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    La Bibbia nelle mani della Chiesa e nella vita del cristiano (cap. 10 di: Una Bibbia sempre giovane)


    Cesare Bissoli, UNA BIBBIA SEMPRE GIOVANE. Tracce per un incontro, Elledici 1998



    La Bibbia appare dunque testimonianza scritta dell'incontro di due amori: di Dio verso la Chiesa e della Chiesa verso Dio.
    Come tale la Bibbia non ha per destinazione le biblioteche o il tavolo di studio. Come esperienza di amore deve essere riconosciuta e vissuta. Sono le due qualità pratiche che determinano il servizio della Chiesa alla Bibbia e la corrispondenza vitale del credente. Ne facciamo un cenno invitando a leggere in «Documenti e letture» quanto dice la Chiesa in Italia a questo proposito.

    La Chiesa riconosce e fa riconoscere il tesoro della Parola di Dio come suo compito primario

    Alla Chiesa spetta affermare il primato della Parola di Dio e con la Bibbia regolare tutta la sua realtà di essere e di agire: la celebrazione, l'annuncio e catechesi, la preghiera, la diakonia della carità, la missione, l'apologetica, l'animazione e il governo pastorale dei fedeli.
    «Nella Parola di Dio è insita tanta efficacia e potenza, da essere sostegno e vigore della Chiesa, e per i figli della Chiesa saldezza della fede, cibo dell'anima, sorgente pura e perenne della vita spirituale» (DV, 21).
    Spiritualità, dottrina, pastorale..., mai senza Bibbia. Infatti «ignoranza della Scrittura è ignoranza di Cristo» (S. Girolamo, citato in DV, 25).

    La Chiesa favorisce e promuove ogni forma di incontro del popolo di Dio con la Bibbia

    Un prezioso documento di base

    È nella logica di tutto questo libro: incontrare ciò che ha così grande valore, farne l'esperienza, essendo non una nozione, ma una persona, Dio stesso, colui che traspare dalla Scrittura.
    La Nota dei Vescovi italiani, La Bibbia nella vita della Chiesa, dice tantissime e bellissime cose, veramente innovative dopo un lungo inverno di distacco della gente dalla Lettera del suo Dio.
    Invitiamo perciò a leggerla. Ne offriamo qualche stralcio nei «Documenti e letture» che seguono.

    Forme di incontro

    È facile riconoscerle: la liturgia della Parola nella Messa; la catechesi dei catechismi così impregnati di Bibbia da essere una introduzione ad essa.
    Vi è in particolare la forma dell'incontro diretto come nel gruppo biblico o del vangelo o di ascolto, così frequenti nelle parrocchie. La forma più alta è la lectio divina, termine che ricorda l'uso dei Padri della Chiesa, per cui la Bibbia, meglio Colui che parla nella Bibbia viene «letto-ascoltato, meditato, pregato, contemplato e condiviso».

    E per dei giovani?

    - Il Card. Martini a Milano propone la «scuola della Parola» che è una forma adattata della lectio divina sopra detta. Fa impressione che migliaia di giovani nel Duomo di Milano facciano l'esperienza nella Parola di Dio con effetti profondi. È la via migliore che si può realizzare nella propria comunità, specialmente in un campo estivo, con calma e dignità. Ivi può distendersi quel processo di correlazione tra Bibbia e vita di cui abbiamo parlato. Si può in particolare imparare a pregare con la Bibbia, a pregare la Bibbia.
    - Un'altra via proponibile ai giovani è la lettura programmata personale della Bibbia, suddivisa giorno per giorno lungo l'anno, secondo un piano elaborato insieme nella comunità con certi criteri operativi comuni e con un ritorno periodico per un dialogo insieme.
    - Viene poi la partecipazione a qualche corso biblico per laici che permetta di acquisire una buona conoscenza di base e così facilitare l'esperienza più esistenziale.
    - Infine ricordiamo ancora una iniziativa «biblica» del Card. Martini, «La cattedra dei non credenti»: il dato biblico viene proposto in stretto dialogo con le istanze, attese ed opposizioni culturali del nostro tempo.
    È proprio di una fede giovanile che si fa matura cogliere lo spessore culturale delle parole di Gesù, ad esempio nel discorso della montagna, o la visione biblica sull'origine delle cose, dell'uomo e del male, come pure sull'esito conclusivo (creazione ed escatologia), o il senso dell'amore e del perdono cristiano, la forza liberatrice della scelta dei poveri e degli ultimi, la capacità di speranza della preghiera e della penitenza...
    - A questo proposito si raccomanda a giovani in fase di studio di valorizzare l'incontro con la Bibbia nella scuola di religione, ma anche nelle discipline umanistiche. Benedetti coloro che li aiuteranno ad aprire gli occhi e cogliere l'enorme eredità biblica nella storia dell'Italia e dell'Europa sul versante dell'arte, della letteratura, del teatro, della comunicazione, in una parola della nostra civiltà. In questa direzione presta il suo aiuto l'articolo (e l'opera) di Ravasi posto in «Documenti e letture».

