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    L'eredità pastorale del Vaticano II /6

    Un'attenzione

    particolare

    ai poveri e agli ultimi

    Luis A Gallo


    D
    alla metà degli anni 60 in poi si è venuta sviluppando nella Chiesa un’ampia riflessione sul suo impegno privilegiato in favore dei più poveri. Tale riflessione si accompagnò ad una vasta prassi ecclesiale, che si diffuse particolarmente nelle zone del mondo più colpite dalla povertà collettiva. Le sue radici si ritrovano nelle istanze del Vaticano II, che ne gettò il seme nei suoi diversi documenti.

    Una presenza antica, ma nuova

    L’attenzione privilegiata ai poveri non è una novità nella Chiesa di Gesù Cristo. Sin dai primi momenti, infatti, essa cercò di continuare in questo aspetto la linea del suo Fondatore. Sono incalcolabili le iniziative intraprese al riguardo, a cominciare da quelle della prima comunità di Gerusalemme, nella quale «nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune» e, di conseguenza, «veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno» (At 4,32.34), seguendo poi con le collette fatte da S. Paolo per sopperire ai bisogni della stessa comunità-madre con l’aiuto delle altre Chiese da lui fondate posteriormente (2 Cor 8; Gal 2,10), e con tutte le altre forme di servizio che sono sorte lungo i secoli ad opera dei cristiani, singoli e in gruppi, in favore dei più bisognosi. Non sono infatti mai mancati, lungo la storia, dei cristiani che si siano impegnati, più di una volta anche eroicamente, in tale opera. In certi frangenti fu solo l’azione della Chiesa, attraverso uomini e donne dotati di un amore e di una intraprendenza ammirevoli, a venir in soccorso a coloro che nessun altro poteva o voleva aiutare.
    Ciò detto, bisogna pure aggiungere, per amore di verità, che in alcuni momenti storici la Chiesa, soprattutto nel suo risvolto istituzionale, si schierò non precisamente dalla parte dei più poveri, ma viceversa da quella dei ricchi e potenti. Perse allora lo slancio originario e trascurò coloro che, secondo l’intenzione di Gesù Cristo, dovevano essere al centro delle sue preoccupazione (Mt 25,31-46). Anche in quei momenti, tuttavia, ci furono dei cristiani e delle cristiane che mantennero la loro fedeltà a tale intenzione, ed esercitarono in questo modo, pur anche senza proporselo, una meritoria funzione critica. Grazie ad essi i poveri tornarono ad occupare un posto di privilegio nell’attenzione della Chiesa tutta. La loro presenza fu nuovamente ripristinata nel suo cuore evangelico.

    La rinnovata coscienza del Vaticano II

    Anche nel nostro secolo la condizione dei più poveri e bisognosi scosse la Chiesa. E di tale scossa si fece eco il Vaticano II. Lo si constata leggendo i suoi documenti, nei quali l’attenzione privilegiata verso di loro, tanto da parte di tutta la comunità ecclesiale nel suo insieme, quanto delle singole categorie dei suoi membri in particolare, è fortemente sottolineata.
    Già nel Messaggio iniziale, rivolto dai partecipanti nel Concilio a tutti gli uomini e a tutte le nazioni, si ritrova un chiaro riferimento alla tematica. Vi si dichiara, infatti, sotto il titolo «L’amore di Cristo ci stimola», che le premure del Concilio si volgono innanzitutto verso i più umili, i più poveri, i più deboli, e che, sull’esempio di Cristo, un sentimento di pietà per la folla che soffre la fame, la miseria e l’ignoranza inonda i cuori di coloro che vi prendono parte. Perciò, si aggiunge, i loro sguardi sono costantemente rivolti verso coloro che, sprovvisti degli aiuti necessari, non sono ancora pervenuti ad un modo di vita degno dell’uomo. Se si tiene conto del significato e della portata di questo Messaggio iniziale, che in qualche modo esprime le intenzioni di fondo del Concilio, si capisce l’importanza delle dichiarazioni in esso fatte.
    Il seme gettato dal Messaggio produsse abbondanti frutti durante la celebrazione conciliare. Infatti, la sollecitudine per i più poveri viene nitidamente evidenziata nella Costituzione Lumen Gentium e in diversi altri documenti che da essa dipendono. Nella Costituzione stessa viene enunciata, con parole dotate di una certa solennità, nel riferirsi al mistero della Chiesa, e cioè alla sua realtà più profonda che la riallaccia al grande progetto di salvezza di Dio in favore dell’umanità. Vi si dice, infatti, in essa che «come Cristo è stato inviato dal Padre ‘ad annunciare la buona novella ai poveri, a guarire quelli che hanno il cuore affranto’ (Lc 4,18), così pure la Chiesa circonda d’affettuosa cura quanti sono afflitti dall’umana debolezza; anzi, riconosce nei poveri e nei sofferenti l’immagine del suo fondatore, povero e sofferente, e si fa premura di sollevarne la indigenza e in loro cerca di servire il Cristo» (n. 8). Il testo di Luca riportato per fornire fondamento evangelico all’affermazione sarà ripreso in vari altri documenti conciliari, venendo a costituire quasi come un ritornello in essi.
    Nel documento Ad Gentes sull’attività missionaria della Chiesa si fa un passo avanti, sostenendo non solo che essa è chiamata a circondare di affettuosa cura gli afflitti e a farsi premura di sollevare l’indigenza dei poveri e dei sofferenti, ma anche che «essa condivide le loro gioie e i loro dolori, conosce le loro aspirazioni e i problemi della loro vita, soffre con essi nell’angoscia della morte» (AG 12). È, quindi, non solo una Chiesa «per» i poveri, ma una Chiesa «con» i poveri. Una Chiesa che fa sue le loro situazioni. L’esempio è, anche in questo caso, Gesù, il quale, come ricorda lo stesso documento, percorreva tutte le città e i villaggi sanando ogni malattia e infermità come segno dell’avvento del regno di Dio (cf Mt 9,35 ss; At 10,38); e, possiamo aggiungere, più in là ancora lo stesso Dio che, apparendo a Mosè nel roveto ardente, gli diceva: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla mano dell’Egitto e per farlo uscire da questo paese» (Es 3,7-8).
    Dei vescovi poi si dice espressamente, nel documento Christus Dominus dedicato al loro ministero, che devono fare segno di una particolare premura i poveri e i più deboli, ricordando che a questi sono stati mandati dal Signore ad annunciare il Vangelo (CD 13). Dei presbiteri, e specialmente dei parroci, nello stesso documento si afferma che devono circondare di una paterna carità i poveri (CD 30), e nel documento Presbyterorum Ordinis, dedicato espressamente alla loro vita e al loro ministero, si insiste sulla stessa idea. Al n. 6 si legge che, benché essi siano tenuti a servire tutti, vengono loro affidati in modo speciale i poveri e i deboli, ai quali lo stesso Signore Gesù volle manifestarsi particolarmente unito, e la cui evangelizzazione costituisce un segno messianico. Parlando poi della formazione di quelli che si preparano a svolgere il ministero presbiterale, si dice che si deve insegnare loro a cercare Cristo nella meditazione della Parola di Dio, nella liturgia, nel proprio vescovo e «negli uomini i quali sono inviati, particolarmente nei poveri, nei piccoli, negli infermi…» (OT 8).
    Riguardi ai religiosi e alle religiose il Concilio suggerisce che, quale testimonianza della povertà che professano pubblicamente nella Chiesa, i loro istituti destinino volentieri qualche parte dei loro beni per il sostentamento dei poveri, che devono amare nelle viscere di Cristo (PC 13).
    Infine, affrontando il tema dei laici nel documento Apostolicam Actuositatem, che ha come tema il loro apostolato, enfatizza l’importanza della misericordia verso i poveri e ammalati, e la necessità di porre le opere concrete che la rendono visibile in mezzo al mondo (n. 8).

