
    - NOBILE PRECISIONE PER IL SERVIZIO DI DIO IN DOMENICO
    Don Caviglia afferma che Domenico è il don Bosco numero uno, ossia in lui si rispecchiano i tratti fondamentali della spiritualità del maestro. E un primo tratto sta appunto in questo: la santificazione della vita nell'adempimento del dovere, compiuto per servizio di Dio, ossia per amor di Dio.
    Alla richiesta di Domenico sul come farsi santo, don Bosco lo consiglia «ad essere perseverante nell'adempimento dei suoi doveri di pietà e di studio»: questa è la formula magica della santità. Don Bosco sprona alla responsabilità nei propri impegni, convinto che in questo si adempie la volontà di Dio e ciascuno svolge la sua missione tra gli altri.
    Del resto Domenico ha ben compreso la lezione. All'amico Camillo che in un dialogo manifestava inaspettatamente il desiderio di fare la volontà di Dio e non sapeva che fare per farsi santo, risponde: «Sappi che noi qui facciamo consistere la santità nello stare allegri... Noi procureremo di adempiere esattamente i nostri doveri e di frequentare le cose di pietà».

    2.2. La Chiesa quale segno dell'incontro vissuto con Dio

    Pur consapevole che «il cortile attira più della chiesa», don Bosco rimane evidentemente e decisamente convinto che «senza la religione non è possibile educare». La sua pedagogia è infatti «costitutivamente trascendente», poiché il suo fine ultimo sta nel formare il credente. Per questo confida nel valore educativo e nella peculiare efficacia della religione e in particolare dei sacramenti. Presenteremo qualche nota illustrativa.
    - LA VALENZA EDUCATIVA DELLA CONFESSIONE E COMUNIONE
    Don Bosco guarda alla confessione e alla comunione come a «colonne dell'edificio educativo» da costruire.
    In una Chiesa della nuova evangelizzazione può sembrare davvero mortificante e riduttivo evidenziare l'importanza educativa dei sacramenti dell'Eucaristia e della Riconciliazione.
    E tuttavia non si tratta qui di misconoscere il rinnovamento conciliare o ancor meno di sminuire l'indispensabilità dell'evangelizzazione oggi. Solo si intende far intravvedere come nel cammino di crescita spirituale la confessione e la comunione siano «insostituibili energie educative di fondamentale importanza» (C 37).
    Nelle tre biografie l'aspetto mistico dell'esperienza sacramentale si riscontra ben presente. L'amico dei giovani ne privilegia tuttavia la rilevanza pedagogica, mettendola in risalto.
    Basti a proposito una citazione, che ha il tono della massima, o meglio, di un vero manifesto di vita: «Giovani, se volete perseverare nella via del cielo, vi raccomando tre cose: accostatevi spesso alla confessione, frequentate la santa comunione, sceglietevi un confessore cui osiate aprire il vostro cuore».
    - LA SINGOLARE EFFICACIA DELLA CONFESSIONE E COMUNIONE
    I tre capitoli delle storie di Besucco (XIX), Magone (V) e Savio (XIV) riassumono la pedagogia di don Bosco sull'argomento.
    Una decisa dichiarazione ne sintetizza il pensiero: «Dicasi pure quanto si vuole intorno ai vari sistemi di educazione, ma io non trovo alcuna base sicura, se non nella frequenza della confessione e della comunione: e credo di non dir troppo asserendo che, omessi questi due elementi, la moralità resta bandita».
    Per comprendere la prospettiva pedagogica della confessione consideriamo quanto pensava don Bosco sul peccato: questo è insieme offesa di Dio, disgrazia dell'anima, disturbo della volontà.
    Un santo educatore alla don Bosco intuisce subito la gravità dei due primi aspetti del peccato, del resto come ogni altro santo. Ma anche il terzo aspetto lo preoccupa assai come educatore, abituato alla frequentazione della gioventù.
    L'amore di Dio mal sopporta il peccato perché offesa; l'amore delle anime prova dolore perché in disgrazia; ma l'amore educativo soffre constatando nel giovane una cattiva disposizione al bene.
    Per don Bosco non può fiorire nulla di buono in un cuore disturbato dal peccato: è indispensabile, per poter educare pienamente i giovani, la grazia di Dio i cui mezzi primari sono la riconciliazione e la comunione.
    Anche nella sua esperienza, i ragazzi sono facilmente volubili, incostanti e fragili: «è proprio delle loro età». Occorre usare strumenti adeguati che li sostengano e accompagnino. Per formare cristiani bisogna farli vivere in grazia, in amicizia col Signore.
    A tale scopo il sistema preventivo si impernia sulla efficacia intrinseca della confessione e comunione, che per l'appunto devono essere vissuti «con frequenza e fedeltà, cioè con regolarità e attività del volere, sì che, oltre al loro valore intrinseco di operatori di grazia, abbiano anche l'efficacia pedagogica dell'educazione interiore della volontà» (A. Caviglia).
    I giovani inoltre hanno bisogno di essere orientati, di una guida che li accompagni nel loro cammino. La confessione assume allora in Magone la funzione di difesa della sua pace interiore e della purità; in Besucco invece viene privilegiata la forza della guida spirituale; e in Savio la confessione si rivela come lo strumento per compiere in tutto la volontà di Dio e conformarsi pienamente a Cristo.
    Un analogo itinerario educativo viene seguito per la comunione: essa significa la crescita dell'amicizia con Gesù che si consolida e si approfondisce giorno dopo giorno.