    Linee di impulso del Centro Salesiano di Pastorale Giovanile di Roma

    Il CSPG ha una sua proposta biblica giovanile che condensa nella serie di volumetti di cui questo è uno dei primi.
    Nella rivista Note di pastorale giovanile e in particolare nel libro «Giovani e Bibbia» (LDC 1991, 261-264) (v. bibliografia finale) vengono alla luce alcuni criteri di fondo clic qui riproponiamo.
    Sono proposizioni sintetiche, accompagnate da commento, che, alla luce del cammino fin qui fatto, segnalano alcuni punti-forza per un incontro esistenziale dei giovani con la Bibbia.
    1.L'accostamento sapienziale alla Bibbia si propone oggi ai giovani come via efficace all'esperienza religiosa credente. Grazie ad esso si affida all'uomo il dono e il compito di riconoscere il quotidiano come luogo di incontro con la Parola di Dio.
    Il termine «sapienziale» sottolinea la comprensione della Parola di Dio nelle vicende della vita, le costanti dell'intelligenza e dell'amore di Dio che reggono il mondo e sollecitano la responsabilità dell'uomo.
    2.L'area della Bibbia è l'area della vita. Soltanto a chi fa domande sulla vita, la Bibbia apre delle originali possibilità di risposta.
    È il primo tratto della lettura sapienziale e viene detto in apertura per mettere subito in chiaro il livello di un incontro valido ed efficace: la vita.
    Contemporaneamente si mettono in risalto due fondamentali prospettive: all'uomo si chiedono interessi vitali; alla Bibbia si lascia di rispondere secondo la propria identità specifica, qualunque essa sia.
    3. La Bibbia è nella sua sostanza una codificazione letteraria di esperienze, comuni e straordinarie, di persone e di popolo, storicamente determinate e ricomprese alla luce del loro credo religioso. Come tale essa richiama al proprio incontro uomini e donne che hanno coscienza di una propria storia, si comprendono attorno a certi valori fondamentali, posseduti o cercati, si esprimono mediante molteplici forme di linguaggio.
    Le qualità della lettura sapienziale sono evidenziate indicando le tre componenti che manifestano il grado di comunione profonda che unisce la Bibbia e il lettore di ogni tempo: una comunione nella storia, una comune apertura alla verità e al bene, il comune, necessario ricorso alla mediazione del linguaggio.
    Soltanto il mantenimento di questi tre elementi garantisce un valido e arricchente incontro nell'area della vita.
    4.Specifico ineludibile della Bibbia è l'autocomprensione dell'uomo biblico (il suo destino, il destino del mondo, la via del bene e del male, il senso della vita e l'aspirazione alla pace...) in chiave religiosa, precisamente nella fede di una autorivelazione di Dio che comunica a ogni singolo uomo la sua fedele amicizia (alleanza) che salva l'uomo dal naufragio di sé.
    Tale rivelazione comincia a realizzarsi nella storia di Israele e delle prime comunità cristiane, ha il suo vertice espressivo nella storia di Gesù di Nazareth, avrà il suo compimento nella trasformazione della storia dell'uomo in Regno di Dio.
    Ogni lettura sapienziale della Bibbia tiene conto della sua natura squisitamente religiosa: Dio amico dell'uomo, l'offerta della salvezza e il dono dell'alleanza, lo sviluppo storico qualitativo della vicenda umana nel tempo; l'archè o le origini, con la consegna della promessa nella figura di Israele; il centro del tempo, con la consegna della salvezza nella figura di Gesù morto e risorto; la fine del tempo, con la consegna della vita in pienezza nella figura dei «cieli nuovi e terra nuova» per la nuova umanità.
    5. La Bibbia è storia, letteratura, credo di popolo. Le è perciò adeguata non la lettura isolata ed élitaria, ma la coralità di chi, nel suo nome, vive insieme, nella ricerca e condivisione del comune destino, sostenendo i poveri e gli ultimi, e aprendo con coraggio la via a un futuro di libertà e di pace. La componente sociale della vita quotidiana ritrova nella lettura sapienziale della Bibbia una sollecitazione esplicita all'ecclesialità dell'incontro: un incontro nella comunione di tanti, attenti ai poveri e aperti al futuro messianico del mondo.
    6. La storia della Bibbia continua. Nelle religioni ebraica e. cristiana e, tramite loro, nella cultura viva dei popoli, la Bibbia è memoria di umanità, radice di effetti artistici, istituzionali, filosofici, esistenziali, che ripropongono il mistero del Libro.
    Si fa cenno della storia degli effetti che mette in risalto lo straordinario impatto culturale della Bibbia nella storia dei popoli, in particolare la sua capacità motivazionale nell'esistenza di milioni di fedeli lungo tanti secoli. Il fenomeno biblico rimanda alla domanda del «mistero del Libro».
    7. Raggiunge maturità di significato quell'incontro con la Bibbia che ne condivide intimamente la concezione di fondo, quindi è animato dalla fede: dalle ragioni della fede, dagli atteggiamenti della fede, dal dinamismo della fede nei confronti della Parola di Dio.
    Nel cammino di incontro con la Bibbia, si ricorda, come prima (nel senso di piena, perfetta) l'istanza della fede, ossia la condivisione della visione religiosa dell'uomo biblico. Questa fede è un atto umano, sorretto dalla grazia di Dio, che inizia dove si cercano le ragioni per andare alla Bibbia e se ne approfondiscono le proposte con le risorse dell'intelligenza; si regge con l'atteggiamento interiore della domanda, dell'ascolto, della conversione, del ringraziamento, della consolazione; si snoda nel confronto della Parola con le parole, nella celebrazione della Parola, nell'esperienza di condivisione motivati dalla Parola.
    8. La Bibbia si presenta come un «evento narrativo», in cui cioè il grande annuncio di salvezza viene comunicato non per visione, né per via speculativa, né per via iniziatica, ma mediante la forma del racconto. La via della narrazione sarà dunque la via privilegiata per incontrare l'evento.
    La forma narrativa, per la sua struttura intrinseca, salvaguarda la vicinanza-lontananza del dato biblico: raccontandolo ne propone la presenza appellante, ma insieme lo sottrae al possesso egoistico di chi soltanto non può che ascoltarla. E insieme ha in sé la grazia di proporre la storia del passato, di coinvolgere quella del narratore e dell'ascoltatore, e generare speranza.
    9. La Parola riceve dal gruppo una singolare possibilità di risonanza e di appello. Un gruppo ha dalla Parola la grazia di rímotivare in autenticità e crescita le ragioni di stare insieme, rimuovendo la tentazione di imprigionare nei propri otri culturali e di tradizione il vino incontenibile della Parola.
    Viene precisata la preziosa eppure relativa funzione del gruppo in rapporto alla lettura della Bibbia, alla luce delle esperienze di modelli vari e noti: le risorse di un'umanità più grande (il gruppo), i limiti di non rappresentare tutto l'uomo.
    10. Accostarsi alla Bibbia vuol dire accettare di fare un cammino, con momenti diversi, dall'ascolto all'attualizzazione. Vi operano fattori plurimi: tradizione, cultura, esperienza, e la fondamentale mediazione del linguaggio. Fedeltà e creatività, singolarità e comunione, ispirazione dello Spirito e approfondimento dell'intelligenza... sono dinamiche costitutive di cui rendersi consapevoli e responsabili.
    Lettura sapienziale è lettura complessa, così come è complesso il mondo della Bibbia, talvolta addirittura estraneo fino alla contrarietà, e complesso è il mondo quotidiano, fino alla contraddizione. Interpretare è capire. Ma interpretare è un atto a sua volta complesso che richiede la potenza di una soggettività attiva e aperta.

    L'atteggiamento di ogni incontro

    Lo esprimiamo a modo di aforismi, comprensibili dopo il lungo cammino fatto insieme:
    - Ricordati che quando apri la Bibbia sei alla presenza di Colui di cui essa parla, e che la Parola «non ritornerà a me senza aver portato frutto» (Is 55,10-11; cf Mc 4,3-9).
    - L'ascolto di figlio al Padre che ti parla, è l'atteggiamento di fondo che ti è richiesto. Ascolto incondizionato: «Parla, Signore, che il tuo servo ti ascolta» (1 Sani 3,10). Ascolto con l'anima del povero: «Ti benedico, o Padre, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli (Mt 11,25).
    - «Quelli che amo li provo» (Ap 3,19). L'incontro con la Parola di Dio è sempre un incontro critico, che fa notare la distanza tra Lui e noi e chiama necessariamente a «conversione».
    - «Non chi dice: Signore, Signore, entrerà nel Regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio» (Mt 7,21-26; Ge 1,22).
    E cosa significa fare la Parola se non lasciarsi coinvolgere dalla sua potenza di grazia?
    La Parola di Dio possiede un dinamismo fecondo e necessario: da parola ascoltata chiede di farsi parola celebrata (sacramento: cosa è la confessione dei peccati se non l'esperienza di perdono di Zaccheo giunta fino a me?) e poi parola vissuta (esperienza: «chi fa la verità viene alla luce», Gv 3,21), parola condivisa (carità: «Va e fa lo stesso», Le 10,27) ed ancora parola testimoniata (missione: «Annuciate il vangelo ad ogni creatura» Mc 16,15).
    - «Dolce come il miele» (Ez 3,3). Ultimo, decisivo criterio di validità dell'esperienza biblica è la consolazione della speranza (cf Rm 15,4). Finché Dio parla, egli mostra di aver fiducia in noi, e dunque noi possiamo avere speranza!

    DOCUMENTI E LETTURE

    In questa ultima parte proponiamo quattro serie di testi in connessione con i temi trattati:
    - il pensiero della Chiesa, universale ed italiana, sulla Bibbia;
    - un modo non corretto di approccio: i Testimoni di Geova;
    - come affrontare e risolvere le «pagine difficili» della Bibbia; - Bibbia e cultura, attraverso la testimonianza di un esperto. In chiusura sarà offerta una bibliografia essenziale commentata.

    A - La voce della Chiesa

    1. La Chiesa cattolica

    Dalla COSTITUZIONE DOGMATICA SULLA DIVINA RIVELAZIONE «DEI VERBUM» (Concilio Vaticano II, 1965).