    I poveri in una prospettiva profondamente mutata

    La nuova impostazione ecclesiologica assunta dal Vaticano II nella Costituzione Gaudium et Spes, in cui la Chiesa è vista come tutta intera al servizio dell’umanità, lo portò da una parte a ribadire la sua privilegiata attenzione verso i più poveri e bisognosi, e dall’altra a prendere più accuratamente in considerazione le nuove condizioni in cui essi versano nel mondo attuale.
    Le prime frasi della Costituzione esprimono con una certa solennità la convinzione già presente nei documenti sopra rivisitati. Sono queste: «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo» (GS 1).
    Ma è soprattutto nella seconda parte che la Gaudium et Spes, dovendo affrontare problematiche scottanti del momento attuale, ripensò la sua predilezione evangelica per i più poveri in termini nuovi. L’urgenza nel farlo le venne dall’aver preso coscienza della nuova situazione mondiale, fortemente segnata da una profonda spaccatura tra coloro che hanno molto, e quindi sono in condizioni ampiamente favorevoli da svariati punti di vista, e le folle immense che mancano ancora dello stretto necessario. Con l’aggravante che mentre i primi vivono nell’opulenza e dissipano i beni, gli altri permangono in condizioni di vita e di lavoro indegne di una persona umana. Così, nell’umanità attuale, globalmente presa, «il lusso si accompagna alla miseria» (GS 63). In qualche momento il documento arriva a bollare tale situazione come uno scandalo, denunciandolo con termini di grande incisività. «Si eviti questo scandalo, afferma al n. 88: mentre alcune nazioni i cui abitanti troppo spesso per la maggior parte si dicono cristiani, godono di una grande abbondanza di beni, altre nazioni sono prive del necessario per vivere e sono afflitte dalla fame, dalla malattia e da ogni sorta di miserie».
    Dietro a tali espressioni c’è, indubbiamente, una chiara presa di coscienza del fatto che ormai la povertà non è più soltanto un fatto individuale o di certi gruppi, più o meno ristretti, ma un fatto che ha le dimensioni del mondo; e che non è più un qualcosa di naturale, dovuto cioè al gioco delle cause naturali, ma un qualcosa di provocato da sistemi economici creati dagli uomini e mantenuti in vita da essi all’insegna dei propri interessi egoistici. La maggioranza dell’umanità non è povera perché lo voglia, ma perché è messa in quelle condizioni «indegne di una persona umana», e non ne può uscire.
    Si capisce allora che la predilezione evangelica per i poveri abbia acquistato, agli sguardi del Concilio, delle prospettive nuove.
    Lo si può vedere in questa frase, che in qualche modo condensa tutto il suo pensiero: «Considerando il fatto del numero assai elevato di coloro che sono oppressi dalla fame, il sacro Concilio richiama urgentemente tutti, sia singoli che autorità pubbliche, affinché, memori della sentenza dei padri: ‘Nutri colui che è moribondo per fame, perché se non l’hai nutrito, l’hai ucciso’, realmente mettano a disposizione ed impieghino utilmente i propri beni, ciascuno secondo le proprie risorse, specialmente fornendo ai singoli e ai popoli i mezzi con cui essi possano provvedere a se stessi e svilupparsi» (GS 69).
    È un’istanza conciliare che verrà ripresa con grande coerenza e serietà da parte di non pochi cristiani e di non poche Chiese locali nel periodo postconciliare.


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