    3. Il cortile è per incontrarsi da amici e vivere in allegria

    Il cortile appare come una categoria assai inusuale per una pedagogia classica, e tanto più per una spiritualità. È anzi considerata al di fuori di ogni contesto spirituale ed educativo, quasi fosse estranea all'esistenza. Al cortile invece don Bosco affida spazio esistenziale e dà dignità educativa. Esso assume per lo più una valenza del tutto spirituale. Ne vediamo il perché.

    3.1. Cortile come libero spazio di espressione giovanile

    Guardato con gli occhi dei ragazzi, il cortile è l'opportunità simbolo del tempo libero, della massima espressività, della libera iniziativa. Su di esso convergono molteplici aspettative giovanili.
    Il cortile è invito all'amicizia, è il termometro dell'ecologia della vita, è il luogo della gioia.
    È nota la risposta di Domenico all'amico Camillo, ossia che la santità consiste nello stare allegri. Del resto don Bosco confida allo stesso Domenico che la letizia è l'undicesimo comandamento e gli raccomanda per prima cosa una costante allegria, non mancando di prendere parte alla ricreazione con i compagni.
    Quanto a Magone, è facilissima l'interpretazione sotto questo profilo: egli è il generale della ricreazione per temperamento e il suo territorio di scorribande è il cortile.
    Su Francesco don Bosco fa anche dell'umorismo: ne mette in rilievo l'impazienza, mentre attende il tempo libero della ricreazione; sorride di gusto quando gli si presenta davanti, zoppicando e impensierito, confessando che ha «la vita tutta pesta».
    Il valore spirituale e pedagogico, metodico ed energetico della gioia nel mondo giovanile viene sottolineato con forza nella pedagogia di don Bosco.

    3.2. Cortile come campo dell'arte educativa

    Considerato dalla parte dell'educatore, il cortile rappresenta il suo spazio educativo, ossia capacità di presenza attiva e abilità di relazioni positive.
    Don Caviglia svela con intuito un segreto educativo di don Bosco, quando scrive: «Il cortile è don Bosco fra i giovani: un'idea e un'immagine che non hanno bisogno di commento... Per lui era un altro banco di lavoro, dove legava i cuori e le volontà».
    Il don Bosco per antonomasia è infatti il don Bosco fuori scuola e fuori chiesa, è il don Bosco in cortile.
    «Egli era sempre in mezzo ai giovani. Si aggirava qua e là, si accostava ora all'uno e ora all'altro, li interrogava per conoscerne l'indole e le necessità. Parlava in confidenza a questo e a quello; si fermava a consolare o a far stare allegri con battute. Egli era sempre lieto e sorridente», era l'amico e il confidente, il padre e l'educatore.
    L'allegria e l'amicizia del cortile sono fondamentali nella sua pedagogia e frutto di religiosità interiore e spontanea: non è un semplice artificio di metodo, ma stile di vita che conquista i cuori.
    «Don Bosco comprende che il ragazzo è ragazzo..., che la sua esigenza più profonda è la gioia, la libertà, il gioco. E d'altra parte è convinto che il cristianesimo è la più sicura e duratura sorgente di felicità» (P. Braido). Il cortile diviene per lui dunque una palestra di educazione all'incontro autentico e alla gioia della vita.