    Capitolo III
    L'ISPIRAZIONE DIVINA DELLA SACRA SCRITTURA E LA SUA INTERPRETAZIONE
    Ispirazione e verità nelle Scritture
    11. Le realtà divinamente rivelate, che sono contenute e presentate nei libri della Sacra Scrittura, furono messe per iscritto sotto ispirazione dello Spirito Santo. Infatti la Santa Madre Chiesa, per fede apostolica, ritiene sacri e canonici tutti interi i libri sia dell'Antico sia del Nuovo Testamento, con tutte le loro parti, perché, essendo scritti sotto ispirazione dello Spirito Santo (cf Gv 20,31; 2 Tm 3,16; 2 Pt 1,19-21; 3,15-16), hanno Dio per autore e come tali sono stati consegnati alla Chiesa. Per la composizione dei libri sacri, Dio scelse e impiegò uomini in possesso delle loro facoltà e capacità, e agì in essi e per mezzo di essi, affinché scrivessero come veri autori tutte le cose e soltanto quelle che egli voleva fossero scritte.
    Poiché dunque tutto ciò che gli autori ispirati, cioè gli agiografi, asseriscono è da ritenersi asserito dallo Spirito Santo, è da ritenersi anche, per conseguenza, che i libri della Scrittura insegnano fermamente, fedelmente e senza errore la verità che Dio in vista della nostra salvezza volle fosse messa per iscritto nelle sacre lettere. Pertanto «tutta la Scrittura è ispirata da Dio e utile per insegnare, convincere, correggere e formare alla giustizia, affinché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona» (2 Tm 3,16-17).
    Come dev'essere interpretata la Sacra Scrittura
    12. Poiché Dio nella Sacra Scrittura ha parlato per mezzo di uomini alla maniera umana, l'interprete della Sacra Scrittura, per venire a conoscere ciò che egli ha voluto comunicarci, deve ricercare con attenzione che cosa gli agiografi realmente hanno inteso indicare e che cosa a Dio è piaciuto manifestare con le loro parole.
    Per ricavare l'intenzione degli agiografi, si deve tener conto tra l'altro anche dei generi letterari.
    La verità infatti viene in modi diversi proposta ed espressa nei vari testi: storici, o profetici, o poetici o con altri generi letterari. È necessario dunque che l'interprete ricerchi il senso che l'agiografo ha inteso e ha espresso in determinate circostanze, secondo la condizione del suo tempo e della sua cultura, per mezzo dei generi letterari allora in uso. Infatti per comprendere esattamente ciò che l'autore sacro ha voluto asserire nello scrivere, si deve far molta attenzione sia a modi abituali e originali di intendere, di esprimersi e di raccontare vigenti ai tempi dell'agiografo, sia a quelli che allora erano in uso nei rapporti umani. Però, dovendo la Sacra Scrittura essere letta e interpretata con lo stesso Spirito mediante il quale è stata scritta, per scoprire con esattezza il senso dei sacri testi, si deve badare con non minore diligenza al contenuto e all'unità di tutta la Scrittura, tenendo debito conto della viva tradizione di tutta la Chiesa e dell'analogia della fede. È compito degli esegeti contribuire secondo queste norme alla più profonda intelligenza ed esposizione del senso della Sacra Scrittura, fornendo i dati previi, dai quali si maturi il giudizio della Chiesa. Quanto, infatti, è stato qui detto sul modo di interpretare la Scrittura, è sottoposto in ultima istanza al giudizio della Chiesa, la quale adempie il divino mandato e ministero di conservare e interpretare la parola di Dio.
    La «condiscendenza» della divina Sapienza
    13. Nella Sacra Scrittura dunque, restando sempre intatta la verità e la santità di Dio, si manifesta l'ammirabile condiscendenza dell'eterna Sapienza, «affinché possiamo comprendere l'ineffabile benignità di Dio e quanto egli, sollecito e provvido nei riguardi della nostra natura, abbia contemperato il suo parlare». Le parole di Dio, infatti, espresse con lingue umane, si sono fatte simili al parlare dell'uomo, come già il Verbo dell'Eterno Padre, avendo assunto le debolezze dell'umana natura, si fece simile all'uomo.

    2. La Bibbia nella Chiesa in Italia

    «La Parola del Signore si diffonda e sia glorificata» (2 Ts 3,1).
    LA BIBBIA NELLA VITA DELLA CHIESA.
    Nota pastorale della Commissione episcopale per la dottrina della fede e la catechesi della CEI, Roma 1995

    Il documento, il primo in assoluto nel suo genere in Italia, è uscito nel trentesimo anniversario della Dei Verbum e rappresenta il «manifesto» della Chiesa italiana per la promozione della Bibbia nelle comunità cristiane. Si compone di tre parti: la Bibbia oggi nelle nostre comunità (1 parte); princìpi e criteri di incontro dei cristiani con essa (11 parte); vie e metodi di retto uso e piena valorizzazione della Bibbia nella vita della Chiesa, in particolare nella catechesi, nella liturgia e mediante l'esercizio dell'apostolato biblico diretto (III parte). Da essa stralciamo alcuni passi salienti relativi alla situazione, alle attese e alla comprensione della Scrittura tra di noi.