    3.3. Cortile è invito a creare relazioni d'amicizia

    Letto sotto il profilo della convivenza, il cortile è una immensa rete di relazioni per facilitare l'incontro tra amici.
    La frequentazione tra ragazzi ed educatori in un momento scevro da formalità e libero da costrizioni, non solo agevola i contatti aperti e spontanei, ma ancor più crea opportunità di legami tra coetanei e di incontri personali. È nel cortile che nasce l'amicizia, anche se essa si protrae oltre nel tempo, per rivelarsi totalmente nella sua efficacia.
    Soprattutto nella «Vita» di Domenico si manifesta questa bella realtà. Don Bosco ha spinto con frequenza i suoi ragazzi a stringere amicizia con i propri compagni. Domenico ne diventa il modello anche in questo. «Ti sarò sempre amico» confessa a Gavio, e a Massaglia dice: «Voglio che noi siamo veri amici, veri amici per le cose dell'anima».
    Il cortile si trasforma così in una palestra di apostolato, in un terreno d'azione e di impegno.
    Esso rimane sempre il luogo delle manifestazioni più gioviali, il punto di riferimento per le libere aggregazioni, lo spazio prezioso dell'iniziativa giovanile, ma al contempo assurge a laboratorio di esperienze educative, in cui la parolina all'orecchio, lo spirito di famiglia, l'accondiscendenza amichevole, la ricerca del discolo da aiutare divengono naturali espressioni della sollecitudine pedagogica e dell'impegno apostolico.
    In definitiva il cortile è don Bosco in mezzo ai giovani, l'emblema del suo stile di educare.

    III. VITA TEOLOGALE DELLA SANTITÀ GIOVANILE

    Solitamente, quando si parla di santità, si discorre sulla vita spirituale, ci si addentra nel dinamismo della crescita teologale, si considera il nostro essere nello Spirito, si cerca di illuminare la nostra configurazione in Cristo.
    In sostanza il discorso pare stia in queste formulazioni.
    E tuttavia avvertiamo subito, che proprio per la singolare spiritualità che stiamo approfondendo, quanto si è detto sino ad ora non risulta estraneo, anzi al contrario ne illustra i passaggi essenziali e fa intravvedere gli itinerari percorribili.
    Animo giovanile, patto educativo, vita teologale sono realtà che si intrecciano come in un tessuto, che si rievocano a vicenda come in un'unica avventura di bene, che contribuiscono a far accadere l'evento del cammino di santità.
    Merita nondimeno, ed è assolutamente inderogabile, che la vita teologale venga appositamente affrontata ed esplicitata nella sua peculiarità: la santità giovanile ha anche in questo la propria singolarità, da riconoscere e valorizzare. Don Bosco denomina la vita di fede, speranza e carità, il senso di Dio nella vita teologale, con il termine «pietà». Cerchiamo di comprendere e interpretare questa parola nel suo significato più ricco per il giovane d'oggi alla luce dei tre scritti di don Bosco.

    1. «Pietà» è amicizia con Gesù e Maria

    Il tema della «pietà» è presente in tutte e tre le biografie sotto esame.
    Il termine non viene più usato oggi, anzi può essere inteso in modo fuorviante. Don Bosco invece lo utilizza con vivace consuetudine e con tutta quella ricchezza di significato che gli è proprio. La pietà da lui insegnata contiene i germi più genuini di una educazione pratica all'amicizia personale con Gesù, che ha come fondamento l'amore che egli porta ai giovani (P. Braido).
    Nel suo realismo don Bosco evita di spronare all'«alpinismo spirituale» i giovani, e nella sua santità egli non vuole appiattirli nella mediocrità. Preferisce perciò avviarli alla sostanza della vita religiosa, nella semplicità dell'incontro con Dio e nella familiarità della sua amicizia.
    La sua prassi insiste pertanto su taluni punti per lui rilevanti.