    PRIMA PARTE
    «FAME... D'ASCOLTARE LA PAROLA DEL SIGNORE» (Am 8,11)
    La Bibbia nelle nostre comunità
    La fecondità del rinnovamento
    6. Sentiamo di dover rendere gloria e ringraziamento a Dio, perché la Sacra Scrittura oggi in Italia è stimata e accolta da moltissimi fedeli come tesoro incomparabile della fede. Le radici di questa provvidenziale situazione vengono da lontano.
    Per lungo tempo la lettura personale della Bibbia restò limitata ad alcuni ambienti, per motivi peraltro comprensibili dal punto di vista storico e sociale. Ma già agli inizi di questo secolo, grazie soprattutto all'impulso della Provvidentissimus Deus di Leone XIII e poi della Spiritus Paraclitus di Benedetto XV (1920), prese avvio e si affermò tra noi il «movimento biblico». Al suo sviluppo cooperarono con dedizione la Pia Società di San Girolamo e altri instancabili promotori dell'animazione biblica popolare.
    A seguito dell'altra Enciclica biblica, la Divino afflante Spiritu di Pio XII, si costituì l'Associazione Biblica Italiana; ad essa dobbiamo gratitudine sincera per il fondamentale ruolo che ha svolto e che ancora svolge, non soltanto nell'ambito degli studi biblici, ma altresì a favore della formazione biblica di sacerdoti, religiosi e religiose, laici e laiche.
    7. Ma è soprattutto con il Concilio Vaticano Il che le nostre comunità ecclesiali sono state spinte a riscoprire decisamente la centralità dell'incontro comunitario e personale con la Sacra Scrittura per la loro vita e per la loro missione. La Bibbia è così divenuta elemento determinante del rinnovamento della catechesi e della liturgia; fonda e anima il progetto pastorale della Chiesa italiana, espresso nei diversi documenti programmatici, fino all'ultimo Evangelizzazione e testimonianza della carità (1991); si trova all'origine e nel cuore della vita di associazioni, gruppi e movimenti ecclesiali contemporanei; ispira e sostiene il dialogo ecumenico.
    Guidate provvidenzialmente dallo Spirito, le Chiese in Italia sono impegnate ad animare con la parola della Bibbia tutta la loro azione pastorale, in maniera sempre più consapevole, estesa e condivisa.
    In tale prospettiva, si avverte oggi più fortemente il bisogno di attuare a fondo il dettato della Dei Verbum: «È necessario che i fedeli cristiani abbiano largo accesso alla Sacra Scrittura», promuovendo un contatto diretto con essa.
    La Conferenza Episcopale Italiana ha ufficialmente assunto questo orientamento come impegno programmatico, con la decisione di aderire alla Federazione Biblica Cattolica (1988). In forza di tale scelta, la Conferenza Episcopale ha affidato all'Associazione Biblica Italiana e all'Ufficio Catechistico Nazionale il compito di promuovere ancora più intensamente l'apostolato biblico e ogni altra forma di valorizzazione della Bibbia nella pastorale.
    Frutti positivi
    8. (...) Il frutto più evidente di questo rinnovamento è l'importanza che ha assunto la Bibbia nelle celebrazioni: anzitutto la li turgia della Parola nella celebrazione eucaristica; la proclamazione della parola di Dio nella celebrazione di tutti i sacramenti; la preghiera dei salmi nelle comunità; uno stile biblico nella predicazione (...).
    È facile riscontrare, non solo nelle comunità di vita consacrata, ma anche in molti fedeli laici, nelle parrocchie come nelle varie aggregazioni, un genuino amore per la Sacra Scrittura, compresa come parola di Dio.
    Si assiste all'iniziazione di molti al libro sacro, tramite una rete diffusa di vie formative, con una evidente crescita culturale, spirituale e pastorale.
    Molti praticano la lectio divina o altre forme ad essa analoghe, quali le «scuole della Parola» e le esperienze di preghiera incentrate sulla Scrittura, con peculiare e significativa partecipazione di giovani (...).
    L'esercizio della carità, il dialogo ecumenico e la tensione missionaria di gruppi e comunità proprio dal Vangelo di Gesù attingono linfa vitale inesauribile.
    Possediamo strumenti di lavoro biblico abbondanti, diversificati e per lo più ben fatti. In particolare ricordiamo come i nuovi catechismi per la vita cristiana sono esemplarmente ispirati dalla Scrittura.
    Anche i mezzi di comunicazione sociale (TV, radio, stampa...) cominciano a farsi carico di una trasmissione della Bibbia più ampia e genuina.
    9. In sintesi, possiamo registrare tre fondamentali segni del promettente risveglio biblico tra noi: un rinnovamento radicale e interiore della fede, attinta alla sorgente della parola di Dio; la cosciente affermazione e assunzione del primato della parola di Dio nella vita e missione della Chiesa; la promozione di un più sollecito cammino ecumenico sostenuto dalle Scritture.
    Aspetti carenti
    10. Confessando che «la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio [...] e scruta i sentimenti e
    i pensieri del cuore» (Eb 4,12), dobbiamo umilmente ammettere di non essere sempre all'altezza del dono che Dio ci fa con la Sacra Scrittura.
    La Bibbia è tra i libri più diffusi nel nostro paese, ma è anche forse tra i meno letti. I fedeli sono ancora poco stimolati a incontrare la Bibbia e poco aiutati a leggerla come parola di Dio. Ci sono persone che vogliono conoscere la Bibbia, ma spesso non c'è chi spezza loro il pane della Parola. L incontro diretto è ancora di pochi, così che l'accostamento alla Scrittura pare riservato ad alcune élites, a movimenti e associazioni dotati di particolari risorse. Il libro sacro non sembra essere a disposizione di ogni cristiano, secondo le sue capacità. L'esigenza di una buona attualizzazione è assai spesso disattesa, riducendosi così a superficiali ed estrinseche giustapposizioni tra parola biblica ed esperienza umana (...).
    11. Ancora più in profondità, c'è da chiedersi se talora una certa prassi di lettura corrisponda alla fede della Chiesa. Diversi sono i motivi della nostra perplessità.
    Il primo nasce da una trascuratezza delle elementari esigenze esegetiche, con la conseguenza di una pericolosa caduta in biblicismi distorti. In particolare, preoccupa il diffondersi della lettura «fondamentalista» della Scrittura, che «rifiutando di tener conto del carattere storico della rivelazione biblica, si rende incapace di accettare pienamente la verità della stessa incarnazione». Non possiamo tacere di un approccio superficiale al libro sacro, inteso come un prodotto di consumo e di moda, realizzato talora in modo ambiguo, come accade quando si vuol cogliere la parola di Dio aprendo materialmente a caso la Bibbia, e non permeato ultimamente dall'ascolto della fede e da un genuino discernimento.
    Ci colpisce e ci addolora una lettura della Bibbia attuata non secondo Io spirito che ne ha la Chiesa e dunque ignorandone o sottovalutandone la vivente Tradizione dottrinale, liturgica e di vita. Di qui ha origine la fatica a far sintesi tra Scrittura e catechismo, tra esperienza biblica e liturgica, come pure la povertà biblica di tante omelie e spesso la carente motivazione evangelica nell'esercizio della carità.
    12. Richiamiamo infine la fragilità di una frequentazione biblica che rischia qua e là di apparire più fatto personale e gratificazione soggettiva che partecipazione alla forza evangelizzante della Parola.
    La memoria appassionata del Cristo, che determinava l'ansia apostolica di san Paolo, non sempre si manifesta tra noi ricca di comunione verso i fratelli, di amore al prossimo, di comprensione delle domande dell'uomo del nostro tempo. Appare ancora debole quella testimonianza missionaria che pure permea vivacemente i contenuti del libro sacro e ne costituisce una dimensione essenziale.
    13. Lo scarso numero di fedeli che accostano le Sacre Scritture e il debole impegno per un pastorale biblica parrocchiale; il distacco della lettura biblica da un atteggiamento di fede ecclesiale; il suo isolamento dai segni di grazia che la Chiesa pone per la vita dei fedeli, in particolare i sacramenti e l'approfondimento catechistico; un accostamento non preparato da regole elementari di comprensione, soprattutto nel momento in cui certe sette religiose abusano proprio della Scrittura; la scarsa incisività della parola di Dio nella conversione del cuore, nell'impegno missionario e di carità, nel servizio alla vita sociale e politica; l'assenza di silenzio e di contemplazione sulla parola di Dio: tutte queste sono ombre che non annullano, ma certamente appesantiscono il fervore per la Bibbia che è già vivo tra noi e che lo Spirito intende far crescere ed estendere, poiché il destino della Parola è che «si diffonda e sia glorificata» (2 Ts 3,1).

    SECONDA PARTE
    «APRÌ LORO LA MENTE ALL'INTELLIGENZA DELLE SCRITTURE» (Lc 24,45)
    Princìpi e criteri per un retto uso della Bibbia nella vita della Chiesa
    16. Guidati da questo documento (Dei Verbum), ci è dato di cogliere la verità e l'importanza della Scrittura. Essa appartiene al mistero della parola di Dio o divina rivelazione, di cui la Trinità santissima ci fa dono nella Chiesa.
    Lo scopo primo e ultimo della Scrittura è dunque anzitutto la grazia di un incontro adorante con il Padre che parla ai suoi figli, e non quindi altri pur giusti obiettivi di conoscenza e di prassi. Ammonisce san Gregorio Magno: «Impara a conoscere il cuore di Dio nelle parole di Dio».
    È un incontro con il Signore risorto, «giacché è lui che parla quando nella Chiesa si legge la sacra Scrittura».
    È esperienza dello Spirito Santo, perché mediante il medesimo e unico Spirito è stata scritta, va letta e viene interpretata la Scrittura; anzi essa «cresce con colui che la legge».
    È un incontro che avviene nel seno della Chiesa, della sua vivente Tradizione, illuminati dall'esempio di Maria, «nel cui grembo Dio ha convogliato tutto l'insieme delle Scritture, ogni sua parola» a luce e conforto del suo popolo.
    È un banchetto con il «pane di vita», che la Chiesa non cessa di porgere ai fedeli, per cui la Scrittura diventa «saldezza della fede, cibo dell'anima, sorgente pura e perenne della vita spirituale». È un'esperienza di singolare spessore umano e culturale, poiché la Scrittura è il libro di ieri e di oggi, luogo di vita in cui si rispecchiano le domande e le risposte, i dolori e le gioie, i dubbi e le certezze dell'uomo di ogni tempo; essa rappresenta la fonte di tanti eventi storici, artistici e culturali, vero patrimonio spirituale di tutta l'umanità.
    In un mondo alla ricerca di una vera comunicazione, ci viene incontro Dio con la sua parola, per svelare verità e creare comunione.