    1.1. Pietà è amore e cura della preghiera

    Le espressioni usate nelle biografie circa la pietà sono assai semplici, ma manifestano impegno educativo e corrispondenza di grazia.
    Di Magone don Bosco scrive infatti che «nella ricreazione egli sembrava un cavallo sbrigliato; in chiesa poi non trovava posto o modo che gli piacesse; ma poco per volta giunse a starvi con tale raccoglimento che l'avrebbe messo a modello di qualunque fervoroso cristiano», tanto suscitava ammirazione.
    Di Besucco annota un'espressione eloquente: «Oh! se io potessi, diceva, stare da mattino a sera a pregare in quel sito, quanto volentieri il farei»; del resto «il segno distintivo della sua anima è l'amore alla preghiera..., è la preghiera continua».
    Di Savio don Bosco introduce significativamente un capitolo con le parole: «Fra i doni, di cui Dio lo arricchì, era eminente quello del fervore nella preghiera». Gli episodi curiosi e straordinari della sua vita sono la conferma di un'amicizia con il Signore vissuta nella preghiera continua.
    Non ci si meraviglia allora che l'amore alla preghiera è un distintivo della casa, dell'oratorio di don Bosco: e «oratorio» lo era nel nome e nei fatti. E di preghiera soda si tratta, come di serio impegno educativo ad essa. In don Bosco «l'educazione allo spirito di pietà richiede convinzione radicata di intelligenza e di fede, che si oppone sia al sentimentalismo evanescente che al meccanicismo abitudinario» (P. Braido). La preghiera di don Bosco è semplice e forte, quotidiana e intensa: la sua prassi si ispira alla missione e ne è intrisa.

    1.2. Pietà è intelligenza della fede

    Nello studio sulle biografie, don Caviglia mette a nudo una verità eloquente: la preghiera va coltivata adeguatamente se vuol essere tale. «Il miglior criterio - scrive -, la miglior prova di un sistema di educazione o metodo d'istruzione è la potenza del pensare che produce nei suoi allievi: il che è di grande aiuto nella vita spirituale». La preghiera deve perciò essere nutrita e sostenuta.
    Nelle case di don Bosco non mancano momenti di ascolto della Parola e inviti alle buone letture. È manifesta la voglia di ascoltare il catechismo e le prediche, perché significano progresso spirituale nel sapere di Dio. La lettura della vita dei santi viene preferita dai ragazzi, poiché è facile cogliere il testimone dal vivo. Ed evidentemente, anche se le formule e i modi sono legati al tempo, nondimeno emerge la cura di un sapere vissuto della fede, radice di ogni sentire e operare.

    1.3. Pietà è impegno di vita

    Pregare non è pronunciare parole, bensì aderire alla volontà di Dio e ai suoi progetti. Comporta impegnarsi nella vita quotidiana.
    Di Magone appare più che evidente la trasformazione sua all'oratorio: conversione interiore e cambiamento esteriore corrono di pari passo, coinvolgendo tutta la vita.
    In Besucco la pietà «come era la vita dell'anima, così era l'anima della vita». È la vita il banco di prova della pietà: se essa non riesce ad animare lo studio e l'allegria, non è vera pietà.
    Per Domenico don Bosco giunge sino a un apparente assurdo quando afferma che «la devozione cresceva più dell'età». Ma la vita tutta ne conferma la verità. Nell'educazione dei suoi giovani alla pietà, don Bosco si mostra determinato: non ama per nulla le facili emozioni, e ancor meno il formalismo.
    Per lui pietà è purezza di intenzionalità, disponibilità al sacrificio, decisa volontà di conversione. È insomma impegno di vita per il bene di tutti e di ciascuno secondo il progetto di Dio, che viene scoperto e compreso nella preghiera.

    1.4. In sintesi, pietà è certezza dell'amicizia di Gesù e Maria

    La preghiera di Domenico Savio: «Gesù e Maria siate sempre gli amici miei», esprime il condensato della pietà e dello stile di vita dell'oratorio. Lungo tutta la vita vengono coltivate queste amicizie con cura. Rappresentano l'unico centro della pietà cui condurre con persistenza.
    L'animo dei tre giovani viene però svelato in particolar modo nel momento del possibile incontro definitivo con Dio. Talune battute di dialoghi sono significative e mostrano la profondità con cui i tre vivono il loro rapporto con il Signore.

    Dialogo tra don Bosco e Michele:
    - Se il Signore ti facesse la scelta di guarire o di andare in paradiso, che sceglieresti?
    - Chi sarebbe tanto matto da non scegliere il paradiso?

    Dialogo di don Bosco con Francesco:
    - Supponi che si tratti di scegliere tra guarire o andare in paradiso, che sceglieresti?
    - Son due cose distinte, vivere per il Signore o morire per andare col Signore: la prima mi piace, ma assai più la seconda.

    Domenico di fronte alla morte imminente:
    - Ora sono contento: è vero che debbo fare il lungo viaggio dell'eternità, ma con Gesù in mia compagnia non ho nulla da temere.
    È vero! La pietà più autentica si esprime in definitiva nell'amicizia con Gesù e Maria. Essa è sorgente, sostegno e garanzia di vita spirituale intensa nei nostri tre ragazzi.
    Le due devozioni non sono puramente accostate: sono considerate inseparabili da don Bosco, tanto da essere considerato nel suo tempo «il più grande apostolo della vita eucaristica e del culto mariano» (A. Caviglia).

    2. Primi e immediati apostoli dei giovani

    Don Bosco è un apostolo e i suoi ragazzi sono come lui. I frutti crescono sulla pianta dell'apostolato. Simile prospettiva si coglie esattamente nelle tre biografie: è l'esigenza di operare a favore dei compagni, con l'aiuto amichevole, mediante l'impegno e con l'esempio. La missione apostolica ne caratterizza la spiritualità.

    2.1. L'impegno apostolico caratterizza la santità di don Bosco

    Il motto «Dammi le anime e tienti tutto il resto», tanto caro a don Bosco, dice in sintesi il suo impegno apostolico. Non per nulla egli aiuta Domenico a superare «la smania di farsi santo», indicandogli come prima regola per la santità «l'adoperarsi per guadagnare anime a Dio». E la motivazione è semplice e profonda insieme: «per la salvezza delle anime Gesù Cristo sparse fin l'ultima goccia del prezioso suo sangue».
    Per questo Domenico fu sentito pronunciare più volte: «Se io potessi guadagnare a Dio tutti i miei compagni, quanto sarei felice!». Per questo don Bosco pone decisamente le basi della sua spiritualità sul principio: salvarsi e salvare, ossia farsi santo salvando le anime. L'impegno apostolico sostati-zia l'ispirazione mistica e l'impegno ascetico del cammino spirituale proposto. Ne è permeato tutto il sistema preventivo come ogni sua espressione spirituale ed educativa. Il lavoro creativo e indefesso di don Bosco non è altro che prodigarsi in tutti i modi possibili per portare giovani al Signore e difendere la fede nel popolo.
    Lui stesso confessa: «Quando mi sono dato a questa parte del sacro ministero, intesi di consacrare ogni mia fatica a Dio e a vantaggio delle anime».