    3. La Bibbia nella Chiesa in Italia dopo il Convegno di Palermo

    Conferenza Episcopale Italiana,
    Con il dono della carità dentro la storia Nota pastorale (1996)

    L'attenzione alla Bibbia trova posto particolare nel Convegno ecclesiale di Palermo (1995) e viene richiamata ufficialmente nel documento che evidenzia il «Vangelo della carità» e «il progetto culturale orientato in senso cristiano» che fa da mediazione missionaria. È una prospettiva nuova che si apre, secondo la quale è stato composto anche questo volumetto di introduzione alla Bibbia. Riportiamo il paragrafo centrale.

    16. Per accogliere consapevolmente la verità della carità, che risplende in Cristo, occorre unire l'esperienza vissuta alla conoscenza dei contenuti e delle ragioni della fede (cf 1 Pt 3,15). Un'attenta riflessione, per la formazione di salde convinzioni, appare ancor più indispensabile nel pluralismo religioso e culturale, che caratterizza il nostro tempo.
    In questa prospettiva c'è anzitutto da diffondere la Bibbia e promuovere una lettura sapienziale di essa. L'incontro diretto con la parola di Dio scritta è di importanza vitale per la formazione di personalità cristiane e per il discernimento evangelico della vita e della storia. Ne abbiamo fatto intensa esperienza al Convegno di Palermo, meditando quotidianamente il testo dell'Apocalisse. Da parte sua il Papa ci ha additato come obiettivo del primo anno di preparazione al Giubileo il ritorno «con rinnovato interesse alla Bibbia».
    Occorre formare animatori di incontri biblici, promuovere l'uso di pregare con la Bibbia in famiglia e nei gruppi ecclesiali, diffondere specialmente la pratica della «lectio divina». Si sperimenta così come l'interiorità cristiana non sia intimismo soggettivo, ma interiorizzazione della parola di Dio che è venuta nella storia e viene ora a plasmare la nostra esistenza.
    Necessaria è anche la conoscenza della dottrina della Chiesa, senza la quale la stessa lettura della Bibbia rischia di cadere nel soggettivismo. Gli itinerari formativi devono prevedere specifici momenti catechistici, in cui sono da utilizzare i testi del Catechismo della C.E.I. per la vita cristiana, destinati a sostenere l'educazione alla fede nelle diverse età. In modo particolare raccomandiamo il Catechismo degli adulti La verità vi farà liberi, la cui struttura trinitaria risponde esattamente alla dinamica dell'itinerario proposto dal Santo Padre per la preparazione al Giubileo.

    B - Un approccio non corretto alla Bibbia

    4. La Bibbia e i Testimoni di Geova
    (da Ufficio Catechistico Nazionale Incontro alla Bibbia LEV, Roma 1996, pp. 105-106)

    Il nome
    Il nome di questo nuovo movimento religioso fu scelto nel 1931 e si ispira a Is 43,10, dove agli ebrei del tempo è detto: «Voi siete i miei testimoni - oracolo del Signore - miei servi, che io mi sono scelto perché mi conosciate e crediate in me e comprendiate che sono io». Geova è una lettura del nome divino, che però più correttamente andrebbe pronunciato Jahweh. Anche i Testimoni di Geova sanno di usare una pronuncia non corretta del nome di Dio.

    Quale Bibbia usano?
    La loro Bibbia è diversa da quella cattolica, perché vi mancano i libri deuterocanonici dell'Antico Testamento.
    La Bibbia usata dai Testimoni di Geova italiani è inoltre una traduzione dall'inglese e non dai testi originali.
    Il testo, infine, è manipolato in pochi ma precisi dettagli. Un solo esempio: Mt 26,26-28: «Prendete e mangiate. Questo significa il mio corpo...» (scrivere «significa» invece di «è» cambia completamente il senso autentico dell'Eucaristia!).

    Come usano la Bibbia?
    - Citazioni frammentarie: le citazioni sono usate come frammenti isolati per sostenere le proprie tesi.
    - Estrapolazione dal contesto: ogni versetto biblico è citato come suona, senza tener conto di quel che significa nel contesto.
    - Letteralismo biblico: il testo è interpretato senza verificare se abbia un significato simbolico. Ad esempio in Ap 7,4 il numero 144.000 è preso rigorosamente alla lettera e non come risultate di 12x12x1000 con evidente allusione al popolo delle dodici tribù e al suo compimento.
    - Interpretazione metaforica: quando fa comodo, però, il testo è usato in modo figurato. Ad esempio nella frase «In principio Dio creò il cielo e la terra» (Gn 1,1), il cielo viene considerato una metafora degli angeli con a capo Lucifero, mentre la terra sempre metaforicamente indicherebbe Adamo ed Eva.
    - Accostamento di testi estranei: ad esempio i tre testi di Dn 4,1017; Ap 12,6.14 e Ez 4,6 accostati senza fondamento tra loro e interpretati l'uno con l'altro portano al 1914 come anno della fine del mondo.
    - Equiparazione tra Antico e Nuovo Testamento: non si accetta che ci sia un progresso della rivelazione tra l'Antico e il Nuovo Testamento. Ad esempio si nega la Trinità perché non la si trova affermata nell'Antico Testamento.

    Atteggiamenti da assumere
    La grande attenzione che i Testimoni di Geova riservano al testo biblico costituisce un importante richiamo per i cattolici, così spesso privi di un'adeguata conoscenza della Bibbia. È un fatto che va riconosciuto con umiltà.
    Tuttavia è praticamente impossibile un dialogo con i Testimoni di Geova. Anzitutto perché la loro interpretazione dei testi biblici è del tutto arbitraria e ciò rende difficile il confronto anche per chi conosce bene la Bibbia. Soprattutto, però, il dialogo è impossibile perché essi non lo praticano: sanno già cosa rispondere ad ogni osservazione. Nel loro manuale Ragioniamo facendo uso delle Scritture hanno indicate le controrisposte a tutto ciò che un cattolico in genere può dire.
    È triste dirlo, ma respingere il confronto, con gentilezza ma anche con fermezza, non è in questo caso mancanza di carità: è autodifesa per chi si troverebbe in difficoltà in un falso dialogo, e invito concreto a loro perché smettano un proselitismo fondato sull'inganno.
    Attenzione va riservata a quanti sono ai primi passi, o si trovano in crisi con la loro fede, o con sincerità sono animati da una reale volontà di confronto. Ma anche con costoro il dialogo è possibile e fruttuoso solo se si ha una buona conoscenza della Bibbia e un'altrettanto buona conoscenza della metodologia e delle contraddizioni interne al loro modo di interpretare il testo sacro.

    C - Come superare le difficoltà della Bibbia

    5. Le pagine difficili della Bibbia
    (da Ufficio Catechistico Nazionale Incontro alla Bibbia LEV, Roma 1996, pp. 124-126).

    Ci sono pagine nella Bibbia che, per il contenuto o per la forma, non sono facilmente comprensibili, anzi possono suscitare sconcerto, quasi scandalo:
    - vi sono affermazioni nella Bibbia che sembrano in contrasto con quanto dice la scienza: si pensi alla creazione del mondo e dell'uomo, al diluvio, in generale ai primi undici capitoli della Genesi; lo stesso vale per la descrizione della fine del mondo, così come appare in certi profeti (Isaia, Daniele) o nei Vangeli nel discorso escatologico di Gesù e nell'Apocalisse;
    - vi sono poi affermazioni di ordine storico che non paiono avere un riscontro nei dati della ricerca, ad esempio circa le modalità dell'esodo del popolo d'Israele dall'Egitto, circa la caduta di Gerico, circa la data precisa dell'ultima cena di Gesù, ecc.
    - vi sono pure, in modo specifico nell'Antico Testamento, affermazioni di carattere morale che sconcertano, perché sono richiesti l'odio e la distruzione dei nemici, la poligamia appare permessa, la donna non sembra avere gli stessi diritti dell'uomo, ecc.
    Si tratta di problemi seri, che domandano una risposta corretta. Non sarebbe tale rinunciare a risolvere i contrasti, rifiutando i dati delle scienze in nome della parola di Dio, oppure negando questa per accogliere le teorie scientifiche; o ancora cercare un forzato concordismo tra Bibbia e scienze, volendo ad ogni costo affermare che la scienza conferma la Bibbia e viceversa.
    Occorre tener presenti alcuni criteri, che provengono dalla fede e dalla ragione. Anzitutto non vi può essere contraddizione in sanabile tra verità della Bibbia e verità della scienza, perché la ve rità viene sempre da Dio. Ma la verità biblica si pone su un piano diverso da quello della scienza, in quanto Dio con la Bibbia intende darci il perché religioso ultimo della realtà, mentre la scienza ha il compito di descrivere come i fenomeni accadono. Inoltre, c'è da ricordare che gli autori biblici, quando scrivono, si servono delle forme di comunicazione proprie del loro tempo, ponendo i generi letterari, per lo più popolari, al servizio della fede. La scienza stessa oggi è assai più cauta circa la natura delle proprie affermazioni: esse vengono presentate più come ipotesi, come visioni coerenti del mondo, che come verità assolute e non falsificabili.
    Quanto alle difficoltà che attengono alle scienze naturali, le affermazioni della Bibbia al riguardo riflettono le conoscenze del tempo, per lo più mutuate dai popoli vicini, nel mondo mesopotamico ed egiziano. La Bibbia parla nell'orizzonte di comprensione degli uomini del suo tempo, e non potrebbe fare altrimenti, proprio nella logica dell'incarnazione che sostiene tutto il dialogo di Dio con gli uomini. Soprattutto, però, la Bibbia riporta queste affermazioni non nel contesto di un discorso scientifico, ma all'interno di testi - per lo più narrazioni - di genere intenzionalmente non scientifico. La scienza del tempo viene utilizzata come un rivestimento dotto, per evidenziare il senso ultimo della creazione e il fine della storia: tutto viene da Dio e a lui ritorna.
    Diversamente occorre considerare le difficoltà di ordine storico. La rivelazione avviene dentro la storia, con persone, fatti, parole, istituzioni, ecc. Le narrazioni dell'esodo dall'Egitto o i Vangeli ci parlano di fatti e non di fiabe o di miti. Occorre però precisare che un fatto storico può essere riportato in tanti modi (generi): dalla cronaca all'epica, dal racconto alla ripresa sapienziale o lirica dei fatti, ecc.
    Per quanto riguarda in modo specifico i Vangeli, c'è da tener presente che la vicenda storica di Gesù vi è narrata alla luce della Pasqua, con una penetrazione del mistero che, in forza dello Spi rito, permette di rendere palesi significati che erano rimasti na scosti nello svolgimento degli eventi; e di questo erano preoccupati i primi cristiani, più che di darci un resoconto puntiglioso delle modalità di svolgimento delle vicende. Questo non intacca la storicità dei Vangeli, che anzi ne è il necessario presupposto. Da ultimo non va dimenticato che le nostre conoscenze storiche sono limitate e fatti che non trovano riscontro in altre fonti al di fuori della Bibbia non per questo non sono mai avvenuti: già la Bibbia, rettamente interpretata, è fonte storica, e può sempre accadere - come non poche volte è accaduto - che una scoperta archeologica venga ad avvalorare affermazioni del testo sacro. Le difficoltà di ordine morale riguardano essenzialmente l'Antico Testamento, per il quale occorre ricordare che siamo di fronte ad una rivelazione parziale, che attende il suo pieno compimento nel Nuovo. Alcune volte poi si tratta di modi di esprimersi enfatici, come ad esempio per quanto riguarda lo sterminio dei nemici, più affermato che attuato, secondo la concezione antica, che Dio vuole una giustizia punitiva e immediata verso i peccatori. Altre volte siamo di fronte ad un atteggiamento pedagogicamente tollerante di Dio, che, partendo dalle condizioni di immoralità del popolo, lo educa progressivamente verso una condotta di piena santità. Così vanno giudicate concessioni come la poligamia, il divorzio, la schiavitù, ecc.

    D - Bibbia e cultura

    6. La scia estetica e la scia culturale della Bibbia

    È uno dei nodi centrali per una giusta comprensione della Bibbia, testimonianza altissima della Parola fatta cultura, in particolare per dei giovani in fase di formazione e di maturazione umana e cristiana.
    Ne abbiamo fatto cenno sovente nella Parte I («Documenti e letture»: articolo di Ravasi), nella II (& V) ed anche in questa Parte III parlando della «carne» della Parola.
    Qui proponiamo un testo recente di un esperto già nominato: P Grelot, Piccola guida alla lettura della Bibbia, Piemme, Casale M. 1983, pp. 98-106.

    La scia estetica

    L'estetica - arte, musica, letteratura - è il mezzo con il quale l'uomo esprime la propria autocoscienza in seno a differenti culture. Non dobbiamo quindi meravigliarci nel constatare che la Bibbia vi s'introduce, a partire dal momento nel quale la fede cristiana penetra come un fermento nelle grandi culture di Oriente e d'Occidente.

    1. La Bibbia nell'arte
    All'inizio della nostra era, l'arte antica - greca, romana e parta - ha conosciuto uno splendore che può valutarsi sfogliando i grossi volumi pubblicati dalla collezione «L'universo delle forme», in un clima predominato dal naturalismo e dalle mitologie pagane. Non deve sorprendere che i libri sacri del Giudaismo e del Cristianesimo vi abbiano fatto una comparsa assai modesta. Se ne indica nondimeno la presenza nelle catacombe cristiane e nelle sinagoghe giudaiche dei primi secoli. Ma a partire dal IV e V secolo, il ricorso alle grandi raffigurazione bibliche esplode in tutte le forme, nell'Occidente latino come nell'Oriente greco, siriano, armeno, egiziano, slavo. Attraverserà tutto il Medioevo, sui due versanti della «cristianità» nella quale la società civile e quella religiosa si integrano a vicenda.
    Per limitarsi all'Occidente latino, come ignorare l'universo simbolico dell'arte romanica nella quale l'iconografia biblica si dispiega nella scultura e nell'affresco? Le statue e le vetrate delle cattedrali gotiche, che la mettono alla portata degli illetterati come una «Bibbia dei poveri»? Le ricche Bibbie miniate decorate con amore in margine ai testi sacri dall'epoca carolingia fino al secolo XV? È vero che questi tesori artistici il più delle volte sono nascosti nelle biblioteche ove nessuno può vederli... Si deve constatare che a partire dal Rinascimento si è verificata una certa degradazione religiosa: la Bibbia fornisce «soggetti di tavole», trattati spesso in vista del prestigio del pittore più che per prestare un servizio al testo. Ma chi non conosce le acquaforti di Rembrandt sulle parabole evangeliche? E se l'arte del secolo XIX perde di vigore sul piano religioso o si scosta dai soggetti religiosi nelle sue creazioni estetiche, non si saprebbe dimenticare la «Lotta di Giacobbe con l'angelo», di Delacroix; più vicino a noi, il Cristo sofferente di Giorgio Rouault oppure i grandi arazzi dell'Apocalisse di Lurcat (chiesa di Passy). Si tratta solo di alcuni esempi spigolati qua e là. Sarebbero necessarie delle ricerche: dimostrerebbero che le grandi pagine dei due Testamenti hanno ispirato pittori, artisti del vetro, miniaturisti e scultori. Sarebbe opportuno non esprimersi al passato: il film sovietico su «Andrei Roublev» sarebbe sufficiente per ricordarci che le icone, cioè le immagini religiose di qualità che l'Oriente cristiano ha moltiplicato, conservano un valore permanente per gli uomini.