    2.2. La novità ecclesiale di tale scelta per i giovani

    Don Bosco crede nei suoi giovani e nella loro capacità di collaborare. Ne accetta volentieri l'iniziativa, come con le Compagnie. Intuisce che i giovani possano essere i migliori apostoli tra i loro coetanei.
    Senza forzature si può affermare che in questo anticipa una concezione oggi usuale: i giovani sono protagonisti nella Chiesa, sono essi stessi evangelizzatori, sono primi apostoli tra altri giovani.
    Secondo la vita scritta da don Bosco, Domenico, Francesco e Michele svolgono un'azione apostolica quotidiana, accostando compagni e incitandoli al bene. Domenico ne è il modello: per il suo zelo, per le sue belle maniere. Come pure lo è Michele per i suoi bei tratti di carità. Anche Francesco si rende disponibile.
    Ma i nostri tre amici non solo si sentono apostoli nella ordinarietà della vita e nella quotidianità degli eventi; essi assumono il coraggio della testimonianza anche in occasioni difficili. Gli episodi dei bestemmiatori e dell'infermo, in cui Domenico dimostra tutta la sua convinzione interiore e forza d'animo, ne danno conferma. In «Fatti e detti arguti di Magone» (cap. XI) don Bosco ne descrive il coraggio religioso.
    Eppure non basta. Essi prendono anche l'iniziativa, singolare per quel tempo, di associarsi nell'apostolato, specie nella compagnia dell'Immacolata. Il motivo è unico. L'aggregarsi esprime un'esigenza sociale, ma il fine dell'apostolato ne rivela le ragioni interiori e spirituali. Afferma don Bosco che Domenico, «vero irradiatore di santità», è guidato nell'operare dalla «solita industriosa sua carità». Impegno costante dei tre adolescenti rimane «edificare i compagni ammonendoli caritatevolmente ed eccitandoli al bene con le parole, ma molto più col buon esempio».

    2.3. La sorgente dell'apostolato sta in una autentica pietà

    L'autentica pietà è fonte di apostolato. Le due realtà si correlano strettamente. Una frase è emblematica, quella di Domenico: «Piuttosto la morte che commettere anche un solo peccato», che trova sintonie pure in Francesco e Michele. L'impegno di conversione e di vita interiore sboccia in apostolato fattivo. Si tratta di una crescita progressiva nella vita spirituale.
    All'inizio la promessa di rifiuto del peccato si riferisce solo agli interessi della propria anima. In seguito però matura nella sensibilità del peccato che si commette nel mondo. E infine si allarga ulteriormente sino a convergere sullo scopo per cui il Salvatore ha patito ed è morto. Le ragioni della promessa di Domenico si radicano così nella condivisione di vita e nell'impegno apostolico, comprendendo appieno la crescente esigenza, sentita e manifestata, della magnanimità dell'amore di Dio che vuole tutti salvi. Il dono dell'amicizia con Gesù si traduce perciò in responsabilità nei confronti dei compagni, e non solo, ma anche di tutti gli uomini.

    3. Una santità dell'impegno educativo

    Don Bosco compie e propone un cammino spirituale il cui segreto è ormai evidente. Non ci troviamo di fronte semplicemente a sensibilità umana o a genialità educativa, bensì a un sentirsi inviato, missionario tra la gioven- tù. E una missione che non si occupa solo di giovani, nell'intento di educarli umanamente e cristianamente, ma occupandosi di essi si percorrono insieme le strade della santità nella vita di ogni giorno.
    Alla luce di questa considerazione, diviene più comprensibile allora quanto don Bosco ha proposto e insistito, ossia che la santità è pane quotidiano da consumare in tutti i momenti ed espressioni della vita. I suoi ragazzi lo hanno capito sino in fondo. Essi sono e rimangono giovani autentici, con i loro interessi, le loro difficoltà e aspirazioni, i loro impegni e sogni. Sono ragazzi del loro tempo.
    Cionondimeno essi possono essere presentati come esempi cui riferirsi. Anche per noi oggi restano adolescenti ammirevoli, anzi veri modelli di santità giovanile.