    2. La Bibbia nella musica
    Si può parlare di un'ispirazione biblica solo in funzione dei testi sui quali essa si ricama. È il caso di un modo assai diretto per tutte le musiche liturgiche del Giudaismo e del Cristianesimo, nella misura stessa in cui i testi vengono desunti dalla Bibbia oppure vi si ispirano molto da vicino. Si pensi, per l'Occidente latino, al canto «gregoriano» che si è sviluppato dal VI al XII sec., con elementi di sopravvivenza più artificiali. Lo stesso può dirsi per le musiche, meno note in Occidente, della Grecia e del mondo slavo, della Siria, dell'Egitto copto, dell'Etiopia, ma anche dell'antica musica sinagogale il cui segreto rimane difficilmente afferrabile. A partire dal Rinascimento l'arte musicale si è evoluta. Nel secolo XVI, la polifonia di un Palestrina costruisce i suoi arabeschi su testi latini dei quali la Bibbia rimane la base. Nell'epoca classica, in ambiente protestante, chi non conosce le Passioni, i Corali e le Cantate di Bach, il Messia di Haendel? La Bibbia è in regresso nella musica romantica. Ma, in epoca recente, come dimenticare un'opera come l'Oratorio di Arturo Honegger, Il re David, basato sui testi stessi dei libri di Samuele (n. 46)? Non si può ipotecare il futuro: ogni epoca ha la musica che si merita. Bisognerebbe anche spiegare il successo della commedia musicale importata dall'America: Gospel.

    3. La Bibbia nella letteratura
    Qui si apre un capitolo vastissimo. Lasciamo da parte la letteratura latina ove la poesia lirica e epica d'ispirazione biblica si è sviluppata dal IV secolo al Medioevo. Dobbiamo però almeno sottolineare che la traduzione della Bibbia è stata in più di un caso il primo monumento letterario o almeno uno di quelli che maggiormente hanno contribuito a fissare le lingue: così, a suo tempo, in copto, in armeno, nell'antico slavo, nell'antico gotico, nel georgiano classico. Per le lingue moderne, le traduzioni destinate al grande pubblico sono apparse in tutte le lingue d'Europa fin dal Medioevo: nel secolo XIII in francese e in provenzale. A quest'epoca la letteratura francese era già nata. La Bibbia vi occupava il suo posto: così nelle rappresentazioni sacre del secolo XIII come la Rappresentazione d'Adamo e Eva, oppure nelle Passioni del XV, come quelle di Arnould Greban e di Jean Michel, che si distendono su migliaia di versi mettendo in moto il mondo intero, dal cielo all'inferno. Il secolo XVI ha conosciuto ancora questo teatro religioso, in Francia come in Inghilterra: l'Ester e l'Atalia di Racine ne sono i magri residui, sfuggiti per caso agli attacchi di Boileau.
    In effetti, paesi protestanti come la Germania e l'Inghilterra hanno mantenuto una cultura fortemente biblica in forza di traduzioni classiche quali la Bibbia di Lutero (metà del secolo XVI) e quella di «King James» (inizio del secolo XVII). La Francia, al contrario, ha conosciuto su questo punto un'eclisse, al momento in cui il suo classicismo prendeva il sopravvento sulla letteratura barocca. Questa aveva moltiplicato le parafrasi poetiche di testi biblici, soprattutto dei Salmi; senza dimenticare Les tragiques di Agrippa d'Aubigné, opera intessuta di immagini folgoranti prese in prestito dalla Scrittura. Ma in seguito questa linfa si prosciuga. La Bibbia non è più la patria degli artisti: la si lascia alle persone «serie», predicatori e teologi. Si rifugia ancora nella poesia popolare dei «Noels», che in questo tempo vanno moltiplicandosi. Ma cosa vi avrebbe combinato Voltaire? L'Inghilterra ha Il Paradiso perduto di Milton, e la Germania la Messiade di Klopstock (che non è un capolavoro di prima classe); la Francia, nulla.
    Bisogna aspettare il Romanticismo perché la Bibbia ritorni in superficie con Victor Hugo del quale essa colpisce l'immaginazione: le riserba un posto nel Libro II de La leggenda dei secoli («Da Eva a Gesù») e in La fine di Satana, la cui ispirazione di fondo non è neppure cristiana. I temi scaturiti dalla Bibbia, riemersi nel corso del secolo XIX, si rifanno dominanti in poeti tornati alla fede cattolica: Charles Péguy e Paul Claudel, i cui commenti biblici, fra l'altro, sono l'opera meno riuscita. Più vicini a noi li ritroviamo in Edmondo Fleg, Supervielle, Pierre Emmanuel, ma non in «pagani» come Paul Valéry e Saint-John Perse; assai poco nel teatro moderno di prima qualità. Si deve parlare del cinema, che appartiene a un'altra formula estetica? Alcuni kolossal di Cecil B. de Mille («I dieci comandamenti») sono al limite dell'essenziale: i racconti biblici non sono altro che dei pretesti per messinscena... Ma perché il «pagano» Pasolini è stato sedotto da ll Vangelo secondo Matteo? A che cosa si deve il successo del Gesù di Nazareth di Zeffirelli?
    Nella letteratura come nel cinema, quindi, il problema resta aperto. Ma si deve almeno sottolineare un fatto: fino ad una data assai recente, la Bibbia è stata eliminata (...) dai programmi dell'insegnamento secondario. Ora, ecco che se ne riscopre l'interesse come una delle fonti della cultura occidentale. Dopo tutto, il suo influsso non ha forse plasmato la nostra civiltà e la nostra società tanto da infondere in esse il senso dell'uomo quanto le letterature dei classici greci e romani? Ci vuole la stoltezza di certi neo-pagani per metterlo in dubbio. Ma questo problema non dipende più dalla sua scia estetica.

    La scia culturale

    A questo proposito sono due i differenti problemi. Uno è quello dell'influsso della Bibbia, attraverso le religioni che dipendono da essa e che l'hanno fatta arrivare fino a noi, sul mondo che abbiamo ereditato. L'altro riguarda i riflessi della cultura moderna, con i suoi aspetti critici, sulla lettura della Bibbia.