    IV. PROSPETTO RIASSUNTIVO DEI MODELLI PRESENTATI

    Per facilitare la comprensione maggiore dei modelli presentati alla luce delle biografie scritte da don Bosco, propongo i seguenti schemi riassuntivi a mo' di flash.
    1. Il decalogo pedagogico e spirituale: Michele Magone
    1.1. La norma fondamentale da considerare attentamente nell'educazione è che non si può forzare la crescita: il seme deve germogliare dal di dentro.
    1.2. L'educatore può servirsi utilmente delle giuste norme di convivenza; e tuttavia deve essere convinto che da sole non servono a nulla, se non sono accompagnate da una presenza amorevole.
    1.3. Occorre perseguire sempre una completa educazione del giovane: fattore essenziale e indispensabile per tale formazione è il cortile, per incontrarsi da amici e vivere in allegria.
    1.4. Al giovane non si devono chiedere impegni eroici o straordinari: sono più rilevanti i compiti facili e accessibili, ma sempre compiuti con perseveranza e tenacia.
    1.5. Il tempo è una variabile importante nell'educazione al proprio dovere: l'uso attento del tempo e la diligenza nell'esecuzione giocano una funzione formativa determinante.
    1.6. Un sistema educativo conferma la sua validità, se sa esprimere il vigore della crescita nella vita e la forza di progettare valori e ideali nella vitalità dell'esistenza.
    1.7. Numerosi sono i mezzi educativi di cui usufruire per maturare le persone: una colonna pedagogica per l'edificio spirituale è il sacramento della riconciliazione.
    1.8. La nostra santità si manifesta nelle piccole cose quotidiane e la santificazione si nutre delle cose di ogni giorno e di ogni momento lungo la nostra storia personale.
    1.9. La bontà del cuore e l'impegno nell'azione si esprimono con chiarezza nei confronti dei propri compagni: l'apostolato si esplica in primo luogo tra loro.
    1.10. Santità non significa primariamente serietà e impegno; anzi la gioia e l'allegria sono manifestazione di una coscienza in amicizia con Dio: rappresenta l'undicesimo comandamento.
    2. La semplicità di una vita quotidiana: Besucco Francesco
    2.1. La pedagogia spirituale si fonda su quattro colonne:
    - Farsi santi è possibile: non è richiesta un'età particolare o una condizione speciale.
    - La cura del singolo equivale al rispetto della libertà di ognuno, nella comprensione delle peculiari esigenze.
    - La vita e il dovere devono avere alla base una visione di fede: da questo deriva e a questo tende ogni minima attività.
    - Nodo fondamentale è essere educatori dell'interiorità: la riconciliazione e la comunione sono energie di eccezionale valore.
    2.2. La pedagogia spirituale si radica sostanzialmente:
    - Nell'ambiente: il clima dominante, creato dagli impegnati, stimola ciascuno a dare il proprio contributo, forgia le persone.
    - Nell'amore: esso è l'anima dell'educazione, è tutto, poiché produce gioia profonda e induce sempre al meglio.
    2.3. La pedagogia spirituale ha una formula:
    - Il trinomio è allegria, studio o lavoro, pietà.
    - Il corollario è la purezza di cuore e di azione.
    3. La pedagogia dichiarata della santità: Domenico Savio
    3.1. I traguardi di un cammino che procede con determinazione:
    - «La morte ma non peccati. Gesù e Maria, siate sempre gli amici miei» (Prima comunione dell'8 dicembre 1854).
    - «Voglio assolutamente, ho assolutamente bisogno di farmi santo» (decisione per la santità del marzo 1855).
    - «Tali atti di virtù, ho incominciato a notarli per non dimenticarmeli» (Fondazione Compagnia dell'Immacolata 8 giugno 1856).
    3.2. Le esperienze efficaci e indiscutibili di santità:
    - La pedagogia dei sacramenti: è l'essenza dell'azione educativa di don Bosco; Confessione e Comunione ne sono i pilastri.
    - L'indispensabilità dell'apostolato nella via della santità: l'amore di Dio non rimane inerte, anzi vuole e opera.
    - Il significato dell'ascesi: essa non va aggiunta alla vita quotidiana, ma si presenta in essa e la si vive.
    3.3. Lo stile originale del cammino di santità giovanile:
    - Il valore dell'amicizia si esprime concretamente nelle espressioni giovanili e nella gioia dell'aiuto vicendevole.
    - L'impronta di don Bosco si trova rispecchiata nella vita dei suoi ragazzi e nello stesso modo di dare un volto alle loro aggregazioni giovanili.




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