    1. La Bibbia e la nostra civiltà
    Il fermento spirituale scaturito dalla Bibbia - giudaica o cristiana - mai ha pervaso interamente le istituzioni né i costumi della civiltà occidentale o medio-orientale: l'immagine della «Cristianità» perfetta che sarebbe esistita nel Medioevo o sotto l'Ancien Régime, è abbastanza illusoria. È vero che l'ispirazione biblica e evangelica era abbastanza vigorosa nella società medievale; ma il «modello» di società adottato allora non veniva preso in prestito né dall'AT che ne forniva uno al popolo ebraico, né dal Nuovo, che non ne forniva affatto. Inoltre, le costumanze germaniche e il diritto romano, riemersi progressivamente alla superficie, opponevano al «fermento» biblico una resistenza che ha finito per estenuarne l'influsso.
    Non bisogna quindi farsi illusioni sul «mondo cristiano» conosciuto dal secolo XIX, almeno nelle sue istituzioni economiche e politiche. Quando Marx, nato da una famiglia ebraica passata al Protestantesimo, dichiarava che «la religione è l'oppio del popolo», aveva presente una situazione sociologica nella quale Giudaismo e Cristianesimo erano religioni «insediate», il primo a titolo abbastanza provvisorio, il secondo con una ruota per strada. Ma né la struttura e la politica degli stati, né il funzionamento dell'economia, né le legislazioni sociali rispondevano alle esigenze evangeliche, o anche a quelle del Deuteronomio e dei profeti d'Israele! Alcune «ideologie dominanti» vedevano nelle Chiese delle forze sociali garanti dell'«ordine stabilito», piuttosto che le annunciatrici di un Vangelo che lo mettesse in discussione, senza fornire per questo un prototipo di società e ricette pratiche per risolvere i loro problemi.
    Ci si può domandare, in compenso, se la protesta contro una tale situazione - della quale il «capitalismo manchesteriano» sarebbe il simbolo - avrebbe preso consistenza nelle diverse correnti socialiste del secolo XIX senza l'inquietudine nata dal Messianismo giudaico e dal Vangelo cristiano. Questa è germinata nelle coscienze in rivolta contro una religione troppo legata ad una società ingiusta: Proudhon l'antiteista non ha nascosto la seduzione esercitata su di lui dal Vangelo, e il mito ateo dell'Avvenire secondo Marx traspone temi che provengono dai profeti d'Israele. La fede - giudaica e cristiana - non può certo non criticare radicalmente l'ateismo contrapposto dalle ideologie del tempo. Ma questo l'ha costretta ad un esame di coscienza sulla sua incidenza reale in fatto di giustizia sociale: i due Testamenti le hanno fornito allora una possibilità di recupero. Si deve prendere atto che questi problemi restano aperti, in un'epoca nella quale si fronteggiano numerosi «ordini stabiliti» di segno contrapposto, egualmente ansiosi di restare a galla. I profeti d'Israele, come il Vangelo, sono per tutti dei singolari importuni. Non sarebbero meno importuni per ogni ideologia politica che, con il pretesto di uno stato sociale «cristiano», facesse rivivere il vecchio mito dell'«ordine romano»: né i profeti né Cristo potrebbero servire da copertura a un'autorità totalitaria, qualunque ne sia la forma.
    Ci si potrebbe interrogare su qualche altro punto. Non si tratta di far risalire alla Bibbia il progresso moderno delle scienze naturali e di quelle umane. Ma la riflessione filosofica sulla storia umana, così come si è sviluppata a partire da Hegel e da Marx (che ha capovolto le tesi di Hegel), avrebbe visto la luce se non l'avesse preceduta una visione teologica della storia mutuata direttamente dalla Bibbia? Per rendersi conto di ciò che avrebbe fornito al di fuori di questo riferimento implicito, è sufficiente leggersi Nietzsche o Oswald Spengler. Egualmente, nella psicanalisi, l'ateo Sigmund Freud è andato a cercare nella tradizione greca il mito di Edipo per elaborare la sua teoria del complesso che pone alla radice dell'Inconscio umano. Ma avrebbe egli riconosciuto un simile ruolo al «padre» nel modo con cui il complesso di Edipo si annoda, se la sua esperienza della famiglia ebrea non l'avesse inconsapevolmente determinato su questo punto? È sufficiente confrontare il modello che a lui serve di base con quello utilizzato da C. J. Jung, ispirato dalla religiosità germanica, dalla gnosi antica e dal pensiero indiano. Freud, d'altra parte, è rimasto ossessionato, fino al termine della vita, dalla figura di Mosè, dopo l'interpretazione psicanalitica del Mosè di Michelangelo fino al suo volume su Mosè e il monoteismo, ripreso per due volte nel 1917 e nel 1938. Così l'influsso indiretto della Bibbia può giungerci, trasformato e a volte ritorto contro le religioni bibliche, attraverso vie inattese. È necessario essere abbastanza avvertiti per rendersene conto.

    2. La lettura critica della Bibbia
    La «lettura credente» della Bibbia si è sempre situata, nel Giudaismo come nel Cristianesimo, all'incrocio della fede, che ne indirizzava lo spirito, e delle culture alle quali essa attingeva i suoi metodi di lavoro sui testi. È quindi normale che questa lettura sia stata rimessa in discussione, a partire dal secolo XIX, dall'avvento della critica - filosofica, letteraria, storica - poi delle «scienze dell'uomo» (sociologia, etnologia, linguistica, storia delle religioni, psicanalisi, ecc.). Senza fare un bilancio completo di questa situazione ancora in movimento, si può tentare di vedervi un po' chiaro.
    La critica biblica, ai suoi inizi, era fortemente contrassegnata da opzioni filosofiche contrarie alla fede giudaica o cristiana. È anche sembrato in un primo tempo che avesse ridotto la Bibbia in pezzi fino a distruggere il fondamento di tutte le credenze nate da essa. Questo non vuol dire che intendesse distogliere da essa l'attenzione degli ambienti colti, ne proponeva però un'interpretazione «riduttiva». Un esempio molto semplice mutuato dalla cultura francese: Ernesto Renan, fondatore dell'orientalismo in Siria e in Palestina, si era completamente distaccato dalla fede cristiana. La sua Vita di Gesù (1863) prese un'aria da manifesto: il fondatore del Cristianesimo costituiva l'oggetto di un approccio «scientifico», ma i postulati razionalisti sostenuti nella Prefazione del libro ne condizionavano fortemente la realizzazione. Ora, questo storico non credente si dimostrava sedotto dalla figura del «dolce sognatore galileo» che pensava di poter ricostruire, e ha consacrato la parte più importante della sua opera allo studio della storia d'Israele e delle origini cristiane per motivi strettamente culturali.
    Nel ricorso alla critica per lo studio della Bibbia, è certo che non credenti e protestanti «liberali», influenzati da essi, precedettero i credenti sconcertati in un primo tempo da questi nuovi metodi. Ma con il passare del tempo e con l'aggiornarsi dei metodi che meglio hanno valutato i loro limiti, i credenti si sono largamente ripresi. Attualmente, né il rigore che è di norma nelle ricerche storiche, né i diversi tipi di analisi dei testi, ultimo dei quali è l'analisi strutturale, né le scienze umane applicabili al fenomeno religioso sotto tutte le forme, sono assenti dalle loro ricerche «esegetiche»: (...) chi scrive non è stato più disturbato dalla critica nella sua fede, né dalla sua fede nell'uso degli strumenti critici.
    Come avviene allora che i risultati ottenuti possono differire notevolmente da un critico all'altro? Un paragone permetterà di comprenderlo. Sappiamo che nel settore della ricerca storica, la «verità» scientificamente stabilita risulta dal «dialogo degli storici» che si controllano a vicenda sui metodi adoperati e sull'interpretazione delle fonti consultate. Di fronte ai testi biblici anche fra gli specialisti è indispensabile lo stesso dialogo. Esso si complica anche a motivo della natura delle fonti che bisogna interpretare e dal fatto, giudaico o cristiano, di fronte al quale ognuno deve prendere posizione: nessuno è neutro in questa materia poiché ciascuno lavora in funzione di convinzioni personali che non può lasciare nel guardaroba iniziando lo studio. La Bibbia, in quanto letteratura funzionale di una comunità credente e testimonianza resa a una fede, non può non condurre i suoi lettori alla soglia del problema della fede; ma non permette di risolverlo da sola. Si verifica lo stesso caso per i libri sacri di tutte le religioni: non si leggono mai senza adottare un certo atteggiamento interiore a riguardo delle credenze, delle pratiche, delle forme di culto, della sapienza di vita che essi propongono. Anche se non si accorda loro un'adesione dello spirito e della volontà, ci si può accostare ad essi con simpatia. Alla fine, si è di fronte all'estremo problema che pongono: quello del significato ultimo che si riconosce all'esistenza umana. Ora, ognuno risolve questo problema solo nel segreto del cuore e nella scelta della sua libertà, che è la sua funzione specifica.